Intróitus Ps. 24, 16 et 18 - Réspice in me, et miserére mei, Dómine: quóniam únicus, et páuper sum ego: vide humilitátem meam, et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus. Ps. 24, 1-2 - Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam. Glória Patri… Ps. 24, 16 et 18 - Réspice in me… |
Introito Sal. 24, 16 e 18 - Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio. Sal. 24, 1-2 - A te, o Signore, elevo l’ànima mia: Dio mio, confido in te, ch’io non resti confuso. Gloria al Padre… Sal. 24, 16 e 18 - Guarda a me… |
Nella maggior parte delle chiese di Francia ha luogo oggi la seconda Processione del Santissimo Sacramento, così come la prima si era celebrata nella Domenica precedente. In parecchi luoghi vi è anche l'usanza di cantare in questo stesso giorno la Messa solenne del Sacro Cuore, alla quale molti fedeli non potrebbero assistere il giorno stesso della festa.
La Messa di questo giorno è precisamente quella della terza Domenica dopo la Pentecoste. Gli ultimi decreti romani l'avevano assegnata, senza possibilità di spostamento, alla Domenica fra l'Ottava del Sacro Cuore, ottava ora soppressa.
Sarà facile notare come i testi di questa Messa della terza Domenica dopo la Pentecoste si adattino con facilità e naturalezza alla memoria della festa del Sacro Cuore di Gesù, al punto da sembrare che siano stati composti per essa.
Messa
L'anima fedele ha visto chiudersi nella sacra Liturgia la successione dei misteri del Salvatore. Lo Spirito Santo è disceso per sostenerla in quest'altra parte del ciclo, nella quale non si svolgerà più davanti ad essa che la feconda semplicità della vita cristiana. Egli la istruisce e la forma sui dati del Maestro divino risalito al cielo. E innanzitutto le insegna a pregare. Poiché la preghiera, diceva il Signore, dev'essere di tutti i giorni e di tutti gli istanti (Lc 18,1), eppure noi non sappiamo né ciò che è necessario chiedere, né come convenga farlo. Ma lo sa Colui che aiuta la nostra debolezza, e chiede in noi e per noi con gemiti inenarrabili (Rm 8, 26).
EPISTOLA (1Pt 5,6-11). - Carissimi: Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi esalti nel tempo della visita; e gettate in lui ogni vostra ansietà, perché Egli ha cura di voi. Siate sobrii e vegliate, perché il diavolo, vostro avversario, come leone ruggente vi gira intorno, cercando chi divorare; resistetegli forti nella fede, sapendo che i vostri fratelli dispersi nel mondo soffrono gli stessi vostri patimenti. Ma il Dio d'ogni grazia, il quale ci ha chiamati in Gesù Cristo all'eterna sua gloria, con un po' di patire vi perfezionerà, vi conforterà, vi confermerà. A lui la gloria e l'impero nei secoli dei secoli. Così sia.Le prove e il loro merito.
Le miserie di questa vita sono la prova che Dio fa subire ai suoi soldati, per giudicarli e classificarli nell'altra secondo il loro valore. Sicché tutti, in questo mondo, hanno la loro parte di sofferenze. La gara è aperta, la battaglia ingaggiata; l'Arbitro guarda e giudica: presto darà la sentenza sui diversi meriti dei combattenti, e li chiamerà dalle fatiche dell'arena al riposo del trono su cui siede egli stesso. Beati allora quelli che, riconoscendo la mano di Dio nella prova, si saranno chinati sotto quella mano potente con amore e con fiducia! Contro queste anime forti nella fede, il leone ruggente non avrà potuto prevalere. Sobri e vigilanti nella vita del loro pellegrinaggio, senza atteggiarsi a vittime, sapendo bene che tutto soffre quaggiù, avranno unito con letizia le loro sofferenze a quelle di Cristo, e trasaliranno nella manifestazione eterna della sua gloria che sarà anche la loro eredità per i secoli senza fine.
VANGELO (Lc 15,1-10). - In quel tempo: I pubblicani ed i peccatori si accostavano a lui per udirlo, e ne sussurravano i Farisei e gli Scribi col dire: Costui accoglie i peccatori e mangia con essi. Ed egli prese a dir loro questa parabola: Chi di voi se ha cento pecore, e ne perde una, non lascia le altre novantanove nel deserto e non va dietro a quella perduta finché non la ritrovi ? E come l'ha ritrovata, se la mette tutto allegro sulle spalle; e giunto a casa, chiama gli amici e vicini e dice loro: Rallegratevi meco perché ho ritrovato la mia pecorella smarrita ! Così vi dico, si farà più festa in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti i quali non han bisogno di penitenza. Or qual donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e non spazza la casa e non cerca attentamente finché l'abbia trovata? E, trovatala, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, ché ho trovato la dramma perduta. Così, vi dico, si fa festa dinanzi agli Angeli di Dio per un peccatore pentito.Il premio delle anime.
La parabola della pecorella ricondotta all'ovile sulle spalle del Pastore era cara ai primi cristiani; la si trova raffigurata dappertutto nei monumenti dei primi secoli. Essa ci ricorda il Signore Gesù che or ora risaliva trionfalmente in cielo portando con sé l'umanità perduta e riacquistata. "Chi è infatti il Pastore della nostra parabola - esclama sant'Ambrogio - se non Cristo che ti porta nel suo corpo e ha preso su di sé i tuoi peccati? Quella pecora è una per il genere, non per il numero. Ricco Pastore, di cui tutti noi formiamo la centesima parte del gregge! Poiché egli ha gli Angeli, gli Arcangeli, le Dominazioni, le Potestà, i Troni e il resto, innumerevoli greggi che ha lasciati sui monti per correre dietro alla pecora smarrita" (Comm. su san Luca, VII).
La parabola della dracma perduta e ritrovata espone, in una forma ancora più familiare e simpatica, questa stessa dottrina che è veramente al centro dell'insegnamento del Salvatore. È per i peccatori che il Verbo si è incarnato, e per far loro conoscere il suo amore ha voluto un cuore di carne, e ha voluto che si sapesse come uno dei suoi maggiori gaudi consistesse nel ritrovare un'anima perduta. Di questo gaudio egli rende subito partecipi i suoi amici del Cielo: vuole che tutti lo provino. Anche noi su questa terra abbiamo diritto a condividerlo: come potrebbero, quelli che amano il Sacro Cuore e si uniscono a tutti i suoi sentimenti, rimanere estranei a simile felicità? Ma, tornando su noi stessi, uniremo al gaudio e alla lode che essa produce un sentimento di profonda gratitudine, dicendo con san Giovanni Eudes: "Che cosa ti renderò, o mio Salvatore; e che farò per amor tuo, giacché tu mi hai tratto fuori dagli abissi dell'inferno ogni qualvolta vi sono caduto con i miei peccati o vi sarei caduto se la carità del tuo Cuore dolcissimo non me ne avesse preservato!?" [1].
Preghiamo
O Dio, protettore di coloro che sperano in te e senza il cui aiuto niente è stabile e santo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché, sotto il tuo governo e la tua guida, passiamo attraverso i beni della terra senza perdere di mira quelli eterni.___________________________
[1] Coeur admirable, l. XII, p. 246.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 420-422)
3 commenti:
"... È cosa sua, l'ama come sua pecorella e quando l'ha ritrovata se la carica sulle spalle, perché la porta e la sostiene con particolarissimi aiuti della sua Grazia, e la riguarda come un trofeo della sua vittoria innanzi alla corte celeste..."
-L'infinita misericordia di Dio nel ricercare i peccatori e nell'accoglierli, in uno sguardo generale alle parabole di Gesù-
Si avvicinavano a Gesù i peccatori e i pubblicani per ascoltarlo. Il testo greco dice che gli si avvicinavano tutti i peccatori ed i pubblicani, per far rilevare che tutti erano attratti dalla bontà di Gesù, anche quelli che poi non si convertivano per loro colpa. C'era, infatti, nel Redentore una potente attrattiva, perché Egli era venuto in terra per rigenerarli ed aveva in sé la delicatezza di una mamma, la premura di un pastore e l'espansione di un affettuosissimo padre. I peccatori, poi, standogli vicino, si sentivano migliori, perché in quell'immensa luce di santità l'anima loro spontaneamente si umiliava.
I farisei e gli scribi non potevano tollerare la bontà di Gesù, perché contrastava troppo con la loro durezza; premurosi com'erano della loro fama e della loro gloria, disprezzavano i peccatori per ostentare anche così la loro pretesa giustizia e riprovavano l'atteggiamento di Gesù, non tanto perché loro dispiacesse, ma per far rimarcare al popolo che Egli non era giusto come loro. Credevano che la sua familiarità coi peccatori dipendesse per lo meno da superficialità e volevano far rilevare che Egli non sapeva conoscerli, e quindi non era profeta. C'era nel loro rimprovero un insieme di orgoglio, di malignità e di avversione che li rivelava.
Gesù Cristo non rispose smascherandoli, come avrebbe potuto fare, ma rivelò la misericordia di Dio e per conseguenza quella del suo Cuore, aprendo così maggiormente alla fiducia il cuore dei peccatori di tutti i tempi, e manifestando il grande segreto della sua missione divina, Gesù raccontò tre parabole che esprimono la bontà di Dio stesso nel cercare, nell'accogliere i peccatori, e rivelò così che Egli non cercava i traviati né per superficialità di valutazione delle loro colpe, né per semplice compassione naturale, ma perché era Dio e li cercava per usare loro misericordia. Le tre parabole, poi, manifestavano la valutazione vera che Egli faceva dei peccatori di tutte le nazioni e di tutte le epoche, riguardandoli come pecorelle smarrite dell'ovile di Dio, come valori dell'umanità, perduti con danno comune, e come figli lontani dal cuore paterno.
Un pastore cerca la pecorella smarrita per compassione, una donna cerca il valore perduto per interesse, un padre per amore tenerissimo sospira al figlio ribelle, che si è allontanato da lui. Sono i tre grandi momenti della divina Misericordia: il Signore chiama l'umanità peccatrice come pecorella smarrita, la redime pagando il prezzo del suo riscatto, e l'accoglie in un amore paterno immenso che la ridona alla primitiva grandezza. Accolse Israele e lo cercò nel deserto del mondo come pecorella smarrita, portandolo Egli stesso per le vie della vita come un pastore porta sulle spalle la sua pecorella. Venne dal cielo in terra e fece luce per cercare l'umanità perduta e ridonarle il valore perduto col peccato; aspetta al suo Cuore l'umanità traviata ed apostata, immersa nelle sozzure dell'impurità e ridotta ad uno stato di estremo squallore, e l'accoglie con amore paterno riabilitandola.
La misericordia di Dio è sempre ricerca amorosa, valutazione divina di un'anima ed amore immenso nell'accoglierla, ma si può dire che le tre parabole proposte da Gesù riguardassero le tre grandi manifestazioni della misericordia di Dio Uno e Trino: quella fatta al popolo eletto, pecorella sua, il Padre; quella fatta nella Redenzione, pagando il prezzo del nostro riscatto, il Figlio, e quella che fa ogni giorno nella Chiesa, e farà in modo meraviglioso alla fine dei tempi, accogliendo al suo Cuore i figli traviati, corrotti ed apostati dal suo paterno amore, lo Spirito Santo.
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Gesù parla della gioia del pastore nel ritrovare la pecorella smarrita, della gioia della donna nel rintracciare la dramma perduta, e della gioia del padre nel riabbracciare il figlio traviato, non per dire che Dio ama più i peccatori che i giusti, ma per dire che è così piena e completa la sua Misericordia che Egli accoglie i peccatori pentiti come se fossero giusti. Egli parla della festa che si fa nel cielo per un peccatore che si converte, per dirci che è più grande la gioia attuale dei Beati per un'anima che si salva, che per quelle che sono già salve o giuste; anche un padre gode più attualmente della guarigione di un figlio infermo, che della sanità degli altri, il che non significa che egli apprezza più i malati che i sani, ma proprio perché apprezza la salute, gode che il figlio infermo l'abbia recuperata.
Nei peccatori che si convertono c'è poi sempre una ricchezza di umiltà, di riconoscenza e di amore che li rende più cari al Signore, e facilita in loro l'efflusso della Grazia. Il peccato è un male orribile che Dio aborre sempre; ma la vera penitenza può far fiorire il cuore dei peccatori anche più di quello dei giusti, e la tenerezza di Dio riguarda proprio questa fioritura di amore e di virtù. Si deve notare che Gesù accennò semplicemente le parabole della pecorella smarrita e della dramma sperduta, mentre raccontò con minuti e bellissimi particolari quella del figliol prodigo, per dare maggiore risalto all'amore col quale Dio accoglie come padre i peccatori che vanno a Lui, pentiti.
Il suo Cuore divino non ebbe confini nella tenerezza quando parlò di ciò che l'anima fa per cercare Dio e, nell'esuberanza della parabola, rivelò l'esuberanza dell'amore di Dio. Si direbbe che la delicata sua carità abbia voluto dare più risalto al bisogno che il peccatore sente di Dio che a quello che fa Dio per un peccatore; l'amor suo nel cercarci è infinito, ma l'amor suo nell'accoglierci è tenerissimo, ed è divinamente psicologico che il Redentore si sia trattenuto di più sulla parabola del figliol prodigo. L'ampiezza di questa parabola, poi, può anche farci intendere quanto sarà esuberante la Misericordia che Dio farà negli ultimi tempi ai figli apostati che ritorneranno al suo Cuore.
-La pecorella smarrita-
I farisei si mostravano spietati contro i peccatori, perché la loro salvezza non li interessava. Amavano così poco Dio, che non importava loro delle perdite del suo Amore, mentre erano estremamente interessati e venali per ciò che riguardava i loro averi ed il loro denaro. Gesù, per rendere loro intelligibile la delicatezza della divina bontà, li richiama direttamente ai loro interessi materiali, ed in particolare alle pecorelle dei loro ovili, che erano la ricchezza di quei tempi.
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Psicologicamente c'è una ritorsione amorosissima nella stessa concisione con la quale Gesù risponde ai farisei: "Chi di voi, avendo cento pecore e perdutane una, non lascia le altre novantanove nel deserto, e non va a cercare quella che si è smarrita, finché non l'abbia trovata?" Il suo Cuore divino è ferito dalla loro mormorazione, non forma un racconto, ma li investe toccandoli su ciò che poteva interessarli e commuoverli, per dire: "Come, voi non sapete che i peccatori sono mie pecorelle e che io li amo quasi pastore dell'ovile? Voi avete care le pecorelle vostre e se ne smarrite una non vi date pace finché non l'abbiate ritrovata, ed io dovrei lasciar perire una pecorella mia, smarrita nei dirupi della colpa?" È un'argomentazione veemente, che mostra tutto l'amore di Gesù per i poveri peccatori, e la pietà cristiana l'ha raccolta e diremmo l'ha sviluppata per farne uno dei più teneri simboli dell'amore misericordioso del Redentore.
Un pastore ha cento pecorelle e le porta al pascolo nel deserto, cioè in un luogo incolto, lontano dalle abitazioni, e adibito a pascolo. Nel pascolarle, si accorge che una se n'è smarrita; egli, dunque, non le guida come un mercenario, ha cura di ciascuna di esse, e le conta ad una ad una. È così che s'accorge che una se n'è smarrita. Pieno di angustia, allora, mette al sicuro le novantanove pecorelle e corre per i dirupi a cercare la sua pecorella, chiamandola con tutti i modi che gli suggerisce il suo amore. Finalmente la ritrova, impigliata fra le spine, la districa, la vede stanca, affamata e spaurita; la bacia, la carezza, se la pone sulle spalle mentre essa bela, e corre a casa contento, per comunicare la notizia agli amici ed ai vicini e per fare festa con essi. Il suo amore è stato capace di comunicare anche agli amici il suo dolore, ed ha reso un fatto d'interesse comune la sua disavventura. Tutti, infatti, sentono il suo richiamo di gioia, escono dalle case, corrono a lui, si congratulano e fanno festa insieme con lui, colmando di carezze la pecorella.
Il Signore non è indifferente per l'anima peccatrice, il suo sguardo amoroso la segue nei suoi traviamenti, ed Egli è tanto amoroso che sembra quasi non abbia premura che per essa. Non si stanca di ricercarla correndole appresso coi richiami della Grazia, con le tribolazioni e con le voci del suo amore immolato. È cosa sua, l'ama come sua pecorella e quando l'ha ritrovata se la carica sulle spalle, perché la porta e la sostiene con particolarissimi aiuti della sua Grazia, e la riguarda come un trofeo della sua vittoria innanzi alla corte celeste. Gli uomini non sono capaci di apprezzare in pieno il ritorno di un'anima a Dio; ne esultano i buoni, ma non ne intendono il valore; solo in Cielo si valuta appieno che cosa è lo smarrimento di un'anima e che cosa è il suo ritorno allo stato di Grazia, e perciò Gesù dice che la festa si fa nel Cielo.
Perdere Dio è una sventura terribile, ritrovarlo è una grazia incommensurabile, perché si tratta di ritrovare il nostro primo principio ed il nostro ultimo fine. Nel Cielo la carità è perfetta, e per questo la gioia è immensa per un peccatore che ritorna a Dio. Questo ci mostra l'ammirabile comunione dei Santi con noi che ancora peregriniamo in terra, e la premura che essi hanno della nostra salvezza eterna.
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