"Non vendicarti e non conservare rancore verso i figli del tuo popolo, e desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te; Io sono il Signore” (Waiqrà 19,18). In questo versetto troviamo tre comandamenti distinti, due negativi ed uno affermativo: i divieti di vendicarsi e serbare rancore, e la mitzwàh di amare il proprio prossimo come se stesso. In questo breve passaggio troviamo tre dei comandamenti più difficili da mettere in pratica. Come per qualsiasi altra mitzwàh della Toràh è indispensabile comprenderne i dettagli e individuarne l’ambito di applicazione. Ci concentreremo sulle prime due mitzwot, i divieti di vendicarsi e serbare rancore.
Come si vede qui sembra esserci una limitazione: "verso i figli del tuo popolo" che nel cristianesimo non c'è, essendo il messaggio cristiano universale. Qui sembrerebbe limitato il non serbare rancore ai figli del tuo stesso popolo.
Però è interessante procedere nell'analisi.
Come si dice, la vendetta è dolce. Si dice che poi che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Questa è la vendetta che la Toràh condanna, perché non è costruttiva. La Mishnàh (Bavà Qamà 92a) riporta la regola seguente: anche se una persona ha risarcito colui che ha danneggiato, non sarà perdonato, sino a quando non avrà chiesto perdono alla vittima. Da dove sappiamo se il danneggiato non perdona dopo aver ricevuto la richiesta è da considerarsi crudele? Da Avraham, che pregò per la guarigione di Avimelekh. Da qui impariamo che non c’è un obbligo di perdonare sino a quando ciò è richiesto, e che chi non perdona è considerato crudele, ma non necessariamente un trasgressore. Il Ritvà (Rosh ha-shanàh 17) spiega che esistono vari gradi: il non serbare rancore, cioè non covare sentimenti negativi nei confronti di chi ha procurato il danno, e in seconda battuta il rinunciare a intraprendere qualsiasi azione contro il danneggiatore. Chi è stato offeso ha una pretesa legittima, che può trovare seguito in un tribunale, terrestre o celeste esso sia. Il non serbare rancore ristabilisce i rapporti interpersonali precedenti all’offesa, ma non esclude comunque la possibilità di rivolgersi a un tribunale. La mechilàh, il perdono totale, deve essere concesso solo a fronte di una richiesta esplicita, e la mancata concessione ci permette di etichettare chi rifiuta come crudele, ma non è detto che il rifiuto sia vietato. C’è da notare però che R Bechayè attribuisca conseguenze disastrose, che avrebbero influenzato pesantemente la storia ebraica successiva, al rifiuto di Yosef di perdonare i fratelli. Il Terumat ha-deshen (1, 307) sembra indicare che ci sia un obbligo di perdonare anche quando ciò non è richiesto. Questo non esime il danneggiatore dal chiedere perdono, ma anche prima che questo avvenga chi è danneggiato deve rimuovere tutti i sentimenti malevoli dal proprio cuore.
Sottolineerei: chi è stato offeso ha una pretesa legittima.
La mechilàh, il perdono totale, deve essere concesso solo a fronte di una richiesta esplicita.
Nel caso di Israele, si è parlato anche da parte del Vaticano, di una "risposta proporzionata". Ora un nugolo di consiglieri si affannano sul capezzale di Israele, perché non si può negare che Israele sia in un letto di dolore dopo l'attacco proditorio di Hamas e tutti gli orrori da esso commessi, a dare consigli su quale sarebbe la risposta giusta e proporzionata. Ma forse anche chi parla, rappresentanti dell'ONU, Vaticano, esponenti più o meno simpatizzanti della causa del popolo della Palestina non sanno bene di cosa parlano.
Quale sarebbe la risposta proporzionata a un attacco a sorpresa, che ha avuto di mira soltanto civili inermi, famiglie e bambini inconsapevoli che si svegliano di primo mattino per prendere il latte? Qui ci rendiamo conto che un concetto generico di perdono, per dire settantavoltesette, in questo caso non tiene, non è ragionevolmente applicabile. Così noi dovremo definire i termini di applicabilità del messaggio evangelico, altrimenti rischiamo di fare fuffa.
Allora rivolgiamoci ai grandi teologi della Chiesa che ultimamente vengono consultati poco, in un'ansia di aggiornamento a ciclo continuo. Sinodale, vorrei dire. Chi sono questi indiscussi autori? Direi S. Agostino e S.Tommaso.
* * *
S.Agostino, Discorso 211:
Uno solo è il rimedio grazie al quale possiamo vivere: Dio, nostro maestro, ci ha insegnato a dire nella preghiera: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. Abbiamo stipulato con Dio un patto, abbiamo accettato la ricetta, abbiamo sottoscritto la condizione di essere liberati dal nostro debito dietro cauzione. Possiamo chiedere con piena fiducia: Rimetti a noi a condizione che anche noi rimettiamo. Altrimenti non illudiamoci che vengano rimessi i nostri peccati. Non inganniamoci da soli, l'uomo cerchi di non ingannarsi; e Dio da parte sua non inganna nessuno. È umano adirarsi - magari potessimo non farlo! -, è umano adirarsi: ma la tua ira, che all'inizio è come un piccolo fuscello, non deve essere alimentata da sospetti fino ad arrivare alla trave dell'odio. Una cosa infatti è l'ira, altra è l'odio. Spesso anche il padre si adira contro il figlio senza per questo odiare il figlio; si adira contro di lui per correggerlo. E se si adira per correggerlo, si adira per amore. Perciò è stato detto: Vedi il fuscello nell'occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è nel tuo occhio.
Biasimi nell'altro l'ira e tu covi odio dentro te stesso! Rispetto all'odio l'ira è come una pagliuzza. Ma la pagliuzza, se viene alimentata, diventa trave; se invece la togli da te e la getti via, si disperde.
S. Tommaso, in risposta alla ottava proposizione della XII quaestio (S.T.) sull' Ira, Articolo I, Se ogni ira sia cattiva oppure se qualche ira sia buona, dice:
dalla legge è proibita la vendetta che risulta dal solo livore della vendetta, ma non quella che scaturisce dallo zelo per la giustizia.
Scrive il domenicano Tito Centi, autorevole interprete di San Tommaso, Cristianità n.60 (1980):
Quanto poi all’istinto della vendetta bisogna intendersi, facendo le debite distinzioni, prima di condannarlo sommariamente in blocco, come se si trattasse di un istinto diabolico. San Tommaso, infatti, insegna: trattandosi di un moto di ripulsa naturale di fronte alla cattiveria, esso non può non contenere qualcosa di positivo e di buono. La natura, ricordiamolo, non è opera del diavolo, ma è opera di Dio, il quale ha inserito negli animali l’istinto della difesa, la vis irascibilis, ben distinta dalla vis concupiscibilis.
E ciò non è in contrasto con la virtù della carità, che dispone il cristiano a perdonare le offese ricevute. Perché l’uomo virtuoso e santo «respinge le cose nocive difendendosi, oppure vendicandosi delle ingiurie subite, non con l’intenzione di nuocere, ma con l’intenzione di eliminare il male» Ed è appunto questo il compito della vindicatio, ossia di quella virtù morale, che sta nel giusto mezzo tra la crudeltà di chi gode del male altrui e la tollerante vigliaccheria.
Nota di Chiesa e post-concilio
1. Il concetto è tratto dalla perashah (equivale alle nostre letture in quanto di tratta di suddivisione ordinata di pericopi della Scrittura): דֹשִׁים Kedoshim, K'doshim = 'Santi'. Qadosh = santo. In ebraico la vendetta ha il significato del ripristino della giustizia; esercitato nella קדושה Qedushah = santità.
Sembreranno buoni questi promemoria, approfondimenti, delucidazioni, ma occorrerebbe che fossero realmente insegnati ai popoli, alle nuove generazioni, alle teste calde e a quelle fredde, a chi ruba e a chi è derubato. In particolare in questo periodo dove i popoli sono stati assopiti con droghe, propagande varie e allisciamenti sotto la cintola. Si denuncia si denuncia, ma la mala/educazione personale e sociale la si lascia prosperare indisturbata. Sembra che durante la reclusione/Covid ci sia stato un picco di consumo droga. Se uno avesse voluto dare un taglio a questo infame commercio, proprio quel periodo sarebbe stato quello più propizio per agire, invece niente! Doppia prova che Stato e Chiesa non proteggono i popoli come sarebbe loro dovere. Questo suscita uno schifo profondo, vero, serio che non diminuisce e spazza via ogni granulo di fiducia residua.
RispondiEliminaMEDITAZIONE DEL MESE
RispondiElimina17° Ottobre
LA CARITÀ VERSO IL PROSSIMO
1. Precetto rigoroso di Dio. Amerai il tuo Dio con tutto il cuore, dice Gesù, questo è il primo comandamento e il maggiore di tutti; il secondo comandamento è simile a questo; Amerai il prossimo tuo come te stesso. “Questo è il mio precetto, che vi amiate l'un l'altro; Mio, cioè che mi sta molto a cuore, e differenzia i Cristiani dai pagani. Amatevi come Io ho amato voi... Io dimentico e sacrifico Me stesso per voi: imitatemi”. Lo intendi tu un tale precetto?
2. Regola dell'amore del prossimo. Tutti sanno che si deve fare agli altri ciò che desideriamo sia fatto a noi; Gesù non disse d'amare il prossimo meno di te, bensì come te stesso. Ma in quale modo si applica? Considera il tuo pensare e il tuo giudicare più male che bene degli altri, le tue mormorazioni, la poca tua tolleranza verso i compagni, il tuo malignare e sofisticare, la difficoltà di compiacere, di aiutare il prossimo... Fai tu agli altri come vuoi sia fatto a te?
3. Ogni persona è prossimo tuo. Come osi tu deridere, dileggiare, disprezzare chi ha un qualche difetto di corpo o di spirito? Sono tutte creature di Dio, il quale tiene fatto a sé quel che si fa al prossimo. Perché deridi e canzoni chi sbaglia? Non ami tu d'esser compatito? Ma Iddio ti comanda di compatire gli altri. Come ardisci di odiare un nemico? Non pensi, che, con ciò, porti odio a Dio stesso? Ama, fa del bene a tutti; ricordalo; ogni persona è prossimo tuo, è immagine di Dio, redenta da Gesù.
PRATICA. — Per amore di Dio, sii compiacente con tutti.
Tratto da: Brevi meditazioni per tutti i giorni dell'anno e sopra le solennità della Chiesa proposte alle anime pie (Agostino Berteu)
https://www.preghiereperlafamiglia.it/meditazioni/1017.htm
ADORAZIONE IN DIRETTA PER LA PACE IN TERRA SANTA
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=VNtkBjeQcKI
Santuario Madonna dei Boschi
https://www.youtube.com/watch?v=VNtkBjeQcKI
RispondiEliminaL'Adorazione Eucaristica in streaming e' stata interrotta perche' viola le norme di iutubbe
Interessante disamina sui temi della vendetta e del perdono. Osserviamo che c'è differenza tra il dovere del singolo e quello dello stato. lo stato non può e non deve " perdonare" un'aggressione. Proprio per far sì che l'individuo possa esercitare la virtù del perdono, lo stato deve difenderlo con una reazione proporzionata all'offesa.
RispondiEliminaMAUI: disastro intenzionale
RispondiEliminahttps://gloria.tv/post/iGWFctHz6AR72DSp878kc9EwV
Solo conoscendo la storia degli abitanti di Maui è possibile capire cosa c'è dietro agli incendi che hanno devastato l'isola delle Hawaii.
Commento solo da un punto di vista strettamente giuridico, visti i miei studi: se cercate altri miei commenti, vedrete che non sono pressochè mai ad articoli puramente teologici e filosofici.
RispondiEliminaNon quando ho fatto la catechesi per la prima comunione, da un bambino di 7 anni non si può pretendere che capisca "perchè si faccia una guerra" (ed era ancora in corso quella del Vietnam), ma quando ho fatto quella della cresima mi era stato spiegato il concetto di "guerra giusta", ancora allora c'erano diversi in ambito cattolico che non lo limitavano alla guerra di sola difesa.
Avevo 12 anni (1976), non mi hanno mai parlato nemmeno allora dell'obiezione di coscienza, già prevista (sia pure in una forma penalizzante e punitiva).
Però una cosa strana sul servizio militare mi è successa.
Doverosa premessa: io ho fatto un secondo diploma, dopo quello di V magistrale mi ero iscritto al IV ragioneria con un corso di recupero anni e nel 1985 mi sono diplomato anche di quella. Mi ero iscritto ad Economia e commercio ma non avevo potuto fare un secondo esame entro il 31/12/1986 e non potevo avere il rinvio militare; lo stesso la chiamata nel 1987 non arriva. Non ho capito perchè, mi hanno solo detto che "non c'era posto". Allora ho cominciato, grazie a un mio zio, a lavorare in un'agenzia di assicurazioni (da qualche mese è un broker assicurativo e ne sono diventato contitolare) e mi sono iscritto a Giurisprudenza, dal 1991.
Mi è stato spiegato molto dopo, nel 1996, cosa fosse successo nel 1987: pare male interpretando delle parole di Giovanni Paolo II, era stata rifiutata l'obiezione di coscienza a molti cattolici, per questo intasando le liste di chiamata.
Quindi ancora 37 anni fa si riteneva che servire in armi lo stato per un cattolico fosse quanto meno preferibile rispetto al farlo in altro modo. Come la dottrina sia cambiata e quando non ho capito, non è il diritto ma la dottrina ad occuparsi di questo. Qualcuno dei frequentatori di questo sito lo sa?
PS: Forse il mio parroco di quei tempi sapeva qualcosa perchè, poco prima della Messa di Natale 1986 (sono sempre andato a quella di mezzanotte), mi aveva invitato a "non fare nulla" sulla questione "militare".
PPS: Quando nel 1996 le inidoneità alla patente ordinaria sono diventate anche tali per il servizio militare mi sono fatto riformare a causa del mio scarso visus (assurdo come fino ad allora uno non fosse idoneo a guidare per lavoro ma fosse idoneo a combattere in prima linea!).
RispondiElimina# Assurdo mandare uno che ci vede poco a combattere in prima linea...
Ma quale prima linea? Negli eserciti moderni solo un terzo dei soldati ha capacità operative. Il resto non sa neanche maneggiare un'arma, è impiegato nell'immensa macchina logistica che sostiene gli eserciti moderni. Pertanto, anche uno mezzo orbo può essere utile, come soldato nei molteplici servizi.
Circa l'obiezione di coscienza dei cattolici, nominata incidentalmente, cominciarono a praticarla appunto sotto G P II, un altro degli effetti negativi di quel papato. Poi fu sostituita dal servizio civile in alternativa a quello militare. Servizio civile che poi diventava attività di aiuto al terzo mondo, come si diceva. Quello che adesso ci sta invadendo in massa anche grazie alla mentalità antipatriottica e codarda che la presente Gerarchia ha instillato nei cattolici, grazia alla retorica dell'impegno per gli aiuti ai poveri, ai derelitti, agli sfruttati della terra e via discorrendo, unita all'odio per la patria di appartenenza e in particolare per la patria italiana.
ap