Quando la fede diventa cultura. Dante, una esistenza trascorsa tra la patria e l'esilio, tra amore e solitudine, latino e volgare, papato e impero, in una dicotomia che ha fatto viaggiare il padre della lingua italiana tra la terra e il cielo e lo fa vivere ancora oggi, classico intramontabile, tra il passato e il futuro.
Il diritto naturale nella Divina Commedia:
Giustizia eterna e contrappasso
Dante e il Diritto Naturale
L’opera di Dante Alighieri, in particolare la Divina Commedia, è da secoli oggetto di una vasta gamma di interpretazioni e letture. Il suo contributo alla letteratura mondiale è innegabile, ma, al contempo, il suo impegno con i concetti di giustizia, legge e diritto è altrettanto rilevante. Dante, infatti, non si limita a esplorare la dimensione spirituale dell’umanità, ma inserisce il diritto naturale e la giustizia al centro della sua riflessione, ponendo interrogativi di grande attualità anche nella filosofia del diritto contemporanea.
Nel contesto della Divina Commedia, il concetto di diritto naturale è intimamente legato alla nozione di giustizia divina. Dante, nella sua opera monumentale, descrive un universo governato da leggi morali universali che trascendono la giustizia umana, inscrivendo il diritto all’interno di un ordine cosmico e divino. In questo mondo, l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso non sono semplicemente luoghi fisici, ma spazi regolati dalla giustizia eterna di Dio, che ogni uomo è chiamato a riconoscere e rispettare.
Il Diritto Naturale nella Commedia
Nel quadro dantesco, il diritto naturale si presenta come una legge universale e immutabile, radicata nella giustizia divina e nella natura dell’uomo. Tale legge non può essere modificata né da leggi umane né da opinioni individuali, ma rispecchia l’ordine cosmico voluto da Dio. È un diritto che non si basa sulla volontà dell’uomo, ma sulla sua adesione alla verità e alla moralità universale.
Nell’Inferno, Dante non presenta solo una serie di punizioni fisiche, ma un principio morale universale, che si realizza attraverso la legge del contrappasso. La giustizia divina, che regola l’Inferno, riflette un diritto naturale che punisce i peccatori non solo per le azioni commesse, ma anche per la loro corrispondenza alla gravità morale dei peccati stessi. Le pene, infatti, sono sempre proporzionali alla colpa, rappresentando la punizione “eterna” che, attraverso il dolore, ristabilisce l’ordine violato.
Il Rapporto tra Legge Terrena e Legge Divina
Dante, tuttavia, non si limita a trattare il diritto naturale in senso metafisico. Egli riflette anche sul rapporto tra la legge terrena e quella divina, evidenziando la necessità di allinearsi alla giustizia universale. La sua opera, pur saldamente ancorata alla tradizione medievale e cristiana, anticipa problematiche giuridiche e filosofiche che oggi sono al centro del dibattito sul diritto naturale. La distinzione tra diritto positivo e diritto naturale è al cuore della sua riflessione: il diritto umano, pur necessario per regolare le relazioni terrene, non può mai sovrapporsi alla legge divina, che è universale e perenne.
Il Contrappasso e il Diritto Naturale
Il diritto naturale, come concepito da Dante, non è un diritto arbitrario, ma un principio etico e universale, radicato nella visione cristiana dell’ordine cosmico. La giustizia che Dante ritrae nell’Inferno non è mai il risultato di un giudizio umano e soggettivo, ma la manifestazione della volontà divina. In questo contesto, ogni punizione appare perfettamente commisurata alla colpa, non solo come vendetta, ma come strumento di purificazione. Il Contrappasso diventa così un atto di giustizia immutabile e perfetta, che riflette la bellezza e l’ordine divino, eppure mette in evidenza la severità di un sistema che non conosce eccezioni.
Il principio del Contrappasso si ricollega, in modo simbolico, alla teoria del diritto naturale di Aristotele e Tommaso d’Aquino, dove la legge naturale è considerata una manifestazione della razionalità universale, e l’uomo, mediante l’uso della ragione, è capace di discernere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Dante, pur con la sua forte impronta cristiana, sembra riconoscere che la giustizia terrena è imperfetta e spesso fallace, ma il diritto naturale – rappresentato nella sua forma assoluta da Dio – resta inaccessibile a ogni errore umano.
Riflessioni Filosofiche sul Contrappasso e sulla Giustizia
L’idea del Contrappasso, dunque, rappresenta un paradigma di giustizia che si radica nel pensiero filosofico antico e che Dante rielabora in chiave cristiana. L’elemento più significativo di questo principio è che la pena inflitta ai dannati è sempre in stretta relazione con la loro colpa: non esiste punizione che non rispecchi fedelmente l’errore o il peccato commesso. Da un punto di vista giuridico, questo solleva interrogativi fondamentali sul rapporto tra la giustizia punitiva e il risarcimento del danno.
In un contesto giuridico moderno, la giustizia punitiva non si preoccupa solo della punizione come retribuzione per la colpa, ma anche della reintegrazione dell’individuo nella società. Questo elemento di rieducazione o di recupero sembra contrastare con l’idea dantesca di una punizione immutabile e assoluta. Tuttavia, la riflessione sulla giustizia di Dante ci sollecita a considerare quanto sia complesso e spesso paradossale il rapporto tra le punizioni e il concetto di giustizia. In una società che si basa sul diritto naturale, la colpa non è solo un errore, ma una ferita all’ordine cosmico, un disordine che solo la giustizia divina può risanare.
Il Diritto Naturale come Fondamento Universale
Nella Divina Commedia, Dante appare come un giurista-filosofo che, attraverso la sua visione, intende rispondere a quesiti fondamentali sul rapporto tra legge, giustizia e libertà. Il diritto naturale dantesco, infatti, non è solo una legge universale, ma anche un percorso di purificazione e di riscatto per l’anima umana. Le azioni degli uomini sono giudicate secondo un principio di verità che non dipende dalla legislazione umana, ma da un ordine che trascende ogni forma di giurisdizione terrena.
Il Diritto Naturale e la Giustizia Divina
Il diritto naturale, nella tradizione filosofica e giuridica che Dante conosce e vive, rappresenta il fondamento di ogni ordine giuridico, poiché discende da una legge superiore, quella divina, che è inscritta nel cuore dell’uomo e dell’universo. Il diritto naturale non è altro che l’espressione della volontà divina, che si manifesta attraverso l’armonia dell’ordine cosmico. In Dante, questo principio si fa evidente soprattutto nella sua concezione della giustizia divina, che permea ogni aspetto della Divina Commedia.
Nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, Dante non solo descrive le pene e le ricompense delle anime, ma illustra anche le modalità con cui il diritto naturale e la giustizia divina si manifestano nel mondo terreno e nell’aldilà. Le azioni dei dannati, dei penitenti e dei beati non sono semplicemente giudicate secondo leggi terrene, ma in base a un ordine superiore, che trascende il diritto positivo. Questo ordine si riflette nell’armonia della creazione e nel bene comune, il quale è alla base del diritto naturale.
Giustizia e Diritto Positivo
Dante riconosce le tensioni tra giustizia divina e le leggi umane. La giustizia umana, secondo il poeta, è imperfetta e spesso si allontana dalla perfezione divina, come dimostra la condanna dei tiranni e degli ingiusti nell’Inferno. Tuttavia, Dante non intende mettere in discussione l’importanza del diritto positivo, ma piuttosto suggerisce che esso deve essere sempre orientato verso il bene comune e deve cercare di rispecchiare i principi di giustizia universale.
L’importanza del rispetto delle leggi terrene emerge, per esempio, quando Dante inserisce nella Commedia figure come Ulisse, che, pur essendo un grande eroe della cultura classica, viene punito per aver agito in disaccordo con il principio di giustizia divina. Dante, quindi, non intende negare l’importanza del diritto positivo, ma lo invita a riflettere costantemente sul suo rapporto con il diritto naturale, il quale deve essere il faro che guida le leggi umane.
Il Ruolo del Giurista nella Visione Dantesca
Nel contesto dantesco, il giurista non è solo un tecnico del diritto, ma un custode della giustizia divina e naturale. Egli deve, infatti, tenere conto di entrambe le dimensioni, la terrena e quella trascendente, per garantire un ordine giuridico che non solo punisca le colpe ma ristabilisca l’armonia universale. Il giurista dantesco, simile alla figura di Virgilio o Beatrice, è chiamato ad una funzione educativa e di mediazione tra l’umano e il divino, aiutando l’uomo a comprendere la vera essenza della giustizia.
Il rapporto tra giustizia e diritto è un tema centrale nella Divina Commedia di Dante Alighieri, che si configura come un’opera epocale non solo nella letteratura, ma anche nel pensiero filosofico e giuridico medievale. Il poeta, attraverso il suo viaggio nei tre regni dell’aldilà, esplora i temi della giustizia divina, dell’equità e della punizione.
Dante come Giudice
Nel Paradiso, Dante si presenta come un giudice che interpretando la volontà divina, assegna le pene ai dannati, seguendo il principio di giustizia universale. Il suo compito di giudice non è arbitrario, ma si basa su leggi eterne, immutabili e universali, che non dipendono dall’opinione umana, bensì dalla volontà di Dio. Dante giudica i peccatori in base alla loro condotta terrena, assegnando ad ogni anima il giusto castigo in relazione alla gravità del peccato commesso.
Il concetto di iustitia che Dante incarna non è solo un valore morale, ma un principio giuridico che riflette l’idea del diritto naturale, ovvero di un ordine giuridico universale che trascende le leggi umane e fonda la giustizia su principi immutabili. Questo diritto naturale, come lo intendeva anche Tommaso d’Aquino, non è prodotto dall’uomo, ma è inscritto nella natura e nella razionalità umana, e Dante lo riconosce come l’unico fondamento su cui costruire una giustizia legittima.
Il giudizio di Dante si inserisce in un orizzonte teologico e cosmologico che non ammette errori, ma la sua funzione di giudice è anche segnata dalla consapevolezza dell’impossibilità di comprendere appieno i misteri divini, una riflessione che riporta all’umile condizione umana e alla limitatezza della giustizia terrena.
Dante come Imputato
Il viaggio di Dante attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso non è solo un atto di giudizio sugli altri, ma anche un’esperienza di esame e di colpa personale. Dante si trova infatti, all’inizio del suo cammino, in una condizione di smarrimento spirituale, e quindi come imputato davanti alla giustizia divina. La sua discesa all’Inferno e il suo passaggio nel Purgatorio sono il riflesso di un processo di purificazione, di penitenza e di redenzione.
In questa prospettiva, Dante non è immune dal giudizio. L’umanità, per quanto possa aspirare a una giustizia universale, rimane vulnerabile alla legge del diritto naturale che tutti, senza distinzione, devono rispettare. Questo duplice ruolo di giudice e imputato conferisce all’opera di Dante una profondità filosofica che invita alla riflessione sulla giustizia, la colpa e la redenzione come elementi inscindibili della condizione umana.
Conclusioni
Il rapporto tra Dante come giudice e Dante come imputato offre una prospettiva unica sulla giustizia e sul diritto naturale, in cui l’individuo è al tempo stesso artefice e vittima delle leggi universali. La Divina Commedia si configura come una riflessione filosofica sul diritto, sul peccato e sulla redenzione, invitando l’uomo a una consapevolezza della propria fragilità e dell’indivisibilità delle leggi morali e giuridiche che governano il cosmo.
Il viaggio di Dante non è solo un’esperienza personale di purificazione, ma un monito universale sul rapporto tra giustizia divina e umana, tra la legge del diritto naturale e l’operato umano, che può fallire nel tentativo di realizzarla.
Daniele Onori - Fonte_______________________
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Il 26 novembre 1504 lasciava questa terra Donna Isabella, Regina di Castiglia, di Leon, di Aragona, di Valencia, di Napoli, di Sicilia, di Sardegna, di Corsica, etc., paladina della Cristianità. Nel suo testamento raccomandava agli eredi lo zelo dell'onore di Dio, la difesa della Fede Cattolica, l'estirpazione dell'eresia, la guerra agli Infedeli, la protezione degli Indios e la loro conversione in ossequio alle disposizioni di Alessandro VI. Le sue spoglie riposano nella Cattedrale di Granada, da lei liberata dal giogo maomettano.
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