La questione non è essere severi o misericordiosi, comprensivi o rigidi, evangelici o rigoristi; no la questione non è questa.
La vera alternativa si pone tra essere cattolici o essere clericali.
Il clericalismo è una brutta bestia che è dura, durissima a morire. Il clericalismo di ogni genere, di ogni colore, di ogni tendenza. Sì, perché il clericalismo, che è una delle tentazioni più forti nella Chiesa, si trasforma esteriormente, restando sempre fedele a se stesso. Si adatta alle mode, alle situazioni, perché il suo scopo è alimentare se stesso.
Non vogliamo fare un trattatello sul clericalismo, non è il nostro scopo e non saremmo in grado di farlo; vogliamo solo coglierne qualche aspetto provocatorio, che inviti ad una riflessione.
Il clericalismo, nella sostanza, è l'operazione che l'uomo compie per sostituirsi a Dio.
Per il clericale non c'è al centro Dio, la sua verità, la sua legge e la sua grazia. Per il clericale al centro c'è l'uomo di chiesa, che sente il dovere di “gestire” per conto di Dio. Il clericale parte da una considerazione giusta, quella che fa dire che non si può andare a Dio senza la Chiesa; ma strada facendo perde Dio e resta solo con la Chiesa. È come un protestantesimo ribaltato, che finisce per avere la stessa erronea separazione tra la Chiesa e Dio: il protestante pretende di arrivare a Dio senza la Chiesa; il clericale pretende di fare gli interessi di Dio fermandosi alla Chiesa.
Il clericale arriva a non porsi più la domanda “Cosa vuole Dio?”, ma si chiede sempre “Cosa possiamo fare perché la Chiesa sia accolta dalla società e non sia messa ai margini?”, “Cosa domanda oggi il mondo alla Chiesa?”.
Solitamente, nel passato, l'accusa di clericalismo era rivolta ai cattolici “rigidi”, un po' conservatori, fedelissimi alla gerarchia e all'applicazione senza sconti delle norme ecclesiali.
Oggi constatiamo che il clericalismo, che come animale camaleontico si adatta ad ogni terreno e clima, è proprio dei cosiddetti cattolici progressisti, che non solo si credono i veri interpreti della volontà di Dio, ma se ne ritengono i liberi formulatori.
Ne è un triste esempio tutto il dibattito attorno al sinodo sulla famiglia, che ora viene prolungato sulla questione del perdono in occasione dell'anno giubilare.
I nuovi clericali pensano di poter gestire politicamente la misericordia, per rendere più simpatica la Chiesa al mondo. Insomma, i clericali gestiscono il perdono di Dio come arma politica per introdursi nel salotto della società: perdonare sempre, non giudicare, comprendere, scusare, accogliere... sono i verbi di moda oggi tra le fila di coloro che vogliono instaurare un nuovo corso del cattolicesimo.
E questi chierici, intellettuali laici o ecclesiastici che siano, sostenitori del perdono assicurato a tutto e tutti, motivano il loro agire con il fatto che i preti non devono sostituirsi a Dio, che unico ha il potere di giudicare.
Prima di andare avanti chiariamo subito che non vogliamo cadere nell'inganno della severità per la severità: la Chiesa si è spinta sempre fino all'estremo per concedere il perdono, perché crede al perdono di Dio. La misericordia divina è infinita, perdona ogni peccato se trova in noi il dolore del pentimento: guai a noi se ponessimo limiti a questo perdono! Ma questo spingersi fino all'estremo possibile, non è mai una falsità retorica: la Chiesa si domanda sempre se ci siano le condizioni perché il perdono di Dio possa fruttificare in noi (ad esempio, il dolore del peccato e il proponimento di non commetterlo più...), e amministrando il perdono prima giudica se ci siano o no queste condizioni. Rinunciare a questo, da parte della Chiesa, sarebbe rinunciare al compito datole da Dio stesso.
Proprio perché è di Dio, il perdono non può essere gestito dagli uomini, anche di chiesa, sganciato dalla stessa Rivelazione di Dio. Dio ha detto la sua volontà su di noi, ci ha ha dato la sua grazia ma anche la sua legge!
Proprio perché è di Dio, i preti non possono sostituirsi a Lui, amministrando assoluzioni a chi non le chiede veramente; e le chiede veramente chi, anche tra mille difficoltà, prova il dolore del proprio peccato e vuole uscirne.
E Dio, cui appartiene il perdonare, non è una pagina bianca nella vita degli uomini: ha detto la verità su di noi e chiede a noi di seguirla.
Allora, clericali della peggior razza, sono tutti coloro che nella Chiesa, non amando il martirio, cercano un posto nel nuovo mondo, ridicolizzando il perdono in una automatica assoluzione, che diventa poi, ed è inevitabile, la benedizione di tutto. E così il male non si ferma e ne vanno di mezzo le anime, a partire dalle più fragili.
Il perdono dei nuovi clericali è falso, è solo una parola vuota, che non cerca quello che Dio cerca in noi: il reale cambiamento, la santificazione possibile, la trasfigurazione nella grazia della nostra vita. Il clericale è pessimista sull'uomo e non ha fede nella grazia, non crede al cambiamento della persona, per questo non perde tempo: dà un facile perdono retorico ed esterno a tutti, e pensa ad altro, impegnato com'è nei salotti della modernità.
Il cattolico crede invece nel cambiamento delle persone, nella salvezza delle anime, per questo lavora affinché ci siano nell'uomo le condizioni per accogliere, con frutto, la grazia che salva.
I preti cattolici amministrano il perdono, che è e resta di Dio; amministrare significa lavorare perché il perdono possa essere reale nella persona e produrre frutti di bene e di santità.
Così ha lavorato, per Dio e per le anime, un'infinita schiera di santi confessori.
Un esempio di clericalismo.
RispondiEliminaQuand'ero giovane, un mio confratello divenne segretario del Vescovo. Questo Prelato gli conferì il monsignorato, l'anello di ametista, le fibbie d'argento, la veste filettata. Il mio confratello era un esempio di cattolicesimo anni Cinquanta: elegante, dai modi molto ecclesiastici, attento alla liturgia, amante delle cerimonie. Poi il Vescovo venne promosso e il suo ex segretario divenne Canonico mitrato col privilegio dei pontificali. Nelle feste portava la mitria bianca, celebrava al faldistorio, usava la brocca e il bacile in peltro. Poi venne il Concilio. Fu uno dei primi a gettare il saturnio a mare. Poi scomparvero la mitria e l'anello d'ametista. Poi iniziò a portare il clergyman, introdusse le chitarre e i canti sguaiati durante le celebrazioni, nominò un pio laico "diacono permanente" (senza ordini) e lo incaricò di proclamare il Vangelo e distribuire la Comunione. L'organo scomparve dalle funzioni. Per i fanciulli del catechismo usò i volumetti inutili della CEI, con relativa estinzione di qualsiasi formazione dottrinale. Ai giovani faceva leggere la Bibbia e chiedeva loro cosa provavano, senza alcuna esegesi né altra forma di istruzione. Si fece promotore degli incontri ecumenici, organizzò celebrazioni di ortodossi, conferenze di pastori valdesi, convegni con intellettuali di sinistra e con teologi progressisti. Divenne, insomma, uno dei tanti sacerdoti postconciliari, perfettamente allineato al nuovo corso. Lasciò la parrocchia e divenne Canonico residenziale. Quando Benedetto XVI promulgò il Motu Proprio, sis pinse anche a celebrare saltuariamente qualche Messa tridentina. Oggi, regnante Bergoglio, è ritornato nei ranghi, quasi sempre in clergyman, sempre attento a non distinguersi. Oggi la parrocchia, che fu una delle più prospere del centro, conta pochissimi anziani: i giovani - quelli che avrebbero dovuto rappresentare le speranze della primavera conciliare sono tutti in periferia, in gran parte non sposati, concubinari, lontani dalla Chiesa.
Come il mio confratello, moltissimi altri sacerdoti sono stati abituati a comportarsi nello stesso modo. Era la generazione postpacelliana, roncalliana, montiniana, che aveva ricevuto una formazione ecclesiastica prima del Vaticano II. Era la generazione su cui ha fatto leva la chiesa conciliare per dare immediata esecuzione al nuovo corso: tutti obbedienti al cambiamento, oltre ogni ragionevolezza, anche quando le novità mostravano i loro frutti disastrosi. Nessuno che abbia avuto il coraggio di protestare, di continuare a fare "come si è sempre fatto". Perché, alla fine, è proprio questo il problema: costoro continuano a fare "come si è sempre fatto", senza usare il cervello, limitandosi ad obbedire ciecamente alli Superiori, a prescindere. Ieri obbedivano alla Gerarchia cattolica; oggi obbediscono alla gerarchia conciliare.
Ho ritrovato in un vecchio predicabile una foto ingiallita del mio confratello in ferraiolo, inchinato a baciare l'anello del Vescovo, con in mano il cappello romano coi fiocchi. Gliel'ho lasciata in coro, in mezzo al volume quasi intonso della Liturgia delle Ore.
Ottimo articolo. Si potrebbe parlare anche di pastoralismo, nel senso dell'utile ai pastori. É fatto che l'interpretazione del Concilio V2 fu eminentemente "pastorale", cioè, fatta secondo gli interessi di pastori che, come Jorge Bergoglio, avevano perduto completamente la fede. É questo il senso misterioso della fenice "pastorale" gherardiniana. Pastorale = utile ai pastori, non alle pecore. Vale osservare che Pascal nelle Provinciali già aveva denunciato questo clericalismo spurio nei gesuiti, che mutilavano la Fede in cambio di popularità.
RispondiElimina"Stranamente" solo oggi si fanno questi discorsi sul clericalismo. Come mai qualche anno fa non si facevano? E' forse dovuto alla presenza di Papa Francesco? ... Se un domani giungesse un Papa di "tono" diverso ecco che si ricollocherebbero di nuovo nell'armadio. Mi chiedevo a un certo punto se stessi per sbaglio leggendo il blog di (don) Barbero ...
RispondiEliminaAnonimo,
RispondiEliminaNon mi pare che qui si parli di clericalismo tout court, ma del clericalismo che mutila la fede col pretesto della 'pastoralità'. È una dato oggettivo che non è questione di "tono" ma di fatti e di contenuti.
Anonimo,
RispondiEliminaNon mi pare che qui si parli di clericalismo tout court, ma del clericalismo che mutila la fede col pretesto della 'pastoralità'. È una dato oggettivo che non è questione di "tono" ma di fatti e di contenuti.
Mi metto nei panni di un aspirante al sacerdozio, il quale prende sul serio il ministero sacerdotale e sente su di lui tutta la responsabilità gravissima per la salvezza del gregge che il Signore affiderà alle sue cure. Un seminarista fedele al Magistero della Chiesa, alla dottrina e alla retta prassi pastorale, alla Sacra Tradizione. Un aspirante che è consapevole del fatto che, qualora il regnante Pontefice dovesse - come sembra - emanare norme pastorali che estendono ai cosiddetti "divorziati risposati" o ai conviventi more uxorio la possibilità di accedere alla Santa Eucaristia, di fare i catechisti o i padrini del battesimo, dovrà dire una serie di "non possum". Un seminarista che quindi già da ora è consapevole del fatto che si troverà probabilmente a dover disubbidire ai suoi superiori e ai loro comandi ingiusti e contrari alla legge di Dio, perché "bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini". Un giovane cattolico che dunque fin da ora sa che dovrà andare incontro a punizioni, angherie, persecuzioni e ostracismi del terribile ambiente clericale.
RispondiEliminaEcco, pensavo a tutto questo... e pensavo anche che mai come oggi ci sarebbe bisogno nei seminari di tanti granelli di sabbia in grado di far inceppare gli ingranaggi della gioiosa macchina da guerra clerical-progressista
Nessun seminarista farà il granello di sabbia, come non lo fanno gli exseminaristi che di forza ne avrebbero tanta, tanto più in alto sono, ma non l'han fatto e non lo faranno... inutil attender dove non è speranza, sono stati istruiti al clericalismo. I laici possono farlo. Devono farlo, che se non parlan altri parlan le pietre.
RispondiEliminaIl clericalismo purtroppo è anche nel mondo della resistenza al cambiamento eretico, ognun per la propria parrocchia...
E' un fatto che la confusione ormai regna sovrana. Anche senza malizia molti si appoggiano lì dove la loro biografia lo richiede,autoassolvendosi in automatico.
RispondiEliminaE' un aspetto della privatizzazione della religione vuoi sul fronte dogmatico, vuoi su quello pastorale.Il capo della chiesa quando ha deposto la tiara ha dato inizio allo stesso processo di desovranizzazione, consapevole, che caratterizza molti stati nell'Europa moderna.I due processi sono simili e procedono al passo.Ne avevo accennato in un commento precedente. Ma questa commistione la si ritrova nelle anime; parlando con amiche di lunga data, oltre ai periodi storici attraversati, si possono distinguere le pietre del guado usate per attraversare il fiume della vita senza grandi drammi: una pietra appartiene ad una certa scuola, un'altra ad un'altra scuola e via elencando. Un rammarico per i propri errori non compare...tutto è un fluire, un cammino dialogante con i propri contemporanei fatto di condivisione e orazione.il grande assolto, per dirla con Dàvila, è il peccato.
Ma un seminarista così, ammesso resista fino alla fine, penso non verrebbe mai ordinato...
RispondiEliminaIl confratello del cardinal Baronio è un tipo familiare, anche se con varianti. Io, che credo d’essere assai più giovane di Sua Eminenza, ne ho conosciuti parecchi, di codesti ecclesiastici: sono sempre loro, inconfondibili.
RispondiEliminaMaso