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mercoledì 23 marzo 2016

Danilo Quinto. Il silenzio di Dio

Ho rivisto, in questi giorni, il Vangelo Secondo Matteo, di Pier Paolo Pasolini. A qualcuno potrà non piacere, ma ho sempre amato Pasolini. Lo considero il più grande poeta italiano del Novecento e, insieme a Leonardo Sciascia, l’ultimo intellettuale italiano. Sono stato lettore accanito di entrambi. Mi sono appassionato alla politica sui loro scritti. [...]

Vangelo Secondo Matteo è un’opera d’arte universale, un capolavoro della storia del cinema. Per la forza della Parola, che duemila anni fa si fece storia; dei volti pasoliniani, proposti attraverso primi piani di immensa e commovente profondità; delle rudi pietre dei luoghi scelti, calpestate dai piedi nudi di Cristo e degli Apostoli; dell’incanto della musica, che cadenza le sequenze e gli episodi; del fascinoso splendore del bianco e nero, insuperabile. 

Ma quest’opera d’arte ha un elemento che sbaraglia il campo per la sua forza dirompente. Lo propose Alberto Moravia, in una memorabile recensione del film pubblicata in un numero de L’Espresso del 4 ottobre 1964. Scrisse Moravia: 
«Le sequenze silenziose del Vangelo secondo Matteo sono le più belle, appunto perché il silenzio è il mezzo più sicuro per farci fare il salto vertiginoso all'indietro che ci propone Pasolini con il suo film. La parola è sempre storica; il silenzio si pone fuori della storia, nell'assolutezza delle immagini: il silenzio della Annunciazione, il silenzio che accompagna la morte di Erode, il silenzio degli apostoli che guardano Gesù e di Gesù che guarda gli apostoli, il silenzio di Giuda che sta per tradire, il silenzio di Gesù che sa di essere tradito. Il silenzio nel film di Pasolini non è, d'altra parte, quello del cinema muto, cioè un silenzio per difetto; bensì è il silenzio del parlato, cioè un silenzio plastico, espressivo, poetico».
Il silenzio che colse e usò Pasolini è insieme struggente e dilaniante, sapiente e efficace, soave e fragoroso. Vero. Di quella Verità che parla all’anima, che la alimenta, la sostiene e la sorregge. E’ la riproposizione poetica del silenzio di Dio. «Come mostra la croce di Cristo», scriveva Benedetto XVI nell’Esortazione Apostolica Verbum Domini del 2010, 
«Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; Mt 27,46). Procedendo nell’obbedienza fino all’estremo alito di vita, nell’oscurità della morte, Gesù ha invocato il Padre. A Lui si è affidato nel momento del passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46)». L’uomo deve fare i conti con questo silenzio e con questo apparente abbandono, nella sua esperienza terrena. Aggiungeva Benedetto XVI: «Questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la Parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio. È un’esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti. Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio. Pertanto, nella dinamica della Rivelazione cristiana, il silenzio appare come un’espressione importante della Parola di Dio».
Il mistero del silenzio di Dio nei confronti di Suo Figlio, ci aiuta ad accettare tutto, su questa terra. Con serenità e docilità. Con fiducia e amore. Comprese le iniziative del segretariato della Conferenza Episcopale Italiana, che non s’immischia sul matrimonio sodomitico, sull'aborto, sull'eutanasia - che si sta dibattendo alla Camera - e su tutte le questioni che riguardano la vita, ma interviene sulle trivelle, invitando le parrocchie a «dibattere alla luce dell'Enciclica “Laudato Sì” di papa Francesco». Comprese le parole sul Figlio di Dio che pronuncia il Papa, che nella meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta dello scorso 15 marzo, ha affermato che dobbiamo «guardare il Crocifisso e guardare proprio questo mistero: un Dio “svuotato” della sua divinità — totalmente! — per salvarci» ed ha aggiunto che San Paolo, «parlando di questo mistero, dice che Gesù svuotò se stesso, umiliò se stesso, si annientò per salvarci. L’apostolo, anzi, suggerisce un’espressione ancora più forte: “Si è fatto peccato”. Allora, volendo usare il simbolo biblico, potremmo dire: “Si è fatto serpente”. Ed è questo il messaggio profetico di queste letture di oggi. Il Figlio dell’uomo, che come un serpente, “fatto peccato”, viene innalzato per salvarci». Comprese le parole del Papa del 14 settembre 2015: «Cristo annientò se stesso: si è fatto peccato per noi, Lui che non conosceva peccato. Questo, perciò, è il mistero e noi possiamo dire: si è fatto come un serpente, brutto che fa schifo, per modo di dire».

Che cosa vogliamo che sia, a confronto del silenzio di Dio, che attraverso il sacrificio di Suo Figlio salva l’umanità, dire che Cristo sulla Croce si svuota della sua divinità, negando la Sua dignità regale e la Sua Potestà sul Cielo e sulla Terra o interpretare con il potremmo dire le Sacre Scritture o definire Cristo brutto che fa schifo o scrivere un documento post-sinodale, che come anticipa il cardinale Kasper «sarà una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni»?

Cristo darà a ciascuno la giusta ricompensa per i comportamenti che terremo nella nostra vita e tra i Suoi lasciti ci ha consegnato il silenzio di Suo Padre, con il quale sancisce il Suo vincolo d’amore con i Suoi figli, coloro che restano inginocchiati alla Sua Croce e solo ad Essa. Le voci che odano attorno sono – come spesso è accaduto nella storia dell’umanità – voci di lupi. I figli di Cristo non si lascino spaventare o confondere o atterrire. Preghino per costoro, perché Dio faccia cessare i loro ululati, i loro latrati e le loro bestemmie. Restino saldi nella loro fede, come consiglia di fare San Paolo ed abbiano come loro obiettivo della loro vita terrena la perfetta imitazione di Cristo. Questi, ha accettato la morte che hanno decretato i suoi nemici, amandoli e si è abbandonato alla volontà di Suo Padre. Con il sepolcro che si scoprirà vuoto e con la Sua Resurrezione del terzo giorno, ci ha consegnato la Sua forza, il Suo coraggio, il Suo amore per la Verità e per il Padre Suo. E’ questo che veramente conta. Per l’eternità. Il resto, i lupi, sono stati già vinti dall’Agnello.
Danilo Quinto - http://daniloquinto.tumblr.com/

34 commenti:


  1. "Le apprensioni dei cattolici alla vigilia dell’Esortazione post-sinodale
    dell’Esortazione"


    di Roberto de Mattei

    http://www.corrispondenzaromana.it/le-apprensioni-dei-cattolici-alla-vigilia-dellesortazione-post-sinodale/

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  2. Non sono in postazione. C'è da chiarire bene queel'accenno al 'serpente' (e a Mosè) che non so se il Papa ha fatto e non potrebbe mancare. Dovrò guardare il resto del discorso. E molto c'è da dire anche sul "si è fatto peccato". Va chiarito molto bene... lo farò, spero, entro stasera.

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  3. È disdicevole che quasi ogni espressione del Papa debba essere soggetta ad ermeneutica ad evitare fraintendimenti.

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  4. Per aiutare l'approfondimento:

    Questa è la meditazione mattutina a Santa Marta del 15 marzo '16: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2016/documents/papa-francesco-cotidie_20160315_serpente.html

    Il 14 settembre 2015: https://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2015/documents/papa-francesco-cotidie_20150914_sulla-strada-dell-umilta.html): «Cristo annientò se stesso: si è fatto peccato per noi, Lui che non conosceva peccato. Questo, perciò, è il mistero e noi possiamo dire: si è fatto come un serpente, brutto che fa schifo, per modo di dire».

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  5. Mercoledì santo
    ***
    In nomine Domini omne genuflectatur, caelestium, terrestrium et infernorum:
    quia Dominus factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis: ideo Dominus Iesus Christus in gloria est Dei Patris.
    (Ant. all'Introito. Phil 2, 10, 8, 11)

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  6. L'immagine usata dal Papa, quella del serpente, applicata al passo di S. Paolo e' del tutto sbagliata. Ma e' anche blasfema.

    Si inserisce nell'esegesi dello "svuotamento" o kenosis della sua divinita'che Cristo NS avrebbe effettuato. E' un cavallo di battaglia di Rahner e sodali. In che senso costoro la intendano non e' ben chiaro, forse per negare la divinita' di Cristo in quanto individuo storico e cercare di trasformarlo in un Eone gnostico, incarnatosi in ognuno di noi, secondo che sragiona il Vaticano II (GS 22.2). Si travisa qui un noto passo di S. Paolo, Filipp., 2, 5 ss. "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gesu' [la sua umilta', ed era il Figlio di Dio]. Egli pur possedendo la natura divina, non penso' di valersi della sua uguaglianza con Dio, ma preferi' annientare se stesso (exinanivit - senza nessuna idea di "svuotamento"), prendendo la natura di schiavo e diventando simile agli uomini; e dopo che ebbe rivestito la natura umana, umilio' se stesso ancor di piu', facendosi obbediente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce. Per questo anche Dio lo ha sovranamente esaltato e gli ha dato un nome che e' sopra ogni altro nome etc.".
    Dunque: nessuno "svuotamento" ma "annientamento" della propria divinita' nel senso che essa non venne meno ma fu come nascosta dentro la natura umana della quale NS si era voluto "rivestire" per adempiere la volonta' del Padre, volonta' cui obbedi' sino alla "morte di croce". Si fece "peccato", dice altrove S. Paolo, nel senso che accetto' di subire ingiustamente lo scandalo di esser condannato come un malfattore, peccatore agli occhi della gente. E tutto questo per la nostra salvezza. Invece "il serpente" opero' per la nostra rovina. Il "serpente" era brutto perche' era il Demonio, che ci incita alla rivolta contro Dio e l'ordine da Lui creato. E' un corruttore. Invece NS "fattosi peccato" per noi e umiliatosi a subire la croce per noi, nonostante la sua divinita', manifesta l'obbedienza a Dio cui anche noi siamo tenuti, per ottenere misericordia e salvezza. Esattamente il contrario del "serpente", simbolo di perfidia e ribellione assassina.
    Paragonare pertanto il volto del Signore in Croce a quello del Serpente, oltre che teologicamente errato, e' blasfemo.
    -- Circa il silenzio di Dio. Belle riflessioni di DQ, anche se mi sconcerta il riferimento a Pasolini. Il suo film su Gesu' l'ho visto tanti anni fa, mi sembrava un bel film (pur detestando io Pasolini) anche se (mi sembra di ricordare) Cristo era inteso piu' che altro come un proletario ribelle. Ma forse non mi ricordo bene. Nel momento della morte NS comunque grido' (Mt, 27, 50). Cosa grido'? Ce lo spiega S. Giovanni, che si trovava vicino alla Croce: "Ma quando Gesu' ebbe preso l'aceto, esclamo': - Tutto e' compiuto!. Poi chinato il capo, rese lo spirito (Gv 19, 30)". Non mori' in silenzio. Il silenzio vale come intervallo, come in musica. Conta quello che viene dopo la pausa, come si conclude il discorso o la giornata. parvus

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  7. Paragonare pertanto il volto del Signore in Croce a quello del Serpente, oltre che teologicamente errato, e' blasfemo.

    Quando l'ho letto non mi è piaciuta né l'immagine né il modo in cui è stato espressa. Ho però pensato che si riferisse all'episodio di Mosè nel deserto, quando il popolo di fronte alle difficoltà si ribellò a Dio e molti morivano per il morso di serpenti velenosi. Mosè pregò per il popolo e (Nm 8-9): "Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita."

    Ma questo riferimento doveva essere esplicito, non buttato lì nella solita maniera approssimativa. In ogni caso non c'era bisogno di evocare il serpente di Mosè (è da supporre si riferisse a questo) per la salvezza, quando la nostra salvezza è in Colui che ci ha redenti sull'Albero della Croce....

    Sul "si è fatto peccato" abbiamo parlato qui: http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2013/06/mi-scrive-una-lettrice.html

    In 2 Cor 5,21 leggo dalla Bibbia di Gerusalemme:
    «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché si adempisse...»

    Un conto è "esser trattato da peccato" un conto è "farsi peccato", Inoltre ho detto che "aver preso su di sé = tollit il peccato del mondo" significa che lo ha preso su di Sé non che si è "fatto peccato".
    Il Signore ha subìto il castigo in quanto conseguenza del peccato.

    E' vero che Cristo è vittima del nostro peccato, e ci ha redenti a caro prezzo, infatti!
    Ma non si è addossato il peccato, se ne è addossato la conseguenza, ha condiviso la nostra sorte di "peccatori": cioè il castigo, compiendo l'espiazione al nostro posto!

    Comunque, come ho già scritto, essendo un termine così complesso e la differenza così sottile, non può essere usato come uno slogan in maniera pressapochista e senza spiegazioni.

    Ricordo anche, dalla nota della Bibbia di Gerusalemme, che in ebraico la parola hatta't= peccato, può designare anche il sacrificio o la vittima per il peccato.

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  8. dal link:
    Queste precise parole sono pubblicate, e dunque avallate, da AsiaNews, diretto da un padre missionario che ho sempre stimato e rispettato, ma che sembra non accorgersi di nulla...
    ""La vera riconciliazione, sottolinea Francesco, "è che Dio, in Cristo, ha preso i nostri peccati e Lui si è fatto peccato per noi. E quando noi andiamo a confessarci, per esempio, non è che diciamo il peccato e Dio ci perdona. No, non è quello! Noi troviamo Gesù Cristo e gli diciamo: 'Questo è tuo e io ti faccio peccato un'altra volta'. E a Lui piace quello, perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberare a noi".""

    Questo dice San Paolo:
    Rm 8,3-4 - Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile:mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.
    Eb 4,14-15 - Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.

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  9. Quando apre bocca questo papa c'è da tremare.

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  10. Sì, questa sua opera è bellissima. Pasolini , in una intervista, disse che girando questo film aveva sentito Gesù Cristo vicino vicino; gli credetti e gli credo. Molte volte ho pensato alla sua morte e al suo non aver dato seguito a quella vicinanza.Due fatti per me diventati inscindibili.

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  11. Il VdR da sempre l'impressione di aver studiato, qualsiasi cosa abbia mai studiato, sui "bignamini", e di non averli ripassati da molti, troppi anni. Stesse zitto, farebbe meglio. "Il silenzio è d'oro, la parola di piombo".
    Rr

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  12. Per Parvus: a proposito della “cenòsi” (“kènosis” in greco) che non è “svotamento”: https://www.youtube.com/watch?v=Hjl3qAEnrBI (in particolare da 21:41 circa).

    È una conferenza veramente d’alto livello. Per me è stata illuminante, ma anche impressionante. Quel che fa impressione è scoprire che cos’ha veramente detto il Von Balthasar, ch’è uno dei mostri sacri della teologia posconciliare, venerato in ispecie da tanti conservatori, o difensori volenterosi (in buona fede, non ne voglio dubitare) dell’ortodossia: penso al Del Noce, per esempio, e ai ciellini.

    Senza voler cadere nell’antigesuitismo, che sarebbe un errore, a volte vien proprio voglia di dire: “Imminutae sunt veritates a filiis Ignatii”.

    Maso

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  13. Veramente l'esegesi l'ha fatta Gesù Cristo stesso secondo quanto testimoniato nel vangelo di Giovanni :" E come Mosè innalzò il serpente nel deserto così deve essere innalzato il figlio dell'uomo perchè chiunque creda in Lui abbia la vita eterna".

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  14. Mic, se quello che c'è scritto alle 18.04 è confermato, questa è eresia vera.

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  15. 'Questo è tuo e io ti faccio peccato un'altra volta'. E a Lui **piace quello**, perché è stata la sua missione: farsi peccato per noi, per liberare a noi".""
    Assurdità e .... E...(altre due cose, che avevo pure scritto e poi ho cancellato) prima ancora e più che eresia. Gesù ha espiato i nostri con le sue sofferenze. E non solo e non tanto quelle fisiche, ben mostrate da Mel Gibson, ma anche, principalmente e sopratutto con quelle psicologico-SPIRITUALI. Ovvero il "Mio Dio, perché mi hai abbandonato", oltre ad essere l'inizio di un Salmo di vittoria, è la pallidissima esternazione della sofferenza peggiore: sperimentare quali sono i sentimenti del Padre verso il peccato. Questo è l'unico senso del farsi "peccato" di Nostro Signore.
    Leggere la tale espressione che ho "*asteriscato*", mi crea davvero più che fastidio.

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  16. https://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2013/documents/papa-francesco-cotidie_20130615_fretta-cristiana.html

    (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 137, Dom.16/06/2013).

    1-La vita cristiana deve essere sempre inquieta e mai tranquillizzante e certo non è «una terapia terminale per farci stare in pace fino al cielo».

    (mia sensazione) Sono proprio inquieto! C’è qualcuno che sta trasformando “l’ospedale da campo” in una struttura dedita alla dolce morte (dello spirito), edulcorando la pillola fino a somministrare solo del placebo. Il Medico (Cristo) è stato sostituito da solerti e carezzevoli psicoterapeuti, tanto suadenti nelle parole quanto inefficaci nel mettere mano alle patologie.

    2-… la seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (5, 14-21), «brano un po’ speciale perché sembra che Paolo parta in quarta. È accelerato, va proprio con una certa velocità. L’amore di Cristo ci possiede, ci spinge, ci preme. È proprio questa la velocità che ha Paolo: quando vede l’amore di Cristo non può rimanere fermo». Papa Francesco ha fatto anche notare come nella pagina paolina «per cinque volte si ripeta la parola riconciliazione. Cinque volte: è come un ritornello». Per dire con chiarezza che «Dio ci ha riconciliati con lui in Cristo». San Paolo «parla anche con forza e con tenerezza quando dice: io sono un ambasciatore in nome di Cristo». Poi Paolo, nel proseguire il suo scritto, sembra quasi inginocchiarsi per implorare: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» ed è come se dicesse «abbassate la guardia» per lasciarvi riconciliare con lui. Il senso della riconciliazione non sta semplicemente nel mettere insieme parti diverse e lontane tra loro. «La vera riconciliazione è che Dio in Cristo ha preso i nostri peccati e si è fatto peccato per noi.

    (mia sensazione) La riconciliazione tra Dio e l’uomo che preferisce fare di testa sua è costato il prezzo della crocifissione del Figlio, Verbo fatto carne. Di dogma in dogma, Dio (creatore, eterno e infinito) si è fatto uomo per portare luce nelle tenebre. Gesù, vero Dio e vero uomo, che nel suo vangelo parla apertamente di una lotta contro il demonio, principe del mondo e contro il peccato, suo strumento di schiavitù, si è consegnato, liberamente, in obbedienza alla volontà del Padre, ai propri crocifissori, ebbri di peccato. Gesù è stato ucciso, è veramente morto sulla croce e il terzo giorno è risorto. A questo punto Dio ci chiede di lasciarci riconciliare in Cristo, di morire al peccato e di rinascere dall’alto. Ci chiede conversione. Che cosa ha fatto Gesù: lui, che essendo Dio è sempre stato il SI’ a Dio, ha preso su di sé, portandoli sulle spalle, piagate da questo peso, i NOSTRI peccati (i nostri “NO” a Dio). Ha detto: “hai sbagliato tu? Beh, pago io”. Per amore. Per guarirci. Per toglierci dal marciume. E attende che noi glielo chiediamo e siamo disposti a fidarci, cambiando vita. La Pasqua è un passaggio dalla schiavitù alla libertà, dal peccato alla conversione, dalla morte (spirituale) alla vita! Gesù è la via, la verità e la vita. Gesù NON si è “FATTO PECCATO”. Ha preso i nostri su di sé. Ma se noi non coglieremo l’opportunità, i demoni ritorneranno e la nostra casa sarà messa peggio di prima!
    C’è una bella differenza. In un caso pretendo di sfruttare una macchinetta: metto il gettone e tiro la leva. Una slot machine dove si vince sempre. Degna immagine di quel sistema che stampa denaro dal nulla e che “istruisce” le menti in questo periodo con la sua ideologia. Nell’altro caso si esce da un sistema (falso e omicida, schiavizzante) per vivere in un modo diverso. La grazia di Dio ci trasforma. Non serve a coprire i peccati o ad autorizzarne la replica. Tanto “a Gesù piace”…

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  17. http://www.lachiesa.it/bibbia.php?ricerca=citazione&Cerca=Cerca&Versione_CEI2008=3&Versione_CEI74=1&Versione_TILC=2&VersettoOn=1&Citazione=2Cor%205,17-21

    (Testo CEI74)
    5
    17Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
    18Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. 19E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. 20Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. 21Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

    (Testo TILC)*
    5
    17Perché quando uno è unito a Cristo è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate; tutto è diventato nuovo.
    18E questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ha dato a noi l'incarico di portare altri alla riconciliazione con lui. 19Così Dio ha riconciliato il mondo con sé per mezzo di Cristo: perdona agli uomini i loro peccati e ha affidato a noi l'annunzio della riconciliazione. 20Quindi, noi siamo ambasciatori inviati da Cristo, ed è come se Dio stesso esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo da parte di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. 21Cristo non ha mai commesso peccato, ma Dio lo ha caricato del nostro peccato per riabilitarci dinanzi a sé per mezzo di lui.

    (Testo CEI2008)
    5
    17Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
    18Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. 19Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. 20In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. 21Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

    *(TILC - Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente)

    Ho trovato in rete la stessa espressione nella traduzione CEI 2008

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  18. Personalmente non stimo nè Moravia nè Pasolini, e meno ancora se li osservo in ottica di fede.

    Dalla filmografia di pasolini invito a vedere anche l'oscurissimo episodio di Rogopag tutto intriso di blasfemia palese (perchè lo girò nel 1963, e il Vangelo secondo Matteo è del 1964, non è che in un anno si cambi poi molto stato d'animo)

    https://it.wikipedia.org/wiki/Ro.Go.Pa.G.

    estraggo da wiki, così non si può dire che diciamo noi cose strane

    "La ricotta

    Nella campagna romana, una troupe è impegnata nelle riprese di una passione di Cristo. Stracci, la comparsa che interpreta il ladrone buono, regala ai propri familiari il cestino del pranzo appena ricevuto dalla produzione. Essendo affamato, si traveste da donna per rimediare un secondo cestino, che viene mangiato dal cagnolino della prima attrice del cast. Sul set giunge intanto un giornalista che intervista il regista; terminata l'intervista, il giornalista trova Stracci che accarezza il cane e glielo compra per mille lire. Con i soldi, Stracci corre a comprarsi una ricotta per sfamarsi, ma viene chiamato sul set e legato alla croce per la ripresa dei lavori; alla successiva interruzione, corre a mangiare la ricotta e, sorpreso dagli altri attori, viene invitato ad abbuffarsi con i resti del banchetto preparato per l'ultima cena. Al momento di girare la scena della crocifissione, muore di indigestione sulla croce. Il regista, senza ombra di commozione, commenta: "Povero Stracci. Crepare... non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo...".

    L'episodio La ricotta si concentra sul problema della visione del sacro, costruendo una parodia della Passione; il pensiero di Pasolini è espresso da Orson Welles, soprattutto nelle risposte alle quattro domande postegli da un giornalista. Nell'opera, realizzata in bianco e nero, campeggiano tuttavia i tableaux vivants a colori che ripropongono le due Deposizione di Gesù di Rosso Fiorentino e Pontormo. Pasolini realizza un neorealismo manieristico, in cui la realtà si libra nel visionario, grazie all'abbondanza di citazioni ossimore, che il regista realizza: musicali (l'aria Sempre libera degg'io de La traviata, suonata dagli strumenti musicali stonati di una banda, è il motivo principale che contrasta col twist e con le musiche di Bach, Scarlatti, Gluck, Berlioz), letterarie (Donna de Paradiso di Jacopone da Todi), filosofiche (Il Capitale di Karl Marx), autocitazioni (Mamma Roma) e citazioni cinematografiche (Federico Fellini, Orson Welles stesso, le accelerazioni delle immagini alla maniera chapliniana)."

    "Pier Paolo Pasolini per l'episodio La ricotta venne condannato per vilipendio della religione; la decisione fu mitigata da un'amnistia; la pellicola tornò sugli schermi con modifiche del sonoro e alcuni tagli. Oltre alla modifica della didascalia iniziale e della considerazione finale di Orson Welles, che in origine suonava

    «crepare è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione».

    Furono inoltre sostituite frasi come

    «via i crocifissi!»,

    che viene urlata in sequenza da personaggi del set e della strada e financo da un cane; piccoli tagli determinarono anche l'accorciamento di alcune sequenze ritenute imbarazzanti, come quella dell'orgasmo di Stracci legato alla croce e quella del momento di goliardica ilarità che interrompe la costruzione della deposizione."

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  19. Più in generale, mi sento anche di dire di essere in linea di massima sempre insoddisfatto (a parte questo caso eclatante, dal momento che a mio avviso nel vangelo secondo matteo di pasolini si coglie tale e quale che si tratta di un regista non credente, marxista, nichilista e con una visione orizzontale-sociologica e non ascetica-verticale, di uno sguardo non credente) dei film tratti da qualunque parte della S. Scrittura o del Vangelo in sè perchè i numerosi soprasensi sella Scrittura, i suoi richiami interni, vengono per forza di cose omessi e sacrificati in sede di sceneggiatura (per forza di cose un riassunto e una scelta di momenti culminanti), decoupage e nell'ellissi richiesta dal racconto adatto alla messa in scena.
    Dio nella divina ispirazione dei Sacri testi usa, in generale, metodi diversi (la Parola, l'assistenza dello SS) d'espressione sull'anima che non le immagini recitate, ricostruite e sceneggiate dal punto di vista umano del regista, e a mio avviso la differenza c'è sempre e si rischia di mettere in scena solo "la storia" riassunta di qualcosa, un plot, secondo un'ottica solo umana, senza coimplicazioni mistiche.

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  20. p.s. sia chiaro che in contesto di commenti cattolici, per SS si sottintenda, ovviamente, sempre e solo: Spirito Santo.

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  21. ...in pratica, nella peregrina esegesi bergogliana, solo Nostro Signore sarebbe peccatore, mentre tutti gli uomini sarebbero esenti da colpa, e per ciò stesso meritevoli di essere ammessi ai Sacramenti. Anche i non battezzati sarebbero esenti dal peccato originale e da quello personale, per cui non solo sarebbero nostri fratelli, ma anche figli di Dio. Una visione ereticale che - a ben vedere - affonda le proprie radici in una certa teologia postconciliare fatta propria (almeno in nuce) da Giovanni Paolo II, secondo il quale tutta l'umanità è redenta in Cristo a prescindere dall'adesione del singolo. Ancora una volta ringraziamo il concilio, il postconcilio e la sua più funesta epifania in questo malaugurato pontificato.

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  22. @ Sulla kenosis

    Che il termine sia stato usato nel senso di "svuotamento", l'ho letto varie volte. Si vede che non veniva reso in modo appropriato. Il LGNT, dello Zorell SI, precisa il senso proprio o letterale e quello improprio o figurato.
    1. Kenoo = evacuo, vacuum reddo: leeren (ted., svuotare). Uso in Tucidide. 2. In senso improprio o figurato: aliquem vacuum reddo, aliqua re spolio (Platone, Rep 560d: ten psychen tinos: spogliare [impoverire?]l'anima di qualcuno). Fil. 2, 7 viene reso cosi': "Christus ekenosen eauton = semetipsum exinanivit, ossia, continua Zorell, esponendo l'interpretazione tradizionale della Chiesa: "gloria divina externa quam habere poterat, se privavit" = si privo' [volontariamente] della gloria divina esteriore di cui pur disponeva [oppure: che pur possedeva]". parvus

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  23. _C.E.I.:
    2Corinzi 5,21

    Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

    _Nova Vulgata
    21 Eum, qui non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit, ut nos efficeremur iustitia Dei in ipso.

    _testo originale
    τὸν μὴ γνόντα ἁμαρτίαν, ὑπὲρ ἡμῶν ἁμαρτίαν ἐποίησεν, ἵνα ἡμεῖς
    γενώμεθα δικαιοσύνη Θεοῦ ἐν αὐτῷ

    _(letteralmente, parola per parola, dal testo greco di S. Paolo, improvviso in malo italiano)
    l'unico che non avendo conosciuto peccato, per noi peccato s'è fatto, a che noi possiamo diventare giustizia di Dio in Lui.

    In virtù di quale potenza invocata S. Paolo insiste affinchè gli uomini acconsentano alla riconciliazione con Dio? Per il Sacrificio Espiatorio di Cristo. Dio non ha risparmiato il proprio Figlio ed Egli si è volontariamente offerto per render possibile la riconciliazione, pagando al nostro posto, in questa sorta di scambio e sostituzione redentiva. Risponderanno allora gli uomini con un testardo rifiuto davanti ad un amore così grande?

    "Colui che non ha conosciuto peccato, egli l'ha fatto come peccato per noi, affinchè noi diventassimo giustizia di Dio in lui."

    Cristo non ha ovviamente commesso e conosciuto il peccato, non ne fece alcuna personale esperienza; il peccato non penetrò in Lui. Egli potè dire ai suoi nemici: "Chi di voi mi convincerà di peccato?... Il principe di questo mondo viene, ma non ha nulla in me." Egli fu "santo", "innocente, senza macchia" cfr. Ebrei 7,26; ma anche Ebrei 4,15; 9,14; 1 S.Pietro 2,22; 1 S.Giovanni 3,5.

    In virtù di questa perfetta giustizia e santità Egli potè prendere su di sè, come puro e santo sostituto dei peccatori, il peso del peccato degli uomini per portarne la pena. Le parole di S. Paolo qui ricordano quelle di Isaia 53, 5: "Egli ha fatto cadere su di lui l'iniquità di tutti noi."

    Isaia 53,5

    "Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
    schiacciato per le nostre iniquità.
    Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
    per le sue piaghe noi siamo stati guariti."

    ripreso in 1 S. Pietro 2,24

    "Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
    sul legno della croce,
    perché, non vivendo più per il peccato,
    vivessimo per la giustizia."

    "Lo fece peccato" in 2 Cor. 5,21 non significa che ne fece un peccatore, ma si fece, lo ridussero e apparve come (come è detto altrove) "uomo dei dolori", sofferente e (momentaneamente e fisicamente) distrutto come l'obbrobrio delle genti, Lui il Figlio di Dio, per redimere noi.
    È un'espressione piuttosto sconvolgente per indicare che Gesù che redime si è fatto sulla Croce come sostituto dei peccatori, ha lasciato che Dio gli imputasse il peccato del mondo, e nel momento dell'Espiazione Egli fu carico dei peccati di tutti e su Lui scese la maledizione dovuta ai trasgressori. "Cristo ci ha redenti dalla maledizione della legge, essendo per noi stato fatto maledizione" Galati 3,13; Ebrei 9,28; 1 S.Pietro 2,24. E questo per farci diventare "giustizia di Dio in Lui".
    Cerchiamo anche di capire il modo paolino.

    Certo non andiamo oltre a immaginare che a Gesù piace risacrificarsi più volte per farci fare na bella vita lontano da Dio, tanto ci perdona....

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  24. p.s.

    trad. Abate Giuseppe Ricciotti:

    2 Cor. 5,21

    "Colui che non conosceva il peccato, per noi (Dio) Lo ha fatto peccato affinchè noi diventassimo in Lui giustizia di Dio"

    con le raccomandazioni di cui sopra

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  25. Grazie di cuore a Josh.

    C'è bisogno di essere sconvolti da quel che accadde a Pasqua, per non sentirci giustificati nei nostri peccati. La fede che giustifica è quella degli "sconvolti" che si convertono al loro Salvatore, non la fede di chi "se fa li comodi sua", ma "crede" (di farla franca).

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  26. Per Parvus: secondo don Ignazio Andereggen (https://www.youtube.com/watch?v=Hjl3qAEnrBI, da 21:41 circa), “ekènosen heautòn” (perché il sostantivo “kènosis” non si lègge affatto nel Nuovo Testamento) significa in realtà che il Figlio “è venuto verso il nostro vuoto”: cioè, se capisco bene, ha assunto, incarnandosi, il nostro essere radicalmente deficitario, il nostro “meno essere”, per così dire (i mistici dicono, iperbolicamente, il nostro nulla). Si potrebbe tradurre, forse, “si fece vuoto”: non si spogliò di nulla, ma, conservando l’infinita pienezza della divinità, prese su di sé il nostro vuoto e lo riempì di sé. Così almeno mi par di capire.

    Certo, ch’io sappia “kenòo” vuol dire “svotare”, almeno di regola. Ma, se questo è il senso della parola, diciamo allora che il Verbo si privò di quella gloria che ci saremmo aspettati di vedere in un uomo-Dio: nacque in una capanna e non in una reggia, in un piccolo centro dell’impero e non a Roma, ecc.

    Quel ch’è inaccettabile – diciamo pure eretico, e filosoficamente assurdo – è immaginare una qualunque diminuzione della divinità: Dio resta sempre sé stesso.

    Maso

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  27. Maso, Parvus

    anche tutto il contesto nel versetto va nella direzione giustamente indicata da voi, e non certo nella direzione di un'autosvuotamento inteso come autonegazione o morte e impoverimento di Dio come alcuni vogliono far credere

    prendiamo tutto almeno Filippesi 2, 3-11

    "3 Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, 4 senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.
    5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
    6 il quale, pur essendo di natura divina,
    non considerò un tesoro geloso
    la sua uguaglianza con Dio;
    7 ma spogliò se stesso,
    assumendo la condizione di servo
    e divenendo simile agli uomini;
    apparso in forma umana,
    8 umiliò se stesso
    facendosi obbediente fino alla morte
    e alla morte di croce.
    9 Per questo Dio l'ha esaltato
    e gli ha dato il nome
    che è al di sopra di ogni altro nome;
    10 perché nel nome di Gesù
    ogni ginocchio si pieghi
    nei cieli, sulla terra e sotto terra;
    11 e ogni lingua proclami
    che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre."

    comincia parlando di umiltà. Gesù pur essendo anche di natura divina, non è che annullò la propria natura divina, come qualcuno ama dire, ma lì è scritto che non considerò tesoro geloso essere uguale a Dio: si donò, dice qui S. Paolo, non disprezzando l'abbassamento in umiltà, per obbedienza al Padre. Tanto che rende, chi crede in Lui, figlio adottivo di Dio (come confermano molti passi), figli nel Figlio.
    Nonostante regale, assunse la condizione di servo per amore, per la redenzione
    (non certo si privò di fatto degli attributi della divinità). Non fece valere tutti gli attributi della sua potenza in certifrangenti, questo sì. ma come dice Lui stesso nei vangeli, si doveva compiere il volere del Padre, che era in vista delle redenzione.
    Per citare ancora Zorell indicato da Parvus "gloria divina externa quam habere poterat, se privavit" = si privo' [volontariamente] della gloria divina esteriore di cui pur disponeva [oppure: che pur possedeva]"

    Non è che è rimasto ..."imbelle" davanti alle violenze per privazione di potere divino, ma ha accettato per amore di "metter da parte" (per un solo periodo) per amore il far valere tutta la Sua potenza per obbedienza al piano del Padre di redenzione e di salvezza.

    Chi contraddice nella "modernità" questa visione, è un po' come che non concepisse che il Figlio di Dio incarnato sia finito in croce volontariamente.
    Ricorda un po' quelli che Gli diceano "se sei il Messia, chiama legioni di Angeli a salvarti" "Se sei il Figlio di Dio scendi di lì"
    quando invece accettò il supplizio per la salvezza di chi crede in Lui, volontariamente.

    Molte altre cose uscite nella fantateologia rischiano di essere sempre una diminutio di Cristo e una mancanza di fede, in un terreno sdrucciolevole in cui si vuole andare al di là del rivelato.

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  28. Ieri avevo postato un commento, che non è stato accolto, con mio sgomento. Era ricco di spunti morfologici. Lo sgomento è aumentato quando ho appreso che giovedì e venerdì santo non sono precetti, neanche per la Chiesa preconciliare: istituzione dell'Eucaristia e morte in croce sarebbero quindi epifenomeni. Ma forse mi sbaglio. Anni di celebrazioni inutili, in cui andavo anche con un certo profitto. Il lassismo attecchì quindi già da prima del famigerato 1962. Auguri

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  29. Sig. Toti,
    a me risulta che il Giovedì Santo è ancor oggi di precetto, il Venerdì ed il Sabato no. Ma nel 1967 avevo 10 anni, non posso ricordare ben come fosse prima del CVII.
    Mic dovrebbe saperlo.
    Rr

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  30. No. Mi è stato confermato da un sacerdote della Fraternità. L'unico precetto è quello domenicale, di Pasqua.

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  31. @ Ancora sullo exinanivit etc. - Riflessoni filologiche e non solo

    L'interpretazione "e' venuto verso il nostro vuoto" non mi convince per niente. Come ha messo in rilievo anche Josh, la frase va inquadrata in modo completo nel suo contesto. Che cosa vuol dire qui s. Paolo? Sta rimproverando i fedeli di Filippi per la loro mancanza di carita' (rimprovero del tutto normale, diciamo, valido sempre per tutti i cristiani) e li incita ad essere caritatevoli tra di loro e umili: "Non fate niente per spirito di parte o per vanagloria ma con tutta umilta' ciascuno consideri gli altri come superiori a se stesso e ciascuno non guardi solo ai propri interessi ma piuttosto a quelli degli altri" (Fil 2, 3-4). Per rafforzare il concetto, porta ad esempio Nostro Signore: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che erano in Cristo Gesu'. Egli, pur possedendo la natura divina...preferi' annientare se stesso, prendendo la natura di schiavo etc.". Se si e'fatto cosi' umile il Figlio di Dio, come non potete farvi umili voi, suoi discepoli e semplici uomini quali siete? L'oggetto dell'azione retta dal verbo kenoo non e' l'uomo ma la divinita' di NS, e' NS stesso. Non si puo' pertanto intendere: "venne verso il nostro vuoto". Il Cristo nascose a noi la sua divinita', come annientandola allo sguardo, mentre viveva e operava tra di noi, per farla valere eccezionalmente nei miracoli, nella conoscenza dell'animo nostro, delle intenzioni, del nostro passato (la Samaritana). La fece esteriormente riapparire per un momento nella Trasfigurazione del Monte Tabor, come sappiamo. Se fosse sempre apparso cosi', sarebbe di colpo finito il mondo o no? L'umanita' intera sarebbe caduta in ginocchio di fronte a Lui. L'abbassamento volontario di Cristo, che diventa vero uomo (senza il peccato), di cui si parla qui va messo in relazione a Eb 2, 14ss e 5, 7 ss. Anche Zerwick SI, che poi devio' verso il neomodernismo, nell'edizione 1953 della sua 'Analysis Philologica Novi Testamenti Graeci', scrive: "ekenosen, ex-inanivit kenoo, vacuum reddo: gloria divina externa (quam Incarnatus habere poterat) se privavit".

    L'immagine dell'uomo come del "vuoto" nemmeno e' accettabile. Noi siamo afflitti dalle conseguenze del peccato originale, dallo scontro perenne in noi tra l'intelletto e le passioni, etc. ma nemmeno si puo' dire che siamo come "il vuoto". Quale "vuoto"? La natura umana nasce corrotta ma in parte, c'e' anche la componente del bene, che deriva dall'esser stata creata da Dio. Se non ci fosse, non ci sarebbe nessuna lotta interiore per resistere alle tentazioni, avendo come guida nella battaglia sempre NS che si rimetteva in tutto al Padre. parvus

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  32. "L'unico precetto e' quello domenicale"

    'Mbe', e allora? Ce la vogliamo prendere con la Chiesa per un fatto del genere?
    Quando si dice le dispute inutili, tanto per spaccare il capello in quattro.. A. R.

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  33. Per Parvus: mi pare che in gran parte siamo d’accordo. Anche a me, che però non sono né un biblista né un teologo, questa sembrerebbe l’interpretazione più naturale: per citare la Bibbia di Gerusalemme (nota a Fil. 2, 7), “ciò di cui il Cristo fatto uomo si è liberamente spogliato non è la natura divina, ma la gloria che gli spettava di diritto”, e che sarebbe dovuta “rimbalzare sulla sua umanità”.

    L’importante è respingere con fermezza quelle interpretazioni ereticali, e filosoficamente assurde, secondo cui il Verbo si sarebbe spogliato, in un modo o nell’altro, della sua divinità.

    Sarei curioso però di capir meglio come interpreta l’ “ekènosen heautòn” don Ignazio Andereggen, che in quella bellissima conferenza, nel contesto d’un’implacabile e ben argomentata denunzia degli errori di H. U. von Balthasar (nel cui pensiero è appunto centrale un concetto falso della cenòsi del Verbo), afferma che non si tratta d’uno “svotamento” ma d’un “venire verso il nostro vuoto”. Le parole che seguono non sono dell’Andereggen, ma mie: sono una mia ipotesi di spiegazione di quel “venire verso il vuoto”.

    E qui, non sono del tutto d’accordo con Lei. Se “kenòo” vuol dire “vacuum reddo” (Zerwick), il Verbo incarnandosi “rese vuoto sé stesso”: in quest’interpretazione si tratterebbe non del MODO dell’incarnazione (cenòsi come autospoliazione della gloria che si sarebbe dovuta riverberare su Gesù uomo), ma, più radicalmente, del FATTO stesso dell’incarnazione: cenòsi come assunzione, da parte della pienezza divina del Verbo, del “vuoto” della natura umana, ma senza nessuna diminuzione di quella pienezza, anzi col riempimento, per così dire, del nostro vuoto (l’uomo è divinizzato, per grazia e per partecipazione).

    Sennonché a Lei non garba punto l’immagine dell’uomo come “vuoto”. È un’immagine iperbolica, d’accordo: non va presa alla lettera. Corrisponde, se non isbaglio, all’immagine ancor più forte del “nulla della creatura”, ch’è cara ai mistici. E mi pare che l’uomo si possa chiamar “vuoto” non solo in conseguenza del peccato, ma prima ancóra, originariamente, per il suo stesso essere una creatura: per il suo venire, quindi, dal nulla, “ex nihilo”. È questo limite ontologico originario che rende l’uomo (e l’angelo) peccabile, quindi imperfetto (prima ancóra di peccare di fatto).

    La creatura può esser detta (per iperbole, non alla lettera) “nulla”, o “vuoto”, o “non-essere”, in confronto a colui che solo è l’Essere, “ipsum Ens subsistens”.

    Così, Gesù stesso ci chiama, colla massima disinvoltura, semplicemente “cattivi”: “Se voi, CHE SIETE CATTIVI, sapete dar cose buone ai vostri figlioli...” (Luca, 11, 13). L’uomo è cattivo, perché “uno solo è buono”, Dio (Matteo, 19, 17). E se lo posso (anzi lo devo, perché “nil hoc verbo Veritatis verius”) dir cattivo, perché non lo potrò e dovrò chiamar “vuoto”?

    Maso

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  34. L'uomo "vuoto" o "pieno"?

    L'uomo, quando e' cattivo, non lo e' forse perche' pieno di ogni sorta di desiderio, passione? Pieno di cattiveria, dunque. Come definire allora questo stato come quello di un esser "vuoto"? Il nulla e il vuoto che i mistici attribuiscono al nostro essere, e' tale rispetto a Dio non in se stesso. Siamo d'accordo su questo. Un essere interiormente "vuoto", dal punto di vista morale e spirituale, puo' esser solo l'animale, non l'uomo. Se in noi ci fosse ontologicamente questo "vuoto" nessuno potrebbe esser condannato all'Inferno. E nemmeno elevato all'eterna Gloria. Il "vuoto" (kenon) resta vuoto. Fisicamente, non e' il nulla, perche' la vuota tridimensionalita' pur esiste in se'. Ma inteso come "vuoto" morale e spirituale e' come il nulla. E come possiamo dire che in se' la natura spirituale dell'uomo sia come il nulla, il vuoto?
    In noi c'e' il pieno delle contraddizioni derivanti dalla continua lotta tra il bene e il male in noi, il buono e il cattivo. "Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore ed e' questo che contamina l'uomo; poiche' dal cuore vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri e le fornicazioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.." (Mt 15, 18-20).
    Tornando a NS. L'interpretazione valida del passo risulta esser una sola, su questo credo siamo tutti d'accordo: il Signore "rese vuoto se stesso" nel senso di "si privo' da se'" della sua maesta' o gloria esteriore, la fece sparire alla vista (tranne una volta, nella Trasfigurazione del Monte Tabor). Solo in tal modo poteva operare tra gli uomini, vero uomo, come noi, tranne che nel peccato. E nello stesso tempo impartirci una lezione di umilta'. Errano grandemente tutti quelli che ricamano sul testo al fine di ipotizzare un Cristo che si era svuotato della sua divinita', in senso appunto sostanziale, ontologico. Non e' sicuramente questo che voleva dire s. Paolo (divinamente ispirato, non dimentichiamolo). parvus

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