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giovedì 13 giugno 2024

Diebus saltem dominicis / Costanti timore e amore alla stessa potenza

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente; in questo caso delle feste liturgiche che si sono susseguite in questo tempo dell'Anno liturgico. [quiqui - qui].

Diebus saltem dominicis/
Costanti timore e amore alla stessa potenza

L'offerta di questa settimana presentava un dilemma. In molti luoghi la festa del Vetus Ordo del Corpus Domini sarà celebrata domenica come “solennità esterna”. Il Corpus Domini cade il giovedì successivo alla domenica della Trinità e, nel Vetus Ordo, doveva essere celebrato in quel giorno. È tuttavia consentito ripetere i testi della Messa la domenica successiva. Ciò offre a più persone l'opportunità di parteciparvi e, si spera, di prendere parte alla processione eucaristica che fa parte della giornata.

Ma se osserviamo sempre il Corpus Domini di domenica, che ne è della Messa della II domenica dopo Pentecoste, la prima domenica “verde” dai tempi dell'Epifania, prima delle domeniche della “Gesima”? [Le tre domeniche che precedono la Quaresima Settuagesima, sessagesima, quinquagesima (vedi, compresi i link) -ndT]

Quindi, dato che da due anni scrivo in questa rubrica sul Corpus Domini, mi occuperò della desolata seconda domenica dopo Pentecoste. Ma prima, qualcosa per il Corpus Domini.

Ciò che segue non è mio originale. Ciò che è alquanto originale è il modo in cui viene presentato. Ho apportato una piccola modifica. Leggetelo.
Buon pastore, pane vero, o Gesù, abbi pietà di noi: Tu nutrici, proteggici, Tu fa' che noi vediamo le cose buone nella terra dei viventi. Tu, che tutto sai e puoi, che qui pasci noi mortali: facci lassù Tuoi commensali, coeredi e compagni dei santi cittadini. Amen. Alleluia. Loda il tuo Salvatore. Loda il tuo capo e pastore con inni e cantici. Lodalo quanto più puoi, perché Egli è al di là di ogni lode e non potrai mai lodarlo come merita. Ma oggi ci viene posto davanti un tema degno di particolare lode: il pane vivo e datore di vita, che, senza alcun dubbio, fu donato ai Dodici a mensa durante la Santa Cena. Sia dunque piena e risonante la nostra lode e piena di gioia e di bellezza l'esultanza della nostra anima, poiché questo è il giorno solenne in nel quak esi commemora la prima istituzione di questa mensa. A questa mensa del nuovo Re, la nuova Pasqua della Nuova Legge pone fine alla vecchia Pasqua. Il nuovo sostituisce il vecchio, la realtà l'ombra e la luce l'oscurità. Cristo ha voluto che ciò che ha fatto nella Cena si ripetesse in sua memoria. E così noi, secondo le sue sante indicazioni, consacriamo il pane e il vino perché siano Vittima della salvezza.

I seguaci di Cristo sanno per fede che il pane si trasforma nella Sua carne e il vino nel Suo sangue. L'uomo non può capirlo, non può percepirlo; ma una fede viva afferma che il cambiamento, che è fuori dell'0rdine naturale delle cose, avviene. Sotto le diverse specie, che ormai sono solo segni e non realtà propria, si nascondono realtà sublimi. Il Suo Corpo è il nostro cibo, il Suo Sangue la nostra bevanda. Eppure Cristo rimane intero sotto ciascuna specie. Il comunicando riceve il Cristo completo, intatto, non rotto e indiviso. Sia che uno riceva o mille, l'uno riceve tanto quanto mille. Né Cristo viene sminuito venendo ricevuto. Sia i buoni che i malvagi lo ricevono, ma con destino diverso di vita o di morte. Per i malvagi è la morte, ma per i buoni è la vita. Guarda quanto è diverso il risultato, anche se ognuno riceve lo stesso.

Infine, spezzato il Sacramento, non dubitare. Ricorda, c'è tanto in un frammento quanto in un'Ostia intera. Non c'è scissura nella sostanza, ma solo rottura del segno. Né la rottura diminuisce la condizione o la dimensione dell’Uno nascosto sotto il segno. Ecco, il pane degli angeli è diventato il cibo del pellegrino. In verità è il pane per i figli e non deve essere gettato in pasto ai cani. Nelle figure è preannunciato, con Isacco è immolato, quale agnello per la Pasqua è designato e dato quale manna agli antichi ebrei.

Gesù, Buon Pastore e Pane vero, abbi pietà di noi; nutrici e custodiscici. Concedici di trovare le cose buone nella terra dei viventi. Tu, che tutto sai e puoi, che qui pasci noi mortali: facci lassù Tuoi commensali, coeredi e compagni dei santi cittadini.
Immagino che, strada facendo, la maggior parte di voi si sia accorta della paternità e del nome di questo testo, che ho abilmente cercato di mascherare tralasciando la prima parola: Sion. Di solito quando incontriamo questo testo è presentato in versi brevi come una poesia e in strofe. Ha un impatto diverso se presentato come prosa pura. Questa era, ovviamente, la sequenza (qui), Lauda Sion Salvatorem, scritta da San Tommaso d'Aquino (+1274) per la festa del Corpus Domini. Le ultime strofe vengono spesso utilizzate per essere cantate da sole, Ecce Panis Angelorum. Anche gli altri tre inni dell'Aquinate per il Corpus Domini hanno finali cantati da soli. L'inno Pange lingua gloriosi Corporis mysterium, cantato durante le processioni eucaristiche, si conclude con il Tantum ergo Sacramentum. L'inno Verbum supernum prodiens si conclude con O salutaris Hostia. L'inno Sacris solenniis si risolve con il Panis Angelicus. Urbano IV istituì la Festa nel 1264 dopo il miracolo eucaristico di Bolsena del 1263, quando un'Ostia sanguinò su un corporale di lino durante la Messa. Urbano IV, all'epoca, risiedeva nella vicina Orvieto. Vi fu anche San Tommaso dal 1259 al 1265. Quel corporale di lino, la tela quadrata su cui poggiano il calice e l'ostia, è conservato nel Duomo di Orvieto.

Dopo questo superbo ripasso sulla dottrina dell'Eucaristia, continuiamo con uno sguardo a qualcosa della seconda domenica dopo Pentecoste. Vediamo la Colletta.

Nello stesso  modo  in cui è confortevole recitare la Sequenza di cui sopra, questa è un'orazione meravigliosa da cantare. È nello stesso tempo cruda e sontuosa. È attentamente equilibrata e tipicamente romana nella sua concisione. Si trova già nell'antico Sacramentario gelasiano per la domenica successiva al giovedì dell'Ascensione. È sopravvissuta agli sforbiciatori e frabbricatori che hanno assemblato il Novus Ordo per la dodicesima domenica del tempo ordinario. Si prega anche, per ovvi motivi, dopo le Litanie del Santissimo Nome di Gesù.
Sancti nominis tui, Domine, timorem pariter et amorem fac nos habere perpetuum, quia numquam tua gubernatione destituis, quos in soliditate tuae dilectionis instituis
Gubernatio significa “stare al timone, pilotare una nave” o “direzione, gestione”, da cui deriva la parola “governo”. Chi governa  è il pilota di una nave. Perpetuus, –a , -um è l'aggettivo per “continuare ovunque, continuo, ininterrotto, ininterrotto; costante,…” ecc.

TRADUZIONE LETTERALE:
Facci avere, o Signore, in egual misura,  costante timore e amore per il tuo Santo Nome, perché non abbandoni mai con la tua guida coloro che stabilisci nella fermezza del tuo amore. 
Da notare l'equilibrio delle idee: timor / amor (paura/amore) e instituo / destituo (stabilire/abbandonare). In in instituo sento un “posizionare” nel senso di come Dio ci ha fatti e con questo fare ci prende su di Sé. Si prende cura di noi e del nostro governo. Dio ci pone accanto a Sé, sotto il Suo occhio vigile, affinché non sbagliamo. In destituo sento un “mettere giù”, nel senso di un mettere da parte rispetto a Sé, di un abbandono dell'interesse. Nella gubernatio Dio è il nostro pilota, il nostro timoniere, e tiene la mano sul volante della nostra vita. Siamo solidi perché la Sua mano amorevole è ferma. Se Egli ci abbandonasse, la nostra nave naufragherebbe e noi saremmo “poveri e soli”.

In mezzo alle vicissitudini di questo mondo dipendiamo con paura e amore dal Suo Santo Nome. Ci troviamo al posto giusto davanti allo sguardo timoroso di Dio e sotto la Sua mano amorevole che ci guida solo attraverso l'amore e il timore del Suo Nome che indica la Sua Persona. 

Un nome, in termini biblici e liturgici, rimanda all'essenza di colui che viene nominato. Il Nome Divino fece sì che Mosè si togliesse le scarpe. Mosè apprese il Nome di Dio per dire agli ebrei prigionieri che Colui che è l'Essere Stesso – “IO SONO” – li avrebbe liberati (cfr Esodo 2). Una volta biaognosi, furono costituiti come Suo Popolo. Il terribile Nome di Dio era così sacro per gli ebrei che essi non pronunciano le quattro lettere ebraiche usate per indicarlo nella Scrittura, sostituendole invece con “Adonai”, “Signore”.

Cosa dice Nostro Signore del Suo stesso Nome? In Giovanni 16:23 Gesù – Yeshua ebraico/aramaico da Yehoshua , “Yahweh salva” – rivela la Sua unità con il Padre e il potere del Suo Nome dicendo: “In verità, in verità vi dico, se chiedete qualcosa al Padre, ve lo darà nel mio nome”. In Marco 9:38-39 c'è uno scambio tra il discepolo amato e il Signore riguardo alle persone che scacciano i demoni nel nome di Gesù. Gesù ha detto: 'Nessuno che faccia un miracolo nel mio nome, subito potrà parlar male di me'”. Il Nome “Gesù” può cambiare i cuori. Giovanni 20:31 dice: "questi [segni] sono scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo possiate avere vita nel suo nome". 

Il Suo Nome – la Sua Persona – è il nostro cammino verso la vita eterna. 

Il Nome di Dio, di Dio Padre, di Dio Figlio Gesù Cristo, di Dio Spirito Santo, è degno del nostro timore e del nostro amore. Molti oggi vogliono sottolineare solo l'amore del Nome di Gesù senza il santo timore che gli è dovuto. Non dobbiamo escludere il timore reverenziale e il timore di ciò che implica il nome di Dio. Nelle Scritture le parole per “paura” ricorrono centinaia e centinaia di volte. La Scrittura è intrisa di amorevole timore di Dio, anzi, un timore che porta all'amore e alla saggezza. 

Attraverso il timore reverenziale del Suo Nome e di chi Egli è e di ciò che ha fatto, passiamo all'amore che non conosce paura (cfr 1 Giovanni 4,16-18).

Per concludere, a chiusura del cerchio, possiamo applicare lo stesso al nostro timore reverenziale e al nostro amore per il Suo Sacro Corpo e Sangue nell'Eucaristia. La mia grande speranza per tutti voi è che possiate partecipare ad una processione eucaristica e davanti al Santissimo Sacramento cantare con gioia il Suo Santo Nome.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
(ora che sono sola ce n'è più bisogno) 
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7 commenti:

  1. Il 9 novembre 1921, il Papa Benedetto XV istituiva la festa del Cuore Eucaristico di Gesù da celebrarsi il Giovedì dell'Ottava del Sacro Cuore con una Messa propria e un Ufficio.

    Cuore Eucaristico di Gesù, fedele compagno del nostro esilio, noi vi adoriamo.
    Sant'Antonio da Padova, pregate per noi.

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  2. 13 GIUGNO
    SANCTUS ANTONIUS PATAVINUS
    CONFESSOR, ECCLESIAE UNIVERSALIS DOCTOR

    Ad perpetuam rei memoriam. — Exulta, Lusitania felix; o felix Padua, gaude: tantum enim genuistis terrae caeloque, haud imparem micanti sideri, virum, qui non solum sanctitudine vitae miraculorumque inclyta fama, sed etiam doctrinae caelestis effuso splendore coruscans, orbem universum illuminavit, et adhuc fulgentissima luce collustrat. A christianis parentibus, nobilique genere claris, Ulissipone, civitate Lusitaniae principe, ortum, innocentiae atque sapientiae seminibus a Deo omnipotenti fuisse donatum abunde, a primo propemodum eius diluculo vitae ex pluribus indubiisque signis facile conici potuit. Adulescentulus adhuc, apud Canonicos Regulares Sancti Augustini indutus humili sago, undecim per annos religiosis virtutibus, animum instruere, mentemque caelestis doctrinae thesauris ditare sategit. Sacerdotio deinceps, aeterni Numinis gratia, feliciter auctus, dum perfectioris vitae rationem aucupatur, Protomartyres Fratres Minores quinque sodales, in sacris Marrochii expeditionibus, roseas Seraphici Ordinis auroras tinxerunt sanguine suo. Quo gavisus fidei christianae glorioso triumpho, ardentissimo Antonius martyrii exarsit amore, et, navi profectus gaudens Marrochium versus, longinquas Africae felix attigit oras. Sed paulo post gravi morbo correptus, iterum navim ascendit in patriam reversurus, sed tempestate saevissima maris oborta, ventorum vi hinc inde iactatus in undis, compulsus ad Italiae, sic disponente Deo, extrema littora fuit. Illic autem ignotus cum omnibus esset, nec quemquam agnosceret ipse, assisiatem urbem petere cogitavit, in quam complures nuper convenerant sui Ordinis sodales atque magistri. Quo cum prevenisset, Franciscum Patrem summa laetitia agnovit, cuius dulcis aspectus tali tantaque eum suavitate perfudit ut animum eius seraphici spiritus ardentissimo inflammaverit aestu. Cum vero doctrinae caelestis Antonii, iam longe lateque fama percrebuerit, Seraphicus Patriarcha, de ea certior factus, Antonio docendi Fratres munus committere voluit, verbis usus, in scribendo, suavissimis illis: «Antonio Episcopo meo, Frater Franciscus salutem. Placet mihi quod sacram Theologiam legas Fratribus, dummodo inter liuiusmndi studium sanctae orationis et devotionis spiritum non extinguas, sicut Regula continetur ».

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  3. Segue

    Hoc magisterii offcium adamussim explevit Antonius, qui Lectorum omnium exstitit seraphico in Ordine primus. Bononiae in urbe docuit, studiorum principe sede; dein Tolosae, postremo Monte Pessulano; harum utraque studiorum clarissima in urbe. Edocuit Fratres Antonius, fructusque collegit uberrimos, neque oratio deferbuit, prout Seraphicus Patriarcha praeceperat ei. Quin etiam non verbi magisterio solum, sed exemplo quoque sanctissimae vitae, suos Patavinus instituendos curavit alumnos, puritatis praesertim candidissimum tuitus florem. Quantum vero carum id Immaculato fuerit Agno, haud omisit pluries nostro patefacere Deus. Frequenter enim dum solus in sua tacita cella, stat, orans, Antonius, dulciter in caelo oculis animoque defixus, en subito Iesus Infans, fulgentissimo radians lumine, collum Franciscalis iuvenis tenellis amplectitur ulnis, ac, leniter arridens, puerilibus blanditiis cumulat Sanctum, qui, abstractus a sensibus, et Angelus ex homine factus, cum Angelis et cum Agno, nunc « pascitur inter lilia » (Cant., II, 16). Quantam autem lucem Antonii doctrina diffuderit, haud aliter quam verbi divini praeconium, aequales recentioresque uno testantes assensu, sapientiam eius amplissimis ornant laudibus et sacram dicendi vim ad sidera extollunt. Si quis vero Patavini « Sermones » attente perpenderit, Sacrorum voluminum peritissimus Antonius apparebit; in perscrutandis dogmatibus theologus eximius; in asceticis quoque tractandis ac mysticis rebus insignis doctor atque magister. Quae omnia, quasi thesaurus quidam artis divinae dicendi, haud exiguam opem, praesertim Evangelii praeconibus, suppeditare valent; ditissimumque quoddam veluti aerarium constituunt, e quo potissimum sacri oratores, ad veritatem tutandam, ad propulsandos errores, ad haereses refellendas, ad perditorum hominum animos in semitam rectam revocandps, haurire abunde argumenta validissima queunt. Quoniam vero Antonius frequentissime usus est testibus sententiisque ex Evangelio depromptis, iure meritoque « Doctoris Evangelici » nomine dignus apparet. Ex hoc nimirum, quasi profluentis aquae fonte perenni, haud pauci Doctores Theologi et verbi divini praecones iugiter hauserunt hodieque largiter hauriunt, quippe cum Antonium magistrum existiment, eumque habeant Sanctae Ecclesiae Doctorem. Quo quidem in proferendo iudicio, ipsi Romani Pontifices auctores auspicesque fuere, ac suo ipsorum exemplo antecesserunt. Etenim Xistus IV, in Litteris Apostolicis Immensa, die XII mensis Martii, anno MCCCCLXXII datis, haec scriptis tradidit suis :« Beatus Antonius de Padua, veluti oriens ex alto, splendidissimum sidus effulsit, qui, suis amplissimis meritorum virtutumque praerogativis, profunda divinarum rerum sapientia e:t doctrina ac ferventissimis praedicationibus orthodoxam fidem nostram catholicamque Ecclesiam illustravit, ornavit, stabilivit ». Itidem Xistus V in Litteris Apostolicis sub plumbo datis die XIV mensis Ianuarii anno MDLXXXVI, ita scripsit : « Beatus Antonius Ulyssiponensis, eximiae sanctitatis vir fuit . . ., divina praeterea imbutus sapientia ». Proximus autem Decessor Noster, Pius Papa XI, rec. mem., in Epistola Apostolica Antoniana sollemnia septimo exeunte saeculo a felici B. Antonii transitu die I mensis Martii, anno MDCCCCXXXI data, ad Excmuma.

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  4. Segue

    MDCCCCXLVI, Patavinum Episcopum, nunc S. R. E. Cardinalem Florentinorum Archiepiscopum, divinam extollit sapientiam illam, qua, praeditus abunde, magnus hic Franciscalis Apostolus, integritatem Evangelii sanctitatemque instaurare contendit. Sed ex Epistola eadem Decessoris Nostri aptissima haec renovare verba iuvabit : Thaumaturgus Patavinus procellosam aetatem suam, profligatis passim moribus infectam, christiana collustravit sapientia ac veluti suae virtutis suavitate perfudit . . . (In Italia) potissimum apostolica eius vis ac navitas inclaruit; hic impensissimi ab eo exantlati labores; at in Galliae etiam provinciis bene multis, quandoquidem omnes Antonius, Lusitanos nempe suos, Afros, Italos, Gallos, quotquot denique catholica veritate indigere intellexisset, nullo habito gentis nationisque discrimine actuoso studio suo complectebatur.
    In haereticos autem, Albigenses scilicet, Catharos et Patarenos, eo tempore paene ubique furentes ac germanae fidei lumen in christifidelium animis restinguere conantes, tam strenue feliciterque decertavit, ut «haereticorum malleus » iure merito nuncuparetur ». Nec praetereunda, quin etiam maximi habenda est ponderis atque momenti, laus summa quam Gregorius PP. IX, qui concionantem audierat Antonium eiusque admirabilem conversationem expertus fuerat, Patavino tribuere voluit, «Arcam Testamenti » et « Sacrarum Scripturarum scrinium » illum appellans.

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  5. Segue

    Memoratu pariter dignissimum esse videtur, quod, die ipsa XXX mensis Maii anno MCCXXXII, qua Thaumaturgus Patavinus cooptatus in Sanctorum Caelitum numerum fuit, mensibus vix undecim e beato transitu emensis, Antonii Canonizatione sollēmni Pontificali ritu peracta, Gregorium Antiphonam Sanctorum Doctorum Ecclesiae propriam elata voce canendo recitasse tradunt: «O doctor optime, Ecclesiae Sanctae lumen, beate Antoni divinae legis amator, deprecare pro nobis Filium Dei ». Ex quo factum est ut vel ab initio in sacra Liturgia cultus Sanctorum Doctorum Ecclesiae proprius Beato Antonio tribui coeptus sit, inserta in eius honorem Missa de Doctoribus in Missali « secundum consuetudinem Romanae Curiae ». Quae porro Missa, etiam post emendationem anno MDLXX a Sancto Pio V in Kalendario peractam, ad nostra usque tempora apud Franciscales Familias universas, atque Patavinae dioeceseos nec non Lusitanae ac Brasiliensis ditionum apud clerum utrumque, adhiberi haud destitit unquam. Factum praeterea est, ex iis quae reseravimus ante, ut, vixdum Sanctorum Caelitum honoribus Antonio decretis, ita pingi sculpive eius imagines coeperint, ut eaedem Franciscalem magnum Apostolum Christifidelium pietati excolendum proponerent, altera manu, vel prope, librum habentem apertum, sapientiae doctrinaeque indicem, flammam altera, fidei ardoris symbolum, manu tenentem.

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  6. Segue

    Nihil mirum igitur si complures, nedum ex Seraphico Ordine qui in suis conventibus generalibus pluries vota deprompsit ut Doctoris cultus, Patavino Thaumaturgo per saecula tributus, confirmaretur et ad universam Ecclesiam extenderetur, sed ex omnibus coetibus viri clarissimi ardentissima haec desideria sua detegere non dubitaverint. Quae vota cum, septingentesimo vertente anno a beato Antonii transitu eidemque caelestibus decretis honoribus quam maxime adaucta sint, Franciscalium Minorum Ordo proximo Decessori Nostro rec. mem. Pio PP. XI, nuperrime vero etiam Nobismet Ipsis enixas postulationes adhibuit ut in numerum Sanctorum Ecclesiae Doctorum Antonium rite referre velimus. Cum praeterea huiusmodi vota tum S. R. E. Purpurati Patres, tum Archiepiscopi atque Episcopi quam plurimi, nec non Re1igiosorum Ordinum seu Congregationum Praelati aliique doctissimi viri, sive e clero sive e popularibus, sive, denique, e Studiorum Universitatibus atque Institutis Coetibusque, suis ipsorum suffragiis auxerint et cumulaverint, Nos Romanae Sacrae Ritibus tuendis Congregationi tanti momenti rem opportunum « pro voto » committere duximus. Quae quidem Sacra Congregatio mandato Nostro naviter de more obtemperans, viros ad rem accurate examinandam idoneos « ex officio » delegit. Eorundem itaque exquisitis obtentisque suffragiis separatis, atque etiam praelo impressis, illud tantum supererat, ut qui eidem Congregationi sunt praepositi rogarentur an, consideratis tribus quae post rec. mem. Decessorem Nostrum Benedictum PP. XIV in Ecclesiae universalis Doctore enumerari solent requisitis: insigni, nempe, vitae sanctitate, eminenti caelesti doctrina, nec non Summi Pontificis declaratione, procedi posse censerent ad S. Antonium Patavinum Ecclesiae universalis Doctorem declarandum. In ordinario autem conventu die xri mensis Iunii, anno MDCCCCXLV in Aedibus Vaticanis habito, Emi S. R. E. Cardinales Sacrorum Rituum Congregationi praepositi, a Dilecto Filio Nostro Rephaële Carolo S. R. E. Presbytero Cardinali Rossi, Sacrae Congregationis Consistorialis a Secretis et huius causae Ponente, debita rerum relatione facta, audito quoque dilecto filio Salvatore Natucci, Fidei Promotore Generali, consenserunt. Quae cum ita sint, Nos, Franciscalium omnium ceterorumque suffragatorum votis ultro libenterque concedentes, praesentium Litterarum tenore, certa scientia, ac matura deliberatione Nostris, deque Apostolicae potestatis plenitudine, Sanctum Antonium Patavinum, Confessorem, Ecclesiae Universalis Doctorem constituimus, declaramus. Non obstantibus Constitutionibus atque Ordinationibus Apostolicis ceterisque in contrarium facientibus quibuslibet. Haec edicimus, decernentes praesentes Litteras firmas, validas atque efficaces semper exstare ac permanere; suosque plenos atque integros efflectus sortiri atque obtinere; sicque rite iudicandum esse ac definiendum; irritumque ex nunc et inane fieri si quidquam secus super h a quovis, auctoritate qualibet, scienter sive ignoranter attent contigerit.

    Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub anulo Piscatoris, die XVI mensis Ianuarii, in festo Protomartyrum Franciscalium a. MDCCCCXLVI, Pontificatus Nostri septimo.
    PIUS PP. XII

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  7. LA PREDICA E' EFFICACE QUANDO PARLANO LE OPERE (S. ANTONIO DA PADOVA)

    Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.

    Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l'inclinazione del suo animo. Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. Di costoro e dei loro simili il Signore dice a Geremia: «Perciò, eccomi contro i profeti, oracolo del Signore, che muovono la lingua per dare oracoli. Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri, dice il Signore, che li raccontano e traviano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine. Essi non gioveranno affatto a questo popolo. Parola del Signore» (Ger 23, 30-32).

    Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell'osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.

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