In un precedente articolo nella nostra traduzione da ‘Le Sel de la Terre’ [qui] avevamo anticipato ulteriori approfondimenti sulle osservazioni del teologo tedesco Johannes Dörmann su Giovanni Paolo II circa le OMISSIONI riguardanti le sue affermazioni sul fatto che Dio è solo misericordia da cui consegue la salvezza a priori per tutti, tant'è che siamo arrivati alla misericordia bergogliana che condona apertamente il peccato. Precedente qui. Ci sovviene anche Gaudium et spes, 22 qui (i semi delle variazioni sono tutti nei documenti del Vaticano II). Ricordo anche la questione del 'pro multis' [vedi anche qui]. Di seguito un nutrito approfondimento del nostro lettore Teofilo, particolarmente significativo in questi giorni di dibattito di un discusso sinodo.
Questioni sulla vera fede
Domande su questioni vitali per il bene della Chiesa e la nostra salvezza.
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I – È vero che Giovanni Paolo II, ispirandosi al Vaticano II, ha sostenuto che la salvezza sarebbe già stata garantita a ciascun uomo dall’Incarnazione del Verbo, senza bisogno di pentimento, di conversione a Cristo e quindi senza bisogno del concorso della nostra libera volontà sorretta dall’azione determinante della Grazia? Quel papa avrebbe dunque predicato l’errore gravissimo della cosiddetta “salvezza per tutti” o “redenzione universale”?
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[La salvezza per tutti, a priori] L’ha sostenuto un teologo tedesco, professore di “missionologia” all’Università di Münster, Johannes Dörmann (1922-2009), sulla base di approfondite ricerche su testi di Woytila quand’era cardinale e sulle sue prime tre encicliche di taglio dottrinale. Ma perché occuparsi ora di una tale questione?
I cattolici che vogliono oggi restare fedeli al dogma senza nello stesso tempo esporsi col criticare ambiguità, oscurità e persino errori penetrati nell’insegnamento e nella pastorale della Chiesa attuale, a partire dal Vaticano II, considerano Giovanni Paolo II un autentico difensore della fede e ne contrappongono l’insegnamento alle deviazioni sempre più evidenti dell’attuale pontefice, papa Francesco.
Ma siamo sicuri che il papa polacco sia effettivamente stato un difensore perfettamente ortodosso della fede? Il dubbio è più che lecito.
Dörmann ha analizzato in tre volumi alcuni scritti di Giovanni Paolo II prima di essere papa e le sue tre prime Encicliche dottrinali. Ne ha concluso che in queste opere, tra loro perfettamente coordinate, si può individuare in modo piuttosto netto la presenza della nozione della “salvezza per tutti” o “redenzione universale” già realizzatasi con l’Incarnazione. Non ci sarebbe quindi più bisogno di quel rinnovamento individuale totale attraverso il pentimento e la conversione del cuore e della nostra vita ai divini comandamenti; pentimento e conversione espressamente richiesti più volte da Nostro Signore (Mc 1,15; 2,17; Lc 13, 2-5) – rinnovamento assolutamente impossibile senza l’azione della Grazia, che modifica radicalmente il nostro essere spirituale facendoci diventare “uomini nuovi” in Cristo (Gv 3,1-10; 14, 23).
Ma come è possibile che simile, pernicioso errore si sia introdotto nella dottrina e nella predicazione senza che nessuno se ne sia accorto, si chiederà il perspicace lettore?
Il fatto è che si tratta di un errore non definito esplicitamente. Bisogna pertanto rintracciarlo nei testi dando innanzitutto il giusto significato alle omissioni di capisaldi della dottrina di sempre della Chiesa, che pur vi si trovano numerose. Un lavoro difficile, che richiedeva appunto la dottrina e l’impegno di teologi di grande preparazione e di vasta cultura come appunto il prof. Dörmann, il cui campo specifico d’ insegnamento, come ho detto, concerneva la “missionologia”, ovvero i fondamenti antropologici e teologici dell’attività missionaria, scienza da lui insegnata per molti anni all’Università di Münster, in Germania.
Le tre Encicliche di papa Wojtyla da lui prese in esame con grande acribia filologica sono, nell’ordine : Redemptor hominis, 1979; Dives in misericordia, 1980; Dominus et vivificantem, 1986. Esse, dimostra il prof. Dörmann, costituiscono triadicamente il fondamento teologico della famosa “Giornata di preghiera di Assisi” del 27 ottobre 1986, costituente ancor oggi un “simbolo” ufficialmente imposto ed accettato; simbolo che va tuttavia corretto, per ritornare ad una autentica “teologia della continuità”, sottolinea il prof. Dörmann.
Qualcuno potrebbe obbiettare che gli scritti di Wojtyla anteriori al papato non contano, contano solo i documenti ufficiali del suo pontificato. E tuttavia questi scritti dimostrano l’evoluzione coerente del pensiero di Giovanni Paolo II nel senso della dottrina della “redenzione universale”, muovendo dall’interpretazione del Concilio, nel quale fu attivo partecipante. I testi presi in considerazione da Dörmann sono soprattutto due: 1) Il Concilio Vaticano II e il lavoro dei teologi, del 1968, quando Wojtyla era ancora vescovo e professore universitario – saggio che si proponeva di impostare i criteri di una “teologia postconciliare” basata sulla “accomodata renovatio, l’ecumenismo, il dialogo”, indicando la “accomodata renovatio” un processo di rinnovamento della Chiesa e della “coscienza che essa ha di se stessa” attraverso “l’adattamento al mondo di oggi”. Un’impostazione che il papa polacco ha mantenuto in modo costante e rigoroso(1).
2) Il libro Segno di contraddizione. Meditazioni, Vita e pensiero, Milano, 1977. Un testo molto importante: contiene le conferenze tenute nel 1976 nel corso di un ritiro spirituale, di fronte a Paolo VI e ai suoi più stretti collaboratori. Dall’interpretazione che il futuro papa dà del Concilio, nota Dörmann, si vede come la Chiesa per lui sia già “il segno visibile della redenzione universale”(2). Vi si nota anche la tendenza di Wojtyla ad interpretare in senso ontologico immagini tradizionalmente solo simboliche, come quelle di Cristo sposo e la Chiesa sua sposa; del “matrimonio” di Cristo con la Chiesa mediante l’Incarnazione, matrimonio solo “virtuale”, che invece, nella prospettiva di Wojtila, tende a diventare matrimonio “formale” con tutta l’umanità(3). Nelle conferenze di fronte a Paolo VI, il cardinale sviluppa anche un’esegesi di Gaudium et spes art. 22 che già mostra la visione antropocentrica di cui alla posteriore Redemptor hominis(4). Da notare, osservo, che Paolo VI non trovava nulla da eccepire a certe tesi del cardinale, la cui audacia non poteva certamente sfuggirgli.
Il prof. Dörmann, personalità del tutto indipendente dalla FSSPX e dai circoli tradizionalisti, è stato un allievo di Ratzinger. Che Benedetto XVI abbia tuttavia corretto il simbolo eterodosso della “Giornata di Assisi” e sia ritornato ad una effettiva “teologia della continuità” con l’insegnamento preconciliare, facendo macchina indietro su ecumenismo, dialogo, rinuncia alla conversione dei miscredenti, libertà religiosa e compagnia cantante, sarebbe alquanto temerario affermarlo(5). Sia lui che Giovanni Paolo II hanno criticato ripetutamente la deriva edonistica e materialistica del nostro mondo occidentale, sottolineandone la mancanza di fede e la discesa nel nichilismo morale; tuttavia, non hanno mai modificato l’impostazione nuova, rivoluzi-onaria, non conforme alla Tradizione data dal Concilio alla Chiesa.
Ma restiamo a Giovanni Paolo II. Dell’analisi imponente del prof. Dörmann esiste una traduzione francese circolata solo negli ambienti cattolici francesi ostili al Concilio. Lo stesso credo di spossa dire della traduzione in inglese. Esiste anche una traduzione italiana, in quattro volumetti, che tuttavia, se non è esaurita, ha cittadinanza solo nei priorati della FSSPX(6). L’opera resta praticamente inaccessibile e i più, anche tra la minoranza che partecipa ai dibattiti e alle polemiche in difesa della dottrina tradizionale della Chiesa contro le deviazioni imperanti, praticamente ne ignorano l’esistenza o comunque sono nell’impossibilità di leggerla.
Si tratta, come ognun può immaginare, di uno studio complesso e di non facile lettura, pur essendo scritto in uno stile semplice e piano. L’impegno morale nel continuare comunque la battaglia per la difesa della nostra Fede contro i perversi errori dilaganti, impone di darne in qualche modo contezza. Infatti, la denuncia degli errori penetrati nell’insegnamento dei pontefici dal Vaticano II in poi, errori gravi, esiziali per il bene della Chiesa e per la nostra salvezza, è cosa utile e proficua a noi e agli altri, a tutta la Chiesa e senz’altro gradita al Signore.
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[Le omissioni] Ho detto sopra che l’errore attribuito a Wojtyla sulla salvezza garantita a tutti dall’Incarnazione, conferita a priori a tutti gli uomini, già traspare dalle omissioni di importanti verità di fede. Che dal Concilio in poi non si parli più di certe scomode ma essenziali verità di fede, è o non è un fatto accertato? Lamentele in questo senso appaiono periodicamente in qualche articolo di giornale e nei commenti dei blog cattolici non conformisti.
Non c'è bisogno di esser dottori in teologia per accorgersi che il concetto stesso del peccato originale è praticamente scomparso dall’orizzonte al pari di quelli del Purgatorio e dell’Inferno. La tradizionale dottrina dei Novissimi, delle verità rivelate concernenti le realtà estreme, ultime (novissimae, in latino) che fine ha fatto? Dell’Inferno si è persa ogni traccia ma a ben vedere anche del concetto stesso del peccato. La necessità della nostra santificazione quotidiana viene ancora insegnata? E la verità di fede del giudizio individuale dell’anima di ciascuno di noi subito dopo la morte? E si insegna ancora che solo nella Chiesa è possibile la salvezza? Non pare proprio, anche perché alla salvezza, quale nozione guida, sembra essersi sostituita la “dignità dell’uomo” quale obbiettivo e scopo finale della Chiesa. La Chiesa, in nome di questa supposta “dignità” elevata a valore assoluto, dovrebbe ora realizzare l’unità del genere umano nella pace e nella giustizia sociale, invece di cercare di convertire il maggior numero possibile di uomini a Cristo per la salvezza della loro anima, come comandatole da Nostro Signore risorto.
Queste assenze, queste innovazioni, queste distorsioni (qui solo accennate) della vera Missione della Chiesa sono sotto gli occhi di tutti.
Chiesa e Postconcilio ha recentemente pubblicato in traduzione italiana [qui] una pagina della rivista ‘Le Sel de la terre’ di diciotto anni fa, dei Domenicani tradizionalisti di Avrillé, in Francia, illustrante i risultati cui è giunto Dörmann nel commentare il cap. II dell’Enciclica Dives in misericordia. A quell’epoca, la suddetta rivista pubblicò a puntate diverse parti della traduzione francese dell’opera di Dörmann. La pagina contiene in pratica un sunto delle omissioni di fondamentali verità di fede individuate da Dörmann nella sua puntuale analisi degli scritti di Giovanni Paolo II; nella fattispecie, del modo mutilo di intendere la figura del Messia, Nostro Signore.
Per comodità del lettore, ritraduco questa pagina. Dopotutto, repetita iuvant.
“Commentando il capitolo II [di Dives in misericordia], il professor Dörmann, ne ha sottolineato le strane omissioni. Giovanni Paolo II riesce a descrivere e definire la missione del Messia senza menzionare esplicitamente il peccato né il bisogno assoluto che l’umanità peccatrice ha della redenzione.
Inoltre, l’enciclica nelle “dichiarazioni messianiche” di Gesù non vede altro che la rivelazione della misericordia del Padre, senza dire una parola della sua volontà [di Gesù] di essere riconosciuto come il Messia. Anche le sue azioni sono presentate [dal papa] al di fuori di questa esigenza della fede. (Nel Vangelo è chiarissimo che Nostro Signore, quando compie miracoli vuole suscitare e rafforzare la fede. Ora, l’enciclica non ne fa assolutamente menzione, così come tace della necessità di questa fede e del battesimo per la salvezza).
Come spiegare questo silenzio sull’essenza della missione del Messia? Vi si può vedere una riduzione della dottrina cristiana, riducendo tutto al livello umano (l’azione messianica vista solo come guarigione di ogni sofferenza umana - mettendo da parte ciò che l’amore redentore del Cristo possiede di essenziale e specifico). Ma questa riduzione, per quanto grave, è solo un aspetto del problema. Il prof. Dörmann discerne sullo sfondo una trasposizione ancora più grave: i versetti del Vangelo, citati in abbondanza, sono sapientemente inseriti in una cornice preesistente che deforma il messaggio del Nuovo Testamento rinchiudendolo in uno schema a priori.
Siffatto schema è quello della salvezza universale [in tedesco: Allerlösung]. Non viene mai esposto ex professo tuttavia è sottinteso nell’enciclica in modo sufficiente per far insidiosamente mutare di senso la maggior parte delle nozioni in essa racchiuse.
Così si spiegano le singolari omissioni. Se in effetti tutti gli uomini, dall’inizio del mondo sino alla sua fine, sono fin da ora giustificati, ciò significa che l’opera delle redenzione umana è essenzialmente conclusa. In un quadro del genere, quale può allora essere la missione del Messia? Non più quella di riscattarci dal peccato mediante la croce (come avrebbe detto un qualsiasi cattolico prima del Vaticano II, risposta che Giovanni Paolo II non dà mai), e nemmeno quella di suscitare la fede e la conversione necessarie alla salvezza (e nemmeno di questo Giovanni Paolo II parla mai), bensì solamente quella di farci prender coscienza della misericordia divina. Il Messia è nient’altro che un segno visibile del Padre, il quale è amore e misericordia : questo è il Leitmotiv di tutto il capitolo II dell’enciclica”(7).
“Prender coscienza della misericordia divina” significa qui (annoto) prender coscienza del fatto che la misericordia divina, grazie all’Incarnazione, ci ha già salvato tutti, senza bisogno della nostra conversione al cattolicesimo. Ci troviamo quindi di fronte ad un errore nella fede di portata incalcolabile. La missione della Chiesa, stabilita dal Signore in persona, viene completamente stravolta e l’esistenza stessa della Chiesa diventa superflua. Che tutto nel modo d’essere della Gerarchia attuale appaia inquinato da questo mostruoso errore, del quale nessuno sembrar voler rendersi conto, non lo dimostra la crisi stessa gravissima e finora irrisolvibile che continua a martirizzare la Chiesa?
Ma vediamo più da vicino l’analisi del prof. Dörmann.
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[La “rivelazione sdoppiata”] L’enciclica Dives in misericordia sviluppa la “verità sull’uomo” trattata dal papa nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis. È stato notato che queste due encicliche costituiscono un dittico. Dörmann condivide la tesi del Padre Tucci, secondo la quale le due enci-cliche costituiscono un tutto organico: “la prima rappresenta l’uomo nella sua grande dignità, la seconda mostra Dio nella sua misericordia”. E il “reciproco coordinamento delle due encicliche corrisponde alla premessa dottrinale della ‘rivelazione sdoppiata’”(8). Il concetto di “rivelazione sdoppiata” è un’elaborazione di Dörmann al fine di illustrare nel modo migliore la personalissima teologia di Wojtyla.
La Rivelazione si sdoppierebbe in questo senso: la salvezza già garantita a tutti dall’Incarnazione costituirebbe la rivelazione a priori, del tutto oggettiva; la presa di coscienza di questa rivelazione a priori o implicita sarebbe invece la rivelazione a posteriori, della quale i singoli individui devono esser resi consapevoli ad opera dell’odierno Magistero e trarne le conseguenze. E questa presa di coscienza, lo è di che cosa? Appunto della rivelazione a priori ossia del fatto che ognuno di noi è già stato comunque salvato, sin dalla nascita, dall’Incarnazione. Questo, aggiungo, sarebbe l’autentico contenuto della “nuova evangelizzazione”, che viene di continuo rilanciata, al posto della “conversione” di individui e popoli a Cristo, ritenuta da sempre indispensabile per la salvezza, sino al Vaticano II escluso. È ingenuo stupirsi per la scomparsa della “conversione” persino dal lessico dell’attuale Gerarchia cattolica: se la salvezza è stata già attuata a priori dall’Incarnazione, viene meno l’esigenza della conversione di individui e popoli a Cristo per la loro salvezza. E si spiegano le tante omissioni, i silenzi su dogmi fondamentali: verità di fede che di per se stesse contraddicono implacabilmente la tesi della salvezza già garantita a tutti.
La Rivelazione avrebbe pertanto d u e aspetti nel pensiero di Wojtyla, uno a priori e uno a posteriori, secondo la terminologia elaborata da Dörmann. Se si preferisce: uno implicito ed uno esplicito, dove però l’esplicito è tale solo ad opera dell’attività della Gerarchia, orientata costantemente al “dialogo” e all’”ecumenismo” nel senso stabilito dal Concilio. Il primo aspetto viene elaborato da Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis. Il testo-chiave dal quale il papa polacco prende le mosse è il famoso paragrafo 22, 1-2 dell’enciclica conciliare Gaudium et spes. In questo paragrafo si trova il celebre passo: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo unito ad ogni uomo”.
Il principio della “rivelazione sdoppiata” che, precisa Dörmann, “ già il cardinale Wojtyla aveva ricavato dalla Gaudium et spes 22”, viene sviscerato dal teologo tedesco nella sua analisi della Redemptor hominis, che lo fa proprio.
“La “verità sull’uomo” [oggetto della Redemptor hominis], ovvero “la piena dignità della sua natura”, è “l’essere in Cristo”, elargito a tutta l’umanità senza condizione alcuna e in modo inalienabile, actu uno con la creazione, concesso a ciascun singolo uomo dal primo istante della sua esistenza per il fatto che il Figlio di Dio, mediante la sua incarnazione, si è unito formalmente a ogni uomo. Questa “rivelazione a priori”, nella più profonda umanità dell’uomo, è l’assioma della redenzione universale [della redenzione già attuatasi per tutti]. A questa “verità sull’uomo” il papa ha dedicato la sua enciclica Redemptor hominis. La tesi della redenzione universale è quindi la premessa logica dell’enciclica Dives in misericordia.
La “verità sull’uomo” viene comunicata all’uomo in Cristo e tramite Cristo e precisamente per mezzo della “rivelazione del Padre e del suo (misericordioso) amore”. Su questa “rivelazione a posteriori” storica è incentrata l’enciclica Dives in misericordia. Essa comunica all’uomo universalmente redento [dall’Incarnazione] “la piena dignità della sua natura”.
Ne consegue che la rivelazione sdoppiata, come già sottolineato dal cardinal Wojtyla, ha di per sé un “carattere antropocentrico”(9).
Mi rendo conto che diversi lettori si scandalizzeranno nel leggere queste righe. Dove mai ha Giovanni Paolo II affermato che ciascun uomo, dal primo istante della sua esistenza è unito non simbolicamente ma formalmente, a Cristo Nostro Signore, già per il fatto in sé di esser nato? Affermazioni del genere violano la fondamentale verità di fede, ben spiegata da san Paolo, secondo la quale noi, convertendoci, diventiamo Figli di Dio “per adozione” (Rm 8, 13-17). “Figli di Dio”, dunque, solo se convertiti in fede e opere, non certo per nascita, come se ogni uomo potesse esser cristiano senza saperlo, anonimamente e quindi ex essentia, ontologicamente.
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[Il par. 13 di ‘Redemptor hominis’ testo chiave della nuova dottrina] Ma andiamo a vedere cosa ha scritto Giovanni Paolo II nel par. 13 della Redemptor hominis. Nella traduzione italiana il paragrafo è intitolato: “Cristo si è unito ad ogni uomo”.
“ Qui dunque si tratta dell’uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell’uomo “astratto” ma reale, dell’uomo “concreto”, “storico”. Si tratta di “ciascun” uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero [et huius mysterii gratia in omne tempus cum eo Christus se coniunxerit]. Ogni uomo viene al mondo concepito nel seno materno, nascendo dalla madre, ed è proprio a motivo del mistero della Redenzione che è affidato alla sollecitudine della Chiesa. Tale sollecitudine riguarda l’uomo intero ed è incentrata su di lui in modo del tutto particolare. L’oggetto di questa premura è l’uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana, in cui permane intatta [integra permanet] l’immagine e la somiglianza con Dio stesso [Gn 1, 27]. Il Concilio indica proprio questo, quando parlando di tale somiglianza, ricorda che “l’uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa” [GS 24]. L’uomo così com’è “voluto” da Dio, così come è stato da Lui eternamente “scelto”, chiamato, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio “ogni” uomo, l’uomo “il più concreto”, “il più reale”; questo è l’uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuto partecipe in Gesù Cristo, mistero del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre”.(10)
Questo testo, secondo Dörmann, “formula in modo sufficientemente chiaro l’assioma della redenzione universale”(!1). Il che è come dire, nella lingua dei semplici, che professa una spaventosa eresia.
Consideriamo attentamente: il papa ci tiene a precisare che non si sta occupando dell’uomo in astratto, alla maniera dei filosofi, ma dell’uomo concreto: quello che lui sta insegnando vale quindi per ogni uomo e senza distinzione di credenti e non credenti. Egli parla come chi è convinto di svelare a tutti gli uomini per la prima volta la verità sull’uomo. La verità è la seguente: ognuno di noi “è stato compreso nel mistero della Redenzione” grazie al fatto che “con ognuno Cristo si è unito per sempre attraverso questo mistero”. La verità dell’uomo si rivela dunque attraverso un’unione perpetua di Cristo con ogni uomo, con ogni individuo concreto di questo mondo. Ma un’unione, in che modo? Diventando cristiani, convertendosi a Cristo in fede e opere, come si suol dire? No. Il “mistero della Redenzione”, come inteso qui dal papa, prescinde (incredibile dictu) dalla conversione a Cristo. E perché vi prescinde? Perché l’uomo, “nella sua unica e irripetibile realtà umana” ha mantenuto “intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso [Gn 1, 27]”.
Ma il dogma della fede, osservo, codificato in ultimo dal Tridentino, non ha sempre affermato che a causa del peccato originale i nostri progenitori hanno perduto la grazia santificante attirandosi la collera divina, cadendo sotto il dominio della morte e dell’azione del demonio (D 788)? Essi hanno quindi perduto i doni sovrannaturali (immunità dalla concupiscenza, dall’ignoranza, dal dolore e dalla morte) e sono rimasti danneggiati in quelli naturali: “Homo per peccatum [Adae] spoliatus est gratuitis [= supernaturalibus], vulneratus in naturalibus” (S. Agostino), ossia vulnerato nell’integrità conferita originariamente alle loro disposizioni da parte del Creatore (naturalia integra). Questo peccato consiste essenzialmente nella “privazione della giustizia originale” che rendeva Adamo ed Eva immagine e somiglianza di Dio che li aveva creati dal nulla.
Come può allora Giovanni Paolo II affermare che ogni uomo, in quanto semplice uomo, conserva “intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso”, come se appunto non ci fosse stato il peccato originale, la disobbedienza di Adamo ed Eva, la conseguente Caduta? Questo modo di concepire l’uomo prescinde evidentemente dal dogma del peccato originale, che, come ha sempre insegnato la Chiesa, si trasmette di uomo in uomo non per imitazione ma per interiore propagazione (propagatione, non imitatione transfusum omnibus – D 790); mistero insondabile, questo, della nostra fede, tuttavia dimostrato dall’inclinazione al male pur presente inspiegabilmente in tutti noi, in lotta continua con quella al bene, che pur ci è rimasta. Ma ora un papa in carica ci viene a dire che sia l’immagine che la somiglianza con Dio sono rimaste intatte nei discendenti d’Adamo, senza nominare mai né peccato originale né battesimo, che rimette questo peccato, conferendo la grazia santificante, quella sacramentale e il carattere di cristiano – e senza il battesimo “o il voto di quello” non è possibile la giustificazione ossia l’eterna salvezza (D. B. 796)(12).
Non è questa di papa Wojtyla una dottrina nuova, contraria a quanto sempre insegnato?
Lascio qui la parola al prof. Dörmann.
[La rottura aperta con il dogma cattolico] Il testo di Wojtyla che ho citato, scrive, “potrebbe essere inteso e interpretato nel senso del dogma cattolico, fino alla frase ove si dice che l’immagine (imago) e la somiglianza (similitudo) dell’uomo con Dio rimangono intatte”(13). Tutte le affermazioni sull’uomo “concreto” incluso nel mistero della Redenzione e quindi affidato alle cure della Chiesa e unito a Gesù “per sempre”, potrebbero accordarsi con la dottrina tradizionale della Chiesa, perché si potrebbero ancora intendere in senso tradizionale – ovvero, aggiungo, in senso puramente simbolico, spirituale, morale, come se rinviassero all’idea corretta della missione quale indefessa opera per la conversione a Cristo. Si ha invece una evidente rottura con il dogma cattolico là ove il papa afferma che l’uomo “intero”, unico e irripetibile nella sua realtà individuale, è quello nel quale “permane intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso”.
Infatti, prosegue Dörmann, “non si può sostenere che nella “realtà unica e impossibile a ripetere” di ogni “uomo reale, concreto, storico permane intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso”, dal momento che il dogma del peccato originale insegna la ferita inferta all’imago e la perdita della similitudo Dei nella realtà concreta di ogni uomo. La redenzione presuppone la condizione di peccato nella quale ogni uomo si trova dopo la colpa originale, condizione che viene cancellata attraverso la giustificazione del peccatore. Il Concilio di Trento definisce la giustificazione “come il passaggio dallo stato in cui si trova l’uomo, nato figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio, ad opera del secondo Adamo Gesù Cristo nostro Salvatore” (D 796). È evidente che la frase decisiva dell’enciclica – la quale afferma che nella realtà unica ed impossibile a ripetere, di ogni uomo concreto ‘permane intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso’ – è inconciliabile con il dogma della Chiesa. Quest’affermazione è in diretta contraddizione con l’insegnamento del Concilio di Trento sulla giustificazione. Sec-ondo tale Concilio, giova ripeterlo, essa consiste nel fatto che l’uomo passa dallo stato in cui si trovava come ‘figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio per mezzo del secondo Adamo’” (14).
Secondo Wojtyla il Concilio afferma lo “integro permanere della immagine e somiglianza con Dio allorché, in Gaudium et spes 24, dichiara che “l’uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”. Avrebbero vo-tato questo testo, i Padri Conciliari, per sottolineare che Dio ha scelto l’uomo, ogni uomo, ogni abitante della terra, per destinarlo “alla grazia e alla gloria”. Dal testo woytiliano si evince, pertanto, che ogni uomo sarebbe stato “scelto” per esser destinato alla “grazia e alla gloria”, concetto che appare in netto contrasto con il dogma della predestinazione, sempre professato dalla Chiesa cattolica. Mi limito qui a ricordare le proposizioni fondamentali di questo grande e tremendo mistero, secondo le parole di san Prospero d’Aquitania, fatte proprie dal Concilio di Quierzy, nel IX secolo: contro i pelagiani e semipelagiani “che alcuni siano salvati, ciò è dono di Colui che salva”. Contro i predestinazionisti, secondo i quali esisterebbe una predestinazione alla dannazione: “Che alcuni periscano, ciò è per colpa di coloro che periscono”. Nell’Antico Testamento il medesimo concetto “è espresso dal profeta Osea in questi termini: “La perdizione è opera tua, Israele; solo in Me è il tuo aiuto”(15).
Con la nuova dottrina inaugurata da Giovanni Paolo II il mistero della predestinazione scompare completamente: tutti siamo destinati “alla grazia e alla gloria”. E non potrebbe essere diversamente, visto che si afferma essersi Cristo con l’Incarnazione unito soprannaturalmente e per sempre ad ogni uomo. Se nella nostra sostanza di uomini, se in tutti gli uomini e donne si ha ontologicamente un’unione con il Cristo, diventa impossibile che tra di loro vi sia chi va all’eterna dannazione. Verrebbe dannata anche la supposta “unione” perpetua con loro ad opera del Cristo preesistente, il che non si può ammettere. Si capisce, quindi, come mai non si parli più dei Novissimi, a cominciare dall’Inferno. Allo stesso modo del peccato originale, della salvezza per gli “eletti”, della divisione finale del genere umano in Eletti e Reprobi alla fine dei tempi.
La Redemptor hominis elabora dunque sul concetto affermato in Gaudium et spes 22, secondo il quale con l’Incarnazione Cristo si è unito in un certo modo ad ogni uomo. In quel sciagurato articolo la dottrina del peccato originale è ricordata in modo riduttivo e fuorviante. Vi si dice, infatti, che Cristo è venuto a restituire ai figli di Adamo “la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato”. Ora, a più riprese, Dörmann ha fatto notare che, secondo il dogma sempre insegnato, la nostra somiglianza con Dio è andata perduta con il peccato di ribellione, non semplicemente “resa deforme”. Ma la Redemptor hominis secondo Dörmann va addirittura oltre il testo conciliare, con la sua tesi dell’integra permanet, ben più forte della similitudo deformata del Concilio. Anzi, “l’affermazione che in ogni uomo dall’istante del suo concepimento integra permanet imago et similitudo Dei ipsius, fa pensare al Dogma dell’Immacolata Concezione!”. Vale a dire: Woytila dà addirittura l’impressione di applicare ad ogni essere umano, in quanto tale, un concetto di identità soprannaturale dell’umano con il divino che può invece applicarsi solo al caso assolutamente eccezionale della Immacolata Concezione.
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[Mutamento di significato in basilari concetti tradizionali] Prima di chiudere questa Domanda sulle verità fondamentali avvilite e negate dagli errori dilaganti dall’alto della stessa gerarchia, mi sembra utile accennare al mutamento di significato di termini tradizionali della dottrina e pastorale cattoliche, provocato dalle nuove (e cattive) dottrine in esse diffuse. Anche questo è merito non piccolo del prof. Dörmann.
Il concetto singolarissimo dell’unione di Cristo con ogni uomo grazie all’Incarnazione, Wojtyla lo ha sostenuto già da cardinale. Per lui, sotto-linea Dörmann, proprio in questo consiste la Rivelazione. Si deve quindi aver ben presente la differenza con il Prologo del Vangelo di Giovanni, contro l’opinione di chi ritiene che Wojtyla non abbia fatto altro che riproporlo: “E il Verbo si è fatto carne e abitò tra noi. E noi abbiamo visto la sua gloria, gloria dell’unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14). In cosa consiste la differenza?
“Il cardinal Woytila invece dice tutt’altra cosa. La sua definizione non è: la rivelazione consiste nel fatto che il Figlio di Dio è divenuto uomo incarnandosi nella Vergine Maria e ha rivelato la gloria dell’unico Figlio del Padre, in una parola la Gloria di Dio. Al contrario, egli sostiene che la rivelazione si concretizza nel fatto che il Figlio di Dio mediante la sua Incarnazione “si è unito ad ogni uomo, è diventato, come Uomo, uno di noi”. La differenza con la formulazione del Vangelo di san Giovanni balza subito all’occhio: nel concetto della rivelazione secondo il cardinal Wojtyla il fatto interiore dell’unione nascosta del Figlio di Dio con ogni uomo corrisponde al fatto esteriore dell’Incarnazione del Figlio di Dio, che diventa uno di noi e ci espone o ci “svela”, in quanto uomo, la nostra propria umanità.
Questo cambiamento di accento segnala in maniera sottile la svolta antropocentrica: l’unione del Cristo con ogni uomo attraverso l’Incarnazione costituisce l’oggetto primario, fondamentale, della nozione di rivelazione ed è anche la chiave per la comprensione del “carattere antropocentrico della Rivelazione” affermato dal Cardinale.
L’oggetto primario della rivelazione può a tal punto venire chiaramente focalizzato. Per il cardinal Wojtyla, lo abbiamo visto, l’unione del Figlio di Dio con ogni uomo in ragione dell’Incarnazione è un “matrimonio formale”, reale e soprannaturale, e una comunicazione “dell’esistenza in Cristo”. Questa unione, per conseguenza, si pone come una realtà interna “soprannaturale”, presente in ogni uomo, poiché in lui, dal primo istante della sua esistenza, “permane intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso”. Fatto questo che il cardinale chiama Rivelazione. Ed è per questa ragione che egli intende la redenzione universale come il fatto fondamentale della Rivelazione”(16).
[Mutazione del concetto stesso della Chiesa] Un altro punto importante è messo in rilievo da Dörmann. “Il vocabolario teologico tradizionale adottato per questa teoria della redenzione universale subisce un cambiamento di senso difficile da afferrare ma tuttavia molto profondo. Basti un solo esempio, tratto dal sopra citato testo dell’enciclica: vi è detto che “ogni uomo…a causa del mistero della Redenzione è affidato alla sollecitudine della Chiesa”. Così, infatti, la Chiesa ha considerato la cosa dall’epoca del Nuovo Testamento. Perché il Redentore del genere umano ha versato il suo sangue per tutti gli uomini. Da questa universalità oggettiva della Redenzione consegue per la Chiesa la missione di “fare di tutti i popoli dei discepoli” e di condurli all’obbedienza della fede ed al battesimo (Mt 28, 18-20). La sua missione era, e rimane in realtà, quella di applicare non soltanto a ciascuno in particolare, ma anche alle nazioni, i frutti della redenzione universale oggettivamente completa.
Ma se “ciascun” uomo, “concreto”, storico, dal primo istante della sua esistenza, è legato al Cristo da un’unione soprannaturale per sempre ed in maniera indissolubile, che lo sappia o no e che lo accetti o no, è allora in un senso del tutto differente da quello sin qui inteso che egli è “affidato alla sollecitudine della Chiesa”. La stessa nozione di Chiesa ha subito un’evoluzione nei suoi fondamenti: se il Figlio di Dio con la sua Incarnazione si è unito per sempre ed in maniera indissolubile ad ogni uomo, se “l’esistenza in Cristo” è divenuta la “dimensione” religiosa di ciascun uomo, tutta l’umanità forma allora, nel e con il Cristo, una unità organica, un organismo natural-soprannaturale. La Chiesa viene allora a coincidere con l’umanità “nel mistero della Redenzione” e “dell’uomo”, mentre il “dualismo” di natura e grazia, Chiesa e umanità, viene superato nel suo stesso principio. La Chiesa Corpus Christi Mysticum e l’umanità Corpus Christi Mysticum non si differenziano più nel loro essere profondo che è “l’esistenza nel Cristo”, ma soltanto secondo “l’espressione” graduale della forma nella quale si presentano. Il cardinal Wojtyla di conseguenza fa propria la teoria nota come teoria dei “cristiani anonimi” e del “cristianesimo anonimo”(17).
E quesa falsissima teoria (osservo) il cardinale l’ha mantenuta anche da papa, come si è visto – una teoria nella quale si riassumono i deliri visionari sul Cristo cosiddetto “cosmico”, che avrebbe già salvato tutti dall’eternità e con l’Incarnazione; una teoria (un monismo panteistico) che sistematicamente confonde natura e soprannaturale, scesa per li rami dal filosofo francese di fine Ottocento, Maurice Blondel, a de Lubac a Teilhard de Chardin a Karl Rahner ed epigoni vari. Il fatto è che Giovanni Paolo II era intriso di Nouvelle Théologie, come del resto gli altri papi “conciliari”.
Il profondo studio del prof. Dörmann fa emergere con assoluta certezza l’errore che possiamo chiamare dell’ “integra permanet”, non meno grave, a ben vedere, dell’errore del “subsistit in” sulla natura della Chiesa, i cui testi di riferimento restano sempre la costituzione conciliare Lumen Gentium 8 e il decreto conciliare Unitatis redintegratio 3. Errori intrinsecamente diversi ma connessi e coniugati.
Teofilo
27 ottobre 2023
1. Dörmann, La teologia di Giovanni Paolo II e lo Spirito di Assisi, I., tr. it. di Paolo Taufer, Edizioni Ichthys, Albano Laziale, s.d., p. 17 ss.
2. Op. cit., p. 51.
3. Op. cit., pp. 42-52; 58-59.
4. Op. cit., p. 67 ss.
2. Op. cit., p. 51.
3. Op. cit., pp. 42-52; 58-59.
4. Op. cit., p. 67 ss.
5. Le notizie su Dörmann le ho ricavate dall’edizione tedesca in un solo volume dei suoi studi su Giovanni Paolo II : Prof. Dr. Johannes Dörmann, Johannes Paul II. Sein theologischer Weg zum Weltgebetstag der Religionen in Assisi, Sarto Verlag, Stuttgart, 2011, pp. 858. Traduzione del titolo: GP II. Il suo cammino teologico verso la Giornata mondiale di preghiera delle Religioni ad Assisi. L’opera racchiude in uno solo i tre volumi della ricerca dell’Autore.
6. Il primo volume della già citata traduzione italiana titola, alla lettera: La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi, I. Dal Concilio Vaticano II all’elezione papale, editrice Ichthys, Albano Laziale, 1994, tr. dalla traduzione francese a cura di Paolo Taufer (testo francese: L’étrange théologie de Jean-Paul II et l’Esprit d’Assise, ed. Fideliter, Eguelshardt, 1992). I successivi tre volumi in italiano sono stati tradotti dal testo originale tedesco a cura di Alfons Benedikter e Paolo Taufer.
7. L’étrange théologie de Jean-Paul II. L’encyclique ‘Dives in misericordia’ (III) par Johannes Dörmann, ‘Sel de la terre’, 51, hiver 2004-2005, pp. 44-51; p. 45. Traduzione dell’Autore del presente articolo, Teofilo.
8. Johannes Dörmann, La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi, III. La ‘Trilogia Trinitaria’. Parte seconda. Dives in Misericordia, tr. it. cit., p. 15.
9. Dörmann, op. cit., p. 15.10. Giovanni Paolo II, Tutte le Encicliche, a cura di Rino Fisichella ed Emmanuele Vimercati, con Saggio introduttivo e prefazione alle singole encicliche di Rino Fisichella, testo latino a fronte, Bompiani, Milano, 2010, p. 143.
11. Johannes Dörmann, La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi. II. La ‘Trilogia Trinitaria’. Parte prima. ‘Redemptor hominis’, editrice Ichthys, Albano Laziale, s.d., p. 152.
12. Sul peccato originale e il battesimo ho tenuto presenti: Louis Ott, Précis de théologie dogmatique, tr. fr. dell’abbé Marcel Grandclaudon, Salvator, Mulhouse/Casterman, Tournai, Paris, 1954, pp. 152-168; Giuseppe Casali, Somma di teologia dogmatica, Ed. Regnum Christi, Lucca, 19643, p. 383 ss.; p. 563-570.
13. Dörmann, La teologia di Giovanni Paolo II e lo Spirito di Assisi. I. Dal Concilio Vaticano II all’elezione papale, tr. it. cit., p. 73. In questo primo volume, Dörmann analizza per la prima volta alcuni punti essenziali della Redemptor hominis.
14. Dörmann, op. cit., pp. 73-74.
15. Ho tratto questi riferimenti alla predestinazione da Fr. Reginald Garrigou-Lagrange, O.P., Predestination. The Meaning of Predestination in Scripture and the Church, tr. ingl. di Dom Bede Rose, O.S.B., D.D., Tan Books, Rockford, USA, 1998, cap. I, pp. 3-23.
16. Dörmann, La teologia di Giovanni Paolo II e lo Spirito di Assisi, I, cit., pp. 78-79. Grassetto mio.
17. Dörmann, op. cit., pp. 74-75. Grassetto mio.
Devo andare, ho letto molto poco. Tuttavia è impossibile pensare che tutti abbiano il viaggio gratis, se così fosse stato Dio non ci avrebbe dotati di ragione, di sentimento, di volontà, un minimo sindacale ovviamente deve essere richiesto a tutti; altrimenti avrebbe creato dei pupazzi incapaci di intendere e volere. Credo che sia una questione di logica di coerenza di vero amore, la Santa Trinità vuole il pieno sviluppo del nostro potenziale. Di questo ho piena certezza.
RispondiEliminaBuona giornata!
Il cinema sdogana la bestemmia, la Cei assolve
RispondiElimina«Coloro che conducono i carri non fanno che bestemmiare il Nome di mio Figlio. Queste sono le due cose che appesantiscono tanto il braccio di mio Figlio. Se il raccolto si guasta, la colpa è vostra».
«Ve l’avevo dimostrato l’anno passato con le patate: voi non ci avete fatto caso. Anzi, quando ne trovavate di guaste, bestemmiavate il Nome di mio Figlio. Esse continueranno a marcire e quest’anno, a Natale, non ve ne saranno più.
... Il tempo della collera di Dio è arrivato (…) se la faccia della terra non cambia, Dio si vendicherà contro il popolo ingrato e schiavo del demonio. Il mio figlio sta per mostrare la sua potenza»
(La Vergine del Messaggio - La Salette)
https://gloria.tv/post/8bz6PByRNWRTBLjNdeu6rLNsP
RispondiEliminaErrore di stampa nell'indicare la citazione di Rm 8,13-17
L'errore è nell'originale, che riporta: Rm 8, 17-17. Un refuso.
Ne approfitto per riportare tutto il passo paolino, dal quale si evince che siamo Figli di Dio solo per "adozione", grazie alla nostra conversione, e non per natura, per nascita.
"Se vivete secondo la carne, morrete [andrete in perdizione]; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del corpo, vivrete; poiché coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio. Voi non avete ricevuto affatto uno spirito di schiavitù, per cadere di nuovo nel timore [come i Giudei, con il formalismo esasperato della Legge], ma avete ricevuto lo spirito di adozione, in virtù del quale noi gridiamo 'Abbà!, Padre!' Difatti lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che noi siamo figli di Dio. Se dunque siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi con Cristo, se però soffriamo con Lui, per esser con Lui glorificati". (Rm 8, 13-17).
Testo italiano de 'La Sacra Bibbia', traduzione dai testi originali, Edizioni Paoline, imprimatur del 1958.
Eredi, dunque, per via dell'Adozione a Figli di Dio ma solo "se soffriamo con Lui" cioè se imitiamo sempre il Signore nella nostra vita quotidiana, affidandoci a Lui e allo Spirito Santo per trionfare di noi stessi nella nostra battaglia per la santificazione quotidiana.
L'assistenza dello Spirito Santo (e quindi la 'dimora' della SS.ma Trinità in ognuno di noi) il Signore l'ha promessa solo a chi crede in Lui e osserva i suoi comandamenti ("le sue parole", che vengono dal Padre).
Infatti, Giuda Taddeo gli chiese: "Signore, come va che tu ti manifesti a noi [discepoli] e non al mondo?" Gesù gli rispose: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui, e dimoreremo in lui [azione della Grazia, che ci modifica interiormente in bene, avviandoci allo "uomo nuovo" che deve essere il cristiano]. Chi non mi ama, non osserva le mie parole. E la parola che avete ascoltato non è mia ma del Padre che mi ha mandato" (Giov 14 , 22-24).
Teofilo
Che negli scritti di Giovanni Paolo II ci sia anche qualche passaggio poco felice è vero, ma l’accusa qui riportata è “campata per aria”. Prima ancora di discorsi teologici (cf. Somma di Teologia I, q. 93), è “a pelle” che ripugna accostare una concezione del genere alla “figura” di Giovanni Paolo II.
RispondiEliminaQuesta si che è fede ! Ma va data a Nostro Signore." Chi ama più figlio o figlia, madre o padre più di me è indegno di me. " È uns sentenza del Signore che mi è spesso sembrata oiuttosto " dura" ma, a ben guardare, è quando si sovverte l'ordine istituito da Dio che si fanno i più grossi errori anche (o forse soprattutto) a danno di coloro che amiamo di più.
EliminaValeria Fusetti
Questa si che è fede ! Ma va data a Nostro Signore." Chi ama più figlio o figlia, madre o padre più di me è indegno di me. " È uns sentenza del Signore che mi è spesso sembrata oiuttosto " dura" ma, a ben guardare, è quando si sovverte l'ordine istituito da Dio che si fanno i più grossi errori anche (o forse soprattutto) a danno di coloro che amiamo di più.
EliminaValeria Fusetti
La pelle non c'entra proprio niente. La fede non è sentimentalismo religioso.
RispondiEliminaMi aspetto altri interventi del genere, naturalmente sempre senza confutare nel merito.
Magari Angheran o Tralcio.
Ci mancava solo la pelle...
"Il testo-chiave dal quale il papa polacco prende le mosse è il famoso paragrafo 22, 1-2 dell’enciclica conciliare Gaudium et spes. In questo paragrafo si trova il celebre passo: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo unito ad ogni uomo”".
RispondiEliminaQuesta "unione in certo modo ad ogni uomo" ricorda il discorso modernista del "Cristo vivente", vedete la principale:
"Ascoltisi per primo come parlava, or sono più di tre anni, al popolo fedele, nel bel mese di Maggio, uno dei nuovi «mistici» predicatori:
«Gesù vivente e presente nelle anime è appunto questo contatto con la realtà spirituale ed eterna». Strana definizione per verità, che vuol fare di Gesù... un contatto! Ma il nuovo ascetico non si turba per così poco; e «noi abbiamo Cristo nell'anima — egli soggiunge — Gesù Cristo può esserci rapito e strappato così come può esserci strappato questo nostro essere spirituale, questa nostra coscienza medesima... Queste profonde ed evidenti realtà spirituali, che costituiscono la fede viva ed operosa nel Cristo, possono essere da noi invocate come punto di partenza per la ricerca del Dio nascosto». Così il Murri nel discorso XVII, intitolato «Il Cristo vivente», e con somigliante misticismo altrove, spesso, nella sua Vita religiosa nel cristianesimo.
Odasi ora il Minucci del Fogazzaro [4]: «Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivo, quanti sentiamo che il concetto della Via, della Verità, della Vita, si... si... si... si dilata, ecco, si dilata nel nostro cuore, nella nostra mente! E rompe tante — come dirò? — vecchie fasce di formole, che ci stringono, che ci soffocano... Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivente, quanti abbiano sete — sete... sete! sete! — che la nostra fede se perde di estensione, cresca di intensità... Noi vogliamo comunicare nel Cristo vivente, quanti sentiamo ch'Egli prepara una lenta ma immensa trasformazione religiosa per opera di profeti e di santi» ecc, ecc. E conchiude per ultimo con la perorazione: «Esiterete voi per paura di Pietro a servire Cristo? Uniamoci contro il fanatismo che lo ha crocifisso, e che avvelena ora la Sua Chiesa e se ne avremo a soffrire, ringraziamone il Padre». — Chi ha senso cristiano deve ammirare certo, quanto orgoglio misto alla confusione babelica del linguaggio e alla gravità enorme degli errori si celi sotto il pallio di questo mentito ascetismo!". Il modernismo ascetico, La Civiltà Cattolica - http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/10/modernismo_ascetico.html
Altre:
"Da siffatte premesse di ordine speculativo scende, conseguenza logica, la norma pratica, breve e spedita, della spiritualità modernistica; scendere nelle oscure latebre della coscienza o della subcoscienza, quivi scoprire istinti, impulsi o movimenti divini — siccome prodotti dallo Spirito, dall'Umanità mistica, dal Cristo vivente in noi — indi seguirli come norma, essendo essi da Dio, quale rivelazione individuale, senza rispetto o dipendenza dall'uomo, o al più ammettendo la direzione esteriore come un semplice aiuto, e questo secondario. Noi vediamo dunque nella pratica, come nella teoria, invertite le veci: ciò che per il cattolico si aggiunge come aiuto interiore alla regola normativa della rivelazione e direzione esteriore, è per il modernista ascetico la regola prima e suprema, se non l'unica; e quella che è regola prima e suprema per il cattolico, diviene al più secondaria e subordinata, se non affatto irrita e vana, per il modernista. Così anche, per simile rispetto, ciò che per il cattolico è al più un'eccezione, come la direzione immediata o azione straordinaria dello Spirito Santo, è per il modernista la regola universale o almeno la regola da lui appropriata a tutte le coscienze religiose come «in vario grado manifestatrici della divinità»".
E:
RispondiElimina"E così altri parlano ad ogni poco di azione diretta ed immediata dello Spirito, o del Cristo eterno nelle coscienze dei fedeli, di attraimenti affettivi, di esperienza, di immanenza e permanenza del divino in noi, del Cristo vivente in noi, dell'umanità mistica di Cristo e dei contatti mistici con noi, della Via (nel senso dei mistici) dell'amor puro, e andiamo dicendo". Il modernismo ascetico, La Civiltà Cattolica - http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/10/modernismo_ascetico.html
Una domanda: il Cristo vivente genera automaticamente una tradizione vivente?
“Salvi tutti”: la strana teologia di suor Faustina Kowalska
RispondiEliminahttps://doncurzionitoglia.wordpress.com/2021/09/29/suor-faustina-kowalska/
Un po in più del Cristo vivente nel libro "Occultismo e modernismo" del P. Gioacchino Ambrosini, S.I.:
RispondiElimina"«Tutto poggia (è sempre l'Olcott che parla nel suo programma) sopra un assunto fondamentale, l'esistenza cioè di un principio superiore, di una entità indistruttibile nell'uomo.» Questa entità poi secondo che avrai già inteso dalle cose precedenti, non è altro che un «ente intimo (all'uomo) ed immortale, l'Io reale o trascendente, l'Ego che non può essere ucciso, che non muore, non nasce, non è terrestre.... ma divino nella sua natura», cioè non per una partecipazione qualunque ma essenzialmente. Insomma è il nostro Sè superiore, il Dio in noi, il Padre che è nel segreto, il Cristo vivente nell'intimo di noi medesimi, come ti farò udire di bocca dei teosofi andando avanti".
"Ma quello che anche più consola taluni più ingenui (suppongo ingenuità, per non supporre troppa malizia) è vedere che proprio là da quelle sfere di non cristiani passa anche nelle file dei cristiani un fremito nuovo, di nuovo genere, di un nuovo amore a Cristo, e proprio al Cristo vivente, non a quel morto. Che consolazione mirare che la gente di quelle sfere tira dietro anche i cristiani ad infervorarsi del loro fervore! Mossi da santo zelo si sentono in obbligo certi sacerdoti cattolici modernisti di screditare la parola di chi predica Gesù nelle chiese, affinchè la gente vada, credo, non so in quali conventicole ad ascoltare invece quei non cristiani che hanno un fremito così caldo di amore per lui.
"Così D. Romolo Murri nel suo discorso XVII che ha per titolo: «Il Cristo vivente» dopo flagellati i cattolici che ormai sono quasi i soli a non amar Gesù Cristo, esclama a pag. 189: «Come scialba e fredda e volgare è l'arte che ce ne rappresenta la figura! Come stantia e convenzionale la parola che nelle chiese ce ne ripete i detti e ne propone l'esempio! Solo, in questi ultimi tempi, in certe sfere che parevano divenute estranee ad ogni influenza di Gesù, rinasce lo studio e il segreto desiderio di lui; ed anche per le file dei cristiani passa — così cresca esso e divenga incendio — un fremito nuovo di amore di Cristo Dio.»" Occultismo e modernismo, Lettera VI - Altre osservazioni sulla materia della lettera precedente. Come i cattolici progressisti attingano dai Massoni teosofi anche disprezzandoli - http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/23/Ambrosini_Occultismo_modernismo_VII.html
RispondiElimina# L'accusa è campata in aria? Si tratterebbe solo di "qualche passaggio poco felice"?
Bazzecole, insomma, come il bacio al Corano o il segno di Shiva fattosi mettere sulla fronte da una danzatrice indu nel suo viaggio in India...
Gli studi di Doermann hanno dimostrato che la pastorale ecumenica di GPII si basava su un complesso impianto teologico, purtroppo contrario alla dottrina cattolica nei suoi assunti fondamentali.
Di fronte ad argomentazioni articolate come quelle del prof. Doermann se ce la vogliamo cavare con repliche "di pelle" pecchiamo come minimo di superficialità.
Lei oppone l'Aquinate ove parla della immagine e somiglianza dei progenitori con Dio (ST I, q. 93). Ma le descriveva appunto nello stato di innocenza. Il testo da citare era invece, ST I-II, q. 85. a 5, nel quale l'Aquinate afferma che "peccatum primi parentis est causa mortis et omnium huiusmodi defectuum in natura humana, in quantum per peccatum primi parentis sublata est originalis iustitia etc", ovvero si è perduta la somiglianza con Dio mentre sono rimasti vulnerati i doni naturali, come insegna appunto la dottrina tradizionale. Possiamo dire che sia rimasta l'immagine di Dio ma gravata dalle conseguenze del peccato originale e quindi imperfetta, bisognosa appunto di salvezza e non "redenta" a priori dall'Incarnazione.
Qui non si scappa, Caesar non est supra gramaticos, i testi sono chiarissimi: l'affermazione che l'uomo ha "mantenuto integra l'immagine e la somiglianza con Dio" nonostante il peccato originale (semplicemente cancellato dal quadro) è contraria al dogma.
E in maniera direi clamorosa.
Ma allora perché non ce ne siamo accorti? Perché innanzitutto non era facile accorgersene, ci sono voluti studi profondi di studiosi del calibro di Doermann, tra l'altro non penetrati al vasto pubblico. Troppo scandaloso il loro contenuto per esser creduto e offensivo per una personalità "carismatica" come quella di GP II, che pur ha difeso l'etica cristiana e condannato il relativismo dominante.
Ma c'era e c'è ancora il fascino di quest'idea di una salvezza universale che non può esser negata a nessuno, di questa bontà di Dio che va oltre tutti i dogmi e tutti accoglie..Un'idea che sembra luminosa ed invece è torbida, rappresenta la negazione patente del vero messaggio di Cristo.
Senza andare alla radice teologica della crisi presente, la crisi non si risolverà.
Comunque ieri finalmente mons. Schneider ha criticato apertamente Bergoglio, ad personam, per le sue ultime, scandalose dichiarazioni di incoraggiamento ai "cattolici" lgbt e compagnia. Ha detto che "seminano confusione e sono vaghe".
Teofilo
Per Maurizio
RispondiEliminaTenevo in sospeso il tuo commento perché non mi convince la petizione che inviti a firmare, posto che di tratta della posizione di Cionci, che io non condivido. Delle dispodizioni (canoniche e non) non così chiare abbiamo parlato a iosa .
Per quanto mi riguarda, pur mantenendo le mie perplessità, non mi dò l'autorità di trarre conclusioni e trascinare altri....
All'Anonimo delle 09:15
Vede caro lei, mons. Viganò ha tutto il diritto di riflettere quanto vuole, ma l'esigenza - che ormai dura da quasi 11 anni - di porre fine all'usurpazione messa in atto da Bergoglio e dai suoi sodali dovrebbe indurlo, quanto meno, a proporre soluzioni realmente praticabili, supportate dalle leggi della Chiesa (leggi: Codice di Diritto Canonico, Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, che parla delle procedure di elezione dei Papi), e quelle da lui proposte non hanno sbocchi verosimili!
Firmiamo la petizione ai cardinali pre-conclave 2013 per il riconoscimento della Sede usurpata da Bergoglio, a norma delle leggi della Chiesa sopra menzionate!
https://www.youtube.com/watch?v=g4rs1J3WFWY
Maurizio
Redenzione per tutti? Se non sbaglio sono i Valdesi a credere in una cosa simile (un cliente della nostra agenzia è un imprenditore valdese; anche se ovviamente lo conosco solo come cliente, ho provato a vedere in cosa credano loro... ma non sono sicuro di aver capito giusto).
RispondiEliminaIl termine "protestantizzazione" da quando è diventato usuale per descrivere queste affermazioni? Mi ricordo di averlo sentito diverso tempo fa.
Io sono entrato in una chiesa protestante alcune volte, era la chiesa luterana di Trieste, ma perchè ci tenevano dei concerti di musica da camera, oggi mi pare non li organizzano più, e poi oggi abito in provincia di Gorizia.
Vedo con sommo dispiacere che c'è fin troppa gente che crede alle panzane di Cionci, se non si trovano dei modi di chiarire la cosa c'è la possibilità che fra un secolo qualche storico userà il termine "cioncismo" per indicare queste idee. E mi è stato fatto notare da tempo che "il Cionci" non è un canonista.
Sempre se sia davvero tutta e solo un'invenzione di Cionci: p.es. lui nelle sue pubblicità (sì, vuol far vendere un suo libro, è pubblicità) non dovrebbe aver mai nominato Trump come possibile sponda politica per questa tesi, qualcun altro però l'aveva fatto.
La mia prima risposta è stata volutamente superficiale perché la domanda posta all’inizio dell’articolo non merita una risposta di tipo diverso. Tuttavia, per aiutare chi pensasse di prenderla sul serio, ho aggiunto il riferimento a san Tommaso. Ora, però, leggo che il testo da citare sarebbe un altro perché la q. 93 “parla della immagine e somiglianza dei progenitori con Dio (ST I, q. 93). Ma le descriveva appunto nello stato di innocenza”. E allora mi chiedo: ha senso rispondere a chi non ha nemmeno letto (o riletto) la q. 93? Chiaramente no. Concludo invece dicendo che Giovanni Paolo II ha certamente portato avanti un ecumenismo criticabile perché basato su criticabili passaggi conciliari, ma da papa quale era non ha mai portato avanti l’idea “che non ci sarebbe più bisogno di quel rinnovamento individuale totale attraverso il pentimento e la conversione del cuore e della nostra vita ai divini comandamenti”. Dominum et vivificantem n. 42: “Senza una vera conversione, che implica una interiore contrizione e senza un sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati rimangono «non rimessi», come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della Nuova Alleanza”. Chi sembra portare avanti un tale discorso è invece colui che papa non sembra essere.
RispondiEliminaAtteniamoci ai fatti che conoscono quasi tutti e... ce ne sono a valanghe, breve sintesi su due piedi:
RispondiElimina1)Mafia di San Gallo, certificata in una intervista.
2) ingresso di idoli in San Pietro-Vaticano. Chiesa da riconsacrare.
3)chiusura chiese e chiese senza acqua santa durante la pandemonia.
4)allineamento servile alle potenze della propaganda.
5) ripescaggio di tutte le eresie del passato prossimo e remoto.
6)incentivo alla logorrea confusionale via dialoghi intorno all aria fritta.
7) questa gerarchia ecclesiastica, con il suo capo, ha tradito in toto NSGC ed il Suo insegnamento, prostrandosi, faccia terra, al mondo. .
A proposito della petizione "cionciana":
RispondiEliminagià il titolo è un programma. Si parla infatti di ultima possibilità (perché ultima?) per salvare la Chiesa (addirittura! La Chiesa che è la salvezza la salviamo noi). In realtà, la tesi che Benedetto XVI sia rimasto papa anche dopo il 2013 ha una sua forza, ma tale forza viene di fatto depotenziata proprio da don Minutella e il suo braccio giornalistico Cionci. Questo perché il sacerdote siciliano è oggettivamente scismatico ed eretico. Scismatico perché di fatto non ha rispettato l’autorità di Benedetto XVI, che pure a parole riconosceva essere il legittimo papa, ed è addirittura arrivato a prenderne il posto.
Come ben spiega anche san Tommaso d’Aquino, dichiarare “ufficialmente” eretico qualcuno è compito della Chiesa e non di chiunque.
Dovrebbe perciò risultare evidente che:
- se sentenziare compete alla Chiesa (Benedetto XVI);
- e don Minutella sentenzia (“una cum” sono fuori della Chiesa);
- ne segue che don Minutella si sostituisce alla Chiesa.
Pertanto, malgrado i proclami, il piccolo resto di cui parla don Minutella è di fatto la sua chiesa (di cui lui è il “pontefice”) ed essa nasce proprio nel momento in cui viene usurpata e chiamata falsa la vera Chiesa di Cristo.
Usurpata quando presume di sentenziare al suo posto che Francesco non è il papa e perciò tutti quelli che non rispettano la sua sentenza sono scomunicati, cioè fuori della Chiesa.
Chiamata falsa perché non ha dichiarato ufficialmente falsa quella che realmente è falsa in quanto non professa la fede cattolica.
Pertanto, dovrebbe essere chiaro che il grave errore di don Minutella non è quello di ritenere che Francesco non è il papa, ma quello di presumere che per una sua sentenza (se frutto di ragionamento poco importa) sono fuori della Chiesa quelli che anche solo celebrano una cum Francisco. Dunque, una visione errata e semplicistica che si illude di poter eludere la complessità della realtà.
Della vera Chiesa di Cristo, infatti, al momento fanno parte sia una cum sia non una cum; e così anche la falsa chiesa è composta da persone di entrambe le “categorie”.
Eretico, invece, perché afferma essere i sacramenti invalidi solo perché celebrati una cum Francisco.
D’altronde, come ben ricorda san Tommaso d’Aquino (ST II-II, q. 39, a. 1, ad 3), “lo scisma è la via che conduce all’eresia”. Infatti, “non c’è scisma che non si costruisca un’eresia per giustificare la separazione dalla Chiesa”.
Ora, noi sappiamo che il capo della vera Chiesa è Cristo e il fine di quest’ultima è la salus animarum. Ora, qual è il fine di fatto perseguito da una realtà che con un motivo specioso allontana i fedeli dai sacramenti? Chi mai può esserne la mente ultima?
L’ispiratore di tale “deriva” minutelliana non sarà forse il maestro indiscusso delle mezze verità?
Non conosco bene d. Minutella, ma ho letto il libro di Cionci e non credo dica solo banalità o cose campate per aria, sta a mons. Viganò, che seguita a girarci intorno, dire apertis verbis se le due cose sono come le spiega Cionci, cioè, la 'rinuncia' è totale o parziale? L'elezione di JMB è stata fatta con tutti i criteri o è stato un pasticcio? Per il resto sto con l'anonimo delle h:11.02 sono fatti acclarati ed incontrovertibili, ci sarebbero da aggiungere magheggi e vagheggi dei grandi poteri USA UK e qualche altro deep state per ottenere l'uscita di scena di Ratzinger, ma questa è tutta un'altra storia..........
RispondiEliminaÈ importante attenersi alle malefatte di JMB. Ora non possiamo né dobbiamo perderci nei fatti minuti. Bisogna mettere alla porta il capo, i vescovi sopravvissuti al 1958 si radunino ed eleggano un Papa Papa, persona assennata , di Fede certa, semplice, refrattario ad ogni lusinga del mondo. Poi penserà lui al riordino della Chiesa di Gesù Cristo Signore.
RispondiEliminaA propósito di Dominum et vivificantem:
RispondiElimina"Nella sua terza Enciclica (del 1986) Giovanni Paolo II – Dominum et vivificantem n. 50 – scrive: «Et Verbum caro factum est. Il Verbo si è unito ad ogni carne [creatura], specialmente all’uomo, questa è la portata cosmica della Redenzione. Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal di dentro. […] l’Incarnazione del Figlio di Dio significa l’assunzione all’unità con Dio, non solo della natura umana ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è carne: di… tutto il mondo visibile e materiale […]. Il Generato prima di ogni creatura, incarnandosi… si unisce, in qualche modo con l’intera realtà dell’uomo […] ed in essa con ogni carne, con tutta la creazione». Questa è una vera e propria professione di panteismo e di salvezza universale, senza la necessità della cooperazione da parte dell’uomo alla grazia divina tramite le buone opere, influenzata dalla teologia ereticale di padre Teilhard de Chardin". “Salvi tutti”: la strana teologia di suor Faustina Kowalska
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/2021/09/29/suor-faustina-kowalska/
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RispondiElimina# Replica. Su san Tommaso.
-- ST q. 93. Sono andato a rileggere. Il testo parla dunque dell'uomo fatto in quanto tale ad immagine e somiglianza di Dio, articolando sui concetti di immagine e somiglianza.
Non c'entra niente questo discorso con i progenitori? Nell'art. 6 della quaestio 93, scrive: "Bisogna affermare che la Scrittura, quando disse -Ad imaginem Dei creavit illum -aggiunse: - Masculum et foeminam creavit eos, non deve esser intesa come se applicasse all'immagine di Dio la distinzione dei sessi bensì nel senso che l'immagine di Dio è comune ad entrambi i sessi dal momento che [l'immagine] è "secundum mentem", nella quale non v'è differenza dei sessi. (traduzione mia).
Non vedo perché sarebbe sbagliato dire che "l'esser fatto ad immagine e somiglianza di Dio", stabilito nel suo concetto, si applicava ai Progenitori nello stato di innocenza.
Bisogna invece ricordare che nelle successive quaestiones 94 e 95 L'Angelico si occupa dei Progenitori. Per cui, come riassume il Bartmann, un classico della manualistica pre-conciliare, " tutti i doni sovrannaturali della giustizia originaria, dei quali fanno parte, secondo s. Tommaso e l'opinione comune, la grazia santificante e le virtù teleologali nonché i doni dell'integrità - la grazia essendo il principio e la radice degli altri doni (ST I, 95) - Adamo li ricevette come capo della razza umana per trasmetterli ai suoi discendenti (verità cattolica) (B. Bartmann, Précis de théologie dogmatique, tr. fr. 1951, vol I, p. 319).
Ma poi lo stesso Aquinate spiegò bene le perdite conseguenti alla Caduta.
Non si tratta qui di mettersi a fare la guerra delle citazioni.
Semplicemente, trascinati dal virus polemico, di non creare nel lettore l'impressione che san Tommaso abbia in qualche modo sostenuto o incoraggiato l'errore dello "integra permanet" (l'immagine e la somiglianza), che papa GP II ha tirato fuori dal cappello a cilindro del suo entusiasmo ecumenico, per così dire.
Teofilo
RispondiEliminaReplica - Ancora sull'errore dello "integra permanet".
Riporto la "sintesi" di Bartmann alla fine del par. 78 della sua opera, dedicato a "l'essenza del peccato e il peccato originale".
"Da quest'indagine si evincono con certezza le seguenti verità teologiche sull'essenza del peccato originale. Tale peccato consiste in una colpa vera e propria e non semplicemente in una pena quale conseguenza del peccato d'Adamo. Questo peccato non è stato commesso dall'uomo stesso mediante un'azione personale, pertanto non contiene niente di volontario bensì è ereditato come stato peccaminoso. È un peccato abituale e non attuale, attuale solo per Adamo. La nota essenziale di questo stato, come per tutti i peccati gravi, consiste nella privazione della grazia santificante. Circa [il ruolo della] concupiscenza, ci possono essere opinioni differenti; conviene comunque concepirlo secondo l'impostazione della teologia posttridentina. Secondo quest'ultima, la concupiscenza non è nata col peccato originale ma fa parte della natura; tuttavia, per una grazia preternaturale di Dio fu disciplinata e sottomessa alla ragione. Per via della caduta di Adamo questa INTEGRITA' [sottol. mia] corporale e psichica fu perduta, la concupiscenza si risvegliò e divenne un elemento importante del peccato in generale, talché sia s. Paolo che sant'Agostino vedono in essa il peccato originale. Lo scatenarsi della concupiscenza danneggiò anche l'intelligenza e la volontà. Tuttavia la passione malvagia e l'indebolimento delle forze psichiche devono esser considerate solo un elemento materiale, come una disposizione malvagia, un fondo cattivo nell'uomo e non come una funzione in atto, dato che, in quest'ultimo caso, si tratterebbe di un peccato personale, da espiarsi individualmente. Conviene pertanto insistere sulla perdita della grazia e non sulla concupiscenza.
Il mistero del peccato originale più che nella sua essenza, che in qualche modo possiamo comprendere, più che nelle sue conseguenze funeste, consiste nel propagarsi dello stato di peccato, che è innato nella nostra natura e tuttavia è giudicato e condannato da Dio come [realtà] che non deve esserci". Tr.it. mia.
L'ultima edizione, rifatta e ampliata dall'autore di questo manuale di teologia dogmatica è del 1928, quasi un secolo fa.
Teofilo
RispondiEliminail popolo non sa nulla di teologia e non gliene potrebbe importare di meno. Tuttavia il messaggio farlocco del "tutti salvi" (fondato sullo "integra permanet" etc) l'ha perfettamente compreso, quasi d'istinto, direi.
Da cosa lo si capisce? Dal fatto che quando uno muore, a meno che non sia un delinquente notorio, tutti si mettono subito a dire e a scrivere "è andato alla Casa del Padre".
Cioè, è già in Paradiso (qualsiasi cosa ciò voglia dire per molti - infatti non credono e per loro il Paradiso è un'astrazione, comunque una condizione in cui "c'è qualcosa, e si sta bene").
Questi i frutti del Concilio confezionati dai suoi interpreti autorizzati.
RispondiElimina# Ancora a proposito di Dominum et vivificantem
Mi sembra che Gederson abbia risposto bene, richiamando la prospettiva di tipo teilhardiano che compare in D et Viv 50.
Come si accorda con la frase di D et Viv 42, citata da Elmo, che riproduce la dottrina tradizionale? Non si accorda, ecco tutto. Resta la contraddizione o la doppia verità, professata in modo più o meno consapevole dai Novatori.
Questa era una caratteristica dei Modernisti ed è rimasta quale caratteristica dei neo-modernisti attuali. Essa deriva anche dal fatto che essi operano dall'interno della Chiesa cioè nell'ambito della dottrina di sempre che tuttavia inquinano in modo prevalentemente sottile (nel caso di Bergoglio non più tanto sottile).
Nella Pascendi scrisse san Pio X : "Negli scritti e nei discorsi essi sembrano spesso sostenere una volta una dottrina , una volta ora un'altra, cosicché si è facilmente portati a giudicarli ambigui ed incerti. Ma tutto ciò è fatto in piena coscienza, cioè secondo la loro opinione dela reciproca separazione tra fede e scienza. Quindi nei loro libri si possono incontrare cose che starebbero bene sulla bocca di un cattolico; ma, girando la pagina, se ne trovano altre che potrebbero giungere da un razionalista.." (San Pio X, L'enciclica 'Pascendi', tr. di G. de Antonellis, pref. di R. de Mattei, Ed. Fiducia, 2019, p. 60).
Qui non si tratta di scienza e fede ma la forma mentis è simile. Il passo citato da Elmo va inquadrato nel contesto. La citazione completa include "l'influsso del Consolatore", essenziale per la "conversione del cuore umano". Giustissimo. Ma la figura dello Spirito Santo, cui è dedicata l'enciclica, appare costruita secondo lo schema della "redenzione universale". Ne dà convincente dimostrazione Doermann, il cui IV volume è un dettagliato commento a Dominum et vivificantem (sul par. 42 di D et Viv vedi pp. 147-153).
Nell'ambito della sua esegesi, GP II introduce anche delle novità. P.e. afferma che quando Gesù disse, sul Consolatore che avrebbe inviato, "egli convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Al peccato perché non credono in me.." (Gv 14, 8-9) - afferma GP II che questo "giudizio" riguarderebbe solo Satana ma non il mondo perché Cristo è venuto per salvare il mondo non per condannarlo (par. 27). L'uomo sarebbe "in un certo senso" sottratto dal "giudizio cioè dalla dannazione con la quale è stato colpito il peccato di Satana" (inizio, par. 28 D e Viv).
È conforme alla tradizione quest'interpretazione? Si tratta comunque di un testo abbastanza oscuro. L'unica cosa chiara sembra essere che l'uomo (incredulo, miscredente) è sottratto al Giudizio che pur ha colpito Satana. Ma su che base GP II poteva affermarlo?
Esortazione notturna : mettiamo da parte i sentimentalismi e guardiamo in faccia finalmente la tragica realtà della Chiesa e nostra.
Teofilo
@Anonimo delle 11:28 del 29/10/2023
RispondiEliminaNon so se io non sia bene informato o mi sia sfuggito qualcosa, ma "andato alla Casa del Padre" l'ho sentito solo riferito a dei sacerdoti. Cioè persone che qualche possibilità di salvezza diretta potrebbero avere, non importa quale posizione nella Gerarchia avessero avuto.
RispondiElimina# Ex studente del giure
Tutto a posto, allora. Lo credono e lo dicono solo per i preti di vita intemerata. Per il resto tutti credono al giudizio individuale dopo la morte, al giudizio finale, all'Inferno che mai si vuoterà e via dicendo...Per questo le chiese sono piene e lunghe file davanti ai confessionali...
Pio XII aveva espresso il presentimento di essere forse l ultimo Papa Cattolico; per avere un tale presentimento avrà molto probabilmente avuto cognizione di che pasta fossero molti sacerdoti italiani e non. Già solo su questo particolare si potrebbe indagare, scandagliare. È una premonizione che getta un ombra oscura, sinistra su tutti i canti delle sirene venuti poi. È un fatto serio, una sorta di denuncia a priori su quello che sarebbe avvenuto subito dopo di lui. Ma è rimasto inascoltato, benché non si sia potuto non ripetere questo presentimento ed ancora una volta lo si è ripetuto con ironia, come con ironia il Cardinale Daneels menzionó i loro incontri segreti ironicamente chiamandoli Mafia di San Gallo. Si, bisogna riconoscere che quasi sempre la verità fu detta, ma si credete che fosse una iperbole e si sorrise... da ebeti, essendo tali o pretendo di esserlo per non aver noie.
RispondiElimina
RispondiEliminaVeramente Pio XII intervenì come riteneva opportuno.
Con l'Enciclica Humani generis denunciò le eresie che si stavano diffondendo tra gli esegeti cattolici, mise chiari paletti, fustigò gli errori filosofici del secolo. I vari teologi in odor di eresia li costrinse al silenzio, li sospese dall'insegnamento, ordinò i loro libri fossero tolti dagli scaffali.
Ratzinger racconta nella sua biografia che in Seminario lui e gli altri leggevano di nascosto proprio i libri messi all'indice a cominciare, se non erro, da 'Catholicisme' di de Lubac, che mirava ad una impostazione sociale del dogma, propagandava l'errore della "salvezza comune" o "collettiva", fate voi, concetto al quale il futuro papa ha poi strizzato l'occhio.
Adesso quelle misure sembrano troppo blande ma al tempo apparivano del tutto sufficienti.
L'errore, la ripresa del modernismo, era già avvenuta nell'immediato secondo dopoguerra, come denunciò il P. R. Garrigou-Lagrange in un famoso articolo, del 1948 mi pare ("Dove va la nuova teologia? Torna al modernismo"). Tornava al modernismo adottando un concetto flou di verità, tanto per cominciare, prodotto delle situazioni vitali e storiche, mai assoluta (Blondel).
La decadenza della Gerarchia cattolica si è rivelata inarrestabile. Oggi siamo ai preti che autorizzano le comunioni sacrileghe dei divorziati risposati e "benedicono" le convivenza contro natura.
Peggio di così...
Quo usque tandem, Domine?