Nella nostra traduzione da OnePeterFive, la meditazione sulla III Domenica di Quaresima.
Si tratta della consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della Domenica precedente e ci prepara a quelli della Domenica successiva.
È dello sorso anno, ma non ha certo perso di attualità.
III domenica di Quaresima: “Siete consapevoli di quello che dite?!?”
Il Messale Romano, perfezionato dopo il Concilio di Trento e promulgato da San Pio V e dai suoi successori fino agli anni '60, è sicuramente uno dei libri più importanti che siano mai stati pubblicati. Radicandosi saldamente in un millennio di devozione e fedeltà al culto a Roma, ne è divenuto baluardo e faro per il mondo. La liturgia è dottrina. La dottrina ricevuta si concretizza nella vita. Il Missale Romanum è diventato un baluardo contro l'errore che avrebbe danneggiato la vita terrena delle persone e le opportunità per il Cielo, un faro per guidarle attraverso le sfide della vita fino al suo termine e la luce per guidare le anime quando esalano l'ultimo respiro.
Quante innumerevoli anime si sono formate dai riti descritti e prescritti nel Missale Romanum, nel corso di quante generazioni, non solo al di là dei limiti, ma plasmando quei limiti, non solo avvalendosi di ogni mezzo umano dell'espressione del bene, del vero e del bello nella pittura, scultura, musica e architettura, ma anche dando forma a quelle stesse arti.
Il Missale Romanum è uno degli strumenti principali con cui la Santa Chiesa, nel corso dei secoli, ha dispensato due grandi doni all'intero genere umano in tutto il mondo: l'arte e i santi. L'uno rivela Dio nelle opere materiali. L'altro rivela Dio nelle sue immagini viventi.
Nel dono rappresentato dal Messale Romano, durante la Quaresima, c'è l'indicazione quotidiana della Chiesa della Stazione Romana assegnata. Anche a chi vive a Pascagoula o a Porto Alegre è comunque un dono che quella stessa Chiesa romana continua a dispensare quotidianamente.
Ad esempio, questa terza domenica di Quaresima riporta gli scrutini dei catecumeni, interrogati e istruiti almeno sette volte prima del battesimo. La domenica di Settuagesima [qui] avevano iniziato il loro cammino nella Chiesa proprio in questo luogo, la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura. È il luogo di sepoltura di quel diacono martire tanto amato dai romani. Come diceva Agostino di Ippona, dove c'è carità non ci sono distanze. Noi del nostro secolo travagliato, sparsi in tutto il mondo e uniti attraverso meraviglie digitali, possiamo essere presenti a San Lorenzo con i piedi del desiderio, gli occhi della nostra immaginazione e le orecchie della nostra intenzione. In primo luogo, sappiamo che il sangue dei martiri ha fatto crescere la Chiesa e cementato insieme noi, sue pietre vive. Così, essere a San Lorenzo questa Domenica già rafforza la nostra identità e ci rende più risoluti per il resto della Quaresima.
La Basilica è stata fondata da Costantino. Era piuttosto piccola, quindi nel VI secolo papa Pelagio II aggiunse una grande aula portando la struttura al livello dell'adiacente cimitero che lasciava entrare molta più luce all'interno. Nel mosaico dell'arco trionfale Pelagio scrisse in un bel distico come fosse ora restituita la luce al tempio che era il luogo dove il diacono martire sopportò le fiamme. Negli Acta di San Lorenzo, ricordando il suo martirio, leggiamo che, mentre il diacono veniva avvolto dalle fiamme, ci fu un'altra grande luce dall'alto che riempì la sua anima. L'architettura stessa del luogo e la sua illuminazione, con il significato solenne del luogo e della sua elevazione, contribuiscono alla nostra partecipazione domenicale al sacro culto della Chiesa romana, non importa dove ci troviamo.
L'Epistola, tratta dalla Lettera di Paolo agli Efesini, prosegue su un tema che abbiamo visto nelle scorse settimane. Paolo lotta, da lontano, con la divisione nella comunità e cerca di mantenere il suo nuovo gregge sulla retta via morale, per abbandonare le vie pagane e vivere come discepoli di Cristo. Non c'è da stupirsi che la Chiesa abbia scelto questi testi per la domenica in cui preparava i catecumeni (e noi) alla Pasqua. Come loro, anche noi, dobbiamo rinunciare a tutto ciò che c'è di sbagliato nel nostro modo di vivere e abbracciare ciò che è buono, vero e bello, anche di fronte alla sofferenza che sopporteremo causata dal prossimo e alla sofferenza interiore causata dal nostro rifiuto delle abitudini più basse. Questo è importante sia per i convertiti che per i cattolici più adulti. Quando cerchiamo di sradicare un vizio, un'abitudine radicata in cui scivoliamo facilmente, che di solito si manifesta in uno stile di comportamento, e iniziamo a dire "no", inizia la sofferenza. Dobbiamo essere disposti a rimanere sulla Croce.
Vediamo la lettura dell'Epistola per questa domenica, mettendoci nei panni dei primi catecumeni, uscendo dall'oscurità, nella bella luce e libertà di un figlio di Dio. Includo l'ultima parte della sezione che termina nel versetto 10, anche se la lettura è Efesini 5:1-9:
Fratelli: Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore.
Vedete come la Chiesa, con Paolo, sta cercando di allontanare le persone dalle vie del male verso le vie dei santi (che oggi, in particolare, include Lorenzo sulla sua graticola infuocata). Dobbiamo “camminare come figli della luce”.
Sottolineerò una cosa prima di passare a una breve osservazione sul brano evangelico. Notiamo come Paolo inveisce contro certi tipi di discorsi tra cui "parole sciocche" e "leggerezza". “Parole sciocche”, in greco morología, è davvero arduo. Paolo non sta dicendo che le persone non possono mai dire niente di leggero o divertente. Potrebbe darsi che, ancora una volta, stia cercando di allontanare le persone dal comportamento pagano di indulgere in passatempi e drammi scurrili come quelli di Plauto, che potrebbero essere seriamente osceni. Si noti che questo tipo di discorso è giustapposto a "sporcizia". In Colossesi 3:8 Paolo usa la parola aischrología … linguaggio volgare, parola offensiva.
Due osservazioni. In primo luogo, il nostro discorso rivela agli altri la nostra specifica interiorità. Ma nel nostro esprimerci cadiamo in modelli e abitudini. Quando siamo in compagnia di altri, tendiamo ad adeguarci al loro modo di parlare. Quindi, dovremmo stare attenti alle nostre compagnie e a non tollerare parolacce. A volte le nostre abitudini sono radicate al punto che non teniamo nemmeno conto di come parliamo. In tal caso, l'ascolto di noi stessi ci rivela chi siamo. Sono consapevole dell'ammonimento: "Senti quello che stai dicendo?!?" Inoltre, se cadiamo in uno schema di maldicenza, rendiamo più facile agli altri il fare lo stesso: si tratta del classico "dare scandalo". In secondo luogo, non sempre dobbiamo parlare. A volte tacere è la cosa migliore da fare. Quanti peccati potremmo evitare tenendo la bocca chiusa? Soprattutto nei nostri rapporti con i nostri cari?
Una breve nota sul Vangelo e su come si lega all'Epistola. Paolo richiamava gli Efesini dall'impurità o dalla vuota frivolezza sia nei fatti che – ecco – nelle parole. Nel Vangelo, da Luca 11, Nostro Signore scaccia un demone da un uomo che non poteva parlare, che era muto.
Siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, il Verbo fatto carne. Esprimiamo noi stessi esteriormente nel nostro discorso. Il demone del Vangelo legava l'uomo posseduto in modo che non potesse parlare, rinchiudendolo dentro. Quindi, ha dovuto dipendere dagli altri per esser portato al Signore per essere sbloccato.
Non avere "la lingua legata" quando vai a confessarti. Certo… VAI ALLA CONFESSIONE! Ma quando vai, di' tutto. Non permettere al demone, il Nemico, di ingannarti per paura del rispetto umano, paura di ciò che potrebbe pensare il prete, trattenendo i peccati mortali da cui la tua anima deve essere liberata e purificata per sempre. Quanta libertà e luce entra nell'anima in quel momento! È bene che i sacerdoti confessori dicano una preghiera che vincoli il Nemico quando un penitente viene a confessarsi, così come è bene che i penitenti chiedano ai loro angeli custodi di proteggerli e di sollecitarli in quel momento solenne, in quel momento misterioso e trasformante dell'incontro con Cristo.
A proposito di quel punto, sopra, che il muto indemoniato doveva dipendere dagli altri. Altri che hanno un grande bisogno potrebbero dipendere da voi, anche se non lo sanno ancora. Portateli alla luce.
[Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]
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A I U T A T E, anche con poco,
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RispondiEliminaNon sono consapevoli né di quello che dicono né di quello che fanno: in Francia il parlamento ha votato a gran maggioranza il libero aborto come diritto garantito dalla Costituzione del paese!
L'abominio non ha fine, a quanto pare.
Un diritto del genere non esiste e non può esistere.
Qualsiasi cosa decreti un parlamento via di testa.
ar
O mio affannato Signore, quanto caro vi costò il farmi comprendere l'amore che avete avuto per me! Ma che guadagno mai poteva darvi il mio amore, che per acquistarlo avete voluto spendere il sangue e la vita? E come io poi, legato da tanto amore, ho potuto vivere tanto tempo senz'amarvi, scordato del vostro affetto? Vi ringrazio che ora mi date luce a farmi conoscere quanto voi mi avete amato. V'amo, bontà infinita, sopra ogni bene. Vorrei pure sacrificarvi mille vite se potessi, giacché avete voluto voi sacrificar la vostra vita divina per me. Deh concedetemi quegli aiuti per amarvi che voi mi avete meritati con tante pene! Donatemi quel santo fuoco che voi siete venuto ad accendere in terra col morire per noi. Ricordatemi sempre la vostra morte, acciò io non mi scordi di più d'amarvi.
RispondiElimina(S. Alfonso - L'Amore delle anime, XI, 5)