Immaginare per la Chiesa un’uscita dalla crisi
Grandi scadenze si avvicinano, ineluttabilmente. Il disgregarsi del cattolicesimo sta accelerando e non soltanto in Germania. Pertanto sta diventando sempre più evidente uno scisma di fatto tra un cattolicesimo di conservazione (nel senso in cui Yann Raison du Cleuziou parla dei cattolici, che hanno mantenuto una sorta di «linea conservativa») ed un cattolicesimo liberal-conciliare. Grandi sconvolgimenti possono offrire l’opportunità ai vescovi, che ne avranno la volontà suscitata dall’onnipotente Provvidenza, d’iniziare la dura lotta verso la rinascita. Si troveranno simili Successori degli Apostoli?
Una salvezza che non può essere gerarchica
La Chiesa, a seguito dell’evento Vaticano II, è precipitata in una crisi di genere totalmente atipico, in cui l’esercizio abituale del magistero è stato ostacolato. Ciò è dovuto alle innovazioni insegnate da questo concilio ed a questa sorta di rinuncia, costituita dall’uscita dal magistero infallibile, almeno come riferimento, e dalla sua sostituzione con l’insegnamento pastorale. Il segno più visibile di questa nuova era è una liturgia essa stessa pastorale, indebolita, talvolta in modo considerevole, dal punto di vista del proprio significato teologico.
Essendo la costituzione divina della Chiesa fondata sul papa e sui vescovi, l’uscita dalla crisi, sul lungo termine, non può essere che ripresa in mano dal papa e dai vescovi uniti a lui. Essi dovranno necessariamente dedicarsi ad un capovolgimento ecclesiologico nel quadro di una società cattolica, oggi minoritaria. La Chiesa ritroverà la consapevolezza d’esser la totalità soprannaturale del suo Corpo mistico sulla terra, nella povertà dei mezzi che le impone la situazione di persecuzione ideologica del mondo moderno[1].
Ciò indica il termine. Prima i fedeli della Chiesa (un tempo si sarebbero potuti aggiungere i principi cristiani), animati dal sensus fidelium, potevano certamente operare assai in tale direzione, in particolare per il mantenimento della lex orandi tradizionale. Ma la preparazione adeguata al rovesciamento di cui parliamo sarebbe – o lo è già, benché ancora molto debolmente – l’azione riformatrice dei Successori degli Apostoli in comunione premurosa col papa restauratore.
Non dobbiamo nasconderci che, se la confessione integrale della fede cattolica tornasse un giorno, come di regola, il criterio d’appartenenza alla Chiesa, la latente frattura dell’unità, che esiste da cinquant’anni tra i cattolici[2], si trasformerebbe necessariamente in scisma aperto. E ciò non potrà accadere che «con lacrime e sangue», moralmente parlando. Ma sarà allo stesso tempo liberatorio, essendo la verità per essenza salvifica, anche per gli scismatici chiamati alla scelta ed alla conversione. Perché non si possono purtroppo prevedere soluzioni soft ad una crisi di tale portata.
Uscire da un cattolicesimo «light», ritornare ad un cattolicesimo «integro»
Quale programma è possibile immaginare per la gerarchia del futuro e, nell’avvenire più prossimo, per quei vescovi che anticipino e preparino la ripresa della Chiesa? Nei prossimi numeri accenneremo ad un certo numero di temi propri della riforma e, prima ancora, dei prolegomeni alla riforma, come la ricomposizione della liturgia, il ritorno alla predicazione sui fini ultimi, il ripristino della disciplina della comunione, l’insegnamento di ciò che si potrebbe chiamare semplicemente catechismo, la morale e specialmente la morale coniugale, la formazione dei sacerdoti.
Ma fondamentalmente, come dice Georges Weigel nel suo libro Il prossimo papa[3] – l’editore ne ha consegnato una copia a ciascuno dei cardinali durante il concistoro dello scorso agosto – conviene smarcarsi da un cattolicesimo «light» e ritornare ad un cattolicesimo «integro». È – spiega – una «legge ferrea» che, nel quadro del confronto tra cristianesimo, modernità e post-modernità, sole continuino a sopravvivere ed anche a fiorire quelle comunità ben
consapevoli della propria identità in materia di dottrina e di morale: «Il prossimo papa dovrà ricordarsi che il dogma è liberatorio». Il cardinale anonimo che ha assunto lo pseudonimo di Demos, autore di un memorandum sul prossimo conclave, riprende l’antifona: «Il Successore di Pietro, in quanto capo del collegio dei vescovi, che pure sono Successori degli Apostoli, gioca un ruolo fondamentale per l’unità e la dottrina. Il nuovo papa dovrà comprendere che il segreto della vitalità cristiana e cattolica deriva dalla fedeltà agli insegnamenti di Cristo ed alle pratiche cattoliche[4]».
Ma ciò che dobbiamo aspettarci da un futuro papa votato alla restaurazione del cattolicesimo, dobbiamo già sperarlo da quei vescovi, che ci siamo riproposti di dire in comunione premurosa con questo papa, che non si è ancora unito a loro[5]. Questo è il papa che si augurano esplicitamente George Weigel, il cardinale Demos ed i vescovi pronti a dichiararsi deliberatamente riformatori o ancora la rivista Cardinalis, lanciata da giovani editori francesi e rivolta a tutti i cardinali del mondo[6].
Ma questo papa e prima di tutto questi vescovi si troveranno alle prese con un doppio vincolo, esterno ed interno. Un vincolo esterno molto forte: il cattolicesimo vive o sopravvive in un mondo che afferma la propria laicità attraverso una pressione sociale ed istituzionale, certamente liberale, ma di fatto alquanto dittatoriale. I sociologi Philippe Portier e Jean-Paul Willaime, in La religion dans la France contemporaine. Entre sécularisation et recomposition[7] [La religione nella Francia contemporanea. Tra secolarizzazione e ricomposizione-NdT] formulano una tipologia ed un’analisi di indifferenti ed atei, divenuti maggioritari nelle società contemporanee, a partire dalla rottura degli anni 1960-1970. Sono dei «laicisti d’asserzione» o «laicisti d’indifferenza», che si sviluppano in un mondo, in cui la religione è assente. Tali autori precisano che questo mondo di senza-Dio non è uno spazio vuoto: si articola attorno ad un’etica dell’autonomia pesantemente soggettivista ed alquanto significativa. Aggiungiamo ch’essa delegittima qualsiasi tentativo di ritorno al dogma e di morale cattolica e che penalizza sistematicamente i suoi difensori.
Ma c’è anche un vincolo interno: la corrente favorevole ad un adattamento al mondo moderno manterrà a lungo molte delle posizioni gerarchiche ed ostacolerà con forza qualsiasi rimonta della corrente di conservazione. Lo prova l’opposizione virulenta incontrata da Benedetto XVI, quando si accontentò di attuare niente più di un’interpretazione più conservatrice del Concilio. Ciò dà un’idea di quel che potrebbe essere l’opposizione all’adozione pura e semplice di un’ecclesiologia tradizionale.
Voltare pagina
Le nostre riflessioni anticipatrici possono dar l’impressione di ridar vita ad un sogno. Tuttavia, dopo mezzo secolo, il complesso dei cattolici sconcertati dalle contrapposizioni tra il magistero tradizionale ed un magistero nuovo di tipo pastorale non ha cessato di coltivare questo sogno in una ripresa salvifica. Essi hanno costantemente richiamato il magistero pontificio a riprendersi e ad esprimersi alla vecchia maniera: molto semplicemente ad esprimersi come magistero. Innumerevoli sono stati gli interrogativi, i dubia ad esso indirizzati sotto le forme più diverse, dal Liber accusationis dell’abate Georges di Nantes, che, in modo molto diretto, chiese nel 1972 a Paolo VI di giudicarsi da sé, ai dubia rispettosi dei cardinali Caffarra, Meisner, Burke e Brandmüller, che hanno chiesto a papa Francesco nel 2016 di decidersi in merito alla contrapposizione tra la morale tradizionale ed il cap. VIII di Amoris lætitia, in altre parole di condannare con autorità magisteriale i suoi stessi insegnamenti.
Prima di tale condanna auspicata, i cardinali in questione e molti altri hanno insegnato la dottrina tradizionale. È capitato anche che certi vescovi siano giunti a sospendere l’applicazione della nuova disciplina sui divorziati «risposati».
Non c’è d’altronde bisogno di attaccare il Concilio Vaticano II per attaccare Amoris lætitia, poiché, di fatto, da HumanæVitæ a Benedetto XVI la dottrina morale è rimasta essenzialmente tradizionale, preconciliare. Tuttavia, lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI e dell’elezione di Francesco nel 2013 ha molto contribuito a far risalire la riflessione dagli effetti, il bergoglismo, alle cause, il Vaticano II. La critica al Concilio, grazie anche al rifiuto provocato da papa Francesco, ha acquisito un certo diritto di cittadinanza nella Chiesa[8]. Così è sembrato che la dichiarazione di Abu Dhabi (vedi)[9], firmata da papa Francesco, come le Giornate di Assisi succedutesi, presiedute da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, fossero fondate sul «rispetto» che Nostra ætate n. 2 accorda alle religioni non cristiane [10]. Così i blog ratzingeriani dedicano ormai ampio spazio ai dibattiti critici sul concilio Vaticano II, dibattiti che fino ad ora erano riservati agli ambiti
tradizionalisti. Così il libro curato dal vaticanista Aldo Maria Valli, L’altro Vaticano II. Voci su un Concilio che non vuole finire[11], ha riunito autori relativamente diversi, eppure praticamente tutti concordi nel formulare importanti riserve in merito all’ultimo concilio.
D’altronde, in modo alquanto logico, A. M. Valli ha sollevato la questione ultima, cui porta l’immenso malessere, di cui soffre il cattolicesimo fin dal 1965 [sono decenni che ne discutiamo in tutte le salse -ndr]: per uscire da questa situazione, che fare del Vaticano II? Questione, cui cercano di rispondere anche tutti coloro che, evitando di rimetterlo in discussione, hanno cercato, senza mai riuscirvi, di «inquadrare» il Concilio, come Benedetto XVI con la sua «ermeneutica della riforma o rinnovamento nella continuità».
Osserviamo del resto come, ineluttabilmente, voler inquadrare il Concilio conduca a rimetterlo in discussione. Il processo avviato dallo stesso Benedetto XVI con Summorum Pontificum nel 2007 è andato in questa direzione, non soltanto affermando il diritto ad esistere della liturgia precedente al Vaticano II, espressione cultuale della dottrina del tempo, ma anche perché, lanciando l’idea dell’«arricchimento reciproco» della nuova e dell’antica liturgia, ha cercato di dar vigore all’idea ricorrente della «riforma della riforma», vale a dire a quell’idea della correzione progressiva della liturgia di Paolo VI avvicinandosi alla liturgia tridentina.
Questa «riforma della riforma» è tipicamente un processo di transizione – che papa Ratzinger si è purtroppo astenuto dal porre concretamente in opera, salvo in qualche dettaglio delle proprie celebrazioni -, processo che potrà essere applicato alla liturgia dai vescovi o da un papa, che abbiano una ferma volontà restauratrice. Ciò sarà necessario perché la nuova liturgia ha creato abitudini profondamente radicate, che, anche in un clima favorevole al ritorno verso forme antiche, obbligheranno a preparare delle fasi di transizione. Questo processo graduale applicato alla lex orandi potrà ispirare, certo per analogia, un movimento di ritorno dogmatico alla lex credendi. Si tratta di un’analogia remota, poiché nessun accomodamento, foss’anche quello di una transizione provvisoria, si saprebbe operare nell’espressione concettuale della verità.
Allora perché parlare di «riforma della riforma» in materia di dottrina? Ci sembra che si tratti di considerare i punti controversi del Vaticano II come una sorta di obiezioni, di videtur quod non, fatte al magistero, proprio come nelle scuole medioevali si facevano obiezioni al maestro di teologia. Quest’ultimo, a tali obiezioni, dava risposte, esplicitando il suo pensiero con tutte le distinzioni necessarie. Non è così che procedette Pio XII, per fare un esempio tra molti altri, quando, alla sentenza «Fuori dalla Chiesa, nessuna salvezza», i contemporanei obiettarono l’apparente ingiustizia di tale affermazione, tenuto conto dell’esigua percentuale di coloro, che avrebbero potuto ricevere la luce della Rivelazione dagli albori dell’umanità ad oggi. Pio XII rispose allora con Mystici Corporis che, nel segreto di Dio, possono accedere alla salvezza «coloro che per un qual certo desiderio e per un inconsapevole auspicio, si trovino ordinati al Corpo mistico del Redentore»: anche questi, che Dio solo conosce, vengono pertanto salvati dalla Chiesa (come d’altronde inversamente sono dannati coloro che sembrano appartenere alla Chiesa, ma che in realtà ne sono separati dall’eresia).
Ciò comporterebbe una vera e propria rettifica degli ambiti controversi, tale da cercare ad esempio una via per qualificare i cristiani separati non come cattolici «imperfetti» (Unitatis redintegratio, n. 3), ciò che è di dubbia ortodossia, bensì, in virtù degli «elementi» di Chiesa che si trovano nella loro comunità come il battesimo, la Scrittura (ibidem), come tali da beneficiare concretamente d’una preparazione e di un invito a tornare in comunione con Cristo e con la Chiesa.
Quest’opera di rettifica dottrinale è certamente la più importante tra quelle che i Successori degli Apostoli, coscienti della necessità d’una restaurazione della Chiesa – di una vera riforma -, dovranno preparare per un papa futuro e già devono esercitare, in nome di quella sollecitudine ch’essi devono a tutta la Chiesa (Fidei Donum ripresa da Lumen Gentium 23), per il fatto stesso d’essere vescovi, dottori della fede.
Don Claude Barthe____________________________
[1] Si veda Res Novæ, novembre 2022, Per una vera riforma della Chiesa.
[2] Si veda Res Novæ, ottobre 2022, Il magistero come un piumino.
[3] Parole et Silence, 2020. Il prossimo papa, Fede&Cultura, 2021. The Next Pope, Ignatius Press, 2020.
[4] Tra i cardinali circola un memorandum sul prossimo conclave [qui]. Eccolo – Settimo Cielo – Blog – L’Espresso (repubblica.it).
[5] Si veda Res Novæ, giugno 2022, Se il papa tace, che parlino i vescovi!.
[6] Cardinalis – La rivista dei cardinali (cardinalis-magazine.com).
[7] Armand Colin, 2021.
[8] Si veda Res Novæ, marzo 2021, La critica al Concilio gode di ottima salute.
[9] «Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una saggia volontà divina».
[10] «[La Chiesa cattolica] considera con un rispetto sincero questi modi d’agire e di vivere, queste regole e queste dottrine, che, pur differendo in molti aspetti da ciò ch’essa stessa sostiene e propone, riflettono tuttavia spesso un raggio della verità, che illumina tutti gli uomini».
[11] Chorabooks, Hong Kong, 2021.
Il 2 dicembre 1960 Giovanni XXIII riceve in Vaticano, in una atmosfera di particolare piacevolezza, il Dottor Geoffrey Francis Fisher, in arte Arcivescovo (anglicano) di Canterbury. Hanno inizio gli incontri ecumenici fino ad allora severamente condannati dalla Chiesa e tenuti da allora in poi, senza soluzione di continuità, anzi con sempre maggiore (scandalosa) passione, da tutti i successori di Roncalli
RispondiEliminaDa entrambi i lati deve ritornare il cattolicesimo: quello del fedele e quello del pastore. Oggi (da un bel pò) la fede è evaporata. Rimane solo nei conservatori, fedeli e pastori. Uno scisma non può che fare bene a mio avviso. Almeno si certificano i "tiepidi", e se ci dovessero essere lacrime e sangue va bene comunque: un pò di martirio ci farà bene.
RispondiEliminaQuello delle 7:20
Ancora molto vivace fino al 1960, come attesta lo storico Gauillaume Cuchet, la Cristianità è stata metodicamente affondata dall’alto clero, che l’ha lasciata ai suoi rivali storici, per un saccheggio che non l’affligge di più della nostra accademica. Con la copertura dello “spirito del Concilio” i cui predicatori, pur non avendo più i pulpiti tanto denigrati, ci riempivano le orecchie. Su questo punto, non è cambiato proprio niente. Nonostante la sconfitta delle promesse e dei “sacrifici” che la Chiesa imponeva ai suoi drappelli per scandagliare il mondo, il Concilio resta un blocco compatto. O lo si accoglie così com’è, o si rischia la morte sociale nelle diocesi. Per l’alto clero, il Concilio incarna l’avvenimento totemico, che dà la vita nuova. Come corollario, un tabù indiscutibile vieta di modificare la minima componente. Su questo punto, la Roma postconciliare è rigida quanto una città antica o una società primitiva.
RispondiEliminaPhilippe de Labriolle
La spiegazione prosegue nell’«apparizione» dell’8 dicembre: «Desidero che ogni anno, il giorno 8 dicembre si pratichi a Mezzogiorno l’Ora di Grazia universale: con questa pratica si otterranno numerose grazie spirituali e corporali. Quelli che non potranno portarsi nelle loro chiese, pur restando nelle loro case, pregando a Mezzogiorno otterranno le mie grazie». Suo Figlio – assicura la Madonna – è pronto ad accordarle «la sua più grande misericordia purché i buoni continuino sempre a pregare per i loro fratelli peccatori».
RispondiEliminahttps://lanuovabq.it/it/lora-di-grazia-il-dono-di-maria-per-l8-dicembre
Riconosciuta o non riconosciuta, l'essenza che mi riguarda e' la preghiera e la contrizione per i miei peccati e per la conversione dei peccatori. Devo affermare, a mio disdoro, che pur pregando per i fratelli non rilevo in me quell'abnegazione che e' nella SS.Vergine Maria tanto che mi domando : "Perche' non riesco ad amare il mio prossimo così come amo la Madonna e Gesu'"?
La gerarchia cattolica è come la Consulta della Corte Costituzionale: sancisce l'ingiustizia.
RispondiEliminaHa smesso di farsi garante di ciò che la fonda, per diventarlo dei poteri a cui rende conto.
Il Concilio è un idolo. Esattamente come il potere nelle sue manifestazioni (green pass).
Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è una purificazione (un castigo, per un castum agere): per purificarci dal vizio è necessario il lavacro del sangue dell'Agnello.
"Conducimi Signore sulla tua via ed entrerò nella Tua verità: gioisca il mio cuore perchè tema il tuo nome".
Che cosa resta da fare a chi non è più rappresentato nelle sue istanze di vera giustizia?
Lettura odierna da Isaia: Certo, ancora un po' e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva. Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro; liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno.
Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele. Perché il tiranno non sarà più, sparirà il beffardo, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla. Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore che riscattò Abramo: "D'ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, poiché vedendo il lavoro delle mie mani tra di loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio di Israele. Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza e i brontoloni impareranno la lezione".
La speranza del giusto si fonda su queste promesse.
Speriamo restando "uomini (e donne) di questo desiderio!" coltivato con clamore (preghiera) e fulgore (riflessione).
Sfinito all'estremo, ruggisco per il fremito del mio cuore, Signore: davanti a Te ogni mio desiderio e il mio gemito non ti sono nascosti.
E nel vangelo: ... mentre Gesù si allontanava, due ciechi lo seguivano urlando: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi». Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: «Credete voi che io possa fare questo?». Gli risposero: «Sì, o Signore!».
Allora toccò loro gli occhi e disse: «Sia fatto a voi secondo la vostra fede».
E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: «Badate che nessuno lo sappia!». Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione.
Questa è l'unica disobbedienza ammessa!
Un'umanità resa cieca spiritualmente dall'eccesso di mondo esteriore e dai fumi di un psicologismo interiore totalmente ripiegato su se stesso, incapace di vedere "sopra di sè".
Un occhio cieco alla Luce, come l'occhio che presta attenzione alla varietà dei colori senza vedere e far caso alla luce che glielo permette... Così le nostre anime presa dalla mondanità non nota l'Essere al di là di ogni altro, benché Egli lo voglia vivente.
"Dal pentimento solleva lo sguardo ai raggi della sapienza, potendone vedere la luce senza che accada che ti accechino".
"Se cade l'Armenia poi toccherà alla vecchia Europa depositaria della cultura giudaico-cristiana". L'intervista al grande scrittore Sylvain Tesson di ritorno dal popolo minacciato di annichilimento. "All'Azerbaijan ci lega solo un gasdotto, all'Armenia millenni di legami della memoria, della mente, del cuore e dell'anima che i turchi vogliono cancellare. Quando il sole tramonta sulle pendici del monte Ararat, sembra la Galilea. Ma quando vai in Armenia, sembra di tornare a casa. In Europa. È il nostro avamposto. Possiamo accettare di sacrificarla sull'altare del riscaldamento centralizzato? Fraü Ursula von der Leyen pensa di sì. Ma giorni fa sono andato da Papa Francesco e gli ho chiesto di condannare le aggressioni all'Armenia. Lui e Parolin hanno rifiutato..."
RispondiEliminaP.S. Abbonarsi alla newsletter per accedere ai contenuti
https://meotti.substack.com/p/se-cade-larmenia-poi-tocchera-alla
Sempre col mantra della cultura giudaico-cristiana, ignorando che la nostra civiltà nasce greco-romana fecondata dal cristianesimo che ha ereditato l'ebraismo puro della Torah portato a compimento dal Signore, in luogo del giudaismo spurio rabbinico del Talmud!
RispondiEliminaPREGHIERA ALL'IMMACOLATA del Venerabile Pio XII
RispondiEliminaRapiti dal fulgore della vostra celeste bellezza e sospinti dalle angosce del secolo, ci gettiamo tra le vostre braccia, o Immacolata Madre di Gesù e Madre nostra, Maria, fiduciosi di trovare nel vostro Cuore amantissimo l'appagamento delle nostre fervide aspirazioni e il porto sicuro fra le tempeste che da ogni parte ci spingono.
Benché avviliti dalle colpe e sopraffatti da infinite miserie, ammiriamo e cantiamo l'impareggiabile ricchezza di eccelsi doni, di cui Iddio vi ha ricolmata al di sopra di ogni altra pura creatura, dal primo istante del vostro concepimento fino al giorno in cui, Assunta in Cielo, vi ha incoronata Regina dell'Universo. O Fonte limpida di fede, irrorate con le eterne verità le nostre menti! O Giglio fragrante di ogni santità, avvincente i nostri cuori col vostro celestiale profumo! O Trionfatrice del male e della morte, ispirateci profondo orrore al peccato, che rende l'anima detestabile a Dio e schiava dell'inferno!
Ascoltate, o prediletta di Dio, l'ardente grido che da ogni cuore fedele s'innalza. Chinatevi sulle doloranti nostre piaghe. Mutate le menti ai malvagi, asciugate le lagrime degli afflitti e degli oppressi, confortate i poveri e gli umili, spegnete gli odi, addolcite gli aspri costumi, custodite il fiore della purezza nei giovani, proteggete la Chiesa santa, fate che gli uomini tutti sentano il fascino della cristiana bontà. Nel vostro nome che risuona nei Cieli armonia, essi si ravvisino fratelli, e le nazioni membri di una sola famiglia, su cui risplenda il sole di una universale e sincera pace.
Accogliete, o Madre dolcissima, le umili nostre suppliche e otteneteci soprattutto che possiamo un giorno ripetere dinanzi al vostro trono, beati con Voi, l'inno che si leva oggi sulla terra intorno ai vostri altari: "Tutta bella sei, o Maria! Tu gloria, Tu letizia, Tu onore del nostro popolo!" Così sia
Dio cammina nella tua anima con passo silenzioso. Dio viene a te più sovente di quanto tu faccia con Lui. Non pretendere mai che la Sua Venuta sia come tu l'aspetti, perciò non provarne alcuna delusione.
RispondiEliminaPer rispondere al Suo Tenero Invito la cosa migliore che puoi fare, la cosa più grande, è che tu faccia appello alla tua capacità di porti libero davanti a Lui, libero dalle tue idee, dai tuoi pensieri, libero dalle tue preoccupazioni, dalle tue abitudini e libero anche dai tuoi peccati.
L'atteggiamento da assumere per poter accogliere il Dio che viene a stare con te, l'Emmanuele (Dio con noi), è quello del piccolo Samuele: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta" (Sam 1, 3-10)
(Fulton J. Sheen, da "Avvento e Natale")