Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di padre John Zuhlsdorf ci consente di approfondire, durante l'ottava, gli spunti della domenica precedente [qui].
Diebus Saltem Dominicis –
20a domenica dopo Pentecoste: “O mio Dio, credo fermamente…”
Il brano del Vangelo offerto dall’alto per questa 20a domenica dopo Pentecoste è tratto da Giovanni 4, 46-53. Ricordate: le letture della Messa hanno anche un carattere sacrificale. Ecco perché nel Vetus Ordo vengono lette anche dal sacerdote (non solo dal diacono) all’altare del sacrificio (e non solo all’ambone). Ogni lettura è elevata in alto come se il Figlio, presente in ogni parola santa, si offrisse al Padre. Quanto, quindi, dovremmo prepararci oranti e ansiosi prima della Messa per ricevere ciò che viene offerto!
Ricordiamo il contesto in cui ci troviamo. A questo punto, in Giovanni 4, Gesù era in Samaria. Ha incontrato al pozzo la donna che è corsa a dire alla gente in città che aveva trovato il Messia. Molti samaritani di quella città
credettero in Lui per le parole della donna che dichiarava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. E quando i Samaritani giunsero da Lui, Lo pregarono di fermarSi con loro ed Egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la Sua parola.
Dopo ciò, Cristo torna in Galilea e va di nuovo a Cana, dove aveva compiuto il Suo primo miracolo pubblico, al banchetto nuziale. Della Sua seconda visita a Cana, Sant’Agostino dice:
Lì, come scrive lo stesso Giovanni, “i Suoi discepoli credettero in Lui”. Sebbene la casa fosse affollata di invitati [del banchetto nuziale], le uniche persone che credettero in conseguenza di questo grande miracolo furono i suoi discepoli. Perciò Egli visita di nuovo la città [per tentare una seconda volta di convertirli] (Trattati su Giovanni, 16.3).
A Cana Cristo incontra un basilikos, in latino un regulus o nobile, forse un principe o un funzionario di Erode che governava la zona, che era venuto da Cafarnao a Cana per trovare il Signore. Il nobile supplica Gesù di andare a casa sua e guarire suo figlio che stava morendo di febbre. Cristo dice, in contrasto con la Sua esperienza in Samaria,
“Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (v. 48).
Tuttavia, questo nobile “credette alla parola che Gesù gli aveva detto e se ne andò” (v. 50). Durante il cammino ricevette la notizia che suo figlio era guarito. E lui, di nuovo, “credette”:
Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive” e credette lui con tutta la sua famiglia (v. 53).
Quindi, il nobile credette due volte. San Giovanni Crisostomo nota che il fatto che l’uomo abbia cercato Gesù denota fede. Tuttavia, Cristo pronuncia il Suo dolce rimprovero sui segni e sui prodigi prima di compiere il Suo secondo miracolo a Cana. Quindi l’uomo “crede”… davvero. Di nuovo, Giovanni Crisostomo nota che un padre farebbe qualsiasi cosa per suo figlio, ma forse egli ha cercato il Signore più per disperazione che per fede (Omelie su Giovanni 35.2). Gregorio Magno suggerisce qualcosa di simile (Quaranta omelie evangeliche 28). Ciò che Cristo fa da lontano a Cana per il ragazzo di Cafarnao guarisce non solo il ragazzo, ma anche il padre. Rende la sua fede sana e integra. Giovanni Crisostomo afferma che Cristo
guarisce il padre che era malato di spirito non meno del figlio per convincerci ad ascoltarLo, non per i Suoi miracoli ma per il Suo insegnamento. I miracoli non sono per i fedeli, ma per gli increduli e per le persone che non sono altrettanto esperte della fede (ibid. 35.2).
Cristo perfeziona l’uomo che, nel suo modo imperfetto, si è avvicinato a Lui per ottenere la Sua misericordia e, nell’ottenere la Sua misericordia e nell’acquisire la vera fede, ha ottenuto anche la pace. In Marco 9 un padre disperato porta il figlio violentemente posseduto al Signore. I discepoli non erano stati in grado di esorcizzarlo. Il Signore esclama: “O generazione incredula!” (v. 19). Poi
Gesù gli disse: “Se Tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: “Credo, aiutami nella mia incredulità” (vv. 23-24).
A volte vacilliamo o facciamo fatica ad aver fede. Non è una sorpresa, perché non siamo angeli che, comprendendo le cose nella loro stessa essenza e privi degli appetiti che derivano dall’essere individuati nella materia, non possono cambiare idea. Siamo sballottati nella vita. I dubbi possono insinuarsi. In tali momenti dobbiamo essere vigili e prendere misure sia per applicare il nostro olio di gomito alla chiave inglese negli ingranaggi sia per implorare grazie da Dio. Dobbiamo anche fare delle distinzioni. C’è una differenza tra perplessità su alcuni aspetti della fede e dubbi. Come scrisse San John Henry Newman:
Diecimila perplessità non fanno un dubbio
Le perplessità e i dubbi possono essere superati, spesso con uno sforzo da parte nostra per conoscere meglio la nostra fede. La fede, come disse Sant’Anselmo, cerca la comprensione. C’è una fede in cui crediamo e una fede per cui crediamo, che è grazia. Il nostro contatto con il contenuto della fede può guarire molte difficoltà e dubbi. Questo perché il contenuto della fede non è solo le cose che studiamo, impariamo e ripetiamo. Il contenuto della fede è anche una Persona, Gesù Cristo, la Parola Eterna, Via, Verità, Vita.
Cos’è la fede? La fede è l’oggetto della fede ed è la somma di tutte le verità insegnate nella religione cattolica. La fede è anche una delle tre virtù teologali infuse con l’inabitazione dello Spirito Santo. Questa fede dispone il nostro intelletto ad acconsentire alle verità rivelate da Dio e insegnate dalla Chiesa. San Paolo, in Ebrei 11, 1, dice: “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”. Quando sappiamo una cosa per certa, la sappiamo e non ci crediamo. Quando manca qualcosa, la accettiamo “per fede”. In 1 Cor 13, 12, Paolo ha scritto: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia”.
Quindi, la fede è un’abitudine della mente con cui la vita eterna inizia in noi e che fa sì che l’intelletto accetti cose che non vediamo. La fede, inoltre, è necessaria per la giustificazione e per la salvezza. Ma deve essere vera fede e non solo una fiducia che può rasentare la presunzione. Questo è stato un errore di Lutero condannato da Trento (Sess. 6, can. 12). Inoltre, per la salvezza, la fede deve essere informata dalla virtù teologale della carità.
È importante per noi crescere nella nostra conoscenza della fede, leggere e riflettere sulle verità della nostra fede. Se lo facciamo anche con la preghiera, siamo in dialogo con Cristo. Alcune persone forse non hanno aperto un catechismo dopo la loro preparazione alla Prima Comunione o alla Cresima. Potrebbero essere passati decenni. Che peccato. Che opportunità sprecata. Tuttavia, non c’è momento migliore del presente per iniziare. Finché respiriamo, possiamo fare ciò che possiamo e il nostro Dio amorevole ci darà le grazie efficienti di cui abbiamo bisogno.
Una cosa che possiamo fare nella nostra vita quotidiana per rimanere forti e dalla parte giusta è recitare gli Atti di Fede, Speranza e Carità (1). È probabile che li abbiate già imparati, anche se in quest’epoca di catechismo spaventoso ed “educazione” religiosa, in alcuni luoghi, ciò non si può dare per scontato. Un atto di fede è un atto soprannaturale dell’intelletto che esprime un fermo assenso alla verità rivelata da Dio. A volte ciò accade in un momento di realizzazione, come sperimentano molti convertiti, e cambia la coscienza, così come accade a persone che forse erano tiepide e giungono a una fede più grande, magari come l’uomo nel Vangelo. A volte, rafforziamo questo atto dell’intelletto con la ripetizione di una formula a parole. Detto questo, se siete arrivati fino a questo punto, non terminerete la lettura di questo saggio senza aver letto almeno una volta nella vostra vita (magari ad alta voce) l’Atto di fede:
Mio Dio, perché sei verità infallibile, credo fermamente tutto quello che Tu hai rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in Te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. E credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato e morto per noi, Il Quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accresci la mia fede.Padre John Zuhlsdorf, 5 ottobre 2024
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Atto di speranza.
Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.
Atto di carità
Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amore tuo amo il prossimo mio come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più.
Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.
Atto di carità
Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amore tuo amo il prossimo mio come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Vi prego di A I U T A R E, anche con poco, il quotidiano impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
(ora che sono sola ne ho molto più bisogno. Il Tuo Sostegno - anche se minimo, ma costante - fa la differenza e può consentirci di tenere il fronte)
IBAN - Maria Guarini
IT66Z0200805134000103529621
Codice BIC SWIFT : UNCRITM1731
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impassibilis est Deus, sed non incompassibilis
RispondiEliminaLa meditazione conclude con l'Atto di Fede.
RispondiEliminaRicordo, dalle preghiere del mattino, l'Atto di Speranza, che lo segue
Atto di speranza
Mio Dio, spero dalla tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere, che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in eterno.
E l'Atto di Carità
RispondiEliminaAtto di carità
Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità; e per amore tuo amo il prossimo mio come me stesso, e perdono le offese ricevute. Signore, che io ti ami sempre più.
A Francesco piacciono i curatori fallimentari come Vesco, il quale dello smantellamento della Chiesa ha fatto il suo programma pastorale: «Dobbiamo liberarci dell'idea che dobbiamo evangelizzare, far sì che altri si accostino alla nostra verità e allo stesso tempo accettare che ci può essere anche nell'islam una parte di verità che ci sfugge» (vedi qui). Vorrai mica metterti ad evangelizzare se hai già ben 4mila fedeli nella tua diocesi. Non solo il proselitismo, ma anche l'evangelizzazione pare sia ormai caduta in disuso. Perfettamente consonante con il pontificato in corso.
RispondiEliminahttps://lanuovabq.it/it/vesco-il-cardinalato-premia-le-minoranze-purche-eterodosse
A seguire l'Atto di carita' per tutti quelli "intortati" da quello del piano di sotto. Nostra Signora della Mercede liberali/ci dalle catene di quel "cosaccio"maligno.S.Michele Arcangelo provvedici.Così sìa!
9 ottobre, sant'Abramo
RispondiElimina"È vero che san Pietro parla di Noè come un «iustitiae praeconem», un predicatore di giustizia, ma ciò non significa che Noè ricevette una nuova rivelazione pubblica per la salvezza soprannaturale. Al massimo, questo significa che ha trasmesso, come gli altri patriarchi, la rivelazione iniziale di Dio ad Adamo.
Al contrario con Abramo, stiamo già abbandonando il piano della legge della natura.
La storia santa fa un enorme passo avanti, che corrisponde a due elementi.
Primo elemento: la ripresa della Rivelazione pubblica, interrotta dal peccato originale. Dio parlò ad Adamo subito dopo la caduta. Aveva annunciato una futura vittoria sulla discendenza del serpente. La vocazione di Abramo, sottratto da Dio ad un ambiente politeistico, è la ripresa formale della Rivelazione soprannaturale, che quindi entra nella storia e richiederà una fede sempre più esplicita. [...]
Secondo elemento: questa ripresa della Rivelazione aggiunge un nuovo dato preciso, la Promessa di una posterità in cui tutte le nazioni saranno benedette. Questa posterità indica allo stesso tempo
a) tutti i veri credenti, i discendenti spirituali di Abramo;
b) Colui nel quale tutti questi credenti saranno benedetti, che verrà dai discendenti carnali di Abramo e di cui Isacco è il tipo.
In breve, questa è la promessa della Chiesa, il Corpo mistico di Cristo, nel suo capo e nei suoi membri. L'espressione della Promessa si trova nel capitolo XXII della Genesi, nei versetti 16-18.
La spiegazione di questa Promessa si trova nel capitolo III dell'epistola di San Paolo ai Galati, al versetto 16. San Tommaso sostiene che questa spiegazione di San Paolo è quella dello Spirito Santo, che è l'autore del libro della Genesi, e che ha ispirato l'espressione della Promessa; e san Paolo vuol dire che Cristo è l'unico discendente di Abramo, da cui e in cui tutti possono ricevere la benedizione. San Girolamo osserva che, in tutte le scritture, l'espressione discendenza di Abramo, sia essa presa nella parte buona o cattiva, si trova al singolare, perché designa Cristo e il suo Corpo mistico, che è la santa Chiesa. Sant'Agostino afferma che la vera discendenza di Abramo non è solo Cristo, ma anche la discendenza spirituale di coloro che hanno la fede in Cristo, mentre gli ebrei che non sono cristiani non sono della discendenza di Abramo."
Abbé Jean Michel Gleize
Mons. Jean-Paul Vesco, arcivescovo metropolita di Algeri, sarà cardinale.
RispondiEliminaSostiene che "dobbiamo riuscire a sbarazzarci dell’idea che dobbiamo evangelizzare, far accedere gli altri alla nostra verità e contemporaneamente accettare che forse c’è anche nell’Islam una parte della verità che ci sfugge.”
Per me possiamo anche giocare a tombola, ma adesso chi glielo spiega a San Francesco Saverio che ha sbagliato tutto?
Data la mia non più verde età, e la mia passione per le belle canzoni anni '50-'60, ascoltavo poco fa le bella canzone "The King of clowns", magistralmente interpretata da Neil Sedaka; ebbene, leggendo adesso le farneticanti affermazioni di questo signor Vesco (mica vorremo dargli un qualche titolo ecclesiastico-cattolico, vero? non vogliamo mica offendere i martiri, i santi, i pontefici di due millenni di Chiesa Cattolica?), mi tornano in mente le parole "Here is the king of colwns...the show must go on"... he si, andate pure avanti, commedianti finto-cattolici, vedrete dove arriverete prima o poi, perché "Deus non irridetur !" all'Onnipotente non la si fa in barba, (cfr Sant'Atanasio, se ve lo ricordate!)
EliminaVi adoro mio Dio... il Voi maiestatico dovuto alla Trinità SS...
RispondiElimina"Ut ager quamvis fertilis sine cultura fructuosus esse non potest,sic sine doctrina animus"
RispondiEliminaCicerone
La Messa e il Sacrificio
RispondiEliminaL’eresia fondamentale della Riforma Protestante fu la separazione del sacrificio dal sacramento, o la trasformazione del sacrificio della Messa in «cerimonia della comunione», come se fosse possibile il dare la vita senza la morte. Forse che nell’Eucaristia non vi è anche una comunione con la morte oltre che una comunione con la vita? San Paolo non ha omesso questo aspetto: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1Cor 11, 26).
Se noi, nella Messa, mangiamo e beviamo la Vita Divina senza incorporarci alla morte del Cristo mediante il sacrificio, meritiamo di essere considerati come parassiti nel Corpo Mistico di Cristo. Mangeremo il pane senza portare grano alla macina? Berremo il vino senza dare grappoli da pigiare? La condizione della nostra incorporazione alla Risurrezione, Ascensione e glorificazione di Cristo è l’incorporazione alla sua morte. "Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri" (Gal 5, 24).
Nella Messa, noi offriamo il Cristo come Sacerdoti, ma ci offriamo con Lui come vittime? Separeremo ciò che Dio ha unito, vale a dire il Sacerdote e la vittima? L’intima connessione tra sacrificio e sacramento non ci dice del pari che non siamo soltanto Sacerdoti, ma anche vittime? Se tutto ciò che facciamo nella nostra vita sacerdotale è scolare calici e mangiare il Pane della Vita, come potrà la Chiesa, allora, supplire a "quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1, 24)?.
Al momento dell’elevazione, non alziamo il Cristo in croce rimanendo presenti come meri spettatori di un dramma nel quale dovremmo sostenere la parte principale? È la Messa una vuota ripetizione del Calvario? Se così è, che ne facciamo della croce che ci fu comandato di portare quotidianamente? Come può il Cristo rinnovare la sua morte nel nostro corpo? Egli muore di nuovo in noi.
E che ne è del popolo di Dio? Insegniamo ai fedeli che non debbono limitarsi a «ricevere» la Comunione, ma che debbono anche offrire? Essi non possono ricevere la vita, senza compiere alcun sacrificio. La balaustra è un luogo di scambio. Essi danno del tempo e ricevono l’eternità, danno la rinuncia di sé e ricevono la vita, danno il nulla e ricevono il tutto. La Santa Comunione impegna ognuno a una più stretta unione non soltanto con la vita del Cristo, ma anche con la sua morte, impegna a un maggior distacco dal mondo, alla rinunzia allo spreco e al lusso per amore del povero, alla morte del vecchio Adamo per la rinascita, in Cristo, del nuovo Adamo.
(Fulton J. Sheen, da "Il Sacerdote non si appartiene")