Nella nostra traduzione da Via Mediaevalis, la dimostrazione che i principi affermati nella verità non perdono mai di attualità; anzi, vanno ripresi e riproposti. Peter Kwasniewsi lo fa efficacemente, aggiungendo commenti adeguati ad una efficace riattualizzazione. Segue, sempre nella nostra traduzione, un importante articolo di riferimento che prosegue l'analisi sulla stessa lunghezza d'onda a proposito di Traditionis custodes [qui l'indice degli articoli dedicati alla stessa e successive restrizioni].
Quattro argomenti irrefutabili sulla Messa
Un testo classico di Jean Madiran del 1980,
con commento
Peter Kwasniewski
Preambolo
Da dieci anni affermiamo:
Argomento A. La messa tradizionale non è stata proibita.
Abbiamo scritto, sottolineandolo, a Papa Paolo VI nel 1972, senza essere contraddetti:
Argomento D. Siamo vittime di un inganno.
La nuova messa è uno strumento con un secondo fine
Questa intenzione si manifesta e si realizza nella pratica quando il clero e i fedeli sono indotti a credere che la Nuova Messa sia investita di un obbligo che ne impone l'uso a esclusione di qualsiasi altro rito. Fin dal 1970, abbiamo continuamente affermato che in questo consiste la tragedia della Messa. Ciò non significa negare o ignorare altri aspetti; ma stabilire, o piuttosto riconoscere, una gerarchia in quegli aspetti, quelli che riguardano la finalità essendo giustamente riconosciuti come i più decisivi.
Ne consegue che ciò che deve essere preso dalla Nuova Messa è almeno la sua finalità, almeno la sua intenzione omicida. Ciò può essere effettuato ammettendo che non è obbligatoria. E tale ammissione sarà genuina ed efficace se si ssncisce che la Messa tradizionale non è proibita ma è pienamente autorizzata e raccomandata.
Postfazione Commento del PAK:
Lo traduco di seguito:
Nel 15° anniversario del Summorum Pontificum : «Ciò che opponiamo alla Traditionis custodes non è 'non possumus' ma 'non licet': non è permesso!” — Jean Madiran in difesa del tradizionalismo
Una simmetria fuorviante
Alla luce di Jean Madiran ma anche di Gustave Thibon
"Non licet"!
Preambolo
Il mio caro amico e collega Gregory DiPippo ha condiviso con me alcuni contrappunti riguardanti il mio articolo sulla numerazione dei Salmi. In uno spirito di ricerca della verità, vorrei condividerli qui.
Nota introduttivaInnanzitutto, San Girolamo non fece tre traduzioni del Salterio. Fece due emendamenti, correggendo un testo latino già in uso sulla base del greco. Uno di questi è andato perduto, l'altro è quello nel breviario. Poi fece una traduzione direttamente dall'ebraico.La storia dei 70 traduttori da cui deriva il termine Septuaginta è universalmente considerata una leggenda storicamente tenue nella migliore delle ipotesi. Ma anche se ogni parola della versione tradizionale fosse vera, si applicherebbe comunque solo alla Torah. Gli altri libri, inclusi i Salmi, furono tradotti piuttosto tardi, e non come risultato di un progetto unitario, ma a pezzetti, da diversi traduttori che lavoravano con approcci diversi. Si pensa generalmente che i Salmi siano stati realizzati nel II secolo a.C., circa 120 anni dopo la traduzione della Torah.È universalmente riconosciuto che le divisioni del salterio trovate nella Septuaginta non sono del tutto accurate, e in termini di numero di errori, la Septuaginta ne ha di più. Unisce erroneamente due Salmi nel Salmo 113 ( In exitu e Non nobis ), e divide erroneamente un Salmo in due (114 Dilexi e 115 Credidi). Poi divide erroneamente un altro Salmo in due (146 e 147), ed è così che torna allo stesso numero di salmi in toto dell'ebraico.È anche universalmente riconosciuto che entrambe le tradizioni, la LXX e la Masoretica, uniscono due Salmi originariamente separati in uno (il nostro 26, il loro 27), e dividono un salmo che era originariamente uno in due (il nostro 41 e 42, il loro 42 e 43). Queste divisioni potrebbero benissimo riflettere un qualche tipo di uso liturgico ormai perduto e irrecuperabile per noi, ma questo solleva un altro punto. L'idea che la divisione ebraica di 9 in 9 e 10 sia una corruzione della Masorah è certamente una spiegazione probabile, ma è anche possibile che rifletta anch'essa un uso liturgico ormai perduto e non recuperabile.
La mia esperienza è che i tradizionalisti americani, in generale, non hanno familiarità con i grandi tradizionalisti non anglofoni che hanno prosperato e prosperano ancora in Europa e altrove nel mondo. Ciò non sorprende troppo: le barriere linguistiche sono notevoli e pressoché inestricabili per la maggior parte delle persone. Direi che negli ultimi anni i traduttori automatici hanno migliorato molto la nostra situazione, almeno in termini di aumento della "fecondazione incrociata" del movimento legato alla Messa tradizionale in varie sfere linguistiche; ma ciò aiuta solo in modo frammentario, poiché la maggior parte degli articoli, e certamente la maggior parte dei libri, non vengono mai tradotti.
Fortunatamente, grazie ai nobili sforzi della Angelico Press, abbiamo visto tradotti in inglese importanti scritti di Yves Chiron, Claude Barthe e Michael Fiedrowicz (tra gli altri), ma c'è ancora molta strada da fare.
Oggi sono lieto di condividere un potente estratto da un lungo editoriale, “La situazione della messa nel 1980”, di una delle figure chiave del tradizionalismo francese, Jean Madiran (1920-2013), per lungo tempo direttore della rivista mensile Itinéraires.
Jean Madiran
Quattro argomenti irrefutabili sulla messa
Mons. Schmitt [vescovo di Metz, Francia] trova più comodo, e ritiene opportuno, combattere contro i mulini a vento, che esistono solo nella sua immaginazione. "In nome della Chiesa", nientemeno, dice un po' di questo e un po' quello su tutto o su niente. Non dice una parola sulle obiezioni e le richieste che presentiamo seriamente da dieci anni. Lo fa apposta? O è che non riesce, nemmeno dopo dieci anni, a cogliere il punto della questione?
Le nostre richieste e obiezioni sulla Messa si riducono a quattro argomenti principali che abbiamo chiamato Argomenti A, B, C e D. Li abbiamo ripetuti in tutti i modi in Itinéraires durante il 1970 e il 1971. Appaiono all'inizio della prima edizione, del 1972, del nostro piccolo libro, La Messe, état de la question, e sono all'inizio di tutte le edizioni successive, compresa la quinta. Quelli dei nostri lettori che li conoscono a memoria, per favore abbiano pazienza. È necessario esporre la chiara dimostrazione più e più volte; i quattro argomenti decisivi devono essere ripetuti, perché non sono mai stati confutati o presi in considerazione dalla tirannia che ci opprime; e Mons. Schmitt, a sua volta, evita di venire a patti con loro.
Da dieci anni affermiamo:
La crisi sulla Messa consiste essenzialmente in questo: dal 1969, con ogni sorta di macchinazioni amministrative e decreti ingannevoli, si è cercato di convincere il clero e il popolo cristiano che la Messa, quella cattolica tradizionale e quella gregoriana, secondo il Messale Romano di San Pio V, è d'ora in poi una Messa proibita.
Soprattutto in Francia, il clero e il popolo cristiano sono portati a credere che ci sia un obbligo, quello di celebrare la Messa indipendentemente da come viene fatta, purché non sia in accordo con il Messale Romano tradizionale. In effetti, la diversità e persino il pluralismo nel modo di celebrare la Messa includono tutti i tipi di invenzioni, persino la pantomima da music-hall, ma escludono solo la vecchia Messa con il suo vecchio canone.
È questo che costituisce la tragedia della Messa negli ultimi dieci anni [cioè, 1970-1980]. La situazione non è cambiata nella sostanza, è solo peggiorata. Di fronte a questa situazione, da dieci anni presentiamo obiezioni e richieste che si riassumono in quattro argomenti che non sono stati nemmeno intaccati, per non dire distrutti.
Argomento A. La messa tradizionale non è stata proibita.
La Bolla di San Pio V, Quo Primum, non è stata abrogata. La Costituzione Apostolica di Paolo VI, Missale Romanum, del 3 aprile 1969, non ha investito il nuovo messale di un obbligo strettamente giuridico che ne imponesse l'uso ed escludesse quello del messale precedente. Il cardinale Ottaviani dichiarò a Pentecoste del 1971: "Il rito tradizionale della Messa secondo l'Ordo di San Pio V non è stato, per quanto ne so, abolito".
I documenti ufficiali di Paolo VI ordinarono ai vescovi di permettere la celebrazione della Nuova Messa. Fraudolentemente, con l' accordo di fatto della Santa Sede, si fece credere alla gente che Paolo VI avesse permesso ai vescovi di ordinare la Nuova Messa come un obbligo. La vera posizione giuridica della Nuova Messa di Paolo VI è che esiste come una deroga particolare alle prescrizioni, che non sono abrogate, della Bolla Quo Primum di San Pio V : la Messa tradizionale non è proibita.
[ Commento del PAK: L'argomentazione precedente di Madiran è stata, ovviamente, confermata in Summorum Pontificum, e perfino Traditionis Custodes non contraddice espressamente il punto di Madiran, sebbene tenti fraudolentemente e mendacemente di sostenere che esiste una sola "espressione" del Rito Romano, vale a dire il Novus Ordo.]Argomento B. La messa tradizionale non poteva essere proibita.
Non solo la Messa tradizionale non è stata abolita o proibita da un documento ufficiale della Santa Sede avente forza di legge, ma non poteva nemmeno essere abolita o proibita. Un'usanza millenaria le conferisce un diritto imprescrittibile. Un'usanza del genere potrebbe essere abolita solo a condizione che venga dichiarata cattiva, il che è impossibile; o scoprendo che l'usanza aveva, di per sé, cessato di esistere.
San Pio V non proibì nessuno dei riti della Chiesa: romano, domenicano, ambrosiano, lionese, tutti fondati su una consuetudine irreprensibile e ininterrotta. Quanto al rito romano in sé, si limitò a fissare il testo tradizionale autentico, liberato da impurità.
Abbiamo scritto, sottolineandolo, a Papa Paolo VI nel 1972, senza essere contraddetti:
Ridateci la Messa cattolica tradizionale, in latino e con canto gregoriano, secondo il Messale romano di san Pio V. Voi permettete che si dica che l'avete proibita. Ma nessun pontefice, senza abuso di potere, potrebbe colpire con un interdetto il rito millenario della Chiesa cattolica, canonizzato dal Concilio di Trento. L'obbedienza a Dio e alla Chiesa esige la resistenza a un simile abuso di potere, se realmente è avvenuto, e non una sottomissione silenziosa.Argomento C. L'intera riforma liturgica è legittimamente sospetta.
Il sospetto si fonda su varie considerazioni. Una delle più gravi nasce da una dichiarazione fatta dal cardinale Gut, prefetto della Congregazione romana per la liturgia, nel luglio del 1969. Parlando proprio dell'Ordo della messa, egli rivelava che, nel riformarlo, Paolo VI aveva spesso ceduto [a proposte] contro la sua volontà. Le riforme non erano frutto di una libera decisione del Papa, ma di pressioni esercitate su di lui, alle quali non aveva saputo resistere.
Argomento D. Siamo vittime di un inganno.
I vescovi riformatori, promotori di evoluzione e mutazioni, sostengono che il nuovo messale di Paolo VI è obbligatorio, ma hanno fatto questa affermazione solo contro la messa tradizionale. Le nuove messe che vengono effettivamente celebrate [tra noi] derivano dalla messa di Paolo VI, ma ne differiscono, se ne allontanano sempre di più senza nascondersi, vengono persino ostentate in televisione. Non c'è più una “ Nuova Messa ”, ci sono nuove Messe , ciascuna delle quali tende ad essere unica nel suo genere.
La messa di Paolo VI, infatti, è stata una breccia, un ponte, una transizione, e perfino un incitamento, alla proliferazione di nuove messe sempre più senza legge e senza fede. Il nuovo Ordo non è una regola, non è una legge. Da dieci anni è incapace di rallentare, di contenere, di regolare l'incessante sviluppo di liturgie fuori luogo. L'autorità amministrativa non ci prova nemmeno, il più delle volte, per imporre agli insaziabili innovatori ciò che chiama l' obbligatorietà del nuovo Ordo. Quel carattere "obbligatorio" viene invocato solo per proibire la Messa tradizionale e per perseguitare i fedeli ad essa. Questa è furfanteria, e la furfanteria non può richiedere obbedienza.
Mons. Schmitt ignora semplicemente quegli argomenti, come se non esistessero. Mons. Coffy fece lo stesso nel gennaio 1975. Se fosse facile confutare questi quattro argomenti, i vescovi si precipiterebbero a farlo. Ma, al contrario, sono ostinati nel non affrontarli. Sappiamo perché.
La nuova messa è uno strumento con un secondo fine
L'espressione "con un secondo fine" prende in considerazione lo scopo supplementare che una certa intenzione può aggiungere allo scopo normale di qualsiasi cosa. Ad esempio: lo scopo di una catena di bicicletta è di indurre il movimento dei pedali alla ruota posteriore; lo scopo di un manico di piccone è di rendere possibile l'uso del piccone. Ma se, in una rivolta, la polizia ti sorprende a portare un manico di piccone o una catena di bicicletta, non preoccuparti di dire loro che si tratta di un rispettabile manico di piccone o di una pacifica catena di bicicletta. Rispettabile di per sé, potrebbe essere; pacifico, sì: ma, nelle circostanze, sono strumenti con uno scopo aggiuntivo: lo scopo che hai dato loro tu stesso, lo scopo supplementare conferito loro dalla tua intenzione.
In una rivolta è l'intenzione che conta, perché mette in ombra le qualità naturali e l'uso ordinario dell'oggetto in questione.
Allo stesso modo, la Nuova Messa di Paolo VI è un'arma contro la Messa tradizionale: almeno ha questo scopo aggiuntivo, ed è stata infatti utilizzata per stabilire un divieto che non avrebbe potuto essere decretato in termini formali.
Ci sono molte opinioni diverse su cosa sia la Nuova Messa in sé. Tra coloro che l'accettano, alcuni pensano che sia meravigliosa, altri la considerano un male minore o un male inevitabile per il momento. Coloro che la rifiutano la chiamano inadeguata, o equivoca, o avvelenata, o vicina all'eresia, o persino eretica. Ma ciò che apparentemente nessuno può negare, sia in lode che in condanna, è che è, almeno nello scopo, lo strumento che serve a far sparire la Messa tradizionale. Questo fatto e le sue conseguenze dovrebbero essere tenuti in considerazione molto più di quanto non sia stato fatto finora.
La conseguenza più immediata è questa: anche se (per amore di discussione) ci venisse mostrato che la Nuova Messa è pienamente cattolica, quella dimostrazione non avrebbe dimostrato nulla, niente di più dell'affermazione che un manico di piccone onesto e buono non è altro che uno strumento, pacifico e legittimo. La FINALITÀ della Nuova Messa, il suo SCOPO, è ciò che ha di peggio. Una volta accertata quella finalità e quello scopo, è una questione secondaria discutere cosa sia la Nuova Messa in sé. È uno strumento destinato a essere usato contro la Messa cattolica dei secoli. Intenzionalmente, è un'arma anticattolica. È quindi principalmente la sua intenzione che noi attacchiamo.
Questa intenzione si manifesta e si realizza nella pratica quando il clero e i fedeli sono indotti a credere che la Nuova Messa sia investita di un obbligo che ne impone l'uso a esclusione di qualsiasi altro rito. Fin dal 1970, abbiamo continuamente affermato che in questo consiste la tragedia della Messa. Ciò non significa negare o ignorare altri aspetti; ma stabilire, o piuttosto riconoscere, una gerarchia in quegli aspetti, quelli che riguardano la finalità essendo giustamente riconosciuti come i più decisivi.
Ne consegue che ciò che deve essere preso dalla Nuova Messa è almeno la sua finalità, almeno la sua intenzione omicida. Ciò può essere effettuato ammettendo che non è obbligatoria. E tale ammissione sarà genuina ed efficace se si ssncisce che la Messa tradizionale non è proibita ma è pienamente autorizzata e raccomandata.
[ Commento del PAK: Ancora una volta, possiamo vedere, alla luce di Madiran, quanto fosse "rivoluzionario" Summorum Pontificum. I progressisti lo hanno inteso proprio come una dichiarazione che la "finalità" del Novus Ordo definita da Madiran era stata silenziosamente messa da parte, e ora la Messa tradizionale era di nuovo accolta come non solo "non proibita", ma come "pienamente autorizzata" e persino "raccomandata" ai sacerdoti che desideravano usarla liberamente, o alle congregazioni che desideravano richiederla. In questo modo Summorum si basa sui principi di diritto e tradizione che Madiran afferma; non è tanto una nuova legge positiva quanto un riconoscimento esplicito di ciò che deve essere così per quanto riguarda l'usus antiquior. Da parte sua, Traditionis Custodes è illecita perché finge di risolvere un problema senza cambiare nessuno dei dati che Madiran riassume, e perché va contro i principi perenni che egli articola. Il modo in cui agiscono i progressisti è semplicemente quello di riaffermare sempre e ulteriormente la loro posizione irrazionale, logorando l'opposizione con una graduale violenza esercitata sulla coscienza, un po' come la tortura cinese dell'acqua.]
A questo punto alcuni critici obiettano che sarebbe insufficiente e persino offensivo dichiarare semplicemente che la Messa tradizionale è “permessa”. Non hanno torto dal loro punto di vista, che è legittimo; ma non è l’unico. Inutile dire che per la Messa tradizionale pretendiamo più di un riconoscimento ufficiale che sia “permessa”. Ma ammettere che è “permessa” significa subito aprire una porta, creare una nuova situazione che logicamente e inevitabilmente porterà al suo pieno riconoscimento.
Se la Messa tradizionale viene dichiarata “permessa”, la Nuova Messa non è più considerata obbligatoria; e se non è obbligatoria, è perduta. Non c'è via di mezzo: se non è più obbligatoria è facoltativa, e se si ammette che è facoltativa, non può mai essere imposta a nessuno. Non è quindi né un "riconoscimento reciproco" né una "coesistenza delle due Messe", come i più esaltati credono nel loro panico. La coesistenza è impossibile: inevitabilmente l'una soppianterà l'altra. La Nuova Messa, quando è obbligatoria, soppianta la Messa tradizionale. La Messa tradizionale scaccerà la Nuova Messa quando la Nuova Messa sarà chiaramente facoltativa: non in un giorno, ma in diversi; e non senza combattere, ma chi ha detto che dovremmo mai smettere di combattere?
Ci sembra, quindi, che Mons. Lefebvre dovrebbe alla fine ottenere dalla Santa Sede, sotto una forma o nell'altra, per esempio sotto la forma di un «permesso» per la Messa tradizionale, un riconoscimento ufficiale che essa non è né abolita né proibita, così che, in questo modo, la Nuova Messa venga privata del suo scopo criminale.
Postfazione Commento del PAK:
Questo potente editoriale del 1980 prevedeva la soluzione a cui giunse Benedetto XVI nel 2007, quasi trent'anni dopo.
Nel frattempo, gli sforzi pacifici di Madiran per incoraggiare la riconciliazione tra il Vaticano e la Società non hanno mai dato i loro frutti, perché il Vaticano non era disposto a cambiare lo “scopo criminale” di cui parla. L’uso del nuovo messale come un modo per cancellare il rito tradizionale è stato condotto come una guerra fredda, senza diritto legale e senza scrupoli, dal 1969 al 2007, e ora di nuovo dal 2021 a—chissà quando.
Per quanto riguarda ciò che Madiran avrebbe detto della Traditionis Custodes, possiamo farci un'idea leggendo questo articolo di Remi Fontaine.
Lo traduco di seguito:
Nel 15° anniversario del Summorum Pontificum : «Ciò che opponiamo alla Traditionis custodes non è 'non possumus' ma 'non licet': non è permesso!” — Jean Madiran in difesa del tradizionalismo
Con il 7 luglio 2022 giungiamo al quindicesimo anniversario del motu proprio di Papa Benedetto e ci avviciniamo al primo anniversario del tentativo di Papa Francesco di annullarne le disposizioni nel suo motu proprio. In questa occasione Rorate pubblica una traduzione del seguente articolo di Rémi Fontaine, basato su tre precedenti articoli su Le Salon beige del 5 novembre 2021, 31 marzo e 1 giugno 2022). Le citazioni interne sono tratte dagli scritti di Jean Madiran.--PAK
Il motu proprio Traditionis custodes [vedi] del 16 luglio 2021 è stato sentito come un duro colpo:
- uno schiaffo in faccia al Papa emerito Benedetto XVI, la cui lettera e lo spirito del motu proprio Summorum pontificum del 2007 insegnavano e decretavano quasi il contrario di questo testo ingiusto e accusatorio;
- uno schiaffo in faccia a quello che potremmo chiamare il popolo della “Ecclesia Dei”, contro il quale rivolge subito e globalmente un giudizio sconsiderato e con il quale viene meno alla parola data;
- un’umiliazione inflitta alla Chiesa stessa, «Gesù Cristo si è diffuso e comunicato» (Bossuet), per l’offesa così arrecata al principio di non contraddizione, incompatibile con un’«ermeneutica della rottura», come pure alla legge naturale e canonica relativa alla Messa.
In questo modo, si potrebbe giustamente reagire ripetendo le parole di Nostro Signore davanti al Sommo Sacerdote, quando un servo lo schiaffeggiò: “Se ho parlato male, confuta ciò che è male. Se ho parlato bene, perché mi percuoti?”
A questo proposito, possiamo rileggere quanto Jean Madiran (morto nel luglio 2013) scrisse subito dopo il motu proprio di Benedetto XVI, ma che vale a posteriori per il motu proprio di Papa Francesco: «Con la benevolenza, tutto diventa possibile e vivibile, anche i possibili disaccordi. Col malanimo, tutto si indebolisce, tutto si contamina, anche i possibili accordi».
Certo, si potrebbe dire, ci sono le due frasi di Benedetto XVI nella Lettera ai Vescovi che accompagna il suo motu proprio (il cui equivalente non figura però tra le norme obbligatorie ivi stabilite): «È ovvio che, per vivere la piena comunione, i sacerdoti delle comunità che aderiscono all'antico uso non possono, per principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. L'esclusione totale del nuovo rito non sarebbe coerente con il riconoscimento del suo valore e della sua sacralità».
Di nuovo, Madiran risponde anticipatamente: “Ci sono due modi leciti di attenersi alla Messa tradizionale escludendo l'altra Messa, senza che si tratti di un'esclusione 'per principio' [o totale]. In primo luogo, si può escludere l'altra Messa in virtù della regola propria di una comunità o di un istituto. In secondo luogo, si deve comprendere che escludere l'altra Messa per principio significherebbe escluderla come eretica, scismatica o blasfema. Ora, gli oppositori più rappresentativi dell'altra Messa [inclusa la Fraternità Sacerdotale San Pio X, ma ancor di più e senza eccezioni nel cosiddetto “ movimento Summorum Pontificum ”] non hanno contestato, e hanno anzi esplicitamente riconosciuto, la sua liceità e validità quando è celebrata in conformità al suo testo ufficiale. Anche in questo caso, tuttavia, il suo uso può essere rifiutato, se non per principio ma per ragioni pastorali, ad esempio.
Una simmetria fuorviante
Il motu proprio di Benedetto XVI e la sua Lettera ai Vescovi hanno confermato che la Messa tradizionale “non era mai stata abrogata giuridicamente” (perché non poteva esserlo) e che ogni proibizione era stata (o sarebbe stata) un abuso di potere che non vincolava in coscienza. Al contrario, non obbligavano a celebrare anche la Messa di Paolo VI, secondo una falsa simmetria, comoda ma fuorviante. Si poteva (o non si poteva) aderire alla Messa tradizionale come altri aderiscono (esclusivamente) alla nuova Messa senza escludere in linea di principio l’altra forma del rito romano. Questa è la sostanza del motu proprio di Benedetto XVI e la sua applicazione “pluralista” come armistizio e pace liturgica da costruire nel tempo.
Ciò è analogo alla differenza che la Chiesa fa tra un comandamento (che è imperativo) e un consiglio (che è facoltativo). Il precetto evangelico di porgere l'altra guancia dipende dalle circostanze (Gesù stesso non lo ha sempre seguito!), a differenza del precetto di non uccidere l'innocente. Non perseguire ogni mezzo terapeutico per prolungare la vita di una persona è, ad esempio, un caso di consiglio: un no relativo, una questione di scelta prudenziale, a differenza del no assoluto all'eutanasia, che è un caso di dottrina. Mentre si può legittimamente interrompere un trattamento considerato irragionevole, si deve assolutamente proscrivere l'eutanasia.
Allo stesso modo, poiché non è possibile proibire la Messa tradizionale, non può esserci alcun obbligo di celebrare la nuova Messa, tanto più che quest'ultima, nonostante il suo innegabile riconoscimento, è soggetta a notevoli rilievi circostanziali (secondo lo stesso Benedetto XVI e molti teologi). Ricordiamo anche il Breve esame critico del nuovo Ordo Missae, sottoscritto congiuntamente dai cardinali Ottaviani e Bacci [vedi], che indica la promozione di una diversa concezione della Messa, passando da una realtà essenzialmente sacrificale a una assemblea comunitaria.
Le ragioni pastorali che alcuni hanno per aggirare la nuova Messa (legate a ragioni dottrinali) meritano di essere ascoltate, considerate o rispettate: appartengono alla seconda opzione della massima attribuita a Sant'Agostino: «Unità in ciò che è necessario, libertà in ciò che non è necessario, carità in tutte le cose». Che la gerarchia mediti su questa distinzione cruciale, rendendo meno arbitrarie le sue scelte pastorali e disciplinari! Forse potremmo tornare alla saggezza e alla benevolenza di Papa Benedetto XVI, eminente servitore del bene comune della Chiesa: ci sono molti cammini e dimore nella Casa della Tradizione, l'unità non è uniformità.
Alla luce di Jean Madiran ma anche di Gustave Thibon
Come Jean Madiran sosteneva in passato a proposito delle falsificazioni che si facevano della Scrittura, dell'inaudita proibizione del vecchio catechismo e del rito ereditario della Messa, ciò che oggi opponiamo alla brutalità del motu proprio Traditionis Custodes [vedi] —in concreto, alle sue restrizioni ordinate alla stessa ingiustificata proibizione— non è, NB, un non possumus (non possiamo) ma un non licet (non è permesso)! Non si tratta di sensibilità alle circostanze ma di un'impossibilità intrinseca al diritto (sovra)naturale e canonico, intrinseca alla continuità organica della tradizione ecclesiale:
“Un non possumus provoca un disordine nella Chiesa, un disordine apparente o reale; solleva un’eccezione di fatto di fronte a un comandamento che non è intrinsecamente legittimo. Questo disordine può essere un male minore quando il non possumus è ben fondato: per quanto ben fondato possa essere, tuttavia, vanno presi in considerazione anche l’entità e l’inconveniente del disordine che ne deriva. Al contrario, un non licet, se è ben fondato, non è un fattore di disordine, ma di ordine: è l’ordine stesso, nella misura in cui ha bisogno di essere proclamato, difeso o restaurato” (Madiran, luglio-agosto 1969). Come Antigone di fronte a Creonte. O come Tommaso Moro di fronte a Enrico VIII.
Benedetto XVI aveva riconosciuto che la nuova Messa rompeva eccessivamente con la Messa tradizionale, che “non era mai stata abrogata” e non poteva esserlo. Qualunque cosa si pensi dell’indubbia validità di questa nuova Messa e dei suoi legami con quella antica, la sua fabbricazione artificiale e la sua ambigua istituzione sono troppo lontane dall’eredità dell’antica tramandata di generazione in generazione per legittimare un’abrogazione o addirittura un disprezzo di tale eredità. Si può lasciare che un’usanza secolare divenuta obsoleta muoia da sola, ma non si ha il diritto di proibirla (le disposizioni di San Pio V conservavano tutti i riti che avevano almeno duecento anni all’epoca: milanese, mozarabico, lionese, domenicano, certosino...). A meno che non si possa dimostrare che questa usanza, che era quella della Chiesa latina, che santificava i suoi fedeli da secoli, era cattiva, diciamo: Non licet!
Senza dubbio, anche le tradizioni hanno i loro pericoli, come riteneva papa Pio V (liberando il Rito romano da certi sovraccarichi recenti, giudicati inutili), come senza dubbio immaginava di fare anche papa Paolo VI (decodificando in realtà ciò che il suo predecessore aveva voluto precisamente proteggere, purificare, unificare nella tradizione del Rito romano). Gustave Thibon lo esprime a modo suo: “C'è la tradizione-fonte e la tradizione-congelamento, la seconda generalmente succede alla prima non appena l'ispirazione originaria si raffredda e la lettera soffoca lo spirito: vediamo allora i riti congelarsi nei formalismi, la virtù nel moralismo, l'arte nell'accademismo... Ciò ci porta a negare la fonte quando non ci resta che rompere il ghiaccio” ( Au secours des évidences, Mame, 2022).
Credendo di rompere il ghiaccio, la riforma liturgica di Paolo VI non si è forse discostata, se non negata, dalla fonte stessa? Fino a “rinnovare” la lettera in assenza di una manifesta adeguatezza allo spirito che dà la vita... Sotto le mentite spoglie del ritorno alle fonti e dell’archeologismo, non si è forse “moltiplicato l’acquedotto senza badare che la fonte non si prosciughi”, per usare un’altra immagine di Thibon? Gli piace anche ricordare l’avvertimento che Chateaubriand dava già ai vertiginosi innovatori del suo tempo: “Guardiamoci dal far tremare le colonne del tempio: l’avvenire può precipitare su se stesso!” La tradizione vivente consiste più in un affidamento alle fonti che in un “ritorno” a esse.
"Non licet"!
Di fronte ai frutti attuali del Vetus Ordo (riscoperto gradualmente da una generazione giovane e in crescita, dalle molteplici vocazioni) e di quelli del Novus Ordo (praticato da una popolazione anziana, in declino e le cui vocazioni in molti luoghi si stanno esaurendo), possiamo almeno riflettere sulla pertinenza di queste parole generali del filosofo contadino sulla tradizione vivente: “Solo i fiori artificiali non hanno bisogno di radici...”
L'emergere, come riflesso di sopravvivenza, di molteplici “esperimenti” di tradizione, imprevisti ma salutari, che non sempre si sono lasciati incorporare nelle forme di organizzazione rituale e parrocchiale imposte dalla riforma liturgica, ha verificato che “ciò che è organico è più importante di ciò che è organizzato” — organizzato anche artificialmente da esperti e chierici, anche se sono i migliori intenzionati del mondo! — secondo le parole che Benedetto XVI ha rivolto nel dicembre 2009 al cardinale Cordes a proposito delle nuove comunità legate alla trasmissione della fede. Riguardo a queste comunità carismatiche, il Papa ha aggiunto ciò che si può applicare anche ai tradizionalisti: “Certo, questi movimenti devono essere ordinati e riportati all'ovile; devono imparare a riconoscere i loro limiti e a integrarsi nella realtà comunitaria della Chiesa”. Tuttavia, in caso di crisi importante, la società perfetta (in senso filosofico e teologico) che è la Chiesa ha realmente bisogno di queste microsocietà imperfette ma organiche, capaci di rigenerarla come gli anticorpi in un organismo malato. Questo è ciò che Benedetto XVI ha capito e voluto.
Anche se si trattava di una misura tampone, la coabitazione delle due forme del rito romano decretata dal suo motu proprio Summorum Pontificum era certamente la giusta via politica (nel senso nobile del termine: conforme al bene comune) e teologica: un atto di giustizia e di carità capace di riconciliare i cattolici dopo decenni di brutte ferite e abusi liturgici. Fatte salve alcune norme pastorali, si poteva e si doveva avere l'agio di scegliere la forma del rito latino. Agio: «stato in cui è lecito fare ciò che si vuole» (secondo il Littré ). Dal latino appunto: « licere », avere il permesso di. È in questo senso che l'agio si differenzia dal lavoro, che è soggetto a costrizioni, mentre nell'agio si è liberi di scegliere la propria attività. Ecco perché il motu proprio di Benedetto XVI non obbligava assolutamente a (con)celebrare la messa di Paolo VI (e viceversa).
Possiamo quindi dire ancora con Jean Madiran della «Messa proibita» — quella dei nostri antenati, ma anche quella dei nostri figli — che viene nuovamente stigmatizzata senza una ragione legittima: non licet! «Noi rifiutiamo di separarci dalla Chiesa, di lasciarci separare da essa… niente e nessuno può sostituire la successione apostolica e il primato della sede romana», né nessun altro può fare per loro ciò che è specificamente loro compito, nonostante le loro debolezze o persino i loro crimini.
La comunione in tutta la sua necessità
Non è una sfida alla successione apostolica o al primato della Sede romana opporsi rispettosamente al motu proprio di Papa Francesco del 16 luglio 2021 con un “ non licet ” (“non è permesso!”). Non stiamo peccando contro la necessità della comunione ecclesiale, che altrove è trattata così male. Ma è ben noto: “Quanto più l’autorità gerarchica diventa ‘lassista’, come si dice, persino evanescente, in materia di fedeltà dogmatica, tanto più aumenta il suo militarismo in materia pratica o sussidiaria” (Madiran, marzo 1987). Ora la comunione cattolica, che è prima di tutto la comunione dei santi che professiamo nel Credo e che il catechismo ci spiega, non è un’unione o un’obbedienza che non avrebbe condizioni né limiti.
Di fronte a una sottomissione brutalmente e arbitrariamente richiesta come segno secondario e contingente (“clericale”?) di questa comunione, i cattolici tradizionali praticano semplicemente un’obiezione di coscienza. In questa legittima obiezione di figli della Chiesa, non essendo membri (con alcune eccezioni) della Chiesa docente, possono avere più o meno torto, più o meno ragione, ma la comunione e l’unità ecclesiale non sono rotte: “Chierici, laici, cattolici comuni e persino santi si sono trovati in discussione, in contestazione, in lite con il loro vescovo; con la Santa Sede; con il Papa. Vedi, ad esempio, quando la Santa Sede ha sciolto e soppresso l’Ordine dei Gesuiti, non li ha dichiarati scomunicati; dei gesuiti che, nonostante la Santa Sede, desiderarono, organizzarono e infine ottennero dalla Santa Sede la ricostituzione della Compagnia di Gesù, nessuno scagliò fulmini contro di loro dicendo che 'non erano in comunione con la Santa Sede'”. Senza nemmeno menzionare il caso di Giovanna d'Arco, anche le oscillazioni dei detentori della successione apostolica e del primato della Sede romana prima della Riforma protestante e prima della Rivoluzione francese videro le loro ore infelici stroncate dai pionieri della Controriforma e della Controrivoluzione...
D'altronde, i “trads”, come vengono chiamati, non hanno unità in quanto tali, non hanno altra autorità di comando che quella della Chiesa (che oggi è piuttosto carente), alla quale acconsentono e si sottomettono, per così dire, quanto... se non di più di... Con varianti, interpretazioni diverse e soggette al giudizio definitivo della Chiesa (che alla fine arriva sempre dopo i malfunzionamenti oggettivi della sua storia): “Da quando è iniziata la crisi della Messa, essi [i trads] sono sempre stati profondamente divisi circa gli atteggiamenti da tenere e le iniziative da prendere nei confronti della Messa, secondo la diversità di opinioni, sensibilità, argomenti, tattiche particolari... I 'trads' non sono e non possono essere un partito, un esercito o una Chiesa; il loro è uno stato d'animo. E, naturalmente, un comportamento. Una professio e una devotio ” (Madiran, gennaio 1987).
Il ruolo dei laici (seguendo l'esempio del pellegrinaggio della cristianità)
Se nella storia sono i preti a predicare la crociata, non sono loro a guidarla. Per la loro condizione, i fedeli laici sono senza dubbio più capaci del clero, secondo questa metafora, di esprimere e apparentemente guidare il tipo di insurrezione morale che questo comportamento pluralista offi rappresenta in medio Ecclesiae e ancor di più in corde Ecclesiae. Le opzioni prudenziali e religiose del movimento tradizionalista, questa legittima obiezione di coscienza, questa autodifesa del popolo di Dio, si possono certamente trovare in molti luoghi senza alcuna gerarchia parallela o alcuna sostituzione del potere religioso. I fedeli che si riuniscono nei luoghi in cui si celebra la liturgia tradizionale sono guidati lì da ciò che Jean-Pierre Maugendre chiama il trittico “coerenza, esigenza, trascendenza”: vogliono prima di tutto che si parli loro di Dio, che si insegni loro la fede e che siano aiutati a pregare con bellezza. Il resto appare accessorio…
La storia, la devotio e la professio del Pellegrinaggio della Cristianità [cioè, il pellegrinaggio di Chartres] [vedi a partire da qui] ne sono testimonianza: "I poteri temporali dei laici cristiani restano ciò che sono, di fatto e di diritto, qualunque siano le mancanze, le manovre o le imposture dei vari rappresentanti della Chiesa gerarchica". Con le loro istituzioni e autorità temporali, nulla impedisce ai laici, per assolvere meglio spiritualmente i loro compiti temporali - per sopravvivere come famiglie nella crisi religiosa mantenendosi sui punti fermi del popolo cristiano - di chiamare i chierici tradizionalisti non come leader ma come cappellani o consiglieri religiosi (come hanno fatto gli scout non riformati, la MJCF e le scuole indipendenti, con lo spirito missionario e le vocazioni che conosciamo), per assisterli spiritualmente, per distribuire i sacramenti, per illuminarli, istruirli e confortarli spiritualmente secondo un'autorità morale di consiglio, di integrazione. Questa autorità non può, naturalmente, pretendere di essere un'autorità di decisione o giurisdizione religiosa. La tradizione, come fonte costitutiva della Chiesa, obbliga la resistenza tradizionalista a rispettare la struttura della Chiesa visibile e a lavorare con essa nonostante le sue carenze.
Jean Madiran parlava di un certo “militarismo” [il cristiano come Miles Christi -ndT ] [ caporalisme ], laddove l’attuale papa direbbe oggi “clericalismo”: “Il militarismo religioso è forse il fenomeno più insopportabile di tutti. Consiste attualmente nel considerare ogni obiezione come una bestemmia, ogni discussione come una disobbedienza, ogni disobbedienza (legittima o meno) come uno scisma. Le distinzioni più necessarie sono demolite dalla mancanza di intelligenza. Ciò non promuove l’unità. Al contrario. E lo vedete: è a pezzi.”
Indipendentemente dai detentori momentanei del potere nella Chiesa, i Creonti ecclesiastici, e anche dopo i Responsa [qui - qui - qui - qui - qui - qui - qui] amministrativi dell'arcivescovo Roche e l'esitazione di papa Francesco, possiamo tuttavia persistere e caratterizzarci come ha fatto il defunto fondatore della rivista Itinéraires : "In comunione, sì, ma con la Santa Sede"! "Cattolici tradizionali per convinzione (e per pleonasmo), siamo in comunione con la fede nella successione apostolica e nel primato della Sede romana. A questa successione, a questo primato, ci sforziamo di portare un'obbedienza cristiana e non servile..." (Prefazione a Eglise interdite, le livre blanc de Port-Marly, Rémi Fontaine e Alain Sanders, Éditions de L'Orme Rond, 1987).
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
Molto interessante l'articolo di Madiran, grazie.
RispondiEliminaMi pare di ravvisare una forzatura nei commenti di Kwasniewski a proposito di "Summorum Pontificum".
Madiran chiedeva che la Messa tradizionale fosse riconosciuta come lecita (permessa) e metteva ciò in rapporto con il riconoscimento che la nuova Messa fosse solo "facoltativa". Cito il passaggio chiave di Madiran:
"Non c'è via di mezzo: se non è più obbligatoria è facoltativa, e se si ammette che è facoltativa, non può mai essere imposta a nessuno."
Kwasniewski dice che la proposta di Madiran è stata accolta da Benedetto XVI con "Summorum Pontificum".
Ora questo è completamente falso, perché SP costituisce proprio quella "via di mezzo" che Madiran credeva impossibile: permettere la Messa tradizionale, mantenendo l'obbligo per ciascun sacerdote che la celebra di accettare anche la Messa di Paolo VI.
Pertanto anche sotto BXVI la Messa di Paolo VI poteva (anzi sul piano teorico doveva) essere imposta a tutti, preti e fedeli.
Manteniamo la lucidità su Beneetto XVI, nel bene e nel male...
Eptapodus
Quando è che cominceremo a chiedere il ritiro di Traditionis Custodes?
RispondiEliminaFesta dei Santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo.
RispondiEliminaLe reliquie dei due apostoli sono venerate all'altare centrale del transetto sinistro della basilica di San Pietro in Vaticano.
Sancte Simon, ora pro nobis.
Sancte Thaddaee, ora pro nobis.