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sabato 12 ottobre 2024

Retorica sacra e problema con la Liturgia volgare: Suscipe sancte Pater

Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement Robert Keim sul Suscipe, Sancte Pater: un magnifico commento ad una preghiera sublime. Apprezzo particolarmente il modo in cui nota la perfezione linguistica sia nel contenuto che nel suono, e chiede se lo stesso possa essere "meramente tradotto" in qualsiasi altra lingua (la risposta è no, ovviamente). 

Retorica sacra e problema con la Liturgia volgare:
Suscipe sancte Pater


Diverse settimane fa, in un articolo intitolato 'Un'arte che guida l'anima con le parole': la retorica sacra nella liturgia romana' qui, ho discusso la natura e il significato della retorica nella cultura occidentale e nella spiritualità cristiana. Vi incoraggio a leggere quell'articolo se non l'avete già fatto, ma per garantire che tutti i lettori abbiano almeno un minimo di fondamento teorico prima di continuare, fornirò alcuni estratti chiave a titolo di riepilogo:
  • "La retorica è, semplicemente, l'arte del linguaggio. Se i miei studenti ricordano solo una definizione, o anche solo una vaga idea definitoria, di retorica, voglio che sia questa. Sebbene richieda un po' di elaborazione e qualificazione, è accurata e piacevole all'orecchio, e contrasta la rovinosa tendenza a equiparare la retorica all'uso improprio o persino all'abuso deliberato del linguaggio". 
  • “Le antiche liturgie della Chiesa [così come la Sacra Scrittura] impiegavano testi altamente retorici. In effetti, la retorica è così centrale nella storia della salvezza e nell'esperienza cristiana che è necessaria una nuova definizione, una che riguardi specificamente l'educazione cristiana e ponga in primo piano il ruolo della retorica nella vita spirituale e liturgica della Chiesa. Ne proporrò una: la retorica è la sublimazione del linguaggio”.
  • "Quando parliamo di persuasione in senso cristiano e retorico, dobbiamo guardare ben oltre il senso moderno impoverito... La persuasione retorica è linguaggio al servizio e alla ricerca della verità".
  • “C’è un ambito della vita cristiana” in cui troviamo “una cerimonia pubblica armoniosa che è persuasiva nel senso più pieno, più trascendente, più santificante e trasformativo che questa parola possa mai sperare di avere. L’ambito di cui parlo è la sacra liturgia, che glorifica il Dio eterno mentre raduna ogni immaginabile risorsa retorica per persuadere l’uomo decaduto che questo Dio esiste, e che le Sue parole sono supremamente vere, e che le Sue opere sono meravigliosamente buone”.
Nel presente articolo, esamineremo le qualità retoriche di una breve preghiera presente nella Messa romana. I nostri obiettivi sono tre: primo, apprezzare l'eccellenza poetica che informa i nostri testi liturgici tradizionali, emersi da una cultura intellettuale che, nella sua capacità di creare linguaggio e raggiungere l'eloquenza, supera di gran lunga la nostra. Secondo, esplorare una seria ma spesso trascurata difficoltà che circonda la questione della liturgia vernacolare. Terzo, lamentare e deplorare con più vigore il fatto che la Chiesa latina ha perso la volontà di insegnare ai suoi figli la lingua latina.

L'analisi di seguito riguarda una terminologia retorica oscura. Capisco che la maggior parte delle persone non ha studiato questa terminologia e non la trova piacevole. Se non vi interessa, sentitevi liberi di ignorarla, ma ho un motivo importante per includerla: voglio dimostrare che le tecniche espressive trovate nei nostri testi liturgici ereditati fanno parte di una tradizione venerabile e ben documentata di educazione retorica che si estende attraverso la cultura medievale e l'era patristica fino all'antichità greco-romana. Queste tecniche hanno nomi perché sono state studiate, insegnate e impiegate per secoli da società che credevano nel potere del linguaggio di cambiare i cuori e rimodellare il mondo.
Come cristiani, possiamo intendere questo come il potere del linguaggio per ottenere la “persuasione divina”, in altre parole, per ottenere la conversione, nel senso ampio del termine. Il buon Dio vuole che ci convertiamo a Lui, cioè che torniamo continuamente a Lui con maggiore fedeltà, obbedienza e affetto. Non ci obbliga a farlo, perché siamo esseri intelligenti con libero arbitrio, ma ci persuade, e uno dei Suoi testi più persuasivi è la liturgia eucaristica tradizionale della cristianità occidentale, nota anche come Messa latina.

Oggi esamineremo il Súscipe sancte Pater, che è attualmente la prima orazione fissa nella Messa dei fedeli. Questa bella preghiera segna un crescendo sacro nel dramma liturgico, mentre passiamo dalle preghiere preparatorie e dalle letture delle Scritture all'azione sacrificale dell'Offertorio e del Canone. Questo è il testo come appare nel Messale del 1962:
Súscipe, sancte Pater, onnipotens æterne Deus, hanc immaculátam hostiam, quam ego indignus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegentiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidé libus cristiano vivis atque defunctis: ut mihi et illis proficiat ad salútem in vitam æternam.
E questa è la traduzione inglese riportata nel mio messale [ovviamente riporto il testo italiano -ndT]:
Accogli, o Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, questa ostia immacolata che io, tuo indegno servo, offro a Te, mio Dio vivo e vero, per i miei innumerevoli peccati, offese e negligenze, e per tutti i presenti; come anche per tutti i fedeli cristiani, vivi o defunti; affinché possa giovare alla mia e alla loro salvezza per la vita eterna.
Questa preghiera è, secondo gli standard della liturgia tradizionale, piuttosto nuova. Insieme ad altre preghiere dell'Offertorio e alle preghiere ai piedi dell'altare, fu introdotta durante il Medioevo, e fu usata in modo limitato finché il Rito Romano, da cui ebbe origine, non si diffuse ampiamente con la standardizzazione liturgica decretata da San Pio V. Ma non ci siano dubbi: questa preghiera esisteva molto prima della Controriforma. 

- Il seguente esempio è tratto da un manoscritto francese prodotto prima della metà del XIII secolo:
- Ed eccone un altro, dei primi del XIV secolo:
- Così appare la preghiera in un Missale Romanum stampato nel 1607, trentasette anni dopo la promulgazione del Quo primum.
[Li inserisco tutti e tre, nella tabella, in sequenza -ndT]

Una cosa che dovremmo osservare sui testi liturgici come questo è che la punteggiatura non può essere considerata parte della composizione originale. Sebbene la punteggiatura nel testo del 1607 sia simile a quella del testo moderno, la punteggiatura, o "puntatura", per usare un termine più medievale, nei manoscritti più antichi è scarsa e non coerente con le pratiche moderne.

Mentre leggete l'analisi, tenete a mente la seguente domanda, che discuteremo più approfonditamente in un articolo futuro: con quale successo tutta questa eccellenza retorica potrebbe essere tradotta in un'altra lingua, soprattutto se questa lingua non è strettamente imparentata con il latino? (E ricordiamo anche che da una prospettiva stilistica, le lingue romanze sono più vicine tra loro che al latino).

* * *
Súscipe, sancte Pater, onnipotens æterne Deus, hanc immaculátam hostiam : la preghiera inizia con un senso di grandezza e movimento verso l'alto attraverso l'auxesis (o in latino, amplificatio), che è una strategia retorica generale per raggiungere eloquenza e ricchezza di pensiero attraverso un linguaggio espansivo. Varie figure retoriche specifiche possono contribuire all'auxesis. In questo caso abbiamo antonomàsia, perché la frase descrittiva "Padre santo" sostituisce inizialmente l'appellativo "Dio"; appositio, dove la frase descrittiva "Dio onnipotente eterno" si basa sull'indirizzo iniziale a "Padre santo"; e pleonasmo, che è ridondanza eloquente: il titolo "Dio" implica "santo", "onnipotente" ed "eterno", e quindi non è strettamente necessario includere questi aggettivi. Infine, si noti la struttura complessiva di questa clausola: verbo imperativo → identificazione elaborata del soggetto del verbo → oggetto del verbo. Ciò crea interesse ed emozione, poiché dobbiamo attendere qualche istante per apprendere cosa si deve ricevere, e un senso di urgenza nell'invocare Dio Padre, la cui grazia e bontà rendono possibile l'offerta di questa "vittima immacolata".

quam ego indignus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero : Concentriamoci qui sulle figure retoriche del suono, che ho indicato con la sottolineatura e che sono notevolmente abbondanti in questo brano. Abbiamo l'assonanza (ripetizione generale dei suoni vocalici), con le frasi particolarmente melodiche indígnus fámulus tuus e Deo meo vivo et vero ; abbiamo anche l'allitterazione ritmica drammatica (ripetizione dei suoni consonantici iniziali) in vivo et vero e la consonanza gradevole (ripetizione dei suoni consonantici finali) in indígnus fámulus tuus. Il risultato è una frase sonora e memorabile, la cui bellissima musica contrasta, in modo paradossale e quindi stimolante, con la giusta auto-umiliazione espressa a livello semantico (cioè il livello dei significati diretti che le parole trasmettono).
 
pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegentiis meis : I mali per cui viene offerta la Vittima (peccati, offese, negligenze) sono elencati in ordine di gravità decrescente. Questo è chiamato catacosmesi [dispositivo retorico che coinvolge una serie di frasi o clausole disposte in ordine decrescente di importanza o enfasi -ndT], e qui crea un senso di sollievo e speranza, come se i nostri vari fallimenti morali nel servizio di Dio andassero diminuendo man mano che ci avviciniamo al compimento del sacrificio espiatorio. Vediamo anche l'iperbole (esagerazione eloquente), una figura retorica preferita nella letteratura biblica e devozionale. Molti sacerdoti santi hanno pronunciato queste parole giorno dopo giorno, anno dopo anno, e non sarebbe ragionevole accusarli ripetutamente di "innumerevoli" misfatti. E tuttavia, la preghiera ci ricorda che c'è una certa immensità, una trasgressione che è in qualche modo incommensurabile, in ogni atto che viola le leggi di un Dio infinitamente amorevole.

et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defunctis : Eleganza ed enfasi sono ottenute tramite l'anafora (ripetizione delle parole iniziali in frasi vicine), con l'aggiunta di sed nella seconda frase che conferisce un'intensità ritmica che trovo altamente efficace. Quella sillaba in più, considerata solo a livello di suono, crea un senso di urgenza che si armonizza con le parole: la vasta moltitudine di cristiani ovunque, persino coloro che sono morti e ora languono nel Purgatorio, sono in disperato bisogno: la Vittima deve essere offerta; il sacrificio deve essere eseguito. ut mihi et illis proficiat ad salútem in vitam æternam : Notate il numero di parole di collegamento monosillabiche — ut, et, ad, in — inserite tra parole più lunghe. Ciò assomiglia al polisindeto, che è definito come l'uso di molte congiunzioni tra proposizioni; qui abbiamo due congiunzioni e due preposizioni, e per lo più uniscono nomi o pronomi piuttosto che proposizioni, ma l'effetto è simile: le pause si moltiplicano, il tempo di lettura cambia e i nostri pensieri rallentano mentre meditiamo su questa idea conclusiva con il suo significato cruciale e risonante.

Ricordiamo che questa è solo una breve preghiera selezionata dalla vasta raccolta di scritti nel Messale Romano. La liturgia latina tradizionale è un capolavoro retorico di proporzioni epiche, e gli obiettivi persuasivi di tutto questo linguaggio finemente elaborato sono i più nobili che si possano immaginare: la gloria di Dio e la salvezza dell'uomo.
Robert Keim, 10 ottobre  2024

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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3 commenti:

  1. Una preghiera sublime, un Autore dotto, ma dalla sensibilità profonda del credente.

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  2. Quanto sono beati, quanto sono felici «quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà ancora svegli»! (Lc 12, 37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell'universo, che tutto riempie e tutto trascende!

    Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi talmente della sua divina carità da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse! Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia lucerna risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! O Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, donami quella carità che non viene mai meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua; arda per me, brilli per gli altri.

    Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del mondo.

    Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché al suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi, che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del sacrificio perenne.

    Fa' che io guardi, contempli e desideri solo te; solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio.

    Nella visione dell'amore il mio desiderio si spenga in te e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli ed arda.

    Dégnati, amato nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo solo te, te solo desideriamo, a te solo pensiamo continuamente, e meditiamo giorno e notte le tue parole. Dégnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente tuoi. In questo modo non saremo capaci di amare altra cosa all'infuori di te, che sei eterno, e la nostra carità non potrà essere estinta dalle molte acque di questo cielo, di questa terra e di questo mare, come sta scritto: «Le grandi acque non possono spegnere l'amore» (Ct 8, 7).

    Possa questo avverarsi per tua grazia, anche per noi, o Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

    (Dalle «Istruzioni» di san Colombano, abate)

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  3. AGOSTINO SANFRATELLO
    (1938 - 2024)
    un difensore della Cristianità



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