Il nostro lettore Viandante ci invia, lo ringrazio e volentieri pubblico, il seguente testo tratto da: “Breve Apologia della Chiesa di sempre” di R.T. Calmel O.P. (Editrice Ichthys 2007)
EPILOGO
La menzogna modernista
È utile smascherare gli stratagemmi dei modernisti, far vedere che questi eretici mentono quando pretendono di non toccare la Chiesa, ma di aiutarla soltanto a rinnovarsi e ad espandersi. In realtà la tradiscono, vogliono farla morire, perché le strappano ipocritamente ciò che è necessario alla sua vita, per sostituirvi ciò che dovrebbe farla morire se non avesse la promessa divina di superare qualsiasi disastro. In effetti alla Chiesa, che è maestra di verità, i modernisti pretendono di imporre un modo di dire e un tipo di magistero che la muterebbero in una pseudo-profetessa diabolica, che impartisce al mondo una dottrina infinitamente fluida in una fraseologia vagamente cristiana. Alla Chiesa, che dispensa la grazia di Dio tramite i sette Sacramenti e che offre al Signore l’unico vero Sacrificio, pretendono di imporre un altro Messale ed un altro rituale che generalizzerebbero la liturgia in una misera impresa di rappresentazioni sedicenti religiose.
La tara essenziale dei modernisti è la menzogna: mentono e vorrebbero trasformare la Chiesa nella perfetta istituzione della menzogna universale. A questo scopo si applicano a spogliarla di tutto ciò che la fa vera. Vogliono toglierle tutti i mezzi indispensabili e tradizionali che la fanno essere vera: il potere di giurisdizione e anche il potere d’ordine sono minacciati nella loro efficienza dalla collegialità, la Messa è esposta all’invalidità per l’alterazione dei riti; il dogma scompare per l’abbandono sistematico delle formule irreformabili; la santità infine si dissolve in fantasticherie umanitarie in forza dello pseudo messianismo.
L’agonia della Chiesa
Avendo dunque il modernismo fatto entrare la Chiesa in agonia, ne consegue che non è sufficiente una meditazione, anche se pia ed apologetica, sulla natura della Chiesa per tenersi all’altezza della prova che l’opprime. Bisogna anche, e ciò è molto urgente, vegliare presso il Signore Gesù che è in agonia nella sua Chiesa. “Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo; non bisogna dormire durante questo tempo” (Pascal). Egli sarà in agonia nella sua Chiesa fino alla fine del mondo, innanzi tutto nel senso che continuerà a soffrire nei suoi membri già provati e che, per il Suo amore, si offrono volentieri o almeno non si rifiutano ai tormenti della malattia, alle persecuzioni dei nemici esterni, alle rinunce anche crudelissime, che esige la fedeltà assoluta alla legge della grazia. Tuttavia, in alcuni periodi particolarmente terribili – e noi siamo in uno di questi periodi – Gesù è in agonia nella sua Chiesa in un altro modo, che non fa che aggiungersi al precedente; è in agonia perché la sua Chiesa è ostacolata, beffeggiata, contrariata, combattuta dall’interno nel suo compito essenziale di dispensatrice della Redenzione. Non che essa stia per sparire, perché le porte degli inferi non prevarranno, ma i suoi propri figli, e, tra i suoi figli, alcuni capi della gerarchia, la maltrattano con tanta villania e cattiveria che avanza soltanto ricadendo a ogni passo, sfinita e languente. E similmente, benché la santità permanga zampillante e pura, non è raro che venga travestita e caricaturizzata da contraffazioni vilissime.
Il nostro dovere
Questa è una delle forme che prende l’agonia del Signore nella Sua Chiesa ai giorni nostri. Non bisogna dormire durante questo tempo. Ma come vegliare e tenerGli compagnia?
Innanzitutto raddoppiare la preghiera in pace e amore. Poi, costatando che è oramai impossibile partecipare alla vita della Chiesa senza esporsi ad ogni genere di noie, non retrocedere davanti a questa sofferenza, ma sopportarla in unione con la Chiesa, anch’essa sofferente e oppressa.
Vogliamo qualche esempio?
Dobbiamo a qualsiasi costo perseverare nello studio delle Sacre Scritture, mentre si moltiplicano gli ostacoli per impedire di approfondirle e nutrircene.
Non dobbiamo esitare ad affrontare dei disagi per andare saggiamente in aiuto di quei sacerdoti che celebrano la Messa di sempre.
Ugualmente non dobbiamo esitare, malgrado l’umiliazione che forse ci attende, ad elevare verso un’autorità ecclesiastica, che spesso ci deride, la nostra rispettosa ma instancabile richiesta per farci restituire la Scrittura, il catechismo e la Messa.
Dobbiamo ancora e soprattutto far la fatica di cercare, in questa Santa Chiesa che i modernisti vogliono de-spiritualizzare, i mezzi che non le mancheranno mai per conservare il primato della preghiera e della contemplazione.
Attraverso questi esempi possiamo intravedere ciò che significa vegliare con Gesù che è in agonia nella Chiesa. Non riusciremo del resto a vegliare così se Egli non ce ne renderà capaci per mezzo della sua Chiesa stessa. Ben lungi dal dire che noi soffriamo a causa della Chiesa, diremo piuttosto che soffriamo con la Chiesa, in unione con lei e questo grazie agli aiuti divini che la Chiesa, dal fondo della sua difficoltà, continua a prodigarci.
Restando più che mai uniti alla Chiesa in questa situazione eccezionalmente crudele, noi confessiamo così la nostra fede nella Chiesa. In questi tempi di persecuzione incruenta, questa veglia durante l’agonia è la forma che riveste la nostra confessione di Fede. Consideriamo da più vicino i caratteri particolari che essa presenta. Il modernismo non attacca apertamente, ma subdolamente e dissimulatamente, introducendo ovunque l’equivoco. Perciò confessare la fede di fronte ad autorità moderniste significa rifiutare ogni equivoco sia nei riti che nella dottrina. Significa attenersi alla Tradizione perché essa, sia nelle definizioni dogmatiche che nell’ordinamento rituale è precisa, leale e irreprensibile. Principalmente per i riti della Messa, possiamo ben vedere che non confesseremo pienamente la Fede della Chiesa nella Messa, che non rifiuteremo categoricamente la mortale ambiguità modernista se non conserveremo nella celebrazione stessa il rito tradizionale più che millenario e che non offre nessuna presa all’eresia. Accettare i nuovi riti, pur mettendo nella loro celebrazione una reale pietà, pur predicando rettamente sulla Messa, non è certo una confessione di Fede che non lascia aditi all’eresia modernista né un rifiuto sufficiente dell’eresia nella sua forma attuale. Infatti, se noi accettiamo la nuova celebrazione polivalente, eccoci impegnati, in forza di questo cedimento, sul cammino del rinnegamento in atto. Che cosa possono fare allora le attestazioni verbali o i gesti pii? Non saranno altro che una contraddizione aggiunta all’equivoco. Di fronte a delle autorità che vogliono imporre la menzogna sotto la sua forma peggiore – la forma modernista – e in mezzo ad un popolo cristiano sconcertato da questa impostura senza precedenti, ci rendiamo subito conto che confessare pienamente la fede nella Chiesa custode della vera Messa significa innanzi tutto continuare a celebrare la Messa di sempre. Se è vero che ciò non avviene senza sofferenza, non è meno vero che la Chiesa della quale celebriamo la vera Messa, ci dà, proprio attraverso questo, la forza per sopportare questa pena con coraggio e agevolmente.
Vivere della Tradizione con intelligenza e fervore
Mantenere integri l’insegnamento e i riti non significa immobilità pietrificata o smorta pratica, ma permanenza ordinata e viva. In periodo di rivoluzione, mantenere integro significa non lanciarsi negli adattamenti dell’insieme, per la semplice ragione che l’autorità che presiede l’insieme è inesistente, se non si è resa essa stessa complice del disordine. Bisogna limitarsi agli adattamenti circoscritti alla piccola sfera della nostra autorità reale; in questi limiti, però, in virtù dell’amore fervente e saggio per la Tradizione, non bisogna essere timorosi degli adattamenti che sono richiesti per la vita stessa della Tradizione. Anche in periodo di rivoluzione liturgica, per esempio, la conservazione fedele non solo del latino, ma anche dei formulari anteriori a Paolo VI, non deve impedire l’attenzione che bisogna avere per la diversità delle assemblee cristiane che domandano di partecipare al culto liturgico.
In periodo di rivoluzione, mantenere integra la Tradizione non significa non vivere, ma vivere nell’ordine (nell’ordine limitato al nostro piccolo fortino, che si tiene in contatto con altri fortini intorno), perché l’insieme del territorio è sistematicamente abbandonato all’anarchia. Vivere nell’ordine, anche se all’interno di stretti limiti, è l’opposto di sonnecchiare, mugugnare senza far niente, consumarsi di rabbia impotente e di disgusto. Significa fare, nei limiti che ci impone la rivoluzione, il massimo di ciò che possiamo fare per vivere della Tradizione con intelligenza e fervore. Vigilate et orate.
Apprezzo molto il comportamento di chi non si limita a dare buoni consigli sulla gestione del blog, ma collabora proponendo e promuovendo contenuti validi per la riflessione e l'edificazione di tutti.
RispondiEliminaSi può costruire la resistenza anche partecipando più attivamente, ognuno secondo le proprie possibilità e disponibilità di tempo, alimentando la condivisione.
Ed ecco realizzarsi l'intento di non tacere la denuncia o la critica - che costa non poco e non è mai fatta a cuor leggero - quando necessaria soprattutto per ribadire e ripristinate la verità, ma di privilegiare il contenuto nutriente e divulgativo.
Ancora grazie a Viandante e ad maiora in questa direzione!
Forse non tutti conoscono padre Calmel, religioso domenicano morto nel 1975, ecco qualche link in italiano:
RispondiEliminahttp://www.riscossacristiana.it/breve-apologia-della-chiesa-di-sempre-di-p-roger-thomas-calmel-op-invito-alla-lettura/
http://www.corrispondenzaromana.it/il-padre-calmel-e-la-crisi-della-chiesa/
http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=654:breve-apologia-della-chiesa-di-sempre&catid=52:libri&Itemid=120
http://www.salve-regina.com/salve/P._Calmel,_O.P.