In memoriam di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI accenti condivisibili e che interpellano. Personalmente condivido le sottolineature positive che da sempre mi hanno catturato mente e cuore; ma penso non debba corrersi il rischio di confondere un sano e anche sofferto realismo, fondato su studio e preghiera, con l'assenza di carità di un tradizionalismo solo carnale...
Se scrivi, non mi sa di nulla, se non vi leggerò Gesù. Se discuti o disserti, non mi sa di nulla, se non vi risuonerà Gesù (san Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, 15, 6).
La Provvidenza non manca mai di soccorrerci per indicarci la via da seguire o il modo di risolvere i nostri dilemmi. Possiamo certo scrivere o parlare, purché ciò abbia per oggetto il Signore oppure, qualora Egli non lo sia esplicitamente, porti a pensare a Lui, ad amarlo e a seguirlo. Il primato e la centralità di Dio nella vita umana è proprio quel che ha contrassegnato l’insegnamento e l’operato del compianto papa Benedetto XVI, la cui profonda vita mistica traspariva nello sguardo limpido e colmo di bontà, nel tratto attento e garbato con tutti, nella parola penetrante e capace di trasformare le persone. Se è vero che gli occhi son la finestra dell’anima, nei suoi brillava una luce soprannaturale che attraeva verso il Cielo e rassicurava l’interlocutore.
La rabbiosa e stupida guerra che gli mosse il mondo, fin da quando era prefetto del Sant’Uffizio, è un’indiretta conferma della sua fedeltà di uomo votato a Dio, che nulla poté far deflettere dalla linea della verità. Di sicuro nessuno è perfetto né rimane esente dal clima culturale in cui si è formato; nella sua impostazione intellettuale si può senz’altro lamentare un certo influsso kantiano, specie nella concezione della ragione, ed esistenzialista, in particolare nella visione della libertà di coscienza. Tuttavia lo studio dei Padri (soprattutto di sant’Agostino) e degli scritti di san Bonaventura preservò la sua mente da quelle derive immanentistiche e soggettivistiche cui si abbandonarono altri teologi del tempo, come Karl Rahner e Hans Küng, fino all’aperta eresia.
Non ignoriamo che, nel 1955, il dogmatico tedesco Michael Schmaus (1897-1993), correlatore della sua tesi di abilitazione all’insegnamento, ne richiese una revisione per via di quella che giudicò un’eccessiva soggettivizzazione del concetto di rivelazione, esigenza cui il candidato si adeguò del resto docilmente. La notizia che Schmaus lo abbia considerato un pericoloso modernista proviene però dal successore di Rahner, Eugen Biser (1918-2014), la cui testimonianza potrebbe peccare di partigianeria. In un’epoca di irrigidimento difensivo, in ogni caso, il sospetto si abbatteva – senza distinguere abbastanza tra chi lo faceva in buona fede, sulla base di un’educazione genuinamente cattolica, e chi invece indulgeva a suggestioni gnostiche – su chiunque tentasse di aprire nuove vie per comprendere la verità rivelata e renderla accessibile alla mentalità del tempo.
Ciononostante, certi circoli tradizionalisti non esitano a liquidare Joseph Ratzinger come modernista e rivoluzionario, seppur moderato. Questo ingeneroso giudizio denuncia un atteggiamento mentale distorto dal pregiudizio e incapace di cogliere sia la complessità del reale, sia l’opera della grazia in un’anima: non è vero che tra il pensiero del giovane teologo e quello del papa non vi sia differenza. È innegabile che l’uomo maturo non abbia mai sconfessato gli scritti precoci, ma ciò non autorizza a giudicare le intenzioni di qualcuno che tenne sempre a mantenere aperto un dialogo con la cultura contemporanea per non abbandonarla a se stessa, nonché per evitare che la Chiesa si rinchiudesse in un ghetto, a detrimento dell’una e dell’altra.
La prospettiva angusta e meschina di chi senza remore appiccica ad altri l’etichetta di eretico, come se l’errore fosse immancabilmente volontario, è uno degli effetti di quel tomismo manualistico che non fa certo onore all’Aquinate, ma lo deforma paradossalmente in una variante del razionalismo moderno. La teologia ridotta a fredde formule e banali sillogismi sa tanto di decadente nominalismo, nel quale i termini non designano più se non concetti astratti che non hanno rapporto con la realtà, ma servono solo a nutrire l’illusione di possedere il divino col ragionamento. Tale impostazione del pensiero impoverisce la mente e sterilizza l’anima; quel che è più grave, reifica il mistero e lo tratta, in modo tendenzialmente blasfemo, alla stregua di un oggetto creato.
È da tale prigione mentale che il giovane Ratzinger cercò la via d’uscita, sicuramente in maniera più equilibrata dei suoi contemporanei. Possiamo anche non condividere alcune delle sue prime opere, così come non riceviamo in eredità l’ermeneutica della continuità e della riforma, con cui credette di risolvere l’aporia del Vaticano II, ma non possiamo certo negarne l’eccelsa statura intellettuale, alla quale i suoi detrattori, da un estremo all’altro del ventaglio, non sanno opporre altro che volgari insulti o giudizi sommari. Pur non amando affatto le visite alle sinagoghe o ai templi protestanti, né tantomeno i raduni interreligiosi, non consideriamo questi elementi sufficienti per giustificare un bilancio totalmente negativo, bensì li collochiamo nel quadro storico di una generazione – diversa dalla nostra – che a suo modo ha provato a disincagliarsi dalle secche.
Di sicuro ci accuseranno di storicismo e relativismo, ma la coscienza non se ne turberà più di tanto, giacché non possiamo, per evitare tale rimprovero, isolarci in una bolla fuori del tempo. Se poi in uno scritto o discorso leggiamo o udiamo Gesù, non possiamo certo concludere che l’autore Gli sia completamente estraneo. Potrà eventualmente disturbarci, a volte, un certo quale sbilanciamento sul soggetto, da cui ci ha felicemente disintossicato la salutare frequentazione di san Tommaso; ciò non ci autorizzerà, tuttavia, a classificare quel difetto come voluto cedimento al soggettivismo, ma come involontario limite dell’impostazione culturale di una data fase della teologia contemporanea. Se crediamo realmente alla grazia di stato, d’altronde, dobbiamo anche riconoscerne l’azione, cui pone ostacolo la volontà perversa, non quella retta… a meno che la grazia non sia per noi un puro nome da utilizzare in uno sterile gioco intellettuale.
Qui sta il punto: un certo modo di far teologia pretende che ci si limiti a ripetere, sistematizzandolo, quanto affermato dal Magistero, aggiungendovi magari qualche deduzione e puntellandolo con dotte citazioni. Le sintesi chiare e ordinate, certo, sono un ottimo ausilio per i principianti, ma ciò non implica che ci si debba arrestare a quelle proibendo qualunque sviluppo o elaborazione. Quante volte i buoni teologi hanno dato impulso al progresso della dottrina, alla sua esplicitazione e al suo approfondimento! Ciò non ha impedito che, su determinate questioni, ci fossero a volte rischiose oscillazioni, ma il Magistero ha sempre riportato l’ago della bussola nella giusta direzione; così avverrà pure con il personalismo, le cui buone intenzioni hanno coperto le trappole mortali che si son poi manifestate nel lungo periodo.
La giusta reazione, tuttavia, non può consistere nel ritorno del pendolo a un rigido scolasticismo. Pur senza idealizzare nessuno sotto l’onda dell’emozione, non possiamo misconoscere l’apporto di papa Benedetto alla riscoperta della relazione personale con Dio, senza la quale la dottrina diventa ideologia e il culto si riduce a mera esecuzione di rubriche. Il peggiore dei tradimenti non è quello di chi distorce palesemente la verità, ma quello di chi disdegna l’intima amicizia col Signore e aspira all’autosufficienza. Si ritrova qui, trasposta nella religione stessa, l’opposizione paolina tra spirito e carne: «Quelli che sono secondo la carne capiscono le cose della carne; invece coloro che sono secondo lo spirito percepiscono le cose dello spirito. […] Quanti però sono nella carne non possono piacere a Dio» (Rm 8, 5.8). Per quanto ciò possa sembrare paradossale, si può essere tradizionalisti in modo del tutto carnale, cioè rimanendo estranei all’unione con Dio e combattendo con odio chi la vive e la insegna.
Al fondo di tale disposizione si subodora qualcosa di luciferino: il rigetto della luce e dell’amore, seppur mascherato da ragioni apparentemente irreprensibili, di cui l’assenza della carità dimostra però la falsità. Anche la cattiva qualità dei frutti manifesta quella dell’albero: quell’accanirsi senza requie contro chiunque non corrisponda ai propri stereotipi non fa altro che danneggiare ulteriormente la Chiesa e scuotere la fede dei pochi che ancora la conservano. Chi si ostina su questa via non può esser mosso dallo Spirito Santo né amare davvero la Sposa di Cristo, ma è guidato da un altro spirito e opera in modo settario a beneficio della propria fazione, non del Corpo Mistico. In questo, in ultima analisi, modernisti e tradizionalisti finiscono con l’assomigliarsi: gli estremi opposti si toccano. Noi preferiamo seguire l’esempio del mite Benedetto ripetendone le ultime parole, sigillo e sintesi di tutta la sua esistenza sulla terra: «Signore, ti amo!».
Dovremmo dirlo anche noi, spesso.
RispondiEliminaSoprattutto quando siamo tentati di giudicate un altro o dirne male.
Per "don Elia" sono luciferini tutti quelli che non la pensano come lui. La sua continua e amara polemica contro i tradizionalisti lo porta sempre più ad essere indulgente e simpatizzante verso i modernisti, della serie i nemici dei miei nemici sono miei amici. È un'altra persona rispetto a qualche tempo fa.
RispondiEliminaMagari è proprio un altro che scrive, al posto suo : un furto di identità digitale? o più semplicemente una persona ricattata, che ha dovuto cambiare rotta, ricredersi e fare ammenda? pensiamo a Padre Livio, di Radio Maria ( ricattabilissimo), a Roberto de Mattei ( che giravolta da quel che era sin dal 2005, anno del
Eliminasuo giudizio sullo tzunami del sudest asiatico).
Conosco personalmente "don Elia", e posso garantire che è sempre la stessa persona e non ricattato da nessuno. Le posizioni che ha avuto sono sempre le medesime, con poche differenze al più nei toni, e non le ha mai nascoste, condividibili o meno.
EliminaPur invece non conoscendolo, credo che anche de Mattei sia semper idem. I germi delle sue posizioni recenri sono già nei suoi scritti passati: mancava solo l'occasio per farne emergere la dannosità.
RispondiEliminaPapa Benedetto "ci ha fatto riscoprire il rapporto personale con Gesù",
"l'amicizia con Dio".
Per alcuni o molti sarà stato senz'altro così.
Ma a queste frasi, l'autore dell'articolo che contenuto dà?
Un contenuto, voglio dire, che non sia di tipo emotivo-sentimentale o strettamente personale, legato ai casi della vita di ciascuno.
Le ambiguità dottrinali non possono esser considerate cosa secondaria in un cardinale e pontefice. S. Paolo non insisteva fermissimamente sulla purezza della dottrina? Anche lui un arido tomista innanzitempo?
Se la dottrina viene inquinata e rovinata, crolla poi anche la morale.
L'autore dell'articolo liquida alla svelta il lato oscuro di Ratzinger, per ciò che riguarda la dottrina (non cita p.e. la sua ammirazione per teologi deviati come de Lubac e Teilhard de Chardin e come abbia tratto da loro ispirazione - non cita nemmeno l'influenza che su lui ha avuto un pensatore ebreo del tutto peculiare come Martin Buber, il profeta del "principio del dialogo").
Certamente Ratzinger era un uomo dal carattere mite e tollerante, aveva il tratto signorile, ha criticato ripetutamente le aberrazioni del mondo moderno, ha saputo rappresentare l'istanza della carità cristiana presso molti, a livello personale, esistenziale, riconducendoli alla fede; ha "sdoganato" l'autentica Messa Cattolica, cosa importantissima.
Ma non possiamo dimenticare i limiti di personalità che ha dimostrato come Papa, soprattutto una certa mancanza di "grinta" (la famosa critica all'Islam, se l'è rimangiata, di fronte agli attacchi di mezzo mondo, e ha continuato l'ecumenismo del predecessore). Alla fine, la mancanza di grinta è apparsa nella sua inaspettata abdicazione, disastrosa per la Chiesa, anche per il modo nel quale l'ha attuata. Nell'animo, sembra esser rimasto sempre un accademico desideroso di ritornare un giorno ai suoi studi e al suo pianoforte. Tipicamente tedesco, in questo - tedesco di un tempo, si capisce, il tempo dell'alta cultura tedesca che fu.
Non si tratta di mancare di rispetto all'augusto defunto. Si tratta di non cadere nell'errore di continuare a vedere in lui e in GP II degli intemerati difensori della fede, che non si devono criticare sul piano dottrinale, come se non avessero contribuito (senza volerlo) anche loro, e non in piccola parte, al presente disastro della Fede.
L'hanno difesa, ma senza emendarsi dalle ambiguità dottrinali di cui sono stati vittime, possiamo dire, appartenendo ad una generazione segnata sin dall'inizio dalla teologia ereticale di troppi cattivi maestri.
T.
Concordo in pieno
Elimina''Soprattutto quando siamo tentati di giudicate un altro o dirne male.''
RispondiEliminaVero. Ad esempio è grazie a mons. Lefebvre, se molti presbiteri che oggi giudicano possono ancora celebrare la ''Messa in latino''.
Sembra che Don Elia non si faccia troppi problemi a gettare giudizi temerari su chi ha l'unica "colpa" di voler difendere la perenne dottrina cattolica.
RispondiEliminaSebrerebbe preferire chi sostiene che gli ebrei non hanno bisogno di convertirsi al cattolicesimo per potersi salvare.
Condivido in toto la linea di don Elia. Ho cercato soluzioni a destra vedendo in loco una sinistra sfacciata, ma per esperienza personale posso dire di non averla trovata. Non per nulla siamo ancora in alto mare e la bufera incalza ormai nell'ultimo attacco:Gesù salvaci.
RispondiEliminaIl Cardinale Ratzinger e la liturgia tradizionale. #benedettoxvi
RispondiEliminaSettembre 1995. Il cardinale Joseph Ratzinger celebra a Le Barroux.
http://blog.messainlatino.it/2023/01/il-cardinale-ratzinger-e-la-liturgia.html
Claudio
https://www.pierolaporta.it/santegidio-coccodrilla-s-s-benedetto-xvi-incredibile/
RispondiEliminaSantegidio “coccodrilla” S.S. Benedetto XVI, Incredibile
Pubblicato il 3 Gennaio 2023 da Piero Laporta
"Conosco personalmente "don Elia", e posso garantire che è sempre la stessa persona e non ricattato da nessuno. Le posizioni che ha avuto sono sempre le medesime"
RispondiEliminaAnch'io conosco personalmente "don Elia" e so che il suo cambiamento avvenne tanto tempo fa, quando decise di far sparire dal web ogni traccia di interventi suoi con la sua vera identità, per presentarsi con un'identità virtuale quale "don Elia" e godendo così della libertà di non dover rispondere in modo normalmente aperto e trasparente delle sue più svariate prese di posizione.
@ T. 11 gennaio, 2023 13:31
RispondiEliminaOttima e opportuna considerazione che condivido pienamente
Consiglio di visionare questo video in cui Don Curzio Nitoglia e Francesco Lamendola aiutano a comprendere, con puntuali argomentazioni filosofiche e teologiche, le derive del pensiero ratzingeriano: https://m.youtube.com/watch?v=_Oy2v-kt6Ik&list=PLq059wnb_J2T-iw91Cpf4dgy7cTWDs1xb&index=2
RispondiEliminaScusate, questo è il link al video:
Eliminahttps://youtu.be/_Oy2v-kt6Ik?list=PLq059wnb_J2T-iw91Cpf4dgy7cTWDs1xb
Grazie per la segnalazione, un ascolto che ritempra!
EliminaChe ci siano all'interno della Tradizione fazioni che credono di essere nella verità assoluta e posizioni ideologiche che richiamino ad un certo settarismo è innegabile. La carità verso il fratello sta anche nel saper riconoscere e accogliere che anche lui combatte e onora Nostro Signore Gesù Cristo nonostante le divergenze e la rispettabilità di certe posizioni. Credo che "don Elia" volesse esprimere il doveroso rincrescimento su certe posizioni di celodurismo nelle varie realtà tradizionali che ci vedono divisi e spesso rancorosi oltre che in partenza mal equipaggiati e che dovremmo ricordarci anche il "amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi"!
RispondiElimina@ anonimo 12 gennaio, 2023 07:09
RispondiEliminaL'appello alla carità è sempre attuale, ma con il "volemose bene" non si può risolvere il problema delle contrapposizioni, perché per sua natura l'unità vera deve essere fondata sulla verità.
Per di più, si può forse valorizzare la figura di un Pontefice giudicandolo (in tal caso -positivamente) in foro interno, cioè sostituendosi al giudizio divino?
Quello che ci compete è il foro esterno, ossia ciò che si può osservare pubblicamente e oggettivamente!
Se una certa piega teologica ha portato danni, può forse essere scusata presumendo che le i n t e n z i o n i degli esimi relativi autori erano buone? o che sono scusabili solo per il fatto di essere stati in linea col pensiero teologico allora dominante? È da considerare forse solo come semplice "diversità di opinione"?
Perché mai una tale posizione? Infastidisce il nudo e crudo SI SI NO NO?
Condivido pienamente
EliminaSu Médias-Presse-Info :
RispondiEliminaMgr Marcel Lefebvre lève le voile sur le cardinal Joseph Ratzinger, futur Pape Benoît XVI,
con un video contenente le parole stesse di Mons. Lefebvre pronunziate in diverse occasioni: una perla.
Interessante pure l'articolo su G. Meloni, la Messa (quella vera, l'unica!) e Papa Francesco.
In questi giorni a Roma abbiamo visto un popolo – in numeri ben al di sopra delle attese – che ha già cominciato a vivere quel primato della preghiera e di Dio che è la più grande eredità di Benedetto XVI. E solo questa presenza è una testimonianza, che risalta ancor più davanti a una regia dei funerali che si è sforzata di tenere il profilo più basso possibile.
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