Si tratta di questioni già espresse separatamente e più diffusamente trattate in precedenti analisi. Qui sono unificate nell'essenziale ed efficacemente agganciate al problema ineludibile del nostro oggi.
Alcuni esempi pratici della storia della Chiesa
I - S. Pietro e l’incidente di Antiochia (49 d. C.)
Già nel 50 d. C., neppure 20 anni dopo la morte di Gesù, al Concilio di Gerusalemme, si assisté ad un fatto riportato dalla S. Scrittura, commentato dai Padri ecclesiastici, dai Dottori scolastici e dagli storici della Chiesa . Infatti è divinamente rivelato che, qualche tempo prima, San Pietro ad Antiochia si comportò in maniera riprovevole e San Paolo lo rimproverò.
Questo incidente “riprovevole” lo troviamo divinamente Rivelato in S. Paolo (Epistola ai Galati, II, 11), il quale afferma: «Ho resistito in faccia a Pietro, poiché era reprensibile[1]».[2]
Secondo la Tradizione patristica e scolastica (S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino) S. Pietro peccò venialmente di fragilità nell'osservare le cerimonie legali dell’Antico Testamento, per non scandalizzare i giudei convertiti al Cristianesimo, ma provocando così lo scandalo dei cristiani provenienti dal paganesimo convertitisi al Vangelo. E secondo la divina Rivelazione vi fu una resistenza pubblica di Paolo verso Pietro, primo Papa[3].
Quindi S. Pietro non errò contro la Fede, come sostennero erroneamente gli anti-infallibilisti durante il Concilio Vaticano I, anche se con il suo agire commise un peccato veniale di fragilità a differenza di Onorio che peccò gravemente senza cader nell’eresia formale, ma solo favorendola per debolezza e negligenza.
Dunque Pietro peccò solo venialmente e di fragilità, ma, quando Paolo gli resistette in faccia e pubblicamente (Epistola ai Galati, II, 11), Pietro ebbe l’umiltà di correggere il suo errore di comportamento che avrebbe potuto portare all’errore dottrinale dei Giudaizzanti. Non si può negare la resistenza di Paolo a Pietro perché è divinamente Rivelata: “Resistetti in faccia a Cefa, poiché era reprensibile […] alla presenza di tutti” (Galati, II, 11, 14)[4].
II - L’empio Nestorio (381-431) nega la Maternità divina di Maria
Un altro fatto ampiamente commentato dagli storici della Chiesa è quello avvenuto con Nestorio patriarca di Costantinopoli circa 350 anni dopo l’incidente di Antiochia.
Dom Prospero Guéranger, nella sua nota opera L'Année Liturgique, scrive: «il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell'immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall'alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: "Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità". A queste parole la moltitudine fremette inorridita: interprete della generale indignazione, Eusebio di Doriles, un semplice laico, si levò in mezzo alla folla a protestare contro l'empietà. [...] Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l'elogio dei Concili e dei Papi!» (Dom Prospero Guéranger, L’anno liturgico, trad. it., Edizione Paoline, Alba, 1959, vol. I, pp. 795-796).
III - Papa Onorio I (625-628)
Fra i vari esempi di fatti del genere, indicati dalla storia della Chiesa, risalta, in terzo luogo neppure 200 anni dopo il caso di Nestorio, quello di papa Onorio I. Questo Papa visse nel tempo in cui l'eresia monotelita faceva stragi nella Chiesa d'Oriente. Negando l'esistenza di due volontà in Gesù Cristo, i monoteliti rinnovavano l'assurdo che Eutiche introdusse nel dogma, quando pretese che in Gesù Cristo ci fosse soltanto una natura, composta dalla natura divina e da quella umana.
Il patriarca di Costantinopoli, Sergio, abilmente insinuò nello spirito di Onorio I che la predicazione delle due volontà del Salvatore causava soltanto divisioni nel popolo fedele. Accondiscendendo ai desideri del patriarca, che erano anche quelli dell'imperatore, papa Onorio I proibì che si parlasse delle due volontà del Figlio di Dio fatto uomo.
Il Pontefice non si rese conto che il suo gesto (non formalmente e positivamente eretico) lasciava il campo libero alla diffusione dell'eresia o la favoriva.
Per questa ragione non si doveva prestare a esso attenzione come pure riguardo all’affermazione di Nestorio sulla Divina maternità di Maria SS. e all’agire pratico di S. Pietro ad Antiochia.
Onorio non era stato positivamente o formalmente eretico, ma vittima dei raggiri di Sergio, cui imprudentemente e negligentemente aveva acconsentito senza impegnarsi nella difesa della dottrina cattolica ortodossa. Perciò S. Leone II condannò Onorio più per la sua negligenza che per una consapevole eterodossia.
Nel III Concilio ecumenico di Costantinopoli (680-681) papa S. Agatone (678-681) il 28 marzo del 681 condannò papa Onorio per aver aderito imprudentemente all’eresia (DB 262 ss. / DS 550 ss.) senza specificare se si trattasse di eresia materiale o formale. Ma nel Decreto di ratifica del Concilio Costantinopolitano III papa S. Leone II (682-683) specificò il 3 luglio 683 (DB 289 ss. / DS 561 ss.) i limiti della condanna di Onorio, che “non illuminò la Chiesa apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica, ma permise che la Chiesa immacolata fosse macchiata da tradimento” (DS 563). Onorio, quindi, si era macchiato di eresia materiale ed aveva favorito l’eresia.
Inoltre Onorio non aveva definito né obbligato a credere la tesi di una sola azione in Cristo contenuta nell’ambigua Dichiarazione dell’Epistola di Sergio a lui inviata. Quindi Onorio non aveva voluto essere assistito infallibilmente in tale atto, ma aveva utilizzato una forma di magistero autentico “pastorale e non infallibile”[5]. Perciò egli aveva potuto sbagliare, anche se per ingenuità e mancanza di fortezza, ma senza infrangere il dogma (definito poi dal Concilio Vaticano I) della infallibilità pontificia, come invece sostennero i protestanti nel XVI secolo e la setta dei “vecchi cattolici” nel secolo XIX. In breve Onorio aveva favorito l’eresia peccando, così, gravemente, ma non era stato eretico.
La regola generale
Dom Guéranger, quindi, enuncia un principio generale: «Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai Vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede i loro capi. Ma nel tesoro della Rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, per il fatto stesso ch'è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia[6]. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio, gli sbandamenti simili a quelli di Onorio e le “eccessive prudenze” simili a quelle di S. Pietro ad Antiochia non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori eccezionalmente tacciano, per un motivo o per l'altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta. In tali congiunture, i veri fedeli sono quelli che attingono solo nel loro battesimo l'ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono per aderire al nemico o per opporre alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro». (Ivi).
Importanza della Tradizione
Il valore della Tradizione è tale che anche le Encicliche e gli altri documenti del Magistero ordinario del Sommo Pontefice in cui non si vuol definire né obbligare a credere sono infallibili soltanto negli insegnamenti confermati dalla Tradizione (Pio IX, Lettera Tuas libenter, 1863), cioè da un continuo insegnamento della dottrina, svolto da diversi Papi e per un ampio lasso di tempo.
Di conseguenza, l'atto del Magistero ordinario di un Papa che non definisce né obbliga a credere, il quale contrasti con l'insegnamento garantito dalla Tradizione magisteriale di diversi Papi e attraverso un considerevole lasso di tempo, non dovrebbe essere accettato.
Norma per giudicare le novità
Custodiamo, quindi, con il massimo rispetto e con la massima attenzione, il criterio di verifica nei confronti delle novità che sorgono nella Chiesa: se si accordano con la Tradizione apostolica, bene. Se non si conformano, ma si oppongono alla Tradizione, oppure la sminuiscono non devono essere accettate.
Tradizione, certo, non è immobilismo. È crescita, ma nella stessa linea, nella stessa direzione, nello stesso senso, crescita di esseri vivi, che si conservano sempre gli stessi.
Detto questo, prendiamo come norma il seguente principio: “quando è evidente che una novità si allontana dalla dottrina tradizionale, è certo che non deve essere ammessa” (mons. Antonio De Castro Mayer, Lettera pastorale Aggiornamento e Tradizione, 11 aprile 1971, Diocesi di Campos in Brasile).
Quindi la Gerarchia può eccezionalmente errare e in tal caso si può lecitamente resistere ad essa pubblicamente, ma con il rispetto dovuto all’Autorità.
Occorre continuare a fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto prima che l’errore e la confusione penetrassero nella quasi totalità dall’ambiente ecclesiastico (S. Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 5) e credere ciò che la Chiesa ha sempre, ovunque insegnato universalmente (“quod semper, ubique et ab omnibus”).
Il Dottore Angelico, in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente ad una decisione papale, come San Paolo resistette in faccia a San Pietro: «essendovi un pericolo prossimo per la Fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così San Paolo, che era soggetto a San Pietro, lo riprese pubblicamente, a motivo di un pericolo imminente di scandalo in materia di Fede. E, come dice il commento di Sant’Agostino, “lo stesso San Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, se mai si allontanassero dalla retta strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. 2, 14)».
Franciscus De Vitoria scrive: «Secondo la legge naturale è lecito respingere la violenza con la violenza. Ora, con ordini e dispense abusive, il Papa esercita una violenza, perché agisce contro la legge. Quindi è lecito resistergli. Come osserva il Gaetano, non facciamo questa affermazione perché qualcuno abbia diritto di giudicare il Papa o abbia autorità su di lui, ma perché è lecito difendersi. Chiunque, infatti, ha il diritto di resistere ad un atto ingiusto, di cercare di impedirlo e di difendersi»[8].
Francisco Suarez: «Se [il Prelato] emana un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve ubbidire: se tenta di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarà lecito resistergli; se attaccherà con la forza, potrà essere respinto con la forza, con quella moderazione propria della legittima difesa»[9].
San Roberto Bellarmino: «Com’è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore»[10].
d. Curzio Nitoglia
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1. ‘Reprensibile’, dal latino ‘re-prehendere’, degno di essere rimproverato, biasimato, corretto, disapprovato, criticato, ammonito come erroneo (N. Zingarelli, ivi).
2. «La frase “era reprensibile” (della Vulgata) da alcuni esegeti è tradotta […] “messo dalla parte del torto”. È spiegato il fallo o il torto di Pietro, fallo definito con ogni precisione già da Tertulliano come sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescriptione haereticorum, XXIII)» (G. Ricciotti, Le Lettere di S. Paolo, Coletti, Roma, 1949, 3ª ed., pp. 227-228).
3. È vero che secondo Tertulliano il peccato di Pietro fu uno “sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescr. haeret., XXIII). Tuttavia “Per S. Agostino Pietro commise un peccato veniale di fragilità, preoccupandosi troppo di non dispiacere ai giudei convertiti al Cristianesimo ...” (J. Tonneau, Commentaire à la Somme Théologique, Cerf, Paris, 1971, p. 334-335, nota 51, S. Th., III, q. 103, a.4, sol. 2). Secondo S. Tommaso d’Aquino “sembra che Pietro sia colpevole di uno scandalo attivo” (Somma Teologica, III, q. 103, a.4, ad 2). Inoltre l’Angelico specifica che Pietro ha commesso un peccato veniale non di proposito deliberato ma di fragilità (cfr. Quest. disput., De Veritate, q. 24, a. 9; Quest. Disput., De malo, q. 7, a. 7, ad 8um) per un'eccessiva prudenza nel non voler contrariare i giudei convertiti al Cristianesimo.
4. Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
5. Cfr. Enciclopedia dei Papi, cit., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, 1° vol., pp. 585-590, voce Onorio I, a cura di Antonio Sennis.
6. Si pensi all’attuale linea pastorale 1°) riguardo alla morale (Francesco I / card. Walter Kasper), che vorrebbe concedere i Sacramenti ai peccatori ostinati nel peccato, che non vogliono correggersi e pretendono di ricevere egualmente i Sacramenti. Ogni cristiano che ha studiato il Catechismo sa che secondo la Legge divina ciò non è possibile. Quindi deve prendere posizione contro tale linea da qualsiasi parte venga. 2°) Dal punto di vista dogmatico si pensi alle novità della collegialità episcopale (Lumen gentium), del panecumenismo (Unitatis redintegratio, Nostra aetate), delle due fonti della Rivelazione ridotte ad una: la “sola Scrittura” (Dei Verbum), del pancristismo teilhardiano (Gaudium et spes), della libertà delle false religioni (Dignitatis humanae). 3°) Dal punto di vista liturgico si pensi al Novus Ordo Missae del 1968, che “si allontana in maniera impressionante dalla teologia cattolica sul Sacrificio della Messa come fu definita dal Concilio di Trento” (card. Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, Lettera di presentazione a Paolo VI del Breve Esame Critico del NOM). Son casi in cui è lecito e doveroso sospendere l’assenso alle decisioni novatrici del magistero pastorale o non infallibile del Concilio Vaticano II e del post-concilio.
7. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II , q. 33, a. 4, ad 2.8. Franciscus De Vitoria, Obras de Francisco de Vitoria, BAC, Madrid 1960, pp. 486-487.
9. Franciscus Suarez, De Fide, in Opera omnia, cit., Parigi 1858, tomo XII, disp. X, sect. VI, n. 16.
10. San Roberto Bellarmino, De Romano Pontifice, in Opera omnia, Battezzati, Milano 1857, vol. I, lib. II, c. 29.
Osservazione meramente sulla forma. Se preferite sul'apparenza.
RispondiEliminaPiù che "Già nel 50 d. C., neppure 20 anni dopo la *morte* di Gesù" penso sarebbe stato più bello scrivere: " Già nel 50 d. C., neppure 20 anni dopo l'ASCENSIONE di Gesù".
Si tratta di questioni già espresse separatamente e più diffusamente trattate in precedenti analisi. Qui sono unificate nell'essenziale ed efficacemente agganciate al problema ineludibile del nostro oggi.
RispondiEliminaIl Bellarmino nel De Romano pontifice chiarisce che è possibile che un Papa possa cadere in eresia, ovviamente è una evenienza assai improbabile ma comunque possibile.
RispondiEliminaSempre il Bellarmino sostiene nella stessa opera citata da Don Curzio, che un papa che cade in eresia manifesta (il che non significa propugnare una eresia in un atto di magistero solenne o ex-cathedra, bensi rendere nota pubblicamente una sua posizione eretica), perde "ipso facto", il pontificato.
Il Bellarmino procede in modo assai limpido.
Essendo evidente che nessuno può essere costretto da Dio ad agire in un modo piuttosto che in un'altro (perchè in tal caso vi sarebbe la negazione del libero arbitrio e l'affermazione eretica del servo arbitrio), ne decade che anche per un papa non vi può essere la costrizione a fuggire l'eresia, (così come per chiunque altro), anche se la grazia di stato di cui il papa gode rende questo avvenimento molto improbabile, seppure possibile.
Ora il punto più stringente e di assoluta attualità a me pare proprio questo.
Non si tratta di stabilire se e quando il fedele possa opporsi agli errori di un superiore o del papa stesso, quanto piuttosto stabilire se il fedele possa o meno continuare a riconoscere la sussitenza del primato e la permanenza della carica papale nel caso l'eletto al soglio si manifestasse eretico.
In tale caso Roberto Bellarmino, Cardinale, Santo e Dottore della Chiesa afferma che il papa che cade in eresia decade IPSO FACTO e pertanto non serve al fedele nè a nessun altro alcuna autorità o dichiarazione per ritenere decaduto l'eretico.
E' cosa certo utile quindi sapere se, come e quando è lecito resistere al papa, seguendo le illuminanti lezioni di Teologi e Dottori della Chiesa come il Bellarmino, il Suarez o il Billot, ma ritengo assai più stringente, attuale e fondamentale sapere che il papa caduto in eresia non è più papa "ipso facto" e non gli si deve più alcuna obbedienza (sempre se vogliamo dare retta al
Bellarmino piuttosto che a chi sostiene assurdamente che un papa eretico resta ugualmente papa.)
E' urgente poi aderire strettamente alla posizione del Bellarmino, sia perchè teologicamente fondatissima, sia perchè razionalmente coerente, sia perchè altamente autorevole ed in ultimo ma non ultimo, perchè assolutamente certa e non più soltanto probabile come al tempo del Bellarmino stesso.
L'eresia manifesta di un Papa al tempo del Bellarmino era da ritenersi solo probabile non essendo mai avvenuto che un papa fosse caduto in eresia manifesta, ma oggi essendo stato eletto papa il Bergoglio, il possibile è divenuto certo e non perchè lo dico io, ma semplicemente perché Bergoglio ha pubblicamente e ripetutamente ed ostinatamente propugnato in pubblico svariate e palesi eresie su cui sono stati spesi fiumi di parole e scritte molteplici pagine di articoli
e libri, riportanti fatti ed affermazioni ampiamente noti.
Ognuno ora in coscienza agisca secondo quanto ritiene opportuno a lode e gloria di Dio e non per umano rispetto o opportunità, viltà o comodo.
Come si vede nel mio commento non mi sono mai neppure lontanamente permesso di offendere nessuno ed ho solo riportato la tesi teologica di un Santo e Dottore della Chiesa, che condivido appieno.
Chiedo umilmente in nome della Verità che rende liberi, di non essere censurato.
Grazie in anticipo e sempre si lodato Gesù Cristo.
Ma infatti "anomimo" oggi al papa è talmente facile resistergli in faccia (così come lo era con gli altri prima di lui che ci hanno portato allo sfacelo) perchè non si è mai pronunciato ex cathedra e dunque dove sta il problema?
RispondiEliminaO mica sarà anche lei uno dei soliti sedevacantisti che non sanno distinguere i livelli di Magistero di un papa? Mi pare poi che il Dogma sull'infallibilità papale sia chiaro e dunque? O anche lei pensa che ci voglia un "concilio imperfetto" per destituire il papa? Ma vogliamo fare ridere i polli?
Come evitare uno scisma?
RispondiEliminaIn tre mesi lo scisma polverizza tutti in una sabbia fina fina di gruppettini.
Se c'è la certezza che è già decaduto (occorre un elenco di eresie con rimandi circostanziati;le prove. Non colpi di sdegno a sentimento)si proceda nelle sedi appropriate.Non si può deporre ufficialmente via blogs.
Non si può deporre ufficialmente via blogs.
RispondiEliminaInfatti. Via blog si può solo continuare a fare ciò che facciamo. Riaffermare la retta fede.
@ All'Anonimo che sostiene esser Papa Francesco formalmente eretico
RispondiEliminaCito dal vol. I di Bernard Bartmann, "Precis de Theologie dogmatique", tr. fr., 1951, par. 8, p. 61. Traduzione mia.
"Quando una proposizione contraddice direttamente un dogma propriamente detto, la censura teologica la qualifica come eresia (propositio o sententia haeretica). Si distingue tra eresia formale ed eresia materiale, secondo che si opponga a un dogma formale o a un dogma materiale [in relazione alla loro proclamazione da parte della Chiesa - ivi, p. 25]. La teologia morale intende quest'espressione in un altro senso. Quando l'opinione riprovata concerne una verita' cattolica, la censura la considera errore (sententia erronea, errori in fide, error catholicus). La "sententia haeresi proxima, haeresim sapiens" e' opposta alla "sententia fidei proxima". L'eresia ha il suo fondamento in una volonta' malvagia; l'errore in una intelligenza debole".
Commento : Secondo il Codice di diritto canonico, l'eresia e' la negazione ostinata da parte del battezzato di una qualche verita' che si deve credere di fede divina e cattolica o il dubbio ostinasto su di essa" (c. 751). Ora, la "negazione" fa vedere l'errore nella fede, frutto di una intelligenza "debole"; la "ostinazione" la presenza di una "volonta' malvagia". Perche' l'eretico possa definirsi tale in senso formale, cioe' secondo la natura della cosa compiuta nella sua forma, ci devono essere sia l'errore nella fede che l'ostinazione nell'errore ossia la volonta' malvagia, quella che lo fa indurire nell'errore e ve lo mantiene (eresia come peccato). Ora, di fronte alla ostinazione cioe' alla ripetizione dell'errore nella fede, come dimostriamo che proviene effettivamente da una volonta' malvagia? Tale dimostrazione non e' sempre presunta? La Chiesa non entra nelle coscienze. E allora, come se ne esce? Con l'applicazione del principio d'autorita'. Deve esser l'autorita' della Chiesa a dichiarare, dopo ripetuti ammonimenti, che quell'ostinazione presume l'esistenza di una volonta' malvagia ossia dell'animus dell'eretico. Noi fedeli non abbiamo quest'autorita', per questo dobbiamo limitarci a proclamare, quando c'e', lo "error in fide" e combatterlo.
Circa la tesi di Bellarmino: cosa intende egli esattamente con "eresia manifesta" da parte del Papa? Una dichiarazione apertamente contraria al dogma della fede, sul tipo di quella famosa di Giovanni XXII, sul destino immediato delle anime dei defunti, che egli poi ritratto' dopo l'insurrezione dell'intera Sorbona, che lo attacco' pubblicamente? Ma i teologi della Sorbona dissero che era decaduto da Papa ipso facto? Non mi sono documentato, ma mi sembra di no. Attaccavano dunque l'error in fide del Papa (o eresia in senso solo materiale), che inizialmente tento' di difendersi, per costringerlo a ritornare alla retta dottrina.
Prudenza non dovrebbe suggerire anche a noi un comportamento simile, senza presumere di poter andar oltre? PP