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giovedì 5 settembre 2024

Ricorrere a giusti argomenti per difendere la Messa tradizionale

Riprendo da Res Novae - Perspectives romaines, ringraziando don Claude Barthe. Qui l'indice degli articoli sulle restrizioni al Rito Romano tradizionale.

Ricorrere a giusti argomenti per difendere la Messa tradizionale

Coloro che si dedicano alla difesa delle questioni tradizionali (liturgia, catechismo, resistenza alle dottrine deleterie) spesso esitano a dire che attualmente ci si trova di fronte ad una situazione ecclesiale atipica. Specialmente per la liturgia. Anche se affermano che non è per questioni di sensibilità ma di fede ch’essi celebrano usus antiquior, pensano di poter efficacemente difendere la propria presa di posizione contro i sostenitori della liturgia nuova come se si trattasse di una legittima libera scelta. È vero che argomentazioni di questo tipo possono funzionare piuttosto bene con l’opinione cattolica in generale, per la quale il liberalismo è divenuto un orizzonte invalicabile; ma il fatto che sia permesso di approfittare tatticamente di questo stato d’animo non vuol dire che lo si debba giustificare.

Paradossalmente capita loro a volte di alterare persino la dottrina tradizionale, per difenderla. Pensiamo a come venga ridotta ai minimi termini la dottrina dell’obbedienza dovuta alle autorità ecclesiastiche ed ai loro insegnamenti. Poiché su molti punti oggi il sottomettersi alle autorità è in coscienza insostenibile, essi giungono praticamente ad affermare che il libero esame è la dottrina comune della Chiesa, con ciascuno che decide cosa sia cattolico in nome della «tradizione», di cui è in definitiva il depositario. Oppure procedono scavando la dottrina dell’infallibilità romana ed affermando che la Prima Sede ha spesso emanato dottrine eterodosse. In altre parole l’anomalia di ciò che accade oggi viene trasferita sulla Chiesa di sempre[1]. E gli antimoderni diventano moderni.

In questa sede intendiamo trattare solo di argomenti riguardanti la difesa della Messa tradizionale. In particolar modo ne vorremmo considerare due, che vengono spesso utilizzati per giustificare la libera scelta in favore del messale tradizionale:
  1. L’invocazione della bolla Quo primum del 1570, in cui si afferma che il messale ch’essa promulga potrà essere utilizzato «in perpetuo». 
  2. E l’anteporre il fatto che la Chiesa abbia sempre riconosciuto la legittimità di una diversità di riti. 
In linea di principio sono tutti pertinenti, ma a condizione d’evitare di utilizzarli come se le circostanze che esigono il loro impiego abituale fossero quelle odierne:

«Questo messale [il messale tridentino] potrà essere seguito […] in perpetuo» (bolla Quo primum).
Bisogna ricollocare la prescrizione di san Pio V nel suo contesto. Le sue due bolle concernenti il breviario ed il messale, emanate in applicazione della volontà del Concilio di Trento, miravano a stabilire la preminenza dei libri della Curia romana su tutte le consuetudini particolari del mondo latino, le quali potevano comunque sussistere nel caso potessero provare di esistere da almeno 200 anni. «In perpetuo», tutto il clero romano doveva utilizzare il messale ed il breviario romano promulgato dal papa. Oppure, nel caso ci si trovasse in una Chiesa locale all’interno della quale un messale ed un breviario particolari erano stati utilizzati ininterrottamente da almeno duecento anni, poteva comunque «in perpetuo» utilizzare il libro romano (con questa puntualizzazione, che per l’Ufficio, nel caso dovesse essere salmodiato nel coro, occorreva evidentemente che una regola comune venisse fissata dal vescovo e dai canonici).

In effetti, la maggior parte delle diocesi e delle congregazioni del mondo latino poteva affermare che i propri libri, specialmente nelle cattedrali e nelle collegiate, risalivano ad oltre il XIV secolo. Tuttavia, vescovi e capitoli preferivano per la maggior parte allinearsi su breviario e messale e questo in parte per ragioni di economia e di comodità libraria, perché era difficile ed oneroso far editare dei libri diocesani. Si adottarono dunque generalmente i libri romani, in un primo tempo anche in Francia (solo nell’ultimo terzo del XVII secolo si invocò il diritto a libri diocesani particolari, definiti in seguito «neo-gallicani», a cominciare dal breviario di Vienna nel 1678).

Inoltre, a parte il rito visigotico e mozarabico, conservato in poche località della Spagna, si poteva davvero parlare di riti latini non romani nelle chiese diocesane o religiose, che conservavano le proprie usanze? Solo il rito ambrosiano, benché molto vicino a quello romano, presentava particolarità abbastanza importanti per essere qualificato come rito specifico. Questo non era il caso invece dei riti lionese[2], certosino, domenicano, premostratense. Né lo erano le usanze di molte cattedrali, santuari, Ordini religiosi, che avevano un certo numero di messe, prefazi, inni e sequenze propri.

I due testi di san Pio V recitavano dunque come segue:
  • La Bolla Quod a nobis del 7 luglio 1568 per la pubblicazione del breviario romano: «Eccetto la suddetta istituzione o consuetudine che supera i duecento anni […], tutti coloro che devono dire e salmodiare le Ore canoniche, secondo la consuetudine ed il rito della Chiesa romana […], saranno d’ora in poi assolutamente tenuti in perpetuo a dire e salmodiare le Ore del giorno e della notte, secondo le prescrizioni e l’ordinanza di questo Breviario romano».
  • La Bolla Quo Primum del 14 luglio 1570 per la pubblicazione del messale romano: «Noi concediamo e accordiamo che questo stesso messale possa essere seguito nella sua interezza nella Messa cantata o letta ed in qualsiasi chiesa, senza alcuno scrupolo di coscienza e senza incorrere in alcuna punizione, condanna o censura, e che possa essere utilizzato validamente, liberamente e lecitamente, e questo in perpetuo».
Ma se la supremazia nell’uso del breviario e del messale romano era stabilita «in perpetuo» e nonostante la clausola per la quale il papa precisava «che nulla mai venisse aggiunto, sottratto o modificato» al messale che aveva appena editato, Roma si riconosceva sempre libera di rivedere i libri che dava a tutti i sacerdoti latini, pur trattandosi sempre di modifiche modeste. Nonostante tali modifiche, breviario e messale venivano ancora considerati essenzialmente come le edizioni tridentine di san Pio V, come attestavano le bolle Quod a nobis e Quo Primum, sempre pubblicate nella prefazione. Non si smise di pubblicare il testo della bolla Quo Primum all’inizio del messale se non nel 1965, col primo messale della riforma di Paolo VI.

Gli immediati successori di Pio V, Clemente VIII, papa nel 1592, e Urbano VIII, papa nel 1623, apportarono delle revisioni (latino della Vulgata per epistole e vangeli, nuovi uffici). Oltre alle feste dei nuovi santi, furono aggiunte a più riprese delle messe e nuovi prefazi (vale a dire il prefazio dei defunti, quello di san Giuseppe, quello del Sacro Cuore, quello di Cristo Re e, sotto Pio XII, quello della Messa crismale del Giovedì Santo). Bisogna inoltre sapere che un’importante produzione latina liturgica (messe, prose, inni) continuò ad esistere fino alla Rivoluzione e s’inseriva senza problemi nelle liturgie locali. Il cardinale de Bérulle compose così un Ufficio di Gesù per il 28 gennaio, festa da lui stesso istituita per la Congregazione dell’Oratorio di Gesù, e per l’ottava di questa festa, senza che nessuno trovasse alcunché da ridire. Bisognerà attendere il XX secolo perché le aggiunte e le modifiche liturgiche dipendessero esclusivamente da Roma.

Le modifiche più importanti al breviario ed al messale ebbero luogo nel XX secolo: san Pio X ha rivoluzionato la distribuzione dei salmi, in modo tale da recitarne 150 alla settimana ed ha assicurato con più forza il primato del temporale sul santorale (ciò che interessò anche il messale); e Pio XII riformò la Settimana Santa, alleggerendone le cerimonie e ristabilendo la «verità delle ore» (Messa del Giovedì Santo alla sera, cerimonia del Venerdì Santo al pomeriggio e cerimonia della vigilia pasquale nella notte tra sabato e domenica in luogo delle celebrazioni rispettivamente il giovedì mattina, il venerdì mattina, il sabato mattina), resa possibile grazie ad una maggiore elasticità nella disciplina del digiuno eucaristico. A causa di queste due riforme di Pio X e di Pio XII, certamente si è potuta rimpiangere la scomparsa di alcuni venerabili testi o pratiche, ma mai nessuno ha contestato che, nella forma e nella sostanza, il breviario ed il messale non fossero più libri tridentini.

La concessione «in perpetuo» per i libri del 1568 e del 1570 non ha dunque impedito delle variazioni, alcune delle quali furono importanti, senza rappresentare uno stravolgimento. La giustificazione per il mancato ricorso alla Messa nuova non può dunque che riguardare i fondamenti, evidenziando che essa costituisce un cambiamento radicale:
  • Una giustificazione teologica, che sostenga che la Messa nuova indebolisce l’espressione del sacrificio eucaristico ed, in particolar modo, l’espressione della dottrina della Messa come sacrificio propiziatorio. Questo è anche, in realtà, il motivo per il quale Joseph Ratzinger ha legalizzato il sussistere dell’antica liturgia approvata dai testi del 1984 (Quattuor abhinc annos), 1988 (Ecclesia Dei afflicta) e 2007 (Summorum Pontificum). Senza spiegarsi fino in fondo, egli ha in effetti criticato il modo violento e radicale della trasformazione operata: «Si demolisce il vecchio edificio per costruirne un altro, certamente utilizzando ampiamente il materiale ed i progetti del precedente»[3]. 
  • Una giustificazione giuridica, che spieghi come il nuovo Ordo Missæ non sia una lex orandi in senso stretto, una legge propriamente detta, semplicemente perché, modellato sulla pastorale del concilio Vaticano II, a parità di condizioni, a questo nuovo Ordo molto fluido ed anche il meno ritualizzato possibile non si riconosce che un’autorità relativa (ciò che rappresenta in sé un problema di fondo). In effetti, questo comporta un’infinità di varianti e di scelte possibili nei suoi riti e nelle sue formule, ivi comprese le più importanti, come la preghiera eucaristica. 
Essenzialmente, si è in presenza di un’altra Messa, diversa dalla Messa romana tradizionale su diversi punti importanti. Con questa precisazione, davvero fondamentale, è perfettamente possibile avvalersi, ma in tutt’altro contesto rispetto a quello del 1570 e facendone un utilizzo che Quo primum non aveva evidentemente previsto, della possibilità di usare «in perpetuo» il messale romano tradizionale (salvo l’uso di messali tradizionali d’altri riti o di altre usanze latine, il messale ambrosiano tradizionale, lionese tradizionale, mozarabico tradizionale, domenicano tradizionale, …[4]).

È molto probabile che Summorum Pontificum, nel 2007, definendo la liturgia antica come usus antiquior si riferisca implicitamente alla regola fissata dalla bolla Quo primum, che autorizzava la sopravvivenza delle usanze, che potevano provare di esistere da duecento anni. Solo che non si trattava della sopravvivenza di una Chiesa particolare, bensì virtualmente di tutta la Chiesa romana. Così è stato il messale promulgato dalla Quo primum a beneficiare a sua volta dell’eccezione d’antichità prevista da questa bolla…

La Chiesa ha sempre riconosciuto le legittimità di una diversità di riti 
Questo argomento, in fondo simile al precedente, si basa sul fatto che è sempre esistita una diversità di riti, tutti riconosciuti come cattolici, sebbene non abbiano la normatività del rito della Chiesa di Roma, che è scevro da ogni errore.

Il ragionamento consiste nell’affermare che, come il rito romano è sempre coesistito con riti distinti orientali o latini (mozarabico, ambrosiano) e che inoltre dopo la promulgazione del messale del 1570, le Chiese conservavano i messali, se potevano provare ch’erano stati in uso per più di duecento anni, così anche il messale di Paolo VI può coesistere con il messale tridentino.

Ma questa coesistenza di uno stesso rito nel suo stato precedente e nel suo stato successivo è senza precedenti nella storia. A meno che non si convenga che la liturgia della riforma di Paolo VI è un nuovo rito o qualcosa di diverso da un rito. Infatti, qualsiasi riforma di un rito normalmente comporta l’imposizione del nuovo stato al posto del vecchio, se il nuovo stato è dato come obbligatorio[5]. Così, nel rito romano e nel diritto canonico moderno, a partire dalle edizioni tridentine, i libri utilizzati per il culto devono essere conformi a quelli stampati dalla Congregazione competente e promulgati per decreto. Si parla di edizioni tipiche, che sono come dei punti di riferimento, dato che una nuova edizione tipica sostituisce in modo puro e semplice l’edizione tipica precedente. Nella liturgia tradizionale, l’ultima edizione tipica del breviario è del 4 febbraio 1961, quella del messale del 23 giugno 1962, quella del rituale del 1952, quella del cerimoniale dei vescovi del 1886, quella del pontificale del 1961 e del 1962, a seconda del volume.

Poiché i cambiamenti da un’edizione tipica alla successiva erano minimi ((ad eccezione del breviario del 1961 e della Settimana Santa del 1951-1955, di cui si è detto sopra e di cui occorre convenire che la portata ha preparato in realtà le menti ad una ben più ampia riforma), essi s’imponevano facilmente: nessuno avrebbe immaginato di rifiutarsi di celebrare Cristo Re l’ultima domenica di ottobre dopo l’instaurarsi ad opera di Pio XI di questa nuova festa del Signore. E non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di considerare un messale romano edito sotto Leone XIII come un messale diverso da quelli editi sotto Pio XI o Pio XII.

Per introdurre qualche sfumatura, si può dire tuttavia che una sorta di tradizionalismo eclettico può avere il proprio interesse a ritrovare la vasta gamma di usanze locali, di documenti, di testi, d’interpretazioni che la romanizzazione tridentina e soprattutto la restaurazione successiva alla Rivoluzione francese han lasciato cadere nell’oblio. La ricostruzione del XIX secolo si è in effetti basata unicamente sui libri romano-solimitani. È certamente eccellente l’idea di far rivivere tutto questo tesoro di brani, di usanze e di repertori musicali tradizionali di cattedrali ed abbazie. Ad esempio, il musicista ungherese Laszlo Dobszay (1935-2011), critico acceso della nuova liturgia[6], ha collaborato con il Capitulum Laïcorum Sancti Michælis Archangeli (CLSMA) per recuperare i tesori dimenticati della liturgia latina ungherese. È in questo ambito che può eventualmente aver luogo, in determinati contesti, una prudente rivalorizzazione della Settimana Santa precedente la riforma del ’51-’55.
In ogni caso, fino alla situazione liturgica attuale, il nuovo messale, ancora una volta alquanto modesto ed in perfetta continuità con il precedente, ha rimpiazzato la parte del vecchio, che andava a modificare. Anche qui, per giustificare in maniera del tutto coerente la possibilità di scegliere il messale anteriore al Concilio, è necessario farlo sulla base della sostanza:
  • Teologicamente, constatando che il nuovo Ordo Missæ, «se lo si considera per i nuovi elementi, suscettibili d’apprezzamenti molto diversi, che sembrano essere in esso sottintesi o impliciti, s’allontana in modo impressionante, tanto nell’insieme quanto nel dettaglio, dalla teologia cattolica della santa Messa così com’è stata formulata alla XX sessione del Concilio di Trento»[7]. O almeno constatando con Joseph Ratzinger che «il vecchio edificio» è stato demolito «per costruirne un altro»[8]. 
  • Giuridicamente, sottolineando che il nuovo Ordo Missæ non intende essere un chiarimento intangibile della lex orandi più di quanto il Vaticano II non si presenti come chiarimento indiscutibile del dogma.
Possiamo dunque invocare la sussistenza tradizionale della coesistenza di diversi riti nella Chiesa, con questa puntualizzazione, che nel caso attuale si è in presenza di una liturgia nuova, che intende ricalcare la vecchia, ridimensionando l’espressione di punti dottrinali sostanziali nei riti e nei testi. Ciò significa che la riforma di Paolo VI ha creato una situazione liturgica atipica, nella misura in cui il progresso, che voleva realizzare, ha al contrario provocato una sorta di involuzione della lex orandi, nuova espressione cultuale del sacrificio eucaristico che regredisce in rapporto a quella che Trento aveva consacrato.
Don Claude Barthe, 01/09/2024
____________________
[1] Ad esempio, Padre Jeffrey Kirby, in un articolo intitolato «The Rise of the Ultramontanists», «L’ascesa degli Ultramontanisti», pubblicato in The Catholic Thing [La questione cattolica-NdT] del 14 aprile 2024, riprende paradossalmente proprio gli argomenti dei liberali anti-infallibilisti, che hanno fatto una caricatura dell’ultramontanismo, sostenendo ch’esso affermasse che tutto quanto dice un papa sia vero, e giungendo a dire addirittura che il decreto Pastor Æternus avesse in realtà limitato la portata dell’infallibilità del papa.
[2] Fino al XVIII secolo le usanze lionesi come quelle di altri Chiese di Francia non rappresentavano un rito latino non romano come il rito mozarabico, bensì un residuato dello stato storico della liturgia romana in epoca carolingia, quando aveva incorporato specificità della liturgia gallicana, che aveva sostituito. Le usanze lionesi scomparvero in gran parte con l’adozione a Lione dei libri «neo-gallicani» nel XVIII secolo. Ma nel momento in cui, nel XIX secolo, questi ultimi furono scartati a favore dei testi romani, una reazione particolaristica emerse a Lione ed il cardinale de Bonald, arcivescovo dal 1839 al 1870, benché fosse alquanto ultramontano, ottenne che venisse conservato un certo numero d’usanze proprie per la Messa (preghiere della confessione, canti liturgici alquanto numerosi, preghiere d’offertorio proprie, particolari solennità della Messa pontificale, concelebrazione pontificale del Giovedì Santo da parte dell’arcivescovo con sei canonici, Venite populi come inno di frazione, ecc.). Queste usanze lionesi davano un’idea di come potessero essere le ricche consuetudini particolari delle cattedrali sotto l’Ancien Régime.
[3] Joseph Ratzinger, La mia vita. Ricordi 1927-1977, San Paolo, 1997.
[4] Da sapere che tutti questi messali o sono stati puramente e semplicemente sostituiti dal messale di Paolo VI o sono stati sottoposti ad una profonda riforma sul modello di quella applicata al messale romano. I riformatori montiniani hanno così riformato il messale mozarabico utilizzato in alcune cappelle spagnole. Bisogna dire che in questo rito, conservatosi in una parte della penisola ispanica, trovatasi isolata dalle Chiese franche a causa della conquista musulmana e che per questo non aveva adottato il rito romano in epoca carolingia, si trovava nu insieme di preghiere equivalente a quelle dell’offertorio romano, con un nome che avrebbe fatto rabbrividire i nostri esperti riformatori: quello di Sacrificium. Tale rito mozarabico, riformato dopo il Vaticano II, ha in seguito conosciuto una sorta di «riforma della riforma». Le celebrazioni mozarabiche attuali seguono questo messale e non il messale mozarabico edito dal cardinale Cisneros nel 1500.
[5] Non è sempre così. Il Psalterium pianum, detto ancora «versione dei salmi del cardinal Bea», che il motu proprio In quotidianis precibus del 24 marzo 1945 permetteva, senza obbligo, di utilizzare per la recita privata o la salmodia nel coro dell’Ufficio. Questa nuova versione, poi de facto abbandonata, adottava un latino di stile classico, certamente di ottima qualità, ma più ciceroniano o virgiliano che conforme alla lingua ecclesiastica della tarda Antichità. Si poteva usare o meno. Tra i «tradizionalisti» che preferivano la versione antica figurava Padre Congar.
[6] The Bugnini-Liturgy and the Reform of the Reform [La liturgia di Bugnini e la Riforma della Riforma] – pubblicato nel 2003 dalla Church Music Association of America [Associazione americana per la Musica di Chiesa – NdT]
[7] Supplica dei cardinali Ottaviani e Bacci del 5 giugno 1969, che hanno presentato il Breve Esame critico del nuovo Ordo Missæ.
[8] Joseph Ratzinger, La mia vita, cit.

4 commenti:

  1. Carissimi, un lieto annuncio dall'ICRSS di Roma ( S:Celso e Giuliano):
    Sabato, 7 Settembre ,1° del mese
    Ore 10:00: devozioni (Rosario meditato e Consacrazione al Cuore Immacolato)
    Ore 11:00: Santa Messa Solenne
    PRIMA MESSA SOLENNE
    alle ore 11:00,
    il novello sacerdote, il canonico Mckown,
    celebrerà una prima messa solenne
    e impartirà la sua prima benedizione.
    DEO GRATIAS !
    Chi vuole partecipare al regalo, lo puo' fare lasciando l’offerta
    direttamente al canonico Landais o Silvey.
    « Oh! Il prete è veramente qualcosa di straordinario! Dopo di Te, o Dio,
    il prete è tutto! Se incontrassi per strada un Tuo Angelo e un Tuo sacerdote, saluterei prima il sacerdote, perché l’Angelo non può assolvermi
    dai peccati, non può aprire la porta della vita eterna, non può mutare il
    pane in carne. Le dita del prete, che hanno toccato la carne adorabile di
    Gesù Cristo, che sono state immerse nel calice contenente il suo sangue,
    nel ciborio contenente il suo corpo, non sono forse più preziose? Eppure
    nulla al mondo è più infelice di un prete. Al vedere Dio offeso. Sempre
    il suo santo nome bestemmiato! Sempre violati i suoi comandamenti!
    Sempre oltraggiato il suo amore! Il prete non vede che questo, non ode
    che questo. È continuamente come san Pietro nel pretorio di Pilato, con
    sotto gli occhi il Signore insultato, deriso, coperto di obbrobri. Gli uni
    gli sputano in faccia, gli altri gli tirano schiaffi, altri gli mettono una corona di spine, lo si getta a terra, si pesta sotto i piedi, lo si crocifigge, gli
    si trapassa il cuore… Ah! Se avessi saputo cos’è un prete, invece di andare in seminario, sarei fuggito. ».
    San Curato d’Ars

    Ci vediamo lì, se Dio vuole per l'omaggio alla Vergine e per l'acquisto della Indulgenza Plenaria per la 1° Messa di questo novello Sacerdote. Deo Gratias!

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  2. Per romani e dintorni e visitatori dell' Urbe ecco l'Orario S.Messe all'IBP di Roma -
    - Casa S.Clemente
    Giovedì 5 Settembre : dalle 17h30 alle 18h30 sara' esposto il
    SS.Sacramento per l'Ora Santa di Adorazione con la Benedizione
    Eucaristica e seguita dalla S.Messa.
    Venerdì6 e Sabato 7 Settembre: S.Messa alle 12h

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  3. La Santa Messa

    1. "Durante la celebrazione dell'Eucaristia, il santuario si riempie di innumerevoli angeli che adorano la vittima divina immolata sull'altare."
    [San Giovanni Crisostomo]

    2. "Gli angeli circondano e assistono il sacerdote mentre celebra la Messa."
    [Sant'Agostino]

    3. "Il momento migliore per chiedere e ottenere grazie da Dio è durante l'Elevazione."
    [San Giovanni Bosco]

    4. "La celebrazione della Santa Messa ha lo stesso valore della morte di Gesù sulla croce."
    [San Tommaso d'Aquino]

    5. Santa Teresa, sopraffatta dalla bontà di Dio, chiese a Nostro Signore: "Come posso ringraziarti?"
    Nostro Signore rispose: "PARTECIPA A UNA MESSA."

    6. "Mio Figlio ama così tanto coloro che assistono al Santo Sacrificio della Messa che, se fosse necessario, morirebbe per loro tante volte quante Messe hanno ascoltato."
    [La Madonna al Beato Alano]

    7. "Quando riceviamo la Santa Comunione, viviamo qualcosa di straordinario - una gioia, una fragranza, un benessere che fa vibrare tutto il corpo e lo fa esultare."
    [San Giovanni Maria Vianney]

    8. "Non c'è nulla di più grande dell'Eucaristia. Se Dio avesse qualcosa di più prezioso, ce l'avrebbe donato."
    [ San Giovanni Maria Vianney]

    9. "Sforzati di andare a Messa anche nei giorni feriali, anche se costa sacrificio. Nostro Signore ti ricompenserà con le Sue Benedizioni e farà prosperare le tue imprese."
    [Don Bosco]

    10. "Dopo aver ricevuto la Santa Comunione, il balsamo dell'amore avvolge l'anima come il fiore avvolge l'ape."
    [San Giovanni Maria Vianney]

    11. "Sarebbe più facile per il mondo sopravvivere senza il sole che fare a meno della Santa Messa."
    [San Pio da Pietrelcina]

    12. "Se comprendessimo veramente la Messa, moriremmo di gioia."
    [San Giovanni Maria Vianney]

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  4. E anche la musica07 settembre, 2024 08:57

    LA GRANDE MUSICA SACRA E' PARTECIPAZIONE AL MISTERO DELLA FEDE

    ...La risposta grande e pura della musica occidentale si è sviluppata nell’incontro con quel Dio che, nella liturgia, si rende presente a noi in Gesù Cristo. Quella musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto l’incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la grande musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente per la fede dell’intera cristianità, anche se non è affatto necessario che essa venga eseguita sempre e ovunque. D’altro canto è però anche chiaro che essa non può scomparire dalla liturgia e che la sua presenza può essere un modo del tutto speciale di partecipazione alla celebrazione sacra, al mistero della fede...

    BENEDETTO XVI - dal "Discorso in occasione delle lauree honoris causa" Castel Gandolfo 04 luglio 2015 -
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