Stefano Fontana interviene nel dibattito su diritto naturale e diritto rivelato, ripreso da Andrea Mondinelli sul blog Chiesa e post-concilio [qui]. Interessante e fruttuoso il confronto e il dibattito che consente di approfondire.
Andrea Mondinelli ha in seguito pubblicato un altro articolo [vedi qui] prendendo spunto da un mio intervento su Bonhoeffer [vedi qui] sostenendo che il fondamento ultimo dei doveri e dei diritti non è il diritto naturale ma il diritto divino, la lex aeterna. Fermarsi al diritto naturale non è sufficiente – egli dice – ed è già una forma di naturalismo. Rimando alla lettura dei due articoli. Questi dialoghi a distanza presentano sempre delle difficoltà, perché spesso gli autori non hanno modo di esprimere tutto quanto vorrebbe dire sull’argomento. Essendo i due autori in parola amici dell’Osservatorio, mi permetto di dare la mia versione del problema da cui dovrebbe emergere la complementarietà e non la opposizione tra le due posizioni.
La legittimità della politica, dell’autorità stessa ma poi anche delle leggi e delle politiche, o si fonda sul consenso, o si fonda sul diritto naturale, o si fonda su Dio. Anche se ormai molti cattolici pensano che si fondi sul consenso democratico, questa posizione è incompatibile sia con la ragione che con la fede cattolica. Il consenso non fonda nulla in quanto è un puro atto soggettivo che pretende di giustificarsi in quanto atto (immotivato). Un atto di volontà è giustificato dalle sue ragioni oggettive, e quindi non si può pretendere che un atto esprimente un consenso senza addurre delle motivazioni oggettive fondi alcunché. Non restano che le altre due possibilità – il diritto naturale e Dio – altrimenti la politica rimarrebbe infondata.
C’è chi sostiene che la politica non si fonda su motivi religiosi, sulla rivelazione e sulla fede, ma su motivi razionali di ordine naturale. Il potere politico è legittimato dal bene comune e la definizione dei diritti dipende dal diritto (naturale). Sia il bene comune che il diritto naturale sono conoscibili dalla ragione e sono quindi alla portata di tutti gli uomini, senza bisogno di tirare in ballo la religione, la qual cosa comporterebbe una dipendenza del potere secolare dal potere ecclesiastico.
Ma c’è anche chi sostiene che fondare la politica solo sul diritto naturale è sbagliato ed è una forma di naturalismo, ossia pensare che il piano naturale sia sufficiente a definire i suoi fini e a perseguirli, senza bisogno del piano soprannaturale della religione e della fede. Fermarsi al diritto naturale come fondamento dei doveri e dei diritti, secondo costoro, comporterebbe l’esclusione di Dio dalla pubblica piazza. Da qui la proposta di fondare la legittimità della politica sulla rivelazione e sulla religio vera.
Le due posizioni hanno ambedue della verità, ma vanno tenute insieme nel giusto ordine. È giusto fare riferimento al diritto naturale perché Dio è il Creatore, la natura ha un ordine finalistico che la ragione può conoscere con le sue forze naturali frutto della creazione stessa che comporta di collocare ogni cosa al suo proprio livello dell’essere, dotandola per essenza delle sue proprietà e potenze specifiche. È giusto fare riferimento al diritto divino rivelato in quanto Dio è il Salvatore, e tramite il Figlio-Logos ha creato il mondo e poi lo ha ricreato a seguito del peccato per la sua salvezza. L’ordine naturale è un ordine indebolito, anch’esso bisognoso di salvezza.
Possiamo fare riferimento ad un testo molto noto a questo proposito: il discorso di Benedetto XVI al parlamento tedesco (2011) [vedi qui]. In questo intervento egli disse che “contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”.
Questo passaggio ribadisce che la politica si fonda sul diritto naturale e non sul diritto rivelato e legittima quindi la posizione di quanti sostengono questo. Da san Paolo a san Tommaso ai grandi documenti del Magistero, mai è stato messo in dubbio il fondamento della potestas politica sul diritto naturale. Poi, però, il testo continua dicendo che l’uso corretto della ragione presuppone di fondarsi sulla Ragione creatrice di Dio, il che tira in ballo il piano trascendente. Inoltre, Benedetto XVI, nello stesso discorso, parla del re Salomone che chiede a Dio il dono della sapienza per poter adeguatamente discernere il bene e il male?: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male”. Se fosse sufficiente il diritto naturale, conoscibile dalla sola ragione, come mai questa richiesta a Dio di una sapienza superiore, frutto di un Suo dono e non di capacità umana? Anche qui il messaggio è chiaro: la ragione ha diritto a ciò che le compete sul piano naturale, ma di fatto, dopo la caduta, essa non riesce ad esercitarlo completamente senza la l’aiuto della rivelazione e la purificazione della fede teologale.
L’uomo può conoscere il diritto e la morale naturali, ma nel suo stato decaduto, anche la sua ragione naturale ha bisogno di essere purificata e salvata. Ne è prova il fatto, tra l’altro, che la Rivelazione di Dio contenga anche precetti di ordine naturale e non solo di ordine soprannaturale. Ne è prova anche il fatto – ricordatoci anche dall’enciclica Spe Salvi – che la volontà spesso non accetta di seguire la ragione se non aiutata dalla grazia. L’uomo ha tutta la dotazione che concerne la sua natura, ma la sua natura è ferita, la ragione può indebolirsi, le incertezze o gli interessi di parte possono prevalere. In altre parole: il piano naturale, pur avendone il titolo, non sta in piedi senza quello soprannaturale. Però – ecco il punto – la rivelazione e la fede non trasformano la politica in religione, non fanno a meno del diritto naturale sostituendolo con il diritto rivelato, ma li illuminano facendo sì che siano vera politica e vero diritto naturale, cioè li riconsegnano purificati a se stesse. Sicché la visione del diritto naturale è della ragione, ma senza la rivelazione e la fede, la ragione non è in grado di vederlo in modo adeguato e di rimanervi fedele.
Il fondamento del diritto naturale va riaffermato, ma tenendo sempre presente la sua non completa autosufficienza, come del resto è stato dimostrato lungo la storia quando nella tarda Scolastica e poi in Ugo Grozio si pensava possibile un diritto naturale “come se Dio non fosse”, ossia capace di fondare ultimamente se stesso. La posizione subiva l’influenza della dissociazione protestante tra ragione fede, cosa che il cattolico non può mai fare né scegliendo la sola ragione (il solo diritto naturale) né la sola fede (il solo diritto rivelato), come se le due cose fossero in contrasto mentre non lo sono per niente.
Stefano Fontana - Fonte
I più importanti virologi italiani e internazionali, non i cialtroni che affollano in continuazione i media di regime, hanno sottolineato con forza che indossare la mascherina/bavaglio all'aperto non solo è inutile ma fa addirittura male alla salute. E allora perché un avvocaticchio pugliese e un fuoricorso in scienze politiche come Giuseppi Conte e Roberto Speranza possono imporre a tutta la popolazione un dispositivo medico che è malsano e dannoso? La spiegazione è molto facile: una pura imposizione d'autorità per saggiare fino a quando i sudditi piegheranno la testa di fronte al terrorismo mediatico di Stato.
RispondiEliminaMolto interessante... “contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”.
RispondiEliminaIl problema è che l'ordine dei regni del mondo è intrinsecamente disordinato a motivo del peccato. Il nostro è uno stato decaduto. Per essere liberati da questa tara servono "mezzi" inaccessibili all'uomo che faccia da solo. Serve una redenzione, una "rinascita dall'alto".
Il cristianesimo introduce così un diventare dell'essere... che è una cosa del tutto differente dal divenire del progresso, ma è la chiave di volta per un reale progresso!
Natura e grazia: il piano naturale, pur avendone il titolo, non sta in piedi senza quello soprannaturale. Però –ecco il punto– la rivelazione e la fede non trasformano la politica in religione, non fanno a meno del diritto naturale sostituendolo con il diritto rivelato, ma li illuminano facendo sì che siano vera politica e vero diritto naturale, cioè li riconsegnano purificati a se stesse.
E' possibile nell'armonia di una conversione, quasi impossibile (nulla è impossibile a Dio) nella dissociazione degli eretici tra fede e ragione o nelle altre distorsioni di un rapporto altrimenti fecondo (straordinariamente nella "Fides et Ratio" del magistero pontificio, alla quale contribuì Antonio Livi)
La prossimità-carità che arriva ad informare il diritto e la politica di una società consiste nell’avere compassione verso chi è messo in croce dalla storia.
Questa charis-carità è innanzitutto espressione di una gioia interiore, all’opposto di rabbie e rancori rivendicativi di tendenza politica e volti al vantare diritti. Ad esempio la parabola del buon samaritano sa spostare il centro da "chi è il mio prossimo" (un oggetto rispetto a me) a "sii tu prossimo di qualcuno" (su me come soggetto di prossimità).
Il problema vero? E’ questo:
molte volte troviamo difficile il precetto della carità universale perché facciamo dell’amore del prossimo un fatto quasi esclusivamente personale, soggettivo e quindi egoistico. Invece di far dipendere il nostro amore per il prossimo dalle sue relazioni con Dio, lo facciamo dipendere dalle sue relazioni con il mio io.
Allora se il prossimo ci sta simpatico, ci rispetta, ci serve, ci torna utile, o entra nei nostri schemi di bene non troviamo difficoltà ad amarlo e anzi ci compiacciamo di questo amore, quasi vantandocene. Ma ben altro accade se il prossimo ci è di ostacolo, ci urta o ci procura, anche involontariamente, dei dispiaceri, non approvando la nostra condotta.
Di fronte a questo bisogna ammettere che sbagliamo in partenza sostituendo a Dio, che è il vero motivo fondante l’amore del prossimo, il nostro misero io con le sue esigenze egocentriche. Anche sull’amore del prossimo dobbiamo riconoscerci più egocentrici che teocentrici ed è proprio lì che la carità del vangelo viene a mancare.
Solo se il centro dei nostri rapporti con il prossimo è in Dio (come lo ha rivelato Gesù) potremo superare il punto di vista del mio io e saremo, pur soffrendo per i torti e le indelicatezze, capaci di non rifiutare amore al prossimo.
da “Preparazione alla morte” di A. Livi, citando padre Gabriele di Santa Maria Maddalena.
Questo è il cristianesimo, l'apporto che informa la natura e che redime il mondo decaduto. Si realizza a motivo dell'amore a Dio "con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente". Quale Dio? Quello rivelato da Gesù, poiché “nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”.
Come è bello (e come è difficile) diventare cristiani!
Boldrini in piazza con 6-7 amiche pensa a protestare contro Lukaschenko..
RispondiEliminaAttivisti a Bologna in piazza a favore di Zaki,egiziano...
Non si vede nessuno protestare a favore dei 18 nostri pescatori italiani da 40 giorni prigionieri in Libia
Ma che caspita di Italia è diventata?
Salvatore Napolitano
https://www.iltempo.it/politica/2020/10/07/news/giuseppe-conte-fa-cafone-elisabetta-casellati-presidente-senato-francesco-storace-24809565/
RispondiEliminaConte non è un cafone qualsiasi mandato nella mandria parlamentare a prendere ordini dai Cinque stelle per insultare chi non gradiscono. Chi sta a Palazzo Chigi ha il dovere di non mentire come invece ha fatto il presidente del Consiglio sulla lucida presa di posizione della Casellati, che ha chiesto rispetto del Parlamento da parte di un governo sin troppo sbrigativo.
La sinistra dimentica che la Casellati è la seconda carica dello Stato: basta minacce
Se Conte ha intenzione di inasprire lo scontro istituzionale questa è la strada da seguire. Ma non fa bene all’Italia. Perché di tutto c’è bisogno tranne che di cariche dello Stato che si fanno dispetti. La Casellati ha parlato, Conte risponda con garbo. Ma ignorare le parole della presidente del Senato è davvero miserevole.
La presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha chiesto chiarimenti al governo sulla proroga dello stato d’emergenza per il Coronavirus al 31 gennaio. In un’intervista al Corriere della Sera, Casellati afferma: “Abbiamo bisogno di verità, non si può oscillare tra incertezze e paure. Sulla proroga, prima di tutto occorre avere informazioni corrette, senza nascondere i risultati del Comitato tecnico. Se non abbiamo accesso alle informazioni, non possiamo dire nulla. Abbiamo bisogno di verità. Gli italiani sono stanchi di oscillare tra incertezze e paure, in una confusione continua di dati che impedisce tra l’altro di programmare il lavoro”.
Dando voce al terrorismo psicologico alimentato dalle reti Tv c'è chi dice:
RispondiElimina" E' necessario un parziale lockdown e limitare le attività che non hanno rilievo economico risulta irrinunciabile."
Premesso che il lockdown è sbagliato, come dimostra il caso della Svezia, quali sarebbero le attività che non hanno un rilievo economico?
E' molto semplice, non esistono: tutte le attività industriali, commerciali e professionali hanno un rilievo economico!
Ormai siamo al delirio collettivo.
La mascherina è per alcuni come il cornetto o il ferro di cavallo: un tragico amuleto.
RispondiEliminaNon essendo un dispositivo medico e nemmeno di protezione individuale, vedi etichette, per alcuni è una specie di talismano per scongiurare il male oscuro di moda.
Un nuovo congegno apotropaico per i superstiziosi di regime.
RB
Conte: dichiarazioni da ascoltare attentamente.
RispondiElimina"Nei rapporti famigliari è chiaro che lo stato non può entrare, è espressione di un principio liberaldemocratico(???) che lo stato, salvo che non sia proprio necessario(???), non entri nelle abitazioni private, anche perché dettare regole che non possono essere sanzionate non ha molto senso". E per concludere, giusto per ricordare che potremmo morire, ambulanza a sirene spiegate.
????????
La deriva dittatoriale italiana (ma pure di altre nazioni) è evidente.
RispondiEliminaQuella che chiamavano democrazia è caduta come una pera marcia.
Cit.:
RispondiElimina"Da san Paolo a san Tommaso ai grandi documenti del Magistero, mai è stato messo in dubbio il fondamento della potestas politica sul diritto naturale. Poi, però, il testo continua dicendo che l’uso corretto della ragione presuppone di fondarsi sulla Ragione creatrice di Dio, il che tira in ballo il piano trascendente".
Questa frase è particolarmente ambigua, ma tutto il breve articolo del prof. Fontana pare tale. Da questo e da altri passaggi sembra infatti che parlare di "legge naturale" (meglio usare questa espressione, piuttosto che quella di "diritto naturale") implichi necessariamente l'escludere "il piano trascendente". Questo si chiama fideismo e corrisponde essenzialmente ad una posizione assolutamente inconciliabile con il realismo filosofico di San Tommaso e non riconducibile nemmeno al tomismo inteso come scuola, se non alle sue progaggini più moderne e contemporanee (ossia agli autori che io chiamo "post-neotomisti").
Ma vado con ordine, pur nell'estrema sintesi.
1) Che Dio esista e sia creatore per San Tommaso sono verità dimostrabili filosoficamente (cioè sul puro piano razionale) e, dunque, non necessariamente derivabili dalla sola Rivelazione.
2) Per San Tommaso l'etica in quanto tale (che non comprende solo la legge naturale) dipende teoreticamente in modo essenziale dall'esistenza di Dio, ossia se l'esistenza di Dio Creatore non fosse dimostrabile filosoficamente (in modo, cioè, puramente razionale), l'etica stessa non troverebbe la sua ultima fondazione filosofica e, dunque, non apparterrebbe a ciò che si può conoscere razionalmente.
2.1) Non c'è dunque alcun bisogno della Rivelazione per raggiungere una fondazione "trascendente" dell'etica e della legge naturale, perché ciò è possibile sul semplice piano filosofico.
Il punto 2 è particolarmente complesso in ragione di due questioni storico-teoriche fondamentali: la filosofia anti-metafisica di Kant (e questo non è un problema troppo difficile da risolvere, poiché la filosofia di Kant è piuttosto facilmente confutabile, al di là della moda ideologica che l'ha tanto celebrata) e la più recente questione della famigerata "legge di Hume" (nel mondo anglosassone chiamata "Is Ought-Question"), che è di per sè un problema ancora "caldo" per molti post-neotomisti che ne hanno un terrore irrazionale immotivato, probabilmente perché si tratta di una teoria che proviene dalla "filosofia analitica", ossia dalla parte di coloro che spessissimo si avvalgono in modo molto professionale della "logica formale o simbolica". Ma anche quest'ultimo problema non è irrisolvibile e, anzi, a mio avviso (scusate se lo dico, ma ci ho scritto un ponderoso articolo e successivamente un saggio, anche se rimasto ancora incompiuto), la soluzione porta a confermare in pieno la necessità autenticamente tomista di una fondazione metafisica dell'etica.
Ma, ribadisco, bisogna essere molto chiari nel non confondere la nozione di "legge naturale" con quella di una conoscenza del bene morale in derivazione da una natura privata di un nesso strutturale con il metafisico già sul piano filosofico stesso. Questo è un errore gravissimo. E temo che seguire su questo punto Benedetto XVI, che non è un tomista, possa trarre in inganno.
RispondiEliminaLa politica deve fondarsi solo sul diritto divino? La tesi appare eccessiva.
La questione verte, mi sembra, sul rapporto tra politica ed etica ossia tra politica e legge naturale e divina.
Si può sostenere che la politica deve fondarsi sulla legge divina, per esser veramente conforme all'etica? Che insomma il vero fondamento della politica deve sempre esser visto nella legge divina, superiore anche alla legge di natura?
Secondo me ha ragione il prof. Fontana nel ribattere, se ho ben capito, che questa tesi è eccessiva: fondamento autentico della politica lo abbiamo già in base alla legge naturale, all'ordine naturale che il politico deve seguire per realizzare il bene comune. E questo sembra essere anche il punto di vista di san Paolo, Rom 13, quando giustifica l'autorità con il suo potere coercitivo, che esercita per il nostro bene. E si trattava di un'autorità pagana, tuttavia legittima nella misura in cui perseguiva il bene comune senza violare l'ordinamento morale del mondo umano. O le leggi divine, come quando pretendeva onori divini, divinizzando l'imperatore.
I Giudei erano giunti ad un compromesso con i dominatori romani: non erano obbligati al sacrificio per l'imperatore, a riconoscerlo come divinità praticando il suo culto, ma dovevano pregare il loro Dio per la sua salute. Quando cominciò la rivolta che si concluse con la tragedia del 70 AD, smisero di pregare per l'imperatore: un grave affronto che fu un segnale.
Ma una politica che si fondi sempre e comunque sul diritto divino, ossia su una religione rivelata o pretesa tale, non conduce per forza di cose alla teocrazia? Così era nell'antico Israele e così è di fatto nell' Islam, che non distingue politica da religione, fondando anche la politica sul Corano, testo che si pretende costituire addirittura un archetipo celeste.
Intendo con teocratico uno Stato nel quale tutte le norme, anche quelle giuridiche, economiche, sono contemporaneamente religiose. In forma più blanda, quando il suo diritto riposa su un'autorità solo religiosa, come nel caso dello Stato Pontificio.
C'è poi comunque, secondo me, da riflettere sulla nota discordante rappresentata dal realismo politico, quello dei grandi teorici come Machiavelli, Guicciardini etc. La discordante nota è: per quanto si voglia considerare la politica sempre dipendente dalla morale e quindi dalla legge naturale-divina, gli interessi e le passioni faranno sempre prevalere in essa, in un determinato momento, i rapporti di forza, che obbligano a scelte dolorose o provocano il dramma e lo sfacelo. Da questo nodo non si scappa.
Savonarola cadde perché non aveva un esercito col quale costringere chi non voleva sul momento continuare a seguirlo (Mach.).
E sant'Agostino, annoto, cercò inizialmente di convincere i Donatisti eretici e violenti con i sermoni, ma fece cilecca e dovette invocare l'intervento del potere imperiale, che sistemò i facinorosi con l'uso della forza dello Stato ossia sopprimendo il movimento.
PP
Uno Stato teocratico, no. Realismo politico, sì. Allora la Chiesa Convertita di nuovo a Gesù Cristo dovrebbe educare sempre fedelmente le generazioni a raggiungere una maturità Cattolica.
RispondiEliminaUno Stato teocratico, no. Realismo politico, sì. Allora la Chiesa Convertita di nuovo a Gesù Cristo dovrebbe educare sempre fedelmente le generazioni a raggiungere una maturità Cattolica.
RispondiEliminaCit.:
RispondiElimina"Si può sostenere che la politica deve fondarsi sulla legge divina, per esser veramente conforme all'etica? Che insomma il vero fondamento della politica deve sempre esser visto nella legge divina, superiore anche alla legge di natura? Secondo me ha ragione il prof. Fontana nel ribattere, se ho ben capito, che questa tesi è eccessiva: fondamento autentico della politica lo abbiamo già in base alla legge naturale, all'ordine naturale che il politico deve seguire per realizzare il bene comune."
Fatto salvo il caveat di cui al mio commento precedente (che costituisce il vulnus dell'articolo del prof. Fontana), anch'io concordo sul fatto che il dovuto rispetto della legge naturale da parte della politica non implichi un nesso necessario sul piano teorico alla legge divina rivelata. Ma potrebbe implicarlo di fatto, procedendo per esclusione. In primo luogo si può far valere una conseguenza della teologia razionale, che come detto sopra, costituisce l'ultima fondazione teorica dell'etica, e qui si tratta ancora di una conclusione teorica: poiché la dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio implica necessariamente il monoteismo, di conseguenza segue l'esclusione secondo uso appropriato della ragione naturale di tutte le religioni non monoteiste come possibili componenti del bene comune; bene comune che la politica è chiamata per essenza a promuovere e difendere.
Approdiamo dunque al piano fattuale dell'induzione storica, sul quale è rilevabile l'esistenza di 3 monoteismi e qui penso che, senza stare a specificarne i motivi, un confronto tra questi 3 monoteismi porti per ragioni diverse all'evidente prevalere "veritativo" del cattolicesimo. Poi rimane tutto il complesso problema di come gestire e fare valere la superiorità veritativa del cattolicesimo sul piano giuridico-politico, soprattutto in relazione alla questione capitale della libertà religiosa (e anche su questo tempo che il prof. Fontana non osi mettere in dubbio il "dogma spurio" della libertà religiosa post Vaticano secondo).
Quello che riesce difficile comprendere è per quale motivo un consacrato rimane sedotto dalle filosofie, dalle ideologie, dalle politiche del mondo, quando a cercar di vivere cattolica/mente e cattolica/mente adempiere il proprio compito una vita non basta. Non trovo risposta plausibile se non considerare che la maggior parte delle vocazioni furono e sono fasulle. Per quel che mi riguarda come fedele xy so che il mio Cattolicesimo è appena malamente abbozzato, meglio il mio Cattolicesimo è di desiderio e non in tutte le ore della giornata.
RispondiEliminaPer essere "radiato" dalla magistratura deve averla combinata davvero grossa, perché altrimenti sarebbe rimasto al suo posto come tanti altri colleghi di merende che occupano ruoli apicali in tutte le Procure d'Italia. Oppure un agnello da sacrificare affinché tutto continui come prima. Ma ora che l'indole criminale di Luca Palamara è stata acclarata Urbi et Orbi, se esistesse un giustizia degna di tale nome dovrebbe immediatamente stabilire quali generi di "traffici d'influenze" hanno avuto luogo per anni e anni con i compagni del PD. Anzi, avrebbe già dovuto farlo da un pezzo. Ma ormai poltica e magistratura sono talmente fuse e interconnesse da non poter più vivere l'una senza l'altra, pena il crollo di entrambe. In parole differenti la giustizia oggi è una pura e semplice finzione per controllare e spartire il potere, null'altro di più.
RispondiEliminaLuca Palamara aveva pronta la sua difesa che spiegava tutto 'il sistema', sono passati subito al giudizio senza che potesse difendersi per non scoprire la pentola. Appunto.
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