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sabato 14 dicembre 2024

La tradizione benedettina a Roma

Nella nostra traduzione da OnePeterFive un interessante articolo di Massimo Scapin in occasione del 170° Anniversario della Consacrazione della nuova Basilica di San Paolo fuori le Mura. "Mentre la perpetua “fiamma paolina” arde con solenne devozione presso la tomba del glorioso Apostolo delle genti, possa il canto gregoriano dei monaci benedettini dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura continuare a risplendere come candela che illumina".

La tradizione benedettina a Roma
Massimo Scapin

Nei giorni scorsi ricorreva il 170° anniversario della consacrazione della nuova Basilica di San Paolo fuori le Mura, ad opera del Beato Papa Pio IX († 1878). L'antica e venerabile Basilica Ostiense è salutata come
meraviglia di valore, solennità e arte, eretta in onore dell'Apostolo, dottore delle genti, insigne monumento di pietà e magnificenza di Costantino il Grande, da cui fu fondata, degli imperatori Valentiniano, Teodosio, Arcadio e Onorio, da cui fu ampliata e adornata di nuove opere, e infine dei Pontefici romani, da cui fu restaurata. [1]
Il 10 dicembre 1854 la basilica emerse dalle ceneri di un devastante incendio che la devastò nella notte tra il 15 e il 16 luglio 1823.
Adiacente alla Basilica di San Paolo, da tredici secoli sorge la prestigiosa Abbazia dei monaci benedettini con lo stesso nome. A questi monaci,
Bisogna riconoscere che la venerabile maestà di questo luogo risplendette nel corso di tanti secoli per i begli esempi di santità e di dottrina che vi fiorirono in gran numero, non meno che per lo splendore delle bellezze artistiche. [2]
Passeremo sopra i tre organi di questo sacro tempio e i grandi concerti che ospita, ricordando i canti sacri che risuonano al suo interno. Nel 1928, i canti impeccabili dei monaci benedettini nella Basilica di San Paolo erano in netto contrasto con il servizio corale nella Basilica Vaticana. Armando Antonelli († 1960), che servì come vice maestro dal 1927 e come maestro della Cappella Giulia dal 1946 fino alla sua scomparsa, descrisse vividamente questa discrepanza:
Per farsi un'idea lontana di quale catastrofica differenza esista tra come si canta l'ufficio divino e come si dovrebbe cantare, basta recarsi una volta alla […] Basilica di San Paolo […] e poi tornare ad ascoltare gli sgradevoli urli […]. Quelli che ne sono più disgustati sono gli stranieri, che poi non perdono occasione per esprimersi in modo scortese […]. [3]
Nel XIX secolo, la comunità monastica sostenne con fervore la musica sacra. Tra loro spiccava il Rev. Faustino Altemps († 1855), la cui dedizione a questa nobile arte fu tangibile per tutta la vita. Figlio del musicista Serafino, fu corista nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma. Entrato nell'ordine benedettino, trascorse anni nei monasteri di Montecassino e, dal 1834, di San Callisto a Roma, prima di trasferirsi all'Abbazia di San Paolo nel 1847. La sua passione per la musica era palpabile, come riportato nel suo necrologio, che afferma che
rivestì il Messale e il Breviario di note cantate alla Palestrina [cioè nello stile di Palestrina]. Opere delle quali egli fece così poco conto che dobbiamo deplorare che siano state da lui donate come cose di nessuna importanza a coloro che le tenevano in grande stima. E uno di questi volumi è pervenuto alcuni anni fa come un tesoro all'Archivio della Basilica di Assisi. Il suo Stabat Mater suscita lacrime di compassione per la Gran Madre Addolorata. [4]
Altemps, che svolse l'incarico di penitenziere nell'Anno Santo del 1825, ricevette gli elogi di papa Leone XII († 1829), che lo considerò anche un possibile fondatore di un nuovo ordine religioso per l'assistenza degli ammalati, progetto che la morte prematura gli impedì di realizzare.

La sua collezione di 18 manoscritti è conservata in prestigiose biblioteche tedesche e italiane. Nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, nella collezione di Montecassino, sono conservati: Miserere a 4 voci; Domine probasti me a 3 voci; Magnificat a 3 voci; Salve Regina per 3 voci; Tota pulchra es per 2 tenori; Vidi congiunzione viros per 2 bassi; Messa da Requiem a 3 voci; Quasi Cedrus per soprani, basso e organo; Veni ad liberandum per 2 soprani, basso e organo; Assumpta est per soprano, basso e organo; Paradisi portæ per basso e organo; AlleluiaBeatus vir per 4 voci e organo; Alleluia – Beatus vir per 2 soprani, tenore, basso e basso continuo, datato 24 agosto 1832; e Christus factus est per 2 tenori e basso, composto intorno al 1850.

Nella Santini Bibliothek di Munster è conservato un O salutaris hostia per 2 soprani e basso continuo datato 13 agosto 1835. La Biblioteca di Montecassino conserva Requiem per 2 tenori, basso e organo (1847); Læta quies magni ducis per 2 tenori e basso (1849); e Miserere per contralto, 2 tenori e basso, datato 5 ottobre 1855.

Un'altra figura di spicco nella musica sacra fu il Rev. A. Testa († 1866). Proveniente dal monastero di Subiaco, dove il fratello Raffaele era abate e la sorella Placida badessa delle monache, si trasferì in seguito all'Abbazia di San Paolo. Il suo necrologio lo descrive come “perfettissimo nella musica e nel canto monastico, dotato di voce robusta e dolcissima”. [5] È ricordato per “alcune applaudite composizioni di canto monastico”.

Il rev. Agostino Pucci († 1887), rinomato per la sua padronanza del canto gregoriano, ebbe un ruolo di primo piano nella revisione dell'Antifonario e del Messale di Pio V nel 1869. Attivamente coinvolto nel Congresso di Arezzo del 1882, si dedicò con fervore al ripristino del canto gregoriano e contribuì alla fondazione del “nuovo Periodico liturgico per il canto gregoriano”. Pucci si distinse inoltre per la sua abilità nella miniatura, come testimonia il diurno, la parte della liturgia delle ore da recitarsi durante il giorno, da lui interamente vergato a mano. [6]

Mentre la perpetua “fiamma paolina” arde con solenne devozione presso la tomba del glorioso Apostolo delle genti, possa il canto gregoriano dei monaci benedettini dell’Abbazia di San Paolo fuori le Mura continuare a risplendere come candela che illumina.
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[1] Leone XII, Ad plurimas, 25 gennaio 1825; la nostra traduzione.
[2] Pio XII, Lettera a mons. Ildebrando Vannucci, 18 novembre 1954, in La Civiltà Cattolica, 1955, I, p. 97; la nostra traduzione.
[3] In G. Rostirolla, La Cappella Giulia 1513–2013 , Bärenreiter, Kassel, 2017, p. 1192; la nostra traduzione.
[4] Citato in Revue bénédictine, 83, 1973, p. 101; la nostra traduzione.
[5] Citato in Revue bénédictine, ibidem , p. 102.
[6] Cfr. Revue bénédictine, ibidem.

Massimo Scapin, direttore d'orchestra italiano sia di opera che di repertorio sinfonico, compositore e pianista, ha conseguito la laurea in pianoforte e direzione corale presso il Conservatorio Statale di Musica di Perugia, in direzione d'orchestra e composizione presso il National College of Music di Londra e in scienze religiose (magna cum laude) presso la Pontificia Università Lateranense. Massimo è apparso come direttore ospite e pianista in Europa, Giappone, Kazakistan, Corea e Stati Uniti. È stato anche commentatore e intrattenitore della Radio Vaticana. Attualmente è direttore di musica liturgica presso la chiesa di San Giovanni Cantius a Chicago.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

1 commento:

  1. Il Santo del giorno14 dicembre, 2024 15:12

    Oggi celebriamo San Giovanni della Croce, un uomo che non solo ha vissuto la fede, ma l’ha incarnata nel dolore e nella ricerca incessante di Dio. Giovanni ci insegna che il cammino verso Dio non è sempre fatto di luce e consolazione: a volte è segnato da solitudine, incomprensioni e sacrifici che sembrano ingiusti agli occhi umani.

    Le sue "notti oscure" non furono solo mistiche, ma anche terribilmente concrete: prigionia, isolamento, e perfino il disprezzo da parte di chi avrebbe dovuto sostenerlo. Eppure, proprio in queste esperienze, Giovanni ha trovato Dio in modo ancora più intimo, più vero. Non si è mai arreso. Anzi, nel silenzio del buio, ha lasciato che Dio operasse, spogliandolo di tutto ciò che non era essenziale, trasformando ogni sofferenza in un atto d’amore.

    La sua vita mi costringe a guardare alle mie sofferenze in modo diverso. Quante volte, davanti a un dolore, mi ribello, chiedo risposte immediate, desidero vie d’uscita rapide? E invece, Giovanni ci insegna che il buio non è un castigo, ma un grembo in cui Dio ci rigenera, dove la nostra fede può maturare e diventare solida.

    Oggi, prego San Giovanni della Croce di aiutarmi a non temere il silenzio, l’incertezza, e le prove che la vita mi pone davanti. Voglio imparare a vivere il dolore come un passaggio, non come una fine. A vedere ogni notte oscura come una strada che, per quanto stretta e ardua, porta a una gioia che non finisce.

    Che il suo esempio possa ispirare tutti noi a cercare Dio anche quando sembra lontano, e a fidarci di Lui anche quando non capiamo il perché di ciò che viviamo. Perché è proprio lì, in quel buio, che Dio ci abbraccia nel modo più profondo.

    Buona festa di San Giovanni della Croce a tutti!

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