Et non dabo vos ultra
opprobrium in gentibus
Gioe 2, 19
Omelia nel Mercoledì delle ceneri,
In capite jejunii
Immutemur habitu, in cinere et cilicio:
jejunemus, et ploremus ante Dominum:
quia multum misericors est dimittere peccata nostra
Deus noster.
Giole 2, 13
MEMENTO, HOMO, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Abbiamo udito
pronunciare queste parole poco fa, durante il rito dell’imposizione delle
Ceneri: Ricordati, uomo, che sei polvere, e che polvere tornerai.
Mentre ci apprestiamo ad entrare nel sacro tempo penitenziale della
Quaresima in preparazione al tempo di Passione e alla Santissima
Pasqua, è certamente salutare rammentarci da dove veniamo e cosa ci
attende.
Veniamo dalla polvere, con la quale il Creatore si è degnato di
plasmare il nostro corpo in cui infondere un’anima immortale, facendoci
a Sua immagine e somiglianza. Destinati alla beatitudine eterna, con il
peccato siamo tornati nella polvere dell’esilio. Condannati alla perdita
dell’immortalità, alla polvere della zolla abbiamo mescolato il sudore
della nostra fronte. Chiamati in Abramo verso la terra promessa, nella
polvere abbiamo attraversato il deserto. Nella polvere predicò il
Precursore, nella polvere delle rocce il Signore fu tentato da Satana.
Le nostre innumerevoli colpe hanno umiliato nella polvere del Golgota
il Salvatore Nostro Gesù Cristo. Nella polvere si dissolverà il nostro
corpo mortale dopo la sepoltura, in attesa della resurrezione della
carne alla fine dei tempi. Nella polvere si consumerà il mondo, quando
l’eterno Giudice verrà judicare sæculum per ignem. Polvere sono i
monumenti antichi, polvere le carte dei sapienti, polvere i tesori
raccolti, polvere i tessuti preziosi.
E, per nostra consolazione, in polvere si sgretoleranno le dimore dei
malvagi, in polvere saranno dispersi i loro averi, il loro denaro, i loro
idoli. Come fieno presto appassiranno, cadranno come erba del prato
(Sal 36, 2); poiché i malvagi saranno sterminati, ma chi spera nel
Signore possederà la terra. Ancora un poco e l’empio scompare, cerchi
il suo posto e più non lo trovi (ibid. 9-10). In polvere si dissolveranno i
loro piani infernali, i loro progetti di dominio, le loro agende e il loro
great reset. Moriranno anch’essi, mentre il loro sogno di immortalità e
di aperta sfida a Cristo si schianterà dinanzi a quella pena capitale cui
nessun figlio di Adamo può sottrarsi. Il sepolcro si aprirà anche per
loro, e con esso il Giudizio particolare e la giusta condanna.
In questo destino di polvere che tutti inesorabilmente attende,
dobbiamo portare impressa nella mente quella Croce che per qualche
ora avremo segnata in fronte con la cenere, causa proferendæ
humilitatis (Bened. Cinerum, 2 a Oratio); perché solo la Croce è la
nostra unica speranza – spes unica – nel dissolversi delle cose
effimere. Stat Crux dum volvitur orbis. Ma per amare la Croce, per
comprendere la sua ineluttabilità e necessità se vogliamo salvarci,
occorre comprendere – nei limiti della nostra umana fragilità – quale
ineffabile miracolo di Carità abbia mosso la Santissima Trinità – il
sommo Iddio Uno e Trino – a decretare che il Verbo eterno del Padre
dovesse incarnarSi, patire e morire per redimere l’umanità peccatrice
in Adamo. Deus caritas est (I Jo 4, 8). Il miracolo della divina Carità
che brucia nelle fiamme dell’amore purissimo del Figlio immolato, le
colpe degli uomini e ripara la loro infinita offesa immolando Dio a Dio,
sacrificando il Figlio per le colpe del servo, e giungendo a renderSi
realmente presente nell’Augustissimo Sacramento dell’Altare fino alla
fine dei tempi perché la creatura si nutra del Creatore, perché lo
schiavo si alimenti del proprio Liberatore. Caritas ejus in nobis
consummata est (ibid., 12)
La magnificenza di Dio sfolgora nell’opera creatrice del Padre, che
chiama all’essere dal nulla; nell’opera redentrice del Figlio, che
ripristina in Croce l’ordine divino infranto dal peccato; nell’opera
santificatrice dello Spirito Santo, che riversa nelle anime gli infiniti
meriti della Redenzione mediante la Grazia. E in questo splendore
divino ogni creatura è creata in modo unico ed irripetibile: non vi è la
venatura di una foglia che sia uguale all’altra, e nessun uomo è
identico all’altro. Similmente, ogni anima si trova redenta in modo
altrettanto unico, e in modo irripetibile è toccata dalla Grazia. La
Santissima Trinità – proprio perché Dio onnipotente – ha un rapporto
personale con ogni anima, dal momento in cui essa è pensata e voluta
e amata. Il Padre non crea in serie. Il Figlio non redime masse
indistinte. Il Paraclito non santifica a caso. È sempre un rapporto
personale, individuale, unico per le mille vie che il Signore sceglie per
accompagnarci, ammonirci, incoraggiarci, premiarci o – Dio non voglia!
– punirci. Ciascuno di noi sa bene quante infedeltà dobbiamo
rimproverarci, e quante volte la Misericordia di Dio ci ha risollevato de
stercore e ci ha aiutato a progredire nel Suo amore.
Ma come l’azione creatrice, redentrice e santificatrice della Santissima
Trinità si manifesta in modo diverso e unico per ciascuno di noi, così
unico e personale è il nostro rapporto con Dio – che non esclude
ovviamente la mediazione della Chiesa – nel rispondere e nel
corrispondere alla volontà del Signore. Ciò significa che le buone
azioni che compiamo, i sacrifici che accettiamo, le penitenze e i digiuni
che facciamo, le preghiere che recitiamo salgono al cospetto della
Maestà Divina con su scritto, per così dire, il nostro nome. Dirigatur,
Domine, oratio mea sicut incensum in conspectu tuo; elevatio manuum
mearum sacrificium vespertinum (Sal 140, 2). E quel nome noto solo
all’onniscienza di Dio vi rimane anche quando quelle buone opere sono
riposte nel Tesoro di Grazie insieme ai meriti infiniti di Nostro Signore e
a quelli di tutti i Santi a cui attinge la Provvidenza. Questa è una
grande consolazione, perché rende ciascuno di noi veramente unico
nel progetto di Dio. Ma per lo stesso motivo sono individuali e uniche
anche le nostre colpe, i nostri peccati: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha
percosso?» (Mt 26, 68). Ogni nostro peccato – meditiamolo spesso,
specialmente in questa Quaresima – è uno sputo al Volto di Cristo, un
colpo di canna che affonda le spine della corona nel Suo Capo. Ogni
nostra colpa è una verberata che lacera le Sue Carni, un colpo di
flagello che le squarcia, un colpo di martello nei palmi delle Sue Mani,
una ferita di lancia al Suo Costato. E quei colpi, quegli schiaffi, quegli
sputi portano su scritto il nostro nome. Come portano il nostro nome le
frecce acuminate con cui trapassiamo il Cuore Immacolato della Sua
Santissima Madre, misticamente unita alla Passione del Figlio.
Ma se le vicende presenti e l’attacco infernale del Nemico ci vedono
impegnati in una guerra logorante che troppo spesso ci distoglie dalla
preghiera, dal raccoglimento e dalla penitenza, in questo sacro tempo
di Quaresima noi siamo chiamati ad esercitare lo spirito – come in un
allenamento dell’anima – per rafforzarlo nell’amore di Dio, nell’unione
alla Sua Passione e nella fuga dal peccato.
Così, come un soldato si cimenta in quelle discipline nelle quali si
troverà poi a combattere, parimenti il fedele, che è soldato di Cristo,
non può affrontare con efficacia lo scontro spirituale senza prima
essersi esercitato nella lotta contro il mondo, la carne e il diavolo. La
preghiera posta alla fine dell’imposizione delle Ceneri usa una
terminologia chiaramente militare: Concede nobis, Domine, præsidia
militiæ christianæ sanctis inchoare jejuniis: ut, contra spiritales
nequitias pugnaturi, continentiæ muniamur auxilio. E se nella battaglia
quotidiana dobbiamo schierarci principalmente contro nemici esterni,
durante la Quaresima il nostro primo nemico siamo noi stessi, ad
iniziare dal nostro difetto dominante: perché le armi che ci mette a
disposizione il Signore devono trovarci in grado di impugnarle, mentre
troppo spesso crediamo di poter scendere nel campo di battaglia con
le nostre sole forze.
Immutemur habitu, in cinere et cilicio. Cambiamo comportamento,
mutiamo la nostra condotta nella cenere e col cilicio, ossia tenendo
ben fisso il nostro destino eterno, e con esso la caducità delle cose di
questo mondo. Cambiamo la prospettiva dalla quale osserviamo gli
eventi, considerando che tutte le nostre azioni, buone e cattive, non
rimangono senza nome, né senza ricompensa o punizione. Non
possiamo prendere a pretesto della nostra indolenza la società, la
Gerarchia, i governanti, gli eversori del Nuovo Ordine Mondiale, i
traditori, i malvagi, i tiepidi cercando di giustificare la nostra condotta o
di sottrarci alla cenere e al cilicio, ossia allo spirito di penitenza e
rinuncia alle cose di questo mondo che è l’unica palestra di umiltà e
santità. Non declines cor meum in verba malitiæ, ad excusandas
excusationes in peccatis (Sal 140, 4). Perché il Giudizio di Dio è
personale, e individuale è il merito delle nostre azioni. Le iniquità altrui
siano dunque uno sprone a rimediare, riparare, espiare e non un alibi
dietro al quale nasconderci. Emendemus in melius: ripariamo al male
commesso nella nostra ignoranza affinché, colti all’improvviso dal
giorno della morte, non cerchiamo inutilmente tempo di pentirci e non
ci sia possibile trovarlo (Impositio Cinerum, Responsorium).
Guardiamo alla Vergine Santissima, prescelta dalla Santissima Trinità
per essere tabernacolo vivente del Dio Incarnato: il Suo benedetto Fiat
– personale e formulato nel silenzio dell’interiorità – ha reso possibile la
nostra Redenzione. Sia esso ogni giorno – e specialmente in questo
tempo propizio di digiuno e penitenza – il modello di obbedienza alla
volontà del Signore. E così sia.
14 Febbraio 2024Feria IV Cinerum
Una stupenda omilia, che, purtroppo, pochi sapranno apprezzare, impegnati come sono a difendere gli Stati Uniti d'America, l'Unione Europea e la Nato, fingendosi cattolici tradizionali, mentre, in realtà, sono peggiori dei nemici dichiarati di Cristo. Grazie di cuore, Monsignore! Viva Cristo Re!
RispondiEliminaQuindi il papa (?) intende rendere invalida la Messa con un nuovo documento a Pasqua? Rinnovando la morte di Cristo nel Corpo mistico..
RispondiEliminaAncora quaranta giorni: è il tempo che ci separa dal paventato documento “pontificio” con cui l’autorità di Pietro, istituita per preservare l’unità della Fede nel vincolo della Carità, verrà nuovamente usata per accusare di scisma chi non vorrà piegarsi a nuove, illecite restrizioni di ciò che per duemila anni è stato il più prezioso tesoro della Chiesa e il più tremendo baluardo contro gli eretici: il Santo Sacrificio della Messa; e colui che lacera la veste inconsutile di Cristo diffondendo eresie e scandali cercherà di bandire dal sacro recinto chi rimane fedele al Signore.
RispondiEliminaAncora quaranta giorni: è il tempo propizio nel quale ciascuno di noi, nel segreto della sua camera, potrà pregare, digiunare, fare penitenza, donare elemosine e compiere opere buone per espiare le proprie colpe, per riparare ai peccati pubblici delle nazioni, per implorare la Maestà divina di non abbandonare la Sua eredità, la Santa Chiesa, all’obbrobrio di essere dominata dalle nazioni (Gio 2, 12).
Dichiarare la fine del Cristianesimo corrisponde a una conclusione filosofica o storica riguardo alla riduzione al minimo dei seguaci di Cristo e all’inizio di un’epoca anticristiana. Dichiarare la fine della Chiesa attinge a un nichilismo che neanche Nietzsche. Eppure capita di leggere o sentire questo giudizio.
RispondiEliminaIl cristianesimo ( vero) non finisce mai. Diciamo che siamo ad una ennesima e ultima ri-caduta dell'umanità nella concupiscenza, che condurrà alla separazione grano e zizzania piuttosto, tutto predetto nella Sacra Scrittura peraltro. Da Adamo si è giunti ai suoi discendenti corrotti tra cui viene salvato solo Noè . Poi ricade con Cam e Nimrod e si arriva a Babele. Poi la discendenza di Abramo -che giunge a Salem ( Gerusalemme) dove regna Sem ancora e dopo l'Egitto, quasi annienterà questi ormai corrotti popoli - si corromperà e troverà guerre ed esilio, e poi ancora col sinedrio causerà
Eliminala fine di quella chiesa ormai fallita dalla verità. E poi ancora gli scismi successivi dei cristiani ed ora? Ora il nuovo sinedrio vaticano farà la fine del vecchio sinedrio, ma prima perseguiterà anch'esso ancor più. Niente di nuovo sotto il sole, la vera Chiesa uscirà dalla persecuzione trionfante per l'ultima volta, e poi la Parusia quando Dio sarà tutto in tutti quelli che resteranno.
..."credendo di salvarsi attendendo l'intervento miracoloso o di poter convivere pur che venga lasciata la messa tridentina..."
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