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sabato 2 luglio 2022

Il dogma della Transustanziazione nella epigrafe eucaristica di San Lorenzo fuori le mura

  1. (Adsp)ICE QUI TRANSIS QUAM SIT BREVIS AC(cipe vita)
  2. (Atqu)E TUAE NAVIS ITER AD LITUS PARAD(isi)
  3. (Der)EGE QUO VULTUM DOMINI FACIAS TIBI PO(rtum)
  4. (Dica)T IAM QUISQUIS HAEC SACRA PERH(auriat ore)
  5. (Glor)IA SUMMA DOMINUS LUMEN SAPIENTIA VIR(tus)
  6. (Cui)US [o: (Ver)US] IN ALTARI CRUOR EST VINUMQUE (videtur)
  7. (Qui)QUE TUI LATERIS PER OPUS MIRAE (pietatis)
  8. (Omni)POTENTER AQUAM TRIBUIS BAPTI(smate lotis)
Guarda, tu che passi, intendi quanto sia breve la vita, e raddrizza il viaggio della tua nave all’approdo del Paradiso, là dove il tuo porto sarà vedere il Signore. Dica ormai chiunque beve queste specie consacrate: “Tu sei la somma gloria, il Signore, il lume, la sapienza, la virtù, il cui [o: vero] sangue è sull’altare e sembra vino; tu, che nella tua onnipotenza concedi con un’opera di mirabile misericordia l’acqua scaturita dal tuo fianco a coloro che sono stati purificati nel battesimo”.

È merito di padre Egidio Picucci avere di recente riportato l’attenzione, con un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano dell’11 dicembre 2005, su di un’epigrafe composta di otto versi, unica nel suo genere, collocata nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma. È la sola conosciuta, tra le epigrafi cristiane antiche, in cui si accenna esplicitamente alla transustanziazione, cioè al fatto che nella santa messa il pane e il vino diventano vero corpo e vero sangue di Cristo. Si legge infatti nel testo, al verso 6, che sull’altare è offerto il sangue (“cruor”) del Signore, che sembra (“videtur”) vino, ma è quel sangue sgorgato insieme all’acqua dal costato di Gesù Cristo crocifisso. 
I versi sono esametri, mutili all’inizio e alla fine, in parte perché scomparsi per il taglio della lastra di marmo su cui furono incisi, in parte perché coperti dalle strutture che attualmente inglobano la lastra, e appaiono anche parzialmente nascosti da una grande croce mosaicata di opera cosmatesca scolpitavi sopra. Questo stato di cose lascia delle incertezze sull’integrazione di alcune parole, senza però impedire la comprensione del testo. La lastra, che in antico fu smontata dalla sua posizione originaria e venne riutilizzata nel Medioevo, è ora murata nel soffitto del vestibolo che introduce alla cripta che custodisce le reliquie dei martiri Lorenzo, Stefano e Giustino, e ne rimane attualmente visibile una parte che misura 113×102 cm. Venne messa in questa posizione in occasione del rifacimento della Basilica ad opera di papa Onorio III (1216-1227), che ingrandì la precedente Basilica di papa Pelagio II (579-590) orientandola in maniera opposta, creò la cripta, rialzò parte dell’edificio del VI secolo facendone il presbiterio e vi collocò, in corrispondenza della tomba di Lorenzo, l’altare centrale, trasportandovi il ciborio, che attualmente lo sovrasta, costruito nel 1148 (vedi box alle pp. 93-94).

L’epigrafe (trascritta qui accanto con le integrazioni proposte da Antonio Ferrua più una variante di Felice Grossi Gondi al verso 6) è anche la più antica in lingua latina che ricorda in genere il sacramento dell’eucaristia: in considerazione dello stile, della paleografia e del contenuto, è attribuibile al più tardi al V secolo. Quasi certamente proviene dalle immediate vicinanze del luogo in cui è ora collocata, e in essa si parla anche del sacramento del battesimo, che certamente doveva essere amministrato presso la tomba di Lorenzo. Per via della sua datazione è probabilmente da mettersi in relazione con la prima Basilica eretta sotto il pontificato di papa Silvestro (314-335) dall’imperatore Costantino, secondo la testimonianza del Liber Pontificalis, «via Tiburtina in agrum Veranum» (ed. Duchesne, I, p. 181). Di un battistero attribuibile a questa Basilica non sono state trovate tracce archeologiche, ma sappiamo della sua esistenza da quanto si può leggere nello stesso Liber Pontificalis in relazione alle biografie di papa Sisto III (432-440; I, p. 234) e di papa Ilario (461-468; I, p. 244), i quali entrambi fecero donativi alla Basilica per l’amministrazione del battesimo. Anche se non sappiamo se il fonte battesimale fosse interno all’edificio o se il battistero facesse corpo a sé, separato, tuttavia si può pensare che l’epigrafe fosse collocata e visibile lungo il tragitto per il quale i catecumeni passavano per andare a ricevere il sacramento.

Le epigrafi cristiane dei primi secoli in cui si parla dell’eucaristia sono rarissime; più antiche di quella in San Lorenzo fuori le Mura se ne conoscono due, entrambe in lingua greca, una di provenienza orientale, l’altra occidentale. La prima è il notissimo carme di Abercio vescovo di Hierapolis, capitale della Phrygia salutaris, databile agli ultimi anni del II secolo, in cui si nomina Gesù con la parola ’Icthùs (“pesce”), cioè “Iesùs Xristòs Thèou Uiòs Sotèr” (“Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore”): «… la fede mi condusse in ogni luogo e dovunque m’imbandì come alimento il pesce di fonte, grandissimo, puro, che la santa vergine prende e lo porge agli amici perché si nutrano sempre, avendo un vino gradevole che ci offriva misto (con acqua) insieme al pane …». Contemporanea o di qualche anno più tarda è la seconda epigrafe, sulla quale è inciso il carme sepolcrale di Pettorio di Augustodunum (Autun, Francia). I primi versi dicono: «Divina stirpe del pesce celeste, serba un cuore puro; tu che hai ricevuto la vita immortale, tra i mortali, nelle acque sacre, accendi il tuo cuore, amico, nelle acque perenni della munifica sapienza; ricevi l’alimento dolce come il miele del Salvatore dei santi, mangia avido [affamato], tenendo il pesce nelle [tue] mani. [Nutrimi] dunque del pesce, ti prego, Signore salvatore […]» (le traduzioni sono da P. Testini, Archeologia cristiana, Edipuglia, Bari 1980, pp. 422-423 e 425). L’epigrafe eucaristica di San Lorenzo, pur già presente in alcune raccolte del Settecento e dell’Ottocento, fu studiata analiticamente e pubblicata dal padre gesuita Felice Grossi Gondi (L’iscrizione eucaristica del secolo V nella basilica di S. Lorenzo al Verano, in Nuovo Bullettino di Archeologia Cristiana, 1921, pp. 106-111). A lui si deve una prima integrazione dei versi mutili, e la datazione al IV-V secolo sulla base di varie particolarità del testo e del contenuto: le imprecisioni metriche, l’uso del termine “paradisus” e il costume di ricevere il sacramento del battesimo in età adulta, che cessa verso la metà del V secolo. Una nuova pubblicazione del testo (con alcune correzioni) fu poi fatta, in tempi più recenti, da padre Antonio Ferrua (Inscriptiones Christianae Urbis Romae, vol. VII, 1980, n. 18324, pp. 164-165). Forse solo pochi anni prima della composizione dell’epigrafe, scriveva le stesse parole san Cirillo vescovo di Gerusalemme: «tu credi con assoluta certezza che quello che sembra pane non è pane, sebbene così sia percepito dal senso del gusto, ma il corpo di Cristo, e quello che sembra vino non è vino, sebbene così appaia al gusto, ma il sangue di Cristo» (Catechesis mystagogia 4, 9). - Fonte

2 commenti:

  1. Che meraviglia! Grazie di cuore.

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  2. MATER MEA FIDUCIA MEA02 luglio, 2022 08:16

    Buona Festa della Visitazione di Maria Santissima!

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