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mercoledì 31 ottobre 2012

"Tutto è diventato così avvizzito". Il filosofo Spaemann a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II

In una recente intervista rilasciata da Robert Spaemann al giornale Die Welt (26 ottobre 2012), il filosofo tedesco spiega perché a suo giudizio non c'è motivo, a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II, per una celebrazione giubilare: "tutto infatti è divenuto così avvizzito... È subentrata nella Chiesa un'epoca del tramonto. Persone che negano la risurrezione di Cristo rimangono professori di teologia e predicano come sacerdoti. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui c'è qualcosa che non va". Vediamo in dettaglio l'intervista in una nostra traduzione [Approfondimenti di "Fides Catholica"]

Die Welt: Lei era a Roma per la celebrazione del giubileo del Concilio Vaticano II. Per lei personalmente un motivo per festeggiare?

Robert Spaemann: In verità no. Si deve dire apertamente in primo luogo che si è introdotta un'epoca del tramonto. Una celebrazione giubilare non può far assolutamente niente di fronte al fatto che migliaia di sacerdoti già durante il Concilio hanno lasciato il loro ministero.

Die Welt: Quale la responsabilità del Concilio a tal proposito?

Robert Spaemann: Fu parte di un movimento, che ha avvolto l'intero mondo occidentale, parte della cultura della rivoluzione. Papa Giovanni XXIII disse allora che fine del Concilio era l'aggiornamento della Chiesa. Questo fu tradotto da molti con adattamento, adattamento al mondo. Ma questo fu un malinteso. Aggiornamento significa: opposizione della Chiesa al mondo, che sempre ha avuto e sempre deve avere, attualizzandola per il nostro tempo. Questo è il contrario di adattamento.

Die Welt: Giovanni XXIII certamente nel suo stesso discorso di apertura del Concilio ha risvegliato le attese che si trattasse di adattamento.

Robert Spaemann: Questo è vero. Giovanni XXIII era un uomo profondamente devoto. Ma era impresso di un ottimismo che presto già lo si poteva definire scellerato. Questo ottimismo non era giustificato. Nelle cose ultime la prospettiva storica cristiana suona conforme al Nuovo Testamento: alla fine ci sarà un grande apostasia, e la storia si scontrerà con l'Anticristo. Ma di questo il Concilio non fa parola. Si è eliminato tutto ciò che alludeva a lite e conflitto. Si è voluto benedire lo spirito del mondo emancipatore e culturalmente rivoluzionario.

Die Welt: Se in Germania come all'inizio dell'anno un tribunale giudica che la Chiesa cattolica può essere chiamata impunita setta di pedofili nessuno protesta. Questo ha qualcosa a che fare con lo spirito del Concilio Vaticano II?

Robert Spaemann: Sì. Il Concilio ha indebolito i cattolici. La Chiesa si è sempre trovata in un combattimento, un combattimento spirituale, non militare, ma una lotta. L'Apostolo Paolo parla delle armi della luce, l'elmo della fede ecc. Oggi la parola "nemico" è diventata indecente, il comandamento "Amate i vostri nemici" non può essere più impiegato perché non siamo più autorizzati ad avere nemici. Per i cosiddetti cattolici progressisti c'è in realtà ancora solo un nemico: i tradizionalisti. Questo è sì un'eredità del Concilio. Certamente noi cristiani per le offese della fede e della Chiesa non dovremmo usare nessuna violenza. Ma protestare dovrebbe essere possibile. 

Die Welt: I testi che il Concilio dopo lunghe discussioni ha approvato sono vaghi compromessi. Chi ha vinto, riformatori o tradizionalisti?

Robert Spaemann: Nessuno dei due. Entrambi gli schieramenti hanno agito al Concilio come politici. Questo vale soprattutto per il partito dei progressisti. Quando per una decisione potevano prevedere di non ottenere la maggioranza, hanno introdotto nella decisione di compromesso alcune clausole generali, da cui sapevano, che dopo il Concilio poteva essere ammollita. Hanno spesso lavorato in modo cospirativo. E hanno fino a oggi la prerogativa dell'interpretazione sul Vaticano. Gradualmente tuttavia si instaura una nuova coscienza. Lentamente si cessa di mentire nelle proprie tasche. Tutto è diventato così avvizzito: uomini che negano la risurrezione di Cristo possono rimanere professori di teologia cattolici e predicare come sacerdoti durante le Messe. Persone che non vogliono pagare la tassa per il culto vengono cacciate fuori dalla Chiesa. Qui certo qualcosa non funziona.

Die Welt: Cosa intende quando dice che i novatori avrebbero una prerogativa di interpretazione sul Vaticano? 

Robert Spaemann: Le porto tre esempi. Oggi viene detto spesso che il Concilio avrebbe eliminato il celibato. Si dovrebbe solo condurre fino in fondo gli accenni di allora. A tal proposito mai prima alcun concilio ha difeso il celibato con così tanto rilievo. Secondo esempio. I vescovi tedeschi hanno annunciato nella cosiddetta dichiarazione di Königstein che l'insegnamento della Chiesa in materia di "pillola" non è vincolante. Il Concilio aveva detto proprio il contrario, ovvero che l'insegnamento della Chiesa in questa domanda obbliga in coscienza i cattolici. O, terzo esempio: ognuno sa che il Concilio ha autorizzato la lingua del popolo nella liturgia. Solo alcuni sanno: il Concilio ha soprattuto asserito che la lingua propria della liturgia della Chiesa occidentale è e riamane il latino. E Papa Giovanni XXIII ha appositamente scritto un'enciclica  sul significato del latino per la Chiesa occidentale.

Die Welt: Cosa le disturba soprattutto?

Robert Spaemann: Non penso a singole scelte. Maggiormente a ciò che veramente è stato fatto dal Concilio. Forse si deve ricominciare a leggere i testi originali. Già alla fine del Concilio si è sollevato, come scrive Joseph Ratzinger, come un certo spettro, che si chiama "spirito del Concilio" che, molto condizionato, aveva a che fare solo con decisioni fattuali. Spirito del Concilio significa: la volontà del nuovo. Fino ad oggi i cosiddetti riformatori si richiamano attraverso tutte le possibili idee di riforma allo spirito del Concilio e intendono con ciò adattamento. Oggi però abbiamo bisogno del contrario del "mondanizzarsi della Chiesa", che già Lutero deplorava. Abbiamo bisogno di ciò che il Papa chiama "fine della mondanizzazione" (Entweltlichung).

Die Welt: Lei ha scritto: "L'autentico progresso rende talvolta necessarie le correzioni di corso e in talune circostanze anche passi indietro" Come può la Chiesa invertire rotta?

Robert Spaemann: Fondamentalmente deve fare quello che sempre ha fatto: deve sempre tornare indietro. Vive dei Santi, che sono modello del tornare indietro. Non è in ordine se la Chiesa in Germania, a cui appartiene la Casa Editrice "Weltbildverlag", si sostiene per anni mediante la vendita del porno. Per dieci lunghi anni i cattolici hanno informato di questo i vescovi e non è successo niente. Ora che il tutto viene fuori il segretario della Conferenza Episcopale Tedesca ha fatto di questi fedeli con disprezzo dei fondamentalisti. Che ora viene introdotta questa prassi di vendita ha a che fare poco evidentemente con il tornare indietro.
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Fonte: Die Welt by Approfondimenti di "fides Catholica"
Vedi anche la notizia su: www.kath.net

martedì 30 ottobre 2012

Celebro in rito antico, ma...

Riprendo da Vatican Insider di oggi: intervista al card. Cañizares, in relazione alla celebrazione in San Pietro del prossimo 3 novembre. C'è bisogno di commenti?
Perché ha accettato di celebrare la messa per i pellegrini che seguono il rito preconciliare?
« Ho accettato perché è un modo per far comprendere che è normale l’uso del messale del 1962: esistono due forme dello stesso rito, ma è lo stesso rito e dunque è normale usarlo nella celebrazione. Ho già celebrato diverse volte con il messale del beato Giovanni XXIII e lo farò volentieri anche questa volta. La Congregazione della quale il Papa mi ha chiamato ad essere Prefetto non ha nulla in contrario all’uso della liturgia antica, anche se il compito proprio del nostro dicastero è di approfondire il significato del rinnovamento liturgico secondo le direttive della costituzione Sacrosanctum Concilium e dunque di metterci sulla scia del Concilio Vaticano II. A questo proposito bisogna dire che anche la forma straordinaria del rito romano deve essere illuminata da quella costituzione conciliare, che nei primi dieci paragrafi approfondisce il vero spirito della liturgia e dunque vale per tutti i riti ».

Il Messalino della Messa di sabato 3 novembre in San Pietro

Gli organizzatori del Pellegrinaggio Una cum Papa Nostro ci hanno inviato il file del Messalino della Messa di sabato in San Pietro, predisposto a cura dell'Associazione San Gregorio Magno di Castel San Giovanni (PC), destinato ai fedeli di lingua italiana, che presenta il testo in latino con traduzione a fronte. È in formato PDF ed è pronto per la stampa qualunque sia il sistema operativo utilizzato, basta avere un lettore PDF del tipo Adobe o Foxit, gratuitamente scaricabile dal web.

Istruzioni per la stampa: il file PDF contiene fogli già pre-accoppiati per la stampa su fogli formato A4, che possono essere stampati in ordine fronte-retro e quindi fascicolati. Si procede così: stampare prima tutte le pagine dispari e poi, sul retro dei primi fogli e in ordine, tutte le pagine pari. Alla fine piegare i fogli lungo la metà, fascicolarli e, se si vuole, legarli con un punto metallico.

Chi è interessato lo può scaricare da qui.

Quando il fanone è un semplice abbigliamento liturgico, ma poi è proprio il Fanone quello che ha indossato il Papa?

 «Simboleggia lo scudo della fede ... e l’unità e l’indissolubilità della Chiesa latina e orientale.» Mons. Bux, 22 ottobre 2012

Sorpreso dalla meta-intepretazione infondata di Mons. Bux, sono andato a ricercare nei vari testi la presunta fonte dell'illustre liturgista, ma non l'ho trovata, e penso proprio che non la troverò perché inventata.

Comunque sono andato a sbirciare nella monumentale Enciclopedia Cattolica, voce curata dal Cardinal Enrico Dante e dal notissimo G. Braun S.I. "I paramenti sacri" Marietti, 1914, Torino.
Innocenzo III spiega che il fanone, chiamato allora "orale" rappresenta l'antico Efod del Sommo Sacerdote ebraico:
«Romanus Pontifex post albam et cingulum assumit orale [fanon], quod circa caput involvit et replicat super humeros, legalis pontificis ordinem sequens, qui post lineam strictam et zonam induerunt ephod id est super-humerale» Innocentius III, De Myst. Missæ, I, c. 53.
Senza entrare nell'opportunità e nel merito dell'utilizzo di questo paramento Romano Tradizionale nella nuova liturgia riformata, Mons. Guido Marini ha scelto di farlo indossare al Santo Padre sopra una casula gotica di fattezze medioevali come il Fanone, ma ci domandiamo perché abbia eliminato il foglio inferiore (diciamo la seconda mantellina la più grande cucita con la prima, che va sempre sotto la dalmatica la tunicella e la pianeta). 
Così non è più un Fanone ma una bizzarra mozzetta che non ha nulla a che vedere con questo antichissimo paramento papale. E non è una semplice questione di formale attaccamento ad un paramento liturgico, ma consapevolezza che i segni sono importanti per significare una realtà e affermarla. Altrimenti non avrebbero alcun valore.  E, dunque, rispolverare un segno per non rispettarne la foggia - e con essa il significato - che andava comunque espresso e riproposto, può essere indice di poca fedeltà e conseguentemente di incuria e di allontanamento dalla Tradizione e da quanto essa ci consegna.

lunedì 29 ottobre 2012

Il video del card. Turkson: Sinodo e Islam

Il 13 ottobre 2012 il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha fatto proiettare all’assemblea dei Padri riuniti in Sinodo un video dal titolo “Muslism demographics” che mostra l’espansione dell’Islam in Occidente. L’iniziativa ha suscitato il consenso di molti Padri ma anche la protesta di altri. Il cardinale si è scusato davanti ai padri sinodali per aver presentato il video e per qualsiasi sentimento di angoscia suscitato in loro. Allo stesso tempo spera che il suo messaggio principale, cioè il fatto che è necessario evangelizzare l’ordine sociale, non verrà perso. 
Ho ripreso da Corrispondenza Romana il Video presentato da Roberto De Mattei:

domenica 28 ottobre 2012

Buona Festa di Cristo Re, universorum Rex e non solo Re dell'universo...

Che sta avvenendo della Tradizione, ma soprattutto della Regalità di Nostro Signore, universorum Rex = Re di tutti e di tutte le cose? E non soltanto genericamente Re dell'universo, come l'ha declassato la Festa di Cristo Re del nuovo Ordinamento liturgico, che indebolisce la dimensione storica, immanente del Regno... Nell'Anno Liturgico dell'Ordo Antico, e a coronamento di esso, la Festa cade oggi, ultima Domenica prima della Festa di Tutti i Santi, che tali sono in virtù di Lui. Inserisco, in fondo, l'Inno Te sæculórum Príncipem, indicando le strofe inopinatamente soppresse e quindi non più né pregate né meditate sui nuovi breviari... Poi dicono che non è cambiato nulla? [vedi anche]

O ter beata civitas
Cui rite Christus imperat,
Quae iussa pergit exsequi
Edicta mundo caelitus!”
(“O tre volte beata la società, cui Cristo legittimamente comanda, che esegue gli ordini che il cielo ha impartito al mondo!”).

La festa di Cristo Re fu istituita da Pio XI l'11 dicembre 1925 mediante l'enciclica Quas primas. Se la festa è di nuova istituzione non è per nulla nuova l'idea della regalità attribuita alla figura di Cristo, che non soltanto la Scrittura, i Padri e i teologi, ma anche l'arte sacra e il senso comune dei fedeli concordemente affermano. L'istituzione di una ricorrenza specifica dedicata a questo mistero, risulta chiara dal testo dell'enciclica:
[...] "Se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l'umana società". Papa Pio IX si riferisce al laicismo (non alla laicità): "La peste della età nostra è il così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere della società. Infatti si cominciò a negare l'impero di Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste [...]
Te sæculórum Príncipem,
Te, Christe, Regem Géntium,
Te méntium te córdium
Unum fatémur árbitrum.

Scelésta turba clámitat :
Regnáre Christum nólumus :
Te nos ovántes ómnium
Regem suprémum dícimus.(soppressa!)

O Christe, Princeps Pácifer,
Mentes rebélles súbjice:
Tuóque amóre dévios,
Ovíle in unum cóngrega. (soppressa!)

Ad hoc cruénta ab árbore
Pendes apértis bráchiis,
Diráque fossum cúspide
Cor igne flagrans éxhibes.

Ad hoc in aris ábderis
Vini dapísque imágine,
Fundens salútem fíliis
Transverberáto péctore.

Te natiónum Præsides
Honóre tollant público,
Colant magístri, júdices,
Leges et artes éxprimant. (soppressa!)

Submíssa regum fúlgeant
ibi dicáta insígnia:
Mitíque sceptro pátriam
Domósque subde cívium.(soppressa!)

Jesu tibi sit glória,
Qui sceptra mundi témperas,
Cum Patre, et almo Spíritu,
In sempitérna sæcula. Amen.
Te, Principe dei secoli
Te, Cristo, Re delle genti
Te, delle menti, Te dei cuori,
confessiamo unico Sovrano.

La turba scellerata urla:
«Non vogliamo che Cristo regni»
Ma noi, acclamando, di ogni cosa
Ti dichiariamo Re supremo. (1)

Cristo, Principe Portatore di pace,
assoggetta le anime ribelli;
e, con il tuo amore, gli erranti
raduna in un solo ovile.

Per questo dall'albero sanguinante
pendi con le braccia stese,
e, dalla crudele punta perforato,
il cuore, di fuoco flagrante, manifesti.

Per questo sugli altari ti tieni nascosto
di vino e di cibo nell'immagine
effondendo la salvezza sui figli
dal petto transverberato.

Te delle nazioni i principi
manifestino [Re] con pubblico onore
[Te] adorino i maestri, i giudici
[Te] le leggi e le arti esprimano.

Le sottomesse insegne dei re
[a Te] dedicate vi rifulgano:
e con mite scettro la Patria
e le case dei cittadini assoggetta.

Gesù, a Te sia gloria,
che reggi gli scettri del mondo,
con il Padre, e l'almo Spirito
per i secoli sempiterni. Amen.
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1. Nella Liturgia delle Ore, l'inno dei Vespri è lo stesso (Te saeculorum Principem), ma da esso sono state soppresse proprio quelle strofe che parlano esplicitamente della regalità sociale ("Te nationum praesides..." e "Submissa regum fulgeant..."). Nella seconda strofa, inoltre, il riferimento al laicismo ("Scelesta turba clamitat: / Regnare Christum nolumus" = "La folla empia grida: Non vogliamo che Cristo regni") è stato rimpiazzato da una frase generica e indefinita ("Quem prona adorant agmina / hymnisque laudant cælitum" = "Ti adorano prone le schiere celesti e ti lodano con inni").
Completamente diverso l'inno dell'Ufficio delle Letture (il vecchio Mattutino), privo anch'esso di qualunque riferimento alla dimensione sociale e temporale del Regno di Cristo. Le letture tratte dall'enciclica Quas primas, che il Breviario antico assegnava al secondo Notturno, sono state rimpiazzate da un brano di Origene, di carattere marcatamente spirituale.
Così pure si cercherebbe invano un'allusione o un accenno alla necessità che Cristo regni sulla società civile nel nuovo inno delle Lodi mattutine.
La nuova orazione ricalca lo schema della vecchia, modificandone però completamente il senso.

sabato 27 ottobre 2012

DICHIARAZIONE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE “ECCLESIA DEI” in merito ai rapporti con la FSSPX

Città del Vaticano, 27 ottobre 2012 (VIS). Di seguito riportiamo la dichiarazione rilasciata questa mattina dall Pontificia Commissione "Ecclesia Dei":

La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” coglie l’occasione per annunciare che, nella sua più recente comunicazione (6 settembre 2012) la Fraternità sacerdotale di S. Pio X ha indicato di aver bisogno per parte sua di ulteriore tempo di riflessione e di studio, per preparare la propria risposta alle ultime iniziative della Santa Sede. 

Lo stadio attuale delle attuali discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità sacerdotale è frutto di tre anni di dialoghi dottrinali e teologici, durante i quali una commissione congiunta si è riunita otto volte per studiare e discutere, fra le altre questioni, alcuni punti controversi nell’interpretazione di certi documenti del Concilio Vaticano II. Quando tali dialoghi dottrinali si conclusero, fu possibile procedere ad una fase di discussione più direttamente focalizzata sul grande desiderio di riconciliazione della Fraternità sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro. 

Altri passi fondamentali in questo processo positivo di graduale reintegrazione erano stati intrapresi dalla Santa Sede nel 2007 mediante l’estensione alla Chiesa universale della Forma Straordinaria del Rito Romano con il Motu Proprio Summorum Pontificum e, nel 2009, con l’abolizione delle scomuniche. Solo alcuni mesi orsono in questo cammino difficile fu raggiunto un punto fondamentale quando, il 13 giugno 2012, la Pontificia Commissione ha presentato alla Fraternità sacerdotale di S. Pio X una dichiarazione dottrinale unitamente ad una proposta per la normalizzazione canonica del proprio stato all’interno della Chiesa cattolica. 

Attualmente la Santa Sede è in attesa della risposta ufficiale dei Superiori della Fraternità sacerdotale a questi due documenti. Dopo trent’anni di separazione, è comprensibile che vi sia bisogno di tempo per assorbire il significato di questi recenti sviluppi. Mentre il nostro Santo Padre Benedetto XVI cerca di promuovere e preservare l’unità della Chiesa mediante la realizzazione della riconciliazione a lungo attesa della Fraternità sacerdotale di S. Pio X con la Sede di Pietro – una potente manifestazione del munus Petrinum all’opera – sono necessarie pazienza, serenità, perseveranza e fiducia. 
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venerdì 26 ottobre 2012

Padre Tyn all'allora Card. Ratzinger, sulla Liturgia

Sintetizzo dalla relazione apparsa su Messa in Latino e aggiungo un passo incisivo di Padre Tyn sulla Liturgia Romana antica.

Il Centro Culturale Padre Tomas Tyn di Rieti ha organizzato, il 19 ottobre scorso, presso la bella sala della Fondazione Varrone, un convegno dal titolo La forza della verità, del quale avevamo dato notizia quiPadre Tomas Tyn, un aiuto nell’anno della Fede, in occasione del quale è stato presentato il libro La forza della verità. Lezioni di teologia, in cui l’avvocato G. Battisti ha raccolto da registrazioni vocali alcune lezioni del Servo di Dio, Padre Tyn. 

Era presente p. Cavalcoli, Docente di Teologia e di Metafisica, Vicepostulatore della Causa di Beatificazione di Padre Tyn, oltre che suo confratello, che ha ricordato come il 29 giugno 1975, in occasione della sua ordinazione sacerdotale, il Servo di Dio espresse segretamente il voto di offrire la sua vita allo scopo di chiedere, per intercessione della Madonna, la liberazione della sua patria e della Chiesa dal comunismo, senza spargimento di sangue. A 39 anni fu colpito da un tumore terribile, sopportato con infinita pazienza, continuando a scrivere il suo libro Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, che resterà nella storia della filosofia. Il 1° gennaio 1990, giorno della sua morte, Havel inaugurò lo Stato democratico senza che ci fosse neppure un morto.

In Tomas, ricorda il Padre, c’è la completezza della vocazione domenicana: lo studio, una cultura sterminata, la contemplazione, l’assidua direzione spirituale, e un’attività sorprendentemente intensa, fatta di conferenze, congressi internazionali, sulla quale sorgono ancora materiali di lavoro, inediti. Egli sentiva come missione propria quella di divulgare la retta dottrina cattolica, poiché era consapevole che la corruzione della Fede è uno dei mali più gravi in quanto colpisce direttamente l’anima.

L’urgenza di un ricupero del vero senso della liturgia per approfondire la Fede, secondo le intenzioni espresse dal santo Padre nel Motu Proprio Summorum Pontificum, è stato l’argomento della relazione del dott. Francesco Bernardini, Direttore del Circolo Ragionar Cattolico di Livorno, nella quale si è ricordato il profondo amore per la liturgia, manifestato dal Servo di Dio, allorquando celebrava con grande perfezione e devozione la liturgia gregoriana, secondo le norme dell’Indulto concesso dal Papa Giovani Paolo II. Ed è proprio dal suo intervento che estraggo queste incisive parole di Padre Tyn:
« Infine desidero dire qualcosa sulla sacra liturgia, soprattutto per ringraziare l'E.V. per l'opera compiuta nel favorire l'indulto che permette la celebrazione del divino sacrificio secondo il rito di S.Pio V di venerata memoria. Ho già fatto pervenire, per mezzo del Rev. Padre Priore all'Em.mo Card. Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, una relazione sulle Messe tuttora celebrate nella basilica bolognese di S. Domenico e così dopo aver informato il mio Superiore immediato, Reverendissimo Padre in Cristo, oso esprimere la mia gioia anche a Lei.
Quanto santa e sublime è quella letizia della quale si riempie il cuore tanto del sacerdote celebrante quanto del popolo assistente, allorché quel rito, venerabile per l'antichità, viene compiuto, quel rito, cioè, che tutto e soltanto a Dio si volge, a Cui, come a Padre clementissimo, il Figlio crocifisso, nell'oblazione del suo divino sacrificio, rende somma gloria e lode, un rito tanto sublime in tutte le parole e i gesti di cui fa uso ed infine tanto bello ed elegante, tanto accetto al popolo che partecipa con viva fede (né è noto ai Cristiani un altro modo di vera partecipazione).
Non ho mai potuto capire, e neanche adesso riesco a capire, perché tanta bellezza debba esser stata espulsa dalla Chiesa. Si obietta che essa costituisce un certo diletto accessibile a pochi; ma - e ciò è degno di nota - simili "obiezioni" non è solita muoverle la gente semplice e devota, ma piuttosto una certa pretesa aristocrazia (tuttavia perversa, che meriterebbe piuttosto il nome di "cacocrazia"), fastidiosa e pseudo intellettuale, turbolenta per la sua presunzione, dedita al nichilismo che sostiene e produce il brutto al posto del bello ». (Estratto dalla Lettera di Padre Tyn al Card. Ratzinger, 4 agosto 1985) 

Nella Chiesa c'è urgente bisogno di coerenza tra fede e vita

Intervento scritto di S. Em. R. Card. Raymond Leo Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, alla quinta Sessione dei Circoli Minori del Sinodo dei Vescovi (23 ottobre 2012). (Fonte: Approfondimenti di "Fides Catholica")
«L’Instrumentum laboris ci ricorda che la testimonianza della fede cristiana è una risposta sommamente adeguata ai problemi esistenziali, specialmente perché tale testimonianza supera la falsa frattura esistente tra il Vangelo e la vita (cfr. n° 118). Ma, perché abbia luogo la testimonianza della fede, di cui il mondo oggi ha urgente bisogno, all’interno della Chiesa si richiede la coerenza tra la vita e la fede.

Tra le più gravi ferite della società di oggi si rileva nella cultura giuridica il distacco dalla sua radice obiettiva ovvero metafisica, che è la legge morale. In questi ultimi tempi questo distacco si è di molto accentuato, manifestandosi come un vero antinomismo, che pretende di rendere legali azioni intrinsecamente cattive, come l’aborto procurato, il concepimento artificiale della vita umana allo scopo di procedere a sperimentazioni sulla vita dell’embrione umano, la cosiddetta eutanasia di coloro che godono del diritto preferenziale alla nostra assistenza, il riconoscimento legale delle unioni di persone dello stesso sesso equiparate al matrimonio, e la negazione del diritto fondamentale della coscienza e della libertà religiosa.

mercoledì 24 ottobre 2012

Bernard Dumont, Il conflitto irrisolto

L'ultimo fascicolo di Catholica (autunno 2012, n° 117) - rivista francese di riflessione politica e religiosa - è come sempre molto interessante e tra poco sarà disponibile anche sul Web.

Esso reca il titolo generale « Il conflitto irrisolto », che è quello dell'Editoriale di Bernard Dumont, dedicato all'intenzione pragmatica del Vaticano II e alle difficoltà che ne sono nate. In questo periodo in cui la Chiesa celebra il cinquantenario dell'apertura del Concilio, la rivista dedica al tema anche altri articoli. Il prossimo che pubblicherò sarà « Il punto morto delle Ermeneutiche » di Laurent Jestin. Successivamente, cercherò di fare una sintesi del tutto, che possa essere un ulteriore punto di partenza per elaborare le dinamiche, le riflessioni e le possibili conclusioni che questi pensieri ci aiutano a trarre.

Intanto, di seguito, potete trovare il testo, che di proposito ho voluto far precedere, perché vi si riallaccia, da quello del fascicolo precedente : "Apertura su un cinquantenario".

Il conflitto irrisolto

Ben lungi dalle aspettative dell'apertura del concilio Vaticano II, cinquant'anni fa, lo scarto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo è oggi acuto.

Già allora la situazione era preoccupante. Si entrava nell'era del consumismo di massa, con tutte le conseguenze morali che ciò lasciava presagire e che già si riscontravano concretamente. Nel 1962 usciva The Affluent society, di John Kenneth Galbraith, celebrazione dell'abbondanza materiale e programma di espansione capitalista. The Gutemberg Galaxy, di Marshall Mac Luhan, fa emergere che il nuovo potere dei media ha introdotto un salto qualitativo. Il comunismo persegue le sue azioni malefiche attraverso il mondo e rivaleggia nella corsa agli armamenti con la superpotenza rivale...

Infine all'interno della Chiesa circolano le « false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica » (Pio XII, Humani generis, 1950). Ci si accorgerà ben presto che questi ultimi pericoli non erano illusori, e si verificano in tutti i campi della vita ecclesiale, nelle dottrine come nelle prassi « modernizzatrici » dell'Azione cattolica, dei sindacati, partiti politici, università considerate cattoliche, ormai in via di rapida secolarizzazione. Di tutto ciò ognuno era consapevole nel 1962, così come si sapeva con cognizione di causa che questo stato di cose in effetti veniva da molto lontano nel passato.

Se gli iniziali interventi di Giovanni XXIII sorvolarono rapidamente su questi lati negativi, i testi nei quali sono sfociali i lunghi dibattiti conciliari in alcune parti presentano tratti più realistici. Paolo VI, nel suo discorso di conclusione (7 dicembre 1965), li ha riassunti in un ritratto sorprendente dell'uomo della modernità, chiuso su se-stesso e « tutto occupato di sé, [...] che si fa soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà ». Di conseguenza, Paolo VI affermava, « la religione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio ». Quanto al testo conciliare più celebrato per la sua « apertura », Gaudium et spes, esso inizia con un quadro preliminare piuttosto cupo della « condizione umana nel mondo d'oggi ». Denuncia l'ateismo istituzionale (pur senza nominare direttamente il comunismo) e lo scientismo, esprime il timore che le nuove tecniche militari provochino « una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati », conclude infine sullo « stato di degradazione dell'umanità » (n. 79).

La missione attribuita al concilio era offrire risposte adeguate alle angosce nate da questa situazione, ma anche discernere le aspirazioni positive e dar loro una risposta in una formulazione appropriata. Tale era la ragion d'essere del carattere essenzialmente pratico di questo concilio, indicato con l'aggettivo « pastorale » ufficialmente attribuitogli. Giovanni XXIII era stato chiarissimo a questo riguardo : non si trattava di « discutere di alcuni capitoli fondamentali della dottrina della Chiesa, e dunque di ripetere con maggiore ampiezza ciò che Padri e teologi antichi e moderni hanno già detto », bensì di operare un aggiornamento (è uno dei significati della parola aggiornamento ripetuta così di frequente), un adattamento pedagogico : « È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che dev'esser fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo da rispondere alle esigenze del nostro tempo. (Discorso d'apertura). La traduzione letterale della versione italiana comporta una variante : « [...] sia studiata ed esposta seguendo la ricerca e la presentazione usate dal pensiero moderno », formulazione ambigua, che può intendersi nel senso di una attenzione rivolta alla capacità di comprensione degli uditori oppure di un allineamento alla forme culturali dominanti dell'Occidente [N.d.T.: Questa citazione si riferisce ad un'altra versione del testo, rispetto a quella pubblicata sul sito Vatican.va, sul quale appare la versione corrispondente a quella francese, vedi link sopra, peraltro confermata dal testo latino presente sul sito Vaticano. Non volendo, ci troviamo di fronte ad un dilemma: dello stesso discorso circolano due versioni diverse: questa riporta la versione citata dal Prof Dumont. Non faccio commenti, ma se si confrontano le due versioni e non solo per il punto in questione, la cosa è piuttosto intrigante].

Ma un'ambiguità simile circonda la parola « exigence » nella versione francese. L’operazione era tanto più importante in quanto ci si trovava in presenza di un generale sconvolgimento del mondo di fronte al quale conveniva riflettere con tanta più forza quanto gli atteggiamenti adottati dopo il XIX secolo nei confronti della modernità si erano conclusi con successivi fallimenti sempre più evidenti, anche perché il discorso della Chiesa non era mai giunto ad esser formulato in termini immediatamente accessibili ai suoi destinatari.

Perché questa intenzione pastorale non ha mai dato frutti? Perché tanti sforzi dispiegati non hanno permesso di trovare i mezzi per elaborare un modello rinnovato di comprensione della modernità, e dare un impulso decisivo ad una rinascita della cultura cristiana tale da imporre rispetto ? Ci si contenterà qui di considerare due punti : l’opzione iniziale che ha dato la sua tonalità ai lavori conciliari, e la difficoltà di comprendere l'ostinazione con cui la linea posta all'inizio non è stata modificata a dispetto della sua inefficacia.
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La peculiarità del Vaticano II non risiede tanto nella sua « pastoralità », cioè nella preoccupazione pratica che gli era assegnata, quanto nel modo in cui questa si è concretizzata e nel contenuto delle decisioni che ne sono scaturite, oggi dai fatti giudicate un fallimento. Dopo tutto, questo concilio avrebbe potuto essere  « pastorale » in maniera completamente diversa. E il modo in cui lo fu è stato tributario di un certo numero di dati quanto il lungo processo che è seguito.

Il primo di questi dati è una decisione di ottimismo. Questa via, generalmente imputata al concilio nel suo insieme, è stata imposta da Giovanni XXIII. La bolla d'indizione Humanae salutis, l'atto giuridico di convocazione del concilio (25 dicembre 1961), evoca certo in maniera molto precisa le « guerre omicide che, oggi, si succedono senza interruzione » – si pensi a ciò che accadeva allora in Algeria, in Viet Nam, in Angola, ecc. –, ma se ne trae una interpretazione positiva che lascerà tracce in seguito : « [...] ciò spinge gli uomini a interrogarsi, a riconoscere più facilmente i propri limiti, ad aspirare alla pace, ad apprezzare il valore dei beni spirituali ; e ciò accelera il processo [...] che conduce sempre più gli individui, le classi sociali e le stesse nazioni ad unirsi amichevolmente, ad aiutarsi, a completarsi ed a perfezionarsi reciprocamente ».

Questa convinzione del passaggio ad un accesso collettivo alla saggezza ha per corollario nello stesso testo una prima critica nei confronti di coloro che lo mettessero in dubbio e che « non vedono che tenebre che circondano il nostro mondo ». Solo sei mesi più tardi, l'affermazione diventerà più dura. Giovanni XXIII qualificherà come « profeti di sventura » coloro « che sono soliti dire che la nostra epoca è profondamente peggiorata in rapporto con i secoli passati » ; e situerà i rimproveri che loro rivolge su un terreno di principio, affermando che « essi si comportano come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita […] », presupponendo e confermando così l’idea molto poco realista che si assisteva ad un ribaltamento positivo verso una nuova era di pacificazione (Discorso d’apertura del concilio, 11 ottobre 1962).

Non si è mai esattamente saputo chi riguardasse questa critica, forse essa era soltanto preventiva, in ogni caso veniva annunciata una linea d'altronde coerente con la definizione degli obiettivi assegnati all'assemblea che si apriva, consistenti non nel combattere i principi che sono alla radice dei mali contemporanei, e i sistemi che ne risultano ( il marxismo, il liberalismo, ecc.), ma a « usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore ». La giustificazione di questa scelta, molto nuova nella prassi ecclesiale che aveva sempre mescolato le due cose, è data nello stesso discorso d'apertura : gli errori, vi si legge, s’oppongono gli uni agli altri « svaniscono appena sorti, come nebbia dissipata dal sole.», ben più, i contemporanei « sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle ». Giovanni XXIII dava anche un esempio : « soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita. » (ibid.).

L'atteggiamento mentale del « Papa buono » gli è sopravvissuto, ma con Paolo VI, esso è stata rivestito di un'espressione più risoluta dell'attesa di una « nuova Pentecoste » o d’un « Allora il Regno di Cristo sulla terra sarà dilatato da um nuovo salto in avanti » annunciata dal suo utopico predecessore  (8 dicembre 1962). Riprendiamo il discorso di Paolo VI del 7 dicembre 1965, spesso citato, senza dubbio a causa del suo lirismo : « La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso ». È dunque in piena consapevolezza che il concilio è stato spinto in questa direzione : « [...] bisogna riconoscere che questo Concilio, postosi a giudizio dell’uomo, si è soffermato ben più a questa faccia felice dell’uomo, che non a quella infelice. Il suo atteggiamento è stato molto e volutamente ottimista ».

Il resto del discorso insiste su questa scelta deliberata, traducendosi in « Una corrente di affetto e di ammirazione [...] sul mondo umano moderno ». Non si tratta più qui di quella ingenua benevolenza che gli italiani chiamano buonismo, ma di un postulato, di uno sguardo deliberatamente selettivo.

Questa scelta, che non è quella della lucidità ma di un apriorismo che richiama ciò che uno psicologo all'epoca molto di moda, Carl Rogers, chiamava la « considerazione positiva incondizionata », deve essere essa stessa compresa nel suo contesto. Una prima spiegazione a beneficio della semplicità; essa inoltre si fonda su molti indici e anche consensi espliciti. Si è determinato un capovolgimento durante la prima settimana, nell'ottobre 1962, quando cinquantanove dei sessanta schemi preparatori presentati dalla curia romana sono stati respinti. Risultato degli sforzi di un piccolo nucleo di attivisti di tendenza modernista più o meno attestato, abile ad imporsi di fronte a personaggi ecclesiastici che non comprendevano il senso di un'uscita dai ranghi condotta con l'appoggio di qualche vescovo, sotto il benevolo sguardo di un Giovanni XXIII che moltiplicava i gesti di apertura. È un dato di fatto, certamente. Ma non è sufficientemente probante, in quanto Giovanni XXIII aveva preliminarmente fatto la sua scelta in favore del cambiamento.

D’altra parte, ammesso che ci sia stato un « partito » rivoluzionario, gli storici che si sono occupati del tema attestano che esso all'inizio non assunse che la forma elementare di uno spirito comune, diffuso attraverso reti distinte e in relazioni occasionali, e non da una organizzazione costituita in precedenza e dotata di un programma coerente. Inoltre, e ciò è importante, un'aspirazione confusa ad uscire da un'atmosfera burocratica e pignolesca costituiva un punto d'appoggio morale per queste iniziative, specialmente negli ordini religiosi e negli episcopati nazionali. È solamente nel corso delle sessioni successive del concilio che si sono intessuti legami più stretti, tuttavia senza mai sfociare in istanze centralizzate, ma per contro in simbiosi sempre più accentuata col mondo esterno dei media, dei gruppi di pressione e dei laboratori di pensiero. Era l'epoca delle « rivoluzioni copernicane », dei capovolgimenti d'alleanze, e non soltanto perché certuni fino ad allora tenuti a distanza avevano scelto l'occasione insperata di prendere la loro rivincita sui conservatori che erano loro d'ostacolo. In modo più generale e di durata più vasta, il rapporto tra il mondo cattolico e il « mondo moderno » che costituiva il suo ambiente somigliava ad una lotta per la sopravvivenza, dato che la Chiesa, nella sua assise sociale si trovava in una condizione di trinceramento, nonostante certe congiunture localmente e temporaneamente favorevoli e la permanenza di alcuni territori privilegiati. Tutti sono d'accordo sul fatto che questa situazione in fin dei conti non potesse durare a lungo. In passato, era stata tentata una strategia di oltrepassamento, sotto la direzione di Leone XIII : si interpretano così la politica del 'Adesione' (1892) e il tentativo di controllo d'un elettorato cattolico concepito come una potente massa di manovra che potesse difendere gli interessi della Chiesa ; e ancora l'azione sociale sistematica, incoraggiata a partire dall'enciclica Rerum novarum (1891), di fronte al posto vuoto lasciato dal liberalismo selvaggio. La stessa strategia sarà prolungata soprattutto sotto Pio XI, in minor grado sotto Pio XII, che ne vedrà l'esaurirsi.

All'inizio degli anni 1960, si può concepire l'ipotesi di un nuovo tentativo, questa volta di inversione, paragonabile a ciò che si produce nel gioco di Go dove bastano poche cose perché da assediato si divenga assediante. All'occorrenza, piuttosto che opporsi al mondo moderno e al suo umanesimo idolatrico, era immaginabile proclamarsi moderni e più umanisti dell'umanesimo contemporaneo : « Anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo. » proclamava Paolo VI nel suo discorso del 7 dicembre 1965. Quella che si può considerare una prima offensiva di comunicazione, sarà seguita da ben altre nel corso del periodo postconciliare, ma perfino col carisma personale di Giovanni Paolo II, non raggiungerà affatto il suo scopo. Una delle ragioni di questo fallimento è di ordine tecnico : fin dall'inizio, il concilio si è lasciato investire dai media ; entrando in maniera beota in una struttura strettamente legata alle finalità della modernità, felici di trovare una facile tribuna per la diffusione delle loro idee o semplicemente per apparire, numerosi esperti, vescovi e porta-parola hanno posto il concilio in posizione di dipendenza nei confronti del « magistero » egemonico detenuto dai forgiatori della pubblica opinione. Il concilio è divenuto stabilmente l'evento conciliare. In definitiva, il ribaltamento della situazione non si è prodotto, nonostante il pesante tributo pagato alla cultura dominante dannosamente lusingata.
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Come può accadere che nonostante le smentite della realtà, sia sempre difficile immaginare di rimettere un causa una politica la cui inefficacia, cinquant'anni dopo, è patente ?
Sembra che si possa avanzare due ipotesi, che hanno in comune una stessa nozione di costrizione.

La prima concerne il fatto, già affrontato, di un inserimento della Chiesa nella sfera mediatica, fortuito, impreparato, rapidamente soffocante e mai sottoposto a revisione, anche se al riguardo abbondano gli strumenti di analisi disponibili. Prima ancora di pensare la posizione della Chiesa postconciliare in termini di partecipazione allo spazio pubblico - oggi all'ordine del giorno sotto la prospettiva particolare della laicità – tale partecipazione di fatto era realizzata. La conseguenza principale di questa novità storica non è stata, se non in maniera collaterale, un allargamento della presenza pubblica della Chiesa nella vita sociale, tenuto conto del fatto che ogni intervento in campo mediatico ha per contropartita immediata il vederlo « tradotto » in termini riduttivi, facilmente deformati fino al totale sovvertimento (il caso di Ratisbona, nel 2006, poi la trattazione del caso Williamson, nel 2009, sono sotto gli occhi di tutti). Lungo tutto il periodo del post-concilio, in tal modo la Chiesa è stata sottoposta alla puntigliosa censura dei poteri che gestiscono lo strumento mediatico, accompagnata da minacce ad ogni minimo scarto, reale o immaginario, dalla linea ufficiale. Questa situazione di cattività è dovuta fin dall'inizio ad una mancanza di conoscenza della struttura del potere nella società democratica, di cui il modesto Decreto sui mezzi di comunicazione sociale Inter mirifica, il testo più corto e certamente più scarso prodotto dal concilio, testimonia eloquentemente. Ora i media fanno parte integrante del sistema di potere della tarda modernità e l'ignoranza delle sue regole e delle sue finalità interne non fa che riflettere quella dell'insieme più vasto di cui non è che un ingranaggio. Poiché in seno alla Chiesa non manca un indiscutibile spirito di qualità e competenza, sembra che almeno in parte quel poco d'interesse nutrito per queste realtà risulti come l'ottimismo di cinquant'anni fa da un atto di volontà.

L'altra costrizione è legata alle logiche teoriche elaborate durante lo stesso processo conciliare. L’intenzione di allora era di partire dalle aspirazioni dell'uomo contemporaneo per dar loro una sorta di completamento cristiano. Si è visto che il modello preso in considerazione era un'immagine media dell'Occidentale modernizzato, ripiegato sul suo egoismo, affascinato dalla tecnica e proclamante la sua autosufficienza, che aveva delle « esigenze di libertà » ed una maggior consapevolezza della sua intrinseca dignità – oggi si direbbe delle sue « fierezze » – (cf. in particolare la Dichiarazione Dignitatis humanae). Si trattava di un'idea riduttiva, tanto a livello sociale – la rappresentazione riguardava soprattutto i quadri motori della modernizzazione – che a livello geografico, in un'epoca in cui l'occidentalizzazione del mondo non aveva raggiunto le proporzioni attuali. E tuttavia è a partire da questo modello - che il sistema dei media ha largamente contribuito a valorizzare - che si è costituita una concezione antropologica sullo zoccolo preesistente del personalismo cattolico elaborato nel periodo ante-guerra, e nella continuità delle correnti teologiche precedentemente respinte. E il discorso ideologico che è emerso simultaneamente sulla « Chiesa dei poveri » non ha controbilanciato questa visione, servendo, di fatto, nelle circostanze di agitazione rivoluzionaria dell'epoca, a confortare un sentimentalismo progressista da cui scaturirono più tardi le teologie della liberazione.

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È impossibile separare questione politica e questione religiosa, trasformazioni del discorso ad extra ed elaborazioni teoriche ad intra, benché la chiave risieda nel desiderio primario di superare il conflitto col mondo della modernità, un conflitto indissociabilmente teologico, filosofico e politico. Nello stesso tempo, è difficile negare il fatto che le produzioni più strettamente rivolte alla vita interna della Chiesa – la sua autodefinizione in Lumen gentium, i testi sulla formazione sacerdotale, l'episcopato, la Rivelazione... – siano stati pensati in situ, ed a maggior ragione tutte quelle che riguardano le relazioni con gli altri, che si tratti d'ecumenismo di libertà religiosa, di partecipazione alla « costruzione del mondo » in comune con i non-credenti, e così di seguito. Non è che una conseguenza naturale dell'opzione pastorale iniziale.

Occorre aggiungere il fatto che il lungo periodo postconciliare, se ha conosciuto sfumature, ha dogmatizzato il corpus costituito tra 1962 e 1965 – mentre il suo carattere pastorale implicherebbe logicamente di fare periodicamente il punto sulla sua fondatezza, tenendo conto dei cambiamenti di circostanze. È vero che in certi casi questa dimensione essenzialmente pratica è stata oltrepassata per presentarsi come progresso dottrinale, che apre la porta a interminabili interrogativi sulla portata di alcuni testi, la loro continuità o la loro rottura con l'insegnamento acquisito. Parallelamente lo sguardo unilateralmente positivo sul mondo ha lasciato il posto ad un'autocelebrazione periodica, mentre la censura esteriore si mostra sempre più opprimente. Ciò facendo, per uno strano paradosso, cinquant'anni dopo, torniamo alla situazione di conflitto senza fine alla quale il concilio voleva sfuggire. È dunque difficile, in queste condizioni, immaginare la possibilità di risparmiarsi un riesame.
Bernard Dumont
Catholica N. 117 — Autunno 2012 - Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio

Le terribile persecuzione dei cristiani in Siria. Chiese sconsacrate ad Homs

Chiesa profanata in Siria
Vatican Insider dedica ampio spazio alla situazione dei cristiani in Siria. Noi siamo molto sensibili agli eventi che ci toccano da vicino e soffriamo e ci indigniamo per quanto accade a Roma; ma quel che accade in Siria è ancor più grave e ancor più difficilmente gestibile. E dunque riporto le notizie nell'intento di condividere, soprattutto nella preghiera comune, la sorte dei nostri fratelli siriani e non solo, perché tutto il Medio Oriente è segnato dallo stesso tragico problema, che oltre ad essere religioso è politico; ma mancano le autentiche buone volontà e prevale, persino da parte del Vaticano, l'atteggiamento prudente e temporeggiatore: è di ieri la notizia che la missione della delegazione vaticana in Siria voluta dal Papa per portare sostegno alla popolazione sofferente «verrà posticipata, probabilmente oltre la conclusione del Sinodo, così come ci sarà qualche modifica alla composizione della delegazione, anche per gli impegni dei suoi membri». Il fatto è che la situazione è complessa e la missione per nulla sicura. Lo scenario vede divisioni tra gli stessi cristiani siriani e nella gerarchia cattolica di fronte alla rivolta contro il regime di Bashar al-Assad. In realtà i cristiani siriani temono l’aumento dell’influenza dei gruppi fondamentalisti islamici e lo scatenarsi della stessa violenza che ha decimato la presenza cristiana in Iraq. Ciò che in effetti sembra già essersi drammaticamente determinato, secondo quanto riferisce sempre Vatican Insider, raccogliendo la testimonianza del vescovo Caldeo Antoine Audo:
Aleppo in rovina, a Homs tutte le chiese cristiane sono state sconsacrate: è questo il quadro desolante disegnato dal vescovo gesuita caldeo Antoine Audo al Parlamento inglese il 18 ottobre scorso. I vescovi di Aleppo hanno deciso di restare con i cristiani ancora presenti in città. «Non vogliamo lasciarli soli. Se mi allontano dalla città per troppo tempo, la gente si sente sola». «Non siamo andati in Libano per incontrare il Papa per dirgli che siamo in pericolo» ha aggiunto, riferendosi al viaggio che Benedetto XVI ha compiuto in Libano dal 14 al 16 settembre. «Gli abbiamo scritto una lettera chiedendo il suo appoggio».
Audo ha accettato di viaggiare per qualche giorno in Gran Bretagna per accrescere la consapevolezza della prova dei cristiani siriani e per chiedere aiuto. Ad Aleppo scuole, ospedali e gli altri servizi pubblici non funzionano. L’80 per cento delle persone non hanno lavoro. La povertà sta diventando un problema molto serio, a causa del rialzo dei prezzi.
«È il caos. Non c’è sicurezza, tutto è sporco, non ci sono autobus né taxi». «Nella città di Homs, che ospitava la seconda più numerosa comunità cristiana del Paese, quasi tutti i cristiani sono stati obbligati a fuggire dopo un’ondata di persecuzione. Tutte le chiese sono state sconsacrate». I ribelli islamici hanno minacciato di morte la popolazione cristiana della città, obbligandola a lasciare le loro case.

martedì 23 ottobre 2012

Mons. Williamson escluso dalla FFSPX

Aggiornamento: Distretto d'Italia. Albano 25 ottobre 2012
In occasione della dolorosa esclusione di Mons. Williamson dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, il Distretto italiano ribadisce che questa è stata giustificata da motivi puramente disciplinari, che duravano da più anni.
Voler collegare questo triste avvenimento ad una volontà di cedimento dottrinale nei confronti della “chiesa conciliare” è puramente arbitrario, calunnioso ed ingiustificabile alla luce della dichiarazione dell’ultimo Capitolo Generale e dei recenti avvenimenti, come anche il futuro dimostrerà in maniera inequivocabile.
Don Pierpaolo Maria Petrucci, superiore
e tutti i sacerdoti del Distretto d’Italia della Fraternità San Pio X
Aggiornamento: Comunicato della Casa Generalizia. Menzingen, 24 ottobre 2012
Monsignor Richard Williamson, che da diversi anni aveva preso le distanze dalla direzione e dal governo della Fraternità Sacerdotale San Pio X, rifiutando di manifestare il rispetto e l’obbedienza dovuti ai suoi legittimi superiori, è stato dichiarato escluso dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X per decisione del Superiore generale e del suo Consiglio, il 4 ottobre 2012. Un ultimo lasso di tempo gli era stato accordato per sottomettersi, al termine del quale egli ha annunciato la diffusione di una ”lettera aperta” in cui chiede al Superiore generale di dare le dimissioni.
Questa dolorosa decisione si è resa necessaria per la cura del bene comune della Fraternità San Pio X e del suo buon governo, conformemente a ciò che Mons. Lefebvre denunciava: “È la distruzione dell’autorità. Come l’autorità può esercitarsi se deve chiedere a tutti i membri di partecipare all’esercizio dell’autorità stessa?” (Ecône, 29 giugno 1987)

Riprendo da Rorate Caeli:
Rorate ha appreso e può confermare che il vescovo Richard Williamson, uno dei quattro vescovi consacrati dall'Arcivescovo Marcel Lefebvre e co-consacrato dal vescovo Antonio de Castro Mayer il 30 giugno 1988, a Ecône, in Svizzera, per la Fraternità San Pio X è stato rimosso dall'appartenenza alla Fraternità dal suo Superiore Generale e ora può essere considerato un ex membro. La rimozione giunge al termine di una procedura interna che ha visto ripetuti richiami da parte delle più alte autorità della Fraternità nei confronti di decisioni e azioni di Williamson che, apparentemente, non sono stati ascoltati. 

La notizia era nell'aria da diversi giorni. Grande tristezza per come sono andate le cose. Preghiera e attesa per il resto.

lunedì 22 ottobre 2012

Storie di ordinaria vessazione nei confronti dei fedeli del Rito romano antiquior

Una lettrice ci scrive.

Sono una fedele che segue la celebrazione del Rito romano usus antiquior a Roma, attualmente celebrato dai sacerdoti dell'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote, nella Chiesa di Gesù e Maria al Corso. È una Rettoria tenuta dagli Agostiniani che ogni domenica, alle ore 10, ospita il rito da oltre 30 anni, ancor prima del Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007

Ebbene, del tutto inaspettatamente, il mese di settembre scorso, il superiore ha intimato in modo perentorio ai sacerdoti di sospendere le celebrazioni, peraltro seguite da un consistente numero di fedeli, per lasciar posto alla comunità portoghese (che tuttavia già fruisce della vicina Chiesa di S. Antonio dei Portoghesi).

È stato chiesto di mettere per iscritto le motivazioni del drastico provvedimento, ma il superiore si è rifiutato di farlo. Non abbiamo mancato di ricorrere all'Ecclesia Dei, ma non lasceremo nulla di intentato per poter continuare ad avere la nostra Santa Messa. Nel frattempo l'intimazione prosegue e, con modi anche molto sgarbati, ai sacerdoti dell'ICRSS è stato dato il termine ultimativo di novembre.

Nel frattempo, si è messa in atto una situazione di ostruzionismo piuttosto pesante: Domenica 14 ottobre, il Maestro Andrea Moncada è stato chiuso nella cantoria ed ora sono state fatte sparire le chiavi, per cui veniamo privati dell'uso dell'organo. Ieri, XXI Domenica di Pentecoste, alla comunione abbiamo cantato a cappella O salutaris Hostia e l'Ave Verum...

Mentre il "popolo Summorum" confluisce a Roma per ringraziare il Santo Padre, ci chiediamo cosa fa per i fedeli tradizionali, che non appartengono ad alcun movimento ma sono cattolici-e-basta, il vescovo del Settore Centro, Mons. Zuppi?

domenica 21 ottobre 2012

Il voltafaccia viene da Roma

Fonte FECIT Forum - 21 ottobre 2012
Se rivedete bene la cronologia, il fallimento del processo che sembrava portare ad una regolarizzazione non è intervenuto in occasione del Capitolo generale, ma un mese prima. Ciò dunque non ha modificato il dato.

Senza che si possa rivelare alcunché del contenuto, i sostenitori di mons. Fellay erano molto soddisfatti del Capitolo generale. Come è stato scritto un po' dappertutto, il vero cambiamento è avvenuto a Roma il 13 giugno. Alcuni giorni prima, Mons. Pozzo diceva a chiunque che l'accordo era suggellato. E d'altronde non era un segreto perché gli stessi giornali titolavano sul fatto che il testo di Mons. Fellay era stato approvato e che ormai era solo questione di giorni.

Ma il 13 giugno, avviene un totale rovesciamento della situazione : alla fine le condizioni portavano alla constatazione che non era più possibile proseguire per la FSSPX. A chi la colpa ? Sembra il frutto di un'autentica guerra d'influenze che da anni agita il Vaticano e che questo famoso mercoledì romano l'ala progressista si sia armata per battere il pugno sul tavolo e imporre le sue vedute attraverso qualche intimidazione che solo essa conosce, al fine di far fallire la regolarizzazione. Le  condizioni aggiunte non servivano altro che da pretesto. Ricordiamoci che Benedetto XVI stesso diceva che per lui e per noi sarebbe più facile rimanere per ora nello statu quo. Un movente (quale ? la storia lo dirà) l'ha dunque costretto a questa facilità. Ricordiamoci che al momento della rimozione delle scomuniche, i nemici erano stati molto ingegnosi - montando il caso Williamson - per cercar di fare pressione sul Papa. E all'epoca, non immaginando forse lo tsunami che ciò avrebbe provocato, egli non aveva ceduto. Ed aveva confermato il suo atto.

Non si può nemmeno andare avanti col fatto che noi rimaniamo in una situazione crudelmente anomala quando vescovi come Nourrichard e Zollitsch sono considerati in piena comunione mentre i membri della FSSPX non beneficerebbero di questa etichetta.

sabato 20 ottobre 2012

Bernard Dumont. Apertura di un cinquantenario

Editoriale apparso sul N.114 - Inverno 2012 di Catholica, la Rivista francese di riflessione politica e religiosa. Testo di grande spessore, che ho letto e tradotto con interesse e che, come mi è già capitato con gli altri lavori dell'Autore, il Prof. Bernard Dumont, mi ha aperto nuovi usci di comprensione, facendomi intravvedere alcune piste di approfondimento che condenserò in un prossimo articolo, non senza aver pubblicato anche l'Editoriale più recente - che sto traducendo-, che riprende e approfondisce i temi affrontati qui. Titolo: "Il conflitto irrisolto", lo stesso dato al n.117 della Rivista, appena uscito. Sarà l'occasione per dare linfa alle nostre riflessioni, riscontrando come anche oltralpe il dibattito sia aperto ed in sintonia con le nostre visuali. 

Apertura di in cinquantenario
A dispetto di tutte le pesantezze che lo ostacolano, gli anni futuri dovrebbero consentire un riesame obiettivo del concilio Vaticano II e della sua applicazione. In effetti le circostanze rendono inevitabile un tale bilancio.
Posta in una situazione di rigetto di ciò che i papi del XIX secolo chiamavano « la civiltà moderna » (Pio IX) o « il diritto nuovo » (Leone XIII), la Chiesa ha lungamente reagito opponendo la perennità dei suoi insegnamenti ai principi dominanti dell’epoca, cercando d’altra parte attraverso vie diverse, talvolta paradossali, i modi per mantenere la sua presenza nella società. Questa situazione conflittuale è durata molto a lungo, tuttavia senza mai influire su un modus vivendi stabile e soddisfacente. Il Vaticano II, prendendo atto della persistente inefficacia di queste vie, avrebbe potuto, e dovuto, essere l’occasione di una eccezionale revisione di analisi e metodi, e favorire l’insorgere di uno sforzo collettivo per ripensare in maniera innovativa il rapporto della Chiesa con le forme sociali e culturali contemporanee.

Per quale motivo ciò non ha avuto luogo? È impossibile suggerire una risposta senza tener conto del periodo precedente, quello tra le due guerre e l’indomani della Seconda Guerra mondiale, caratterizzato da una disparità crescente tra l’affermazione di principi chiarissimi (tutto il discorso sulla regalità sociale di Cristo, sulla « conquista del mondo a Gesù Cristo ») ed una pratica di integrazione al corso degli eventi progressivamente crescente, imposta dall’adattamento ai cambiamenti di stampo politico in Europa.

Durante questo periodo, l’assenza di riflessione critica di un certo livello sulla organizzazione della società assume due aspetti molto complementari.

Da una parte, una certa sclerosi prende i luoghi istituzionali di elaborazione e trasmissione del sapere – università pontificie e altri centri di formazione cattolica superiore – specialmente in ragione dei contraccolpi dei « riallineamenti » successivi. In quegli ambienti ci si astiene dall’analizzare i sistemi per privilegiare un approccio in termini di morale individuale rispettosa dell’ordine stabilito (i doveri dell’operaio, del padrone, dell’elettore, il pagamento delle imposte e i suoi limiti...). Dall’altra parte si fa un gioco pericoloso all'interno di organismi come l’Azione cattolica, la stampa e l’editoria religiosa, e certamente anche i partiti politici e i sindacati, posti a contatto immediato con la cultura dominante, marxista o liberale, senza avere i mezzi per comprendere criticamente le logiche, a maggior ragione visto che le si ammette come semplici regole del gioco. Da questi diversi crogioli sono usciti tutti gli attori dell’integrazione dei cattolici in quello che al momento del concilio si chiamerà « il segno dei tempi ». Alcuni personaggi hanno avuto un ruolo determinante nell’incoraggiare questo passaggio, con in testa i « personalisti » – Mounier e Maritain – veri ostetrici della « modernizzazione » delle maggioranze cattoliche, successivamente seguiti da un ambiente di intellettuali « progressisti », largamente portati dalle circostanze (in Francia: la Resistenza, la guerra in Algeria; in Italia, i postumi della Resistenza poi i dibattiti interni sulla questione del « Blocco cattolico », del « prepolitico » e del pluralismo. Parallelamente, in simbiosi con questo ambiente, i chierici della Nouvelle Théologie seguono la stessa linea generale.

All'inizio degli anni '60, ogni sforzo collettivo di ripresa non poteva dunque che essere impedito, ammesso che fosse affrontato. In un certo senso i modernisti dell'inizio del XX secolo avevano visto giusto su un punto: è dannoso mantenere un atteggiamento di ripiegamento protettivo, di tagliarsi fuori dalla conoscenza del mondo in cui si vive, almeno delle correnti che vi circolano, delle obiezioni che ne promanano. Per contro è meglio uscire armati, tanto sul terreno della fede - da lì la caduta dei modernisti - quanto su quello della ragione, ivi compresa la ragione politica. Sfortunatamente una consolidata pratica ecclesiastica si è ispirata principalmente alla preoccupazione di proteggere i fedeli nell'accesso al culto e all'educazione cristiana, dando priorità alla negoziazione con i governi  da potere a potere, vigilando nell'inquadrare, in certi momenti secondo una disciplina molto spinta, i cattolici che assumono responsabilità nel corpo sociale. Se a ciò si aggiunge un ricorrente indifferentismo politico, con la sua contropartita opportunista, diventa facile spiegarsi la mancanza di chiaroveggenza a proposito della minaccia principale presentata da una modernità politica i cui effetti non si riassumono nella persecuzione diretta e brutale della pratica liturgica, nell'ostilità al catechismo ed alla libertà scolastica.
Questo stato di carenza non assoluta ma maggioritaria nel cattolicesimo del XX secolo, ha permesso ai più attivi tra gli elementi « modernizzatori » di ottenere un bilanciamento nel loro senso, venendo a sanzionare l'accettazione delle tesi definite nella seconda metà del XIX secolo nel seno della corrente cattolico-liberale. Fu dunque il momento della grande  « svolta antropologica » (K. Rahner), con tutte le sue applicazioni, specialmente nel campo dei rapporti tra spirituale e temporale. Questa svolta si è riversata nei testi conciliari considerati i più importanti, ed ha condotto ad un generale allineamento alla  « democrazia » ed al suo « Stato di diritto », largamente confermato in seguito, dato per scontato.

Nella « Costituzione pastorale sulla Chiesa del mondo di oggi », Gaudium et Spes, il concilio forniva alla Chiesa il desiderio di farsi riconoscere come guida universale in un mondo in piena trasformazione : « […] proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa, al fine d'instaurare quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione » (GS, 3, 2) ; e ancora: « […]  il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell'uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo. » (GS, 10, 2).

Se mezzo secolo fa questa proposizione audace poteva ancora attirarsi lodi alquanto ambigue, oggi il suo rigetto è franco e brutale, in certi casi persino insultante. Non si potrebbe dunque mantenere a lungo un discorso così impietosamente smentito dai fatti. A cinquant'anni di distanza, si constata che né l'offerta di servizio né l'acquiescenza ai valori del tempo hanno ricevuto una risposta proporzionata. Non soltanto il cambiamento di paradigma si è rivelato anche inefficace, se non più, del precedente, poiché la contropartita di nuova simpatia che ci si attendeva non si è verificata, ma per di più ha provocato numerosi nuovi problemi, esterni ed interni ; si diceva che la Chiesa per effetto delle sue condanne si era ritirata fuori dal mondo, ma oggi, malgrado tutti i dialoghi e tutte le aperture, essa ne è più esclusa che mai mentre d'altro lato ha subito una « mondanizzazione » interiore profonda e senza precedenti, come ha constatato Benedetto XVI nel suo discorso al Bundestag, il 22 settembre 2011.

Sarebbe dunque opportuno e legittimo interrogarsi sulle ragioni di questo scacco. Per questo sono indispensabili due condizioni: che un simile interrogativo cessi di essere procrastinato dalla moltiplicazione di argomenti certamente legittimi a livello di ipotesi, ma che non resistono all'esame ; e che esso possa essere formulato in un clima di ricerca della verità e non essere oggetto di un fine di non-ricevere, come dietro un muro di protezione invalicabile.

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Messa da parte la negazione pura e semplice, di natura propriamente ideologica, del fallimento, al momento esistono due modi di dilazionare l'analisi. Il primo consiste nel cercarne la causa principale nell'aggravarsi dello stato della società, concretamente nel maggio 1968 e i suoi strascichi, le conseguenze paradossali della fine del sistema sovietico, la mondializzazione. È del tutto evidente che questi grandi cambiamenti hanno costituito altrettanti fattori di destabilizzazione, agendo sia come origine di tentazioni (l'irruzione dell'edonismo legato ai superconsumi di massa) sia come fattori di turbamento degli abituali punti di riferimento. Ma per quanto pressante tutto ciò abbia potuto essere, non si è trattato, dopo tutto, che di un insieme di nuove condizioni alle quali era possibile rispondere secondo il grado di convinzione e di forza interiore disponibili nel popolo cristiano e individualmente nel clero.
È su questo punto che è impossibile imputare la responsabilità principale del crollo al mondo esterno. E ciò per una ragione di principio - la prova fortifica i forti e abbatte i deboli - ed un'altra di fatto, poiché in netta misura, sono state proprio le forze della modernizzazione interne alla Chiesa a nutrire le avanguardie che hanno provocato le mutazioni intervenute a partire dal 1968. È lo stesso clero che è entrato in decomposizione, come pure gli ordini religiosi, durante lo stesso corso del concilio e non solamente negli anni 1970. Tipica fu a questo riguardo la rivoluzione tranquilla del Quebec (1960 -68, ma anche la costruzione europea, l'azione di «agevolazione » dei partiti democratico-cristiani, la déconfessionalizzazione dei sindacati cristiani, senza omettere le « defezioni » massicce di preti, religiosi e religiose. D'altra parte, l'ottimismo che andava per la maggiore nel Concilio si fondava sia su una stupefacente ignoranza del corso reale del mondo e dei suoi cambiamenti, sia su un rifiuto deliberato di prenderli in considerazione in seguito a scelte prestabilite. Un caso eclatante è stato quello dell'omissione del comunismo malgrado lo scandaloso silenzio sulla sua spaventosa meccanica di distruzione umana ma forse ancor di più quello del silenzio sul sistema globale di cui il comunismo è solamente un ramo.

Bisogna dunque ammettere che se « il fumo di Satana » è penetrato nella Chiesa, è perché si è mancato di trovarsi subito vigilanti davanti alla tentazione, ed anche per non aver voluto guardare in faccia la realtà. E ciò è tanto più incontestabile dal momento che numerosi osservatori avevano avvertito il pericolo - guarda caso proprio quelli che il discorso inaugurale di Giovanni XXIII apostrofava « profeti di sventura »

Un altro modo di ritardare l'analisi d'insieme delle cause del fallimento del tentativo conciliare di riconciliazione col mondo non cristiano o anticristiano consiste nell'immaginare una sorta di « piano B », una interpretazione che, senza rimettere in discussione i grandi orientamenti dell'epoca, tentasse di negoziare sulla loro base reinterpretata, un accettabile rapporto coi poteri attualmente dominanti.
È evidente che in questo caso si tratterebbe di una soluzione in ogni caso meno costosa rispetto ad un azzeramento della costruzione iniziata nel 1962-65 e considerevolmente sviluppata poi, con le sue conseguenze pesanti non soltanto negli enunciati dottrinali ma anche nelle istituzioni, nei metodi di formazione, nelle discipline, negli accordi giuridici... Il discorso pronunciato da Benedetto XVI il 22 dicembre 2005 ha reso ufficiale l'esistenza del problema e precisato nello stesso tempo le modalità di un riesame moderato che permetterebbe di evitare i due poli opposti della revisione lacerante e della fuga in avanti. Il tentativo, perfettamente comprensibile, è fragile perché si fonda principalmente sul possibile incontro, in mezzo ad un mondo non cristiano o decristianizzato in cui dominano il relativismo, il cinismo, l'arroganza, e ormai una aperta ostilità anticristiana, di felici eccezioni, di situazioni più aperte, o improntate ad una certa benevolenza verso la Chiesa e i suoi membri. Per adesso, ci sono pochi esempi di quella che potrebbe essere una « laicità positiva », poiché di questo si tratta, salvo forse in qualche paese africano, come ad esempio il Benin. Inoltre, trattandosi d'un adeguamento pratico, sempre suscettibile di modifiche di equilibri interni, l'ipotesi lascerebbe da parte un riesame completo del passivo dottrinale per attenersi ad una serie di correttivi parziali, essi stessi soggetti ad ulteriore declassamento di pari passo con le modifiche di equilibri interni. Di per se stesso, questo tentativo è transitorio, non fondandosi che su basi mutevoli e concretamente aleatorie. In compenso, il solo fatto di dichiarare il concilio interpretabile costituisce una prima tappa verso una revisione d'insieme, mettendone in causa la versione conciliare più conforme allo spirito dell'epoca, la più « progressista », ma venendo anche a contrastare le abitudini acquisite o anche la paura di ogni cambiamento, del tipo « conservatore » questa volta.

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È indispensabile che il bilancio di questo particolarissimo mezzo secolo possa aprirsi finalmente in condizioni normali, cioè liberamente, con prudenza, in un clima intellettualmente favorevole. Ciò ancora non è possibile in ragione delle opposizioni congiunte e delle abitudini acquisite. All'interno del corpo ecclesiale sono stati ampiamente adottati metodi ideologici, ognuno ne conosce la lista: intimidazione, uso di termini squalificanti, campagne di denunce, soffocamento nel silenzio... Queste pratiche sono state rafforzate attraverso tre fattori. Innanzitutto - e in questo la struttura postconciliare ha tratti in comune con alcuni regimi occidentali attuali - la proibizione di discutere si opera attraverso il collegamento tra attivismo di base (i famosi comitati auto-istituiti repressivi in molte diocesi ed ordini religiosi, che esercitano di fatto un potere arbitrario) e l'intervento del « braccio secolare » costituito dall'apparato ideologico funzionante nella società, nei media, nelle associazioni, polizie private e se del caso istanze governative o internazionali. È inutile entrare nei dettagli, basta ricordare il modo in cui si sono svolti alcuni affari interni e la loro ripercussione nel mondo intero (il discorso di Ratisbona, il caso Williamson, quello dell'arcivescovo di Olinda e Recife, ecc.).

In questa prospettiva, la Chiesa è sottoposta al controllo di elementi estranei che si arrogano il diritto di giudicare su ciò che è conveniente o meno alla sua vita interna. Dunque non ci si trova più semplicemente di fronte al caso di privatizzazione della religione, ma decisamente di una subordinazione agli interessi dei poteri esterni: ciò, fatte le debite proporzioni, non è molto lontano dal caso della Chiesa patriottica in Cina.

A rinforzare l'effetto di queste misure attive interviene un secondo fattore, d'ordine istituzionale: la dissoluzione delle strutture gerarchiche derivante dalla collettivizzazione dell'autorità, in nome della collegialità. Poco importa che essa abbia in pratica oltrepassato le norme conciliari, è un dato di fatto che si è generalizzato, rendendo psicologicamente obbligatoria la solidarietà nel rispetto della norma che si è imposta. Sono rari i casi che sfuggono a questo sistema, potentemente consolidatosi nella maggior parte dei paesi europei.

Infine nulla di tutto questo avrebbe un impatto determinante senza la superdogmatizzazione del concilio, che deriva da una pratica sempre più irrazionale man mano che il tempo passa, che malgrado tutto si mantiene a dispetto di ciò che ne aveva chiaramente detto a suo tempo per rifiutarla (Santiago, 1988) il cardinal Ratzinger. Questi tre fattori riuniti costituiscono una superstruttura parassitaria atta a prolungare indefinitamente una illusione collettiva sempre più lontana dalla realtà. Tuttavia questa superstruttura sta ora sgretolandosi, cosa di cui non ci si può che rallegrare.

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La prima e fondamentale ragione di questa evoluzione è semplicemente il fatto che è vero che la Chiesa comporta una dimensione umana, troppo umana, ma essa è innanzitutto di istituzione divina e a questo titolo, sottomessa alla Provvidenza più di qualunque altra realtà terrestre. Se è venuto il tempo di veder dissolversi ciò che di mal ispirato si è concretizzato nell'avventura conciliare, niente vi si potrà opporre. E come spesso accade, le volontà della provvidenza non fanno troppo rumore e transitano per vie naturali molto banali. Accade che oggi se ne scorgano molte.

Innanzitutto, il mito conciliare necessita di un supporto umano attivo. A lungo esso fu il frutto di un certo numero di teologi di valore, formatisi nella prima parte del secolo scorso. Ora l'azione sovversiva che essi hanno condotta con cura ha avuto come conseguenza, tra altri effetti, di sminuire il valore dell'insegnamento teologico, in modo tale che la loro posterità è lontana dal raggiungere il loro livello di capacità inventiva. Il neo-modernismo dell'epoca del Vaticano II mostra così una crisi di quadri. E inoltre, il discorso portato avanti negli anni 1960 è molto invecchiato, come tutto ciò che è « moderno » a un dato momento prima di apparire fuori moda.

Esso non ha conosciuto rinnovamento, e ancor meno per esser stato oggetto di uno sviluppo lineare delle disposizioni che esso racchiudeva e che ne esprimono lo spirito iniziale, inquadrato solidamente attraverso da un riferimento costante al corpus fondatore richiamato e celebrato senza posa. Conseguentemente, col passar del tempo si è vieppiù approfondita la distanza dal mondo reale. Oggi la rilettura di un testo come Gaudium et Spes, intriso di un certo fascino davanti alla conquista dello spazio, agli altri prodigi della tecnica e all'avvento dell'abbondanza, testimonia di questo superamento, formale e sostanziale.
L'entusiasmo ha ceduto il passo al disincanto.
Infine, sono state iniziate discussioni tra la Fraternità San Pio X, fondata da Mons. Lefebvre, e il Vaticano, al fine di trovare uno statuto giuridico particolare. A queste trattative sono stati associati scambi vertenti sull'interpretazione del concilio, e sulla possibilità di discuterne alcuni testi. A prescindere dal successo o dal fallimento di questi scambi, il solo fatto che essi abbiano potuto aver luogo ha rafforzato l'idea che è ormai ammesso mettere in discussione il concilio. E ai margini degli ambienti direttamente coinvolti, sullo stesso tema si sono moltiplicati scambi, che di fatto hanno instaurato un dibattito, dando luogo, nella difesa spesso maldestra dell'ortodossia conciliare da parte dei suoi difensori più conservatori, a contro-esempi che a loro volta hanno nutrito il « discorso da fare » sull'insieme del problema - secondo gli auspici ed il il titolo di una delle opere significative di questo nuovo periodo (B. Gherardini, Vaticano II. Un discorso da fare, 2009).
Così la cappa di piombo tanto lungamente imposta è chiamata a rarefarsi prima, forse, di sparire totalmente. Gli anni futuri dovrebbero essere occasione di vedere allargarsi e attestarsi un progressivo clima di libertà in vista di una metodica revisione dei dati in causa.
Bernard Dumont
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[Fonte: Catholica 114 — Inverno 2012]