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venerdì 31 agosto 2012

Un prossimo Motu Proprio istituirà la «Pontificia Academia Latinitatis»

Apprendiamo da Vatican Insider che Benedetto XVI pubblicherà tra breve un motu proprio per istituire la «Pontificia Academia Latinitatis». Scrive Tornielli:
«Foveatur lingua latina». Papa Ratzinger vuole far crescere la conoscenza della lingua di Cicerone, di Agostino e di Erasmo da Rotterdam, nell’ambito della Chiesa ma anche della società civile e della scuola e sta per pubblicare un motu proprio che istituisce la nuova «Pontificia Academia Latinitatis». Fino ad oggi Oltretevere ad occuparsi di mantenere in vita l’antico idioma era stata una fondazione, «Latinitas», rimasta sotto l’egida della Segreteria di Stato e ora destinata a scomparire: oltre a pubblicare l’omonima rivista e a organizzare il concorso internazionale «Certamen Vaticanum» di poesia e prosa latina negli anni si è occupata di tradurre in latino parole moderne.

L’imminente istituzione della nuova accademia pontificia che si affianca alle undici già esistenti – tra le quali ci sono le più note dedicate alle scienze e alla vita – è confermata in una lettera che il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della Cultura, ha inviato a don Romano Nicolini, un sacerdote riminese grande propugnatore del ritorno dell’ora di latino nella scuola media inferiore. Ravasi ha ricordato che l’iniziativa dell’Accademia è «voluta dal Santo Padre» ed è promossa dal dicastero vaticano della cultura: vi faranno parte «eminenti studiosi di varie nazionalità, con finalità di promuovere l’uso e la conoscenza della lingua latina sia in ambito ecclesiale sia in ambito civile e quindi scolastico». Un modo per rispondere, conclude il cardinale nella lettera, «a numerose sollecitazioni che ci giungono da diverse parti del mondo».

Sono passati cinquant’anni da quando Giovanni XXIII, ormai alla vigilia del Concilio, promulgò la costituzione apostolica «Veterum sapientia» per definire il latino come lingua immutabile della Chiesa e ribadirne l’importanza, chiedendo alle scuole e università cattoliche di ripristinarlo nel caso fosse stato abbandonato o ridotto. Il Vaticano II stabilirà di mantenere il latino in alcune parti della messa, ma la riforma liturgica post-conciliare ne avrebbe abolito ogni traccia nell’uso comune. Così, mentre mezzo secolo fa prelati di ogni parte del mondo riuscivano a capirsi parlando l’idioma di Cesare e i fedeli mantenevano un contatto settimanale con esso, oggi nella Chiesa il latino non gode di buona salute. E sono altri ambiti, laici, interessati a promuoverla.
[...]
In questo thread sulla pubblicazione congiunta dei messali delle due forme del rito latino avevamo sentito parlare del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, la scuola per latinisti alle dirette dipendenze del Papa. Ma certamente l'Accademia costituisce un passo avanti.

Ad Maiora!

Dialogo ecumenico tra Anglicani e Cattolici romani

Dalla fonte su cui si argomenta: il libro del Card Kasper, deve dedursi che se la canteranno e se la suoneranno more solito. È una notizia scarna, ma di per sé rivelativa per alcuni dettagli. Potranno trarsi maggiori elementi non appena sarà disponibile il testo. Mons. Morerod è noto anche per aver partecipato ai colloqui con la FSSPX, dei quali ci si auspicava poter consultare gli atti.

Friburgo, 30 agosto 2012 (Apic) - Mons. Charles Morerod tiene una conferenza alla presenza di Benedetto XVI sabato 1° settembre presso la residenza estiva del Papa a Castel Gandolfo, vicino Roma. Specialista dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, il vescovo di Friburgo in questa circostanza tratterà del dialogo ecumenico tra Anglicani e Cattolici romani.

Il vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo, (LGF) partecipa al seminario estivo dei vecchi alunni di Benedetto XVI, il noto "Ratzinger Schülerkreis", che li riunisce dal 30 agosto al 3 settembre, annuncia il 30 agosto il Servizio d'Informazione del vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo.

In presenza del  cardinal Kurt Koch.

Mons. Morerod figura tra i relatori al seminario che inizia quest'anno: "risultati e questioni ecumeniche nel dialogo col luteranesimo e l'anglicanesimo" - basandosi sul libro del cardinal Walter Kasper "Die Früchte ernten. Grundlagen christlichen Glaubens im ökumenischen Dialog" ("Raccogliere i frutti. Fondamenti della fede cristiana nel dialogo ecumenico").

  Nel corso dell'incontro, che si tiene a porte chiuse, interverranno i vescovo della Chiesa evangelica luterana tedesca Ulrich Wilckens, esperto del Nuovo Testamento, e il professor Theodor Dieter, dal 1997 direttore de l’Istituto per la ricerca ecumenica di Strasburgo. Tra i partecipanti, si rileva la presenza del cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani.

   Un resoconto della Conferenza di Mons. Morerod sarà disponibile successivamente sul sito internet della diocesi di LGF (www.diocese-lgf.ch). (apic/com/be)
[Traduzione Chiesa e post-concilio]

Nell'anniversario della sua consacrazione episcopale un vescovo celebra nella forma Extraordinaria

Riprendo da Riposte Catholique, rammaricandomi che eventi del genere siano da segnalare come luminosi, ma troppo sporadici esempi: ...per ora, si spera!

No, non si tratta di Mons. Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X, né di uno degli altri tre vescovi della stessa Fraternità, non si tratta neppure di Mons Rifan, ordinario dell'Amministrazione apostolica personale « San-Jean-Marie Vianney » di Campos in Brasile. Anche se non dubito neppure un istante che essi celebrino così la propria consacrazione episcopale.

Si tratta piuttosto di un vescovo « ordinario », se mi si permette la parola, Mons. Francis Reiss, vescovo ausiliario di Detroit (Michigan) negli Stati Uniti. Il 12 agosto scorso, egli ha celebrato la Santa messa nella sua forma antica e venerabile. E quel giorno era anche l'anniversario della sua consacrazione episcopale. Una santa coincidenza, insomma !

giovedì 30 agosto 2012

Legittimo quesito di un Fedele (alla Santa Sede e alla Fraternità San Pio X)

Riprendo un recentissimo documento pubblicato da Una Vox, dallo stesso titolo qui riprodotto.

Pubblichiamo una lettera pervenutaci da parte di un fedele e la risposta da noi data. L'interrogativo posto è stato avanzato da diversi altri amici e questo ci ha convinti a renderlo pubblico, certi dell'interesse generale che riveste.
Spett.le Redazione,
vi prego di darmi il vostro parere sul seguente interrogativo che mi sono posto in questi giorni.
Sono un fedele ancora abbastanza giovane, ho 42 anni. Da alcuni anni mi sono avvicinato alla Tradizione. In questo ultimo anno ho seguito la questione del rientro della Fraternità San Pio X nella Chiesa. Dalle diverse cose che ho lette, ho cercato di farmi un’idea delle posizioni della Fraternità e del Vaticano, ma vi confesso che molti punti non li ho capiti.
Allora mi sono detto.
Si sono svolte le discussioni teologiche tra i teologi della Fraternità e quelli della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si è saputo che queste discussioni sono state registrate per formare una documentazione. Queste discussioni sono già finite da più di un anno.
Non sarebbe la cosa migliore se questi documenti fossero pubblicati, così che ognuno possa rendersi conto delle posizioni di Roma e della Fraternità?
Secondo voi, non sarebbe una buona cosa anche per coloro che non conoscono bene il problema e che così potrebbero rendersi conto di che cosa si stia parlando da diversi anni?

Spero che vogliate rispondermi.
Vi ringrazio in anticipo.

LIC
Lettera firmata
_______________________________
La risposta di Una Vox

Egregio Sig.…

Prima di rispondere direttamente al suo quesito, è opportuno tenere presente alcuni elementi.
  1. -- I colloqui dottrinali che si sono svolti da ottobre 2009 ad aprile 2011 avevano lo scopo di giungere alla regolarizzazione canonica della Fraternità San Pio X, come espressamente indicato nel decreto di remissione della scomunica dei quattro vescovi della stessa Fraternità, del 21 gennaio 2009.
  2. -- Essi hanno richiesto la pratica della riservatezza, in forza della complessità dei problemi trattati, cioè dei problemi posti da diversi documenti del Concilio Vaticano II in ordine alla loro coerenza con l’insegnamento tradizionale della Chiesa cattolica.
  3. -- Questi stessi colloqui, da prima che si avviassero, hanno prodotto l’avvio di un dibattito teologico non più ristretto ai teologi della Fraternità e dal Vaticano; dibattito che dura ancora oggi e che rischia di protrarsi intorno alle questioni di principio, senza affrontare nello specifico i diversi temi.
  4. -- L’avvio della fase della regolarizzazione canonica della Fraternità, ancora in sospeso intorno al cosiddetto “preambolo dottrinale”, sta ad indicare chiaramente che i colloqui hanno esaurito gli argomenti da dibattere e quindi devono considerarsi conclusi. In questa ottica, viene logicamente meno la necessità della riservatezza, poiché si deve ritenere che ambo le parti abbiano ampiamente ed esaurientemente espresso le rispettive posizioni.
  5. -- Lo svolgimento di questi colloqui ha chiarito che i problemi che sono stati sollevati in questi 40 anni dalla Fraternità erano e sono fondati e bisognosi di un serio approfondimento, e che gli stessi fedeli sentivano e sentono il bisogno di un confronto chiaro e definitivo.
  6. -- Nel contempo, relativamente alla generalità dei fedeli cattolici, questi colloqui hanno permesso di superare definitivamente la vecchia superficiale problematica della disubbidienza, dello scisma, della scomunica, così che oggi sono tanti i fedeli che si chiedono in che cosa veramente consista il disaccordo tra la Fraternità e Roma, tenuto conto che si è reso chiaro che si tratta di problemi dottrinali.
Fatte queste premesse, possiamo risponderLe che, non solo riteniamo legittimo il suo quesito, ma esso ci permette di puntualizzare alcune cose.

Dopo anni di scontro a distanza, la pubblicazione della documentazione relativa al contenuto di questi colloqui, potrebbe aprire una fase di chiarezza, permettendo ai fedeli di farsi un’idea corretta delle questioni in ballo e delle possibili soluzioni.
D’altronde, sia la Fraternità sia il Vaticano non vanno considerati come due parti in contesa, ma come due istituzioni che agiscono per il bene della Chiesa e quindi di tutti i fedeli, ragion per cui sono proprio questi fedeli che hanno il diritto-dovere di potere esaminare questa documentazione, perché possano essere debitamente informati sia della qualità delle due posizioni, sia dello status questionis. Non solo perché possano intervenire secondo quanto impone il loro dovere di stato, ma soprattutto perché possano responsabilmente rendersi conto della condizione dottrinale in cui oggi si trova la Chiesa di Cristo e quindi loro stessi come fedeli di Cristo.

Pubblichiamo quindi il suo quesito e lo giriamo sia alla Santa Sede sia alla Fraternità, perché, chi di dovere, provveda a dare risposta al suo legittimo quesito che è quello di un gran numero di fedeli.

Il Rito Domenicano ritorna a Washington, DC

Pubblica Rorate Caeli:

I seguaci dell'Ordine dei Predicatori negli Stati Uniti hanno riscontrato una curiosa situazione negli ultimi dieci anni, in cui molti giovani conservatori e orientati alla Tradizione si sono uniti ai domenicani a Washington, DC, mentre l'uso del rito domenicano era in gran parte sulla costa occidentale.

Ciò sta cambiando. La Messa in rito domenicano sarà celebrata nella cappella maggiore della Casa domenicana di Studi di Washington, DC, partendo con una Messa Cantata alle ore 07:15 Giovedi, 27 settembre 2012.

Messe di rito Domenicano sono state spesso celebrate nella provincia occidentale, spesso da Padre Augustine Thompson, O.P. che ha lavorato accanitamente per promuovere il rito del suo ordine. Ci sono state Messe occasionali in rito Domenicano in altri luoghi come New York City e Cristoforo Colombo, Ohio ma non nel cuore della crescita vocazionale di D.C. fino ad ora.

Particolarmente dai tempi di Summorum Pontificum, molti giovani fratelli Domenicani in Washington, D.C. hanno --con pazienza e carità-- espresso il loro desiderio del rito Domenicano. Dei fratelli hanno presenziato al rito romano latino e tradizionale in Washington, D.C. e almeno un frate Domenicano lo ha celebrato in D.C.  Un altro ha pronunciato il sermone durante una Missa Solemnis in rito romano latino tradizionale. Infatti, la Fraternità Sacerdotale San Pietro (FSSP) ha inviato molti preti alla Casa Domenicana di Studi per gradi avanzati. Ma mai una Messa di rito Domenicano pubblico (o il rito latino romano tradizionale, di questa importanza) Domenicana e pubblica nella Casa Domenicana di Studi in Washington, D.C.

E così, questo è un grande evento per i domenicani della provincia orientale. A molte preghiere (molte dei loro fratelli) è stata data risposta. Successivamente possono essere accettate cose minori come fare a meno della concelebrazione (una delle ragioni per cui la cosa ha richiesto tempo), forse questo è il prossimo ordine religioso che abbraccia pienamente le tradizioni liturgiche identificandosi da vicino col numerosissimo clero che riempì luoghi e celle per generazioni prima del Vaticano II.

mercoledì 29 agosto 2012

Cinquant'anni non sono nulla? Il Cardinal Walter Brandmüller sul Vaticano II

Nel thread precedente abbiamo preso in esame l'intervista del Card. Brandmüller a Vatican Insider. Vediamo ora come l'ha analizzata ieri l'opinionista di The Remnant; testo segnalato da un lettore che ringrazio.

Cinquant'anni non sono nulla?
Il Cardinal Walter Brandmüller sul Vaticano II

Stephen Dupuy

Cinque punti da considerare.

1) Il card. Brandmüller paragona la confusione dopo il Vaticano II al periodo dopo il Concilio di Nicea per evidenziare che quello che stiamo sperimentando non è senza precedenti. Comunque, il Concilio di Nicea, diversamente dal Vaticano II, ha definito dogmi. Così o si accettava il dogma definito a Nicea o si era eretici. Alcune discussioni nel periodo che segue il Concilio di Nicea erano tra eretici e cattolici, non di cattolici che disputano fra loro sul linguaggio pastorale ed ambiguo usato dal Concilio.

2) Il Cardinale afferma che il Concilio di Trento impiegò cinquant'anni per portar frutti e noi dovremmo lasciare più "spazio di respiro" in attesa dei frutti del Vaticano II. Comunque, ciò che il Cardinal Brandmüller non indica è che il Concilio di Trento ebbe luogo nel 1500 dopo anni di negligenza del magistero che permise all'eresia protestante di devastare l'Europa. Così il compito del Concilio di Trento per rianimare la Chiesa era scoraggiante. Il Vaticano II avvenne in un tempo di grande successo per la Chiesa al punto che molti misero in dubbio che ci fosse bisogno di un Concilio. Il Concilio di Trento ebbe luogo in un tempo di scarsa diffusione dei libri, quando non c'era trasporto più veloce che il cavallo, e la comunicazione era a passo di lumaca. Nonostante questo, il card. Brandmüller ammette che il Concilio di Trento ha avuto bisogno di cinquant'anni per portar frutti! Questa ammissione, lungi dall'assolvere il trascorrere di tempo infruttifero dal Vaticano II serve solo come un'addebito ulteriore al Vaticano II. Dal Concilio Vaticano nessun frutto sostanziale è nato dal 1965: un periodo che gode di un accesso molto esteso ad informazioni, comunicazione istantanea, e spostamenti rapidi.

3) Il card. Brandmüller afferma, "Già il linguaggio in sé che è venuto ad espressione, nonché l’esaustività dei testi dimostrano che i padri conciliari non erano mossi tanto dall’intento di sentenziare rispetto alle nuove questioni controverse sul piano ecclesiastico e teologico, quanto piuttosto dal desiderio di volgersi all’opinione pubblica della Chiesa e al mondo intero nello spirito dell’annunciazione."  Questo è precisamente il problema.  Il Concilio di Trento era chiaro. Condannò l'errore. Produsse un Catechismo chiaro e canonizzò una Messa cattolica e chiara per ogni tempo.  Non c'era nessuno "spirito di Trento", c'era il Concilio di Trento. Tutto quel che c'è stato bisogno di "perfezionare" di Trento era fare più o meno quello che ha detto di fare. Il Vaticano II è incapace di essere perfezionato precisamente perché nessuno sa quello che hanno supposto di perfezionare. Il Vaticano II è una mescolanza di linguaggio pastorale ambiguo che è andato oltre l'interpretazione dei realizzatori.

4) Si è chiesto al card Brandmüller quali frutti ha prodotto il Vaticano.  Ma invece di elencare i frutti del Concilio (risultati tangibili dai quali la Chiesa ha ricavato frutti) il Cardinale elenca due documenti che furono il risultato del Concilio: il Catechismo della Chiesa cattolica ed il Nuovo Codice di diritto canonico. Così noi dobbiamo guardare ai frutti risultanti da questi due documenti.  Lo scopo di un Catechismo è insegnare al fedele la dottrina cattolica. La conoscenza di dottrina cattolica fra i fedeli è aumentata o diminuita dal Vaticano II? Così come scopo primario del Codice di Diritto canonico è rafforzare la disciplina nella Chiesa. La disciplina ecclesiastica del dissenso di clero o vescovi è aumentata o diminuita dopo il Vaticano II? Così, appare che i due risultati del Concilio che il cardinale nomina  sono essi stessi nati come frutto non riconoscibile per la Chiesa.

5) Infine, a suo credito, il card Brandmüller non elenca la liturgia post-conciliare come un frutto del Vaticano II, ma la critica come non derivante dal concilio. Lui afferma, "Sarebbe appena il caso di enfatizzare che la forma di liturgia postconciliare con le sue distorsioni e i suoi stravolgimenti non è imputabile al Concilio o alla costituzione liturgica che detto Concilio ha statuito e che peraltro tuttora non è mai stata davvero attuata. La rimozione indiscriminata del Latino e dei Canti Gregoriani nonché l’erezione di altari popolari pressoché a tappeto non possono in alcun modo richiamarsi alle prescrizioni del Concilio." Anche se il Cardinale ha ragione nell'affermare che certe pratiche liturgiche distorte non furono prescritte esplicitamente dal Vaticano II, il linguaggio ambiguo ed a avolte apparentemente contraddittorio di Sacrosanctum Concilium ha lasciato spazio a queste distorsioni. In più, l'approvazione papale post-conciliare data a nuove pratiche come: la Comunione nella mano, il servizio femminile all'altare, la Messa coram populo, è servita a rafforzare l'idea che queste pratiche sono una realizzazione legittima della liturgia del Vaticano II.
[Traduzione mia]

Il Cardinal Walter Brandmüller sul Giubileo d’oro dell’apertura del Vaticano II

Molte Agorà della rete, compreso Rorate Caeli, hanno ripreso una recente intervista rilasciata a Vatican Insider dal card. Walter Brandmüller, storico ecclesiastico ed ermeneuta del Concilio, sul Giubileo d’oro dell’apertura del Vaticano II.

Se se ne parla - e si continuerà a parlarne soprattutto nei peana celebrativi che seguiranno - significa che il problema c'è e scotta. Ma finché non si prenderà atto pienamente dei punti controversi e non si farà nulla per attuare soluzioni, le cose non solo non cambieranno, ma il degrado sarà ulteriore.

Anche se la Riforma liturgica di Paolo VI è andata effettivamente al di là della Sacrosanctum Concilium, La Costituzione Dogmatica sulla liturgia alla fine è stata "veramente" attuata. Il Novus Ordo è il risultato di scappatoie ben documentate o di "bombe a tempo" innescate dal documento stesso nonché di atti della commissione ufficiale che aveva l'autorità, conferitale dal Pontefice, per l'introduzione delle modifiche liturgiche, atti poi approvati da Paolo VI. È vero unicamente che il Novus Ordo è in contraddizione con "l'intento originario" della maggioranza dei Padri conciliari che hanno firmato la Costituzione. Ma è storia antica. Il Novus Ordo è stato "realmente" attuato dalle autorità competenti. Recentemente l'Ecclesia Dei ne ha riconosciuto la legittimità quanto allo ius ecclesiasticum: affermarne lo ius divinum era davvero difficile!

Sottolineare poi, come intento principale, il desiderio di Padri Conciliari « di volgersi all’opinione pubblica della Chiesa e al mondo intero nello spirito dell’annunciazione », lascerebbe forse intendere che in due millenni è mancato alla Chiesa lo spirito dell'Annunciazione? Il paradosso, invece, frutto della nuova concezione della libertà religiosa, è che di fatto nella Chiesa che sbandiera ai quattro venti la cosiddetta "Nuova Evangelizzazione" è sparito l'Annuncio ai non-credenti o diversamente-credenti e, sotto l'etichetta della nuova evangelizzazione, viene lasciato campo libero, senza minimamente preoccuparsene, ad errori e prassi, non più condannati né riconosciuti, anche macroscopicamente non-cattolici. Fino a quando?

Il Vaticano Secondo è stato un Concilio Pastorale che ha fornito anche spiegazioni dogmatiche. Vi era mai stata una cosa simile in precedenza nella storia della Chiesa?

In effetti sembrerebbe proprio che con il Vaticano II si sia inaugurato un nuovo tipo di concilio. Già il linguaggio in sé che è venuto ad espressione, nonché l’esaustività dei testi dimostrano che i padri conciliari non erano mossi tanto dall’intento di sentenziare rispetto alle nuove questioni controverse sul piano ecclesiastico e teologico, quanto piuttosto dal desiderio di volgersi all’opinione pubblica della Chiesa e al mondo intero nello spirito dell’annunciazione.

Se a distanza di cinquant’anni un Concilio non è stato recepito in maniera idonea dal popolo della Chiesa, non è il caso di dichiararlo fallito? Benedetto XVI ha ammonito da una ingannevole lettura del Concilio, nello specifico relativamente all’ermeneutica della rottura...

Questa è una di quelle domande ormai cliché/di repertorio, dettate dal nuovo sentimento esistenziale, da quel sentire convulso tipico dei nostri tempi. Ma cosa sono in fin dei conti cinquant’anni?! Riporti la mente al Concilio di Nicea del 325. Le dispute attorno al dogma di quel concilio – la natura del Figlio ovvero se questi fosse della stessa sostanza del Padre o meno – sono durate per più di cento anni. In occasione del cinquantesimo anniversario del Concilio di Nicea Sant’Ambrogio fu ordinato Vescovo di Milano e fino alla fine dei suoi giorni dovette lottare strenuamente contro gli ariani che rifiutavano l’accettazione delle disposizioni nicene. Di lì a breve un nuovo Concilio: il Primo di Costantinopoli del 381, resosi necessario per completare la professione di fede di Nicea, quando toccò a Sant’Agostino farsi carico delle ambasce e contrastare gli eretici fino a quando non si spense nel 430. Anche il Concilio di Trento - detto francamente - fino al giubileo d’oro del 1596 portò pochi frutti. Si dovette aspettare che una nuova generazione di Vescovi e di prelati maturasse nello “spirito del Concilio” affinché esso potesse espletare il suo effetto. Dovremmo concederci un po’ più di respiro.

Parliamo ora dei frutti che ha sortito il Vaticano II. Cosa Le viene in mente in proposito?

Prima di tutto ovviamente il “Catechismo della Chiesa Cattolica”, in analogia con quello tridentino: a seguito del Concilio di Trento fu varato il Catechismus Romanus inteso a fornire a parroci, predicatori eccetera i parametri per la predicazione e l’annunciazione o evangelizzazione.

Anche il Codice di Diritto Canonico del 1983 può essere definito un portato del Concilio. Sarebbe appena il caso di enfatizzare che la forma di liturgia postconciliare con le sue distorsioni e i suoi stravolgimenti non è imputabile al Concilio o alla costituzione liturgica che detto Concilio ha statuito e che peraltro tuttora non è mai stata davvero attuata. La rimozione indiscriminata del Latino e dei Canti Gregoriani nonché l’erezione di altari popolari pressoché a tappeto non possono in alcun modo richiamarsi alle prescrizioni del Concilio.

Col senno di poi volgiamo lo sguardo indietro in particolare alla scarsa sensibilità con cui si è portata avanti la cura delle anime, alla noncuranza pastorale nella forma liturgica. Pensiamo solo agli eccessi consumatisi nella Chiesa che ricordano la Beeldenstorm (tempesta delle immagini) dell’VIII secolo, eccessi che hanno catapultato innumerevoli credenti nel caos più totale/che hanno fatto sì che innumerevoli credenti a un certo punto si siano trovati a brancolare nel buio.

Ma sull’argomento si è già detto di tutto e di più. Frattanto si è affermata la concezione per cui la liturgia è una esternazione speculare della vita della Chiesa, subordinata invero ad un’organica evoluzione storica, ma che non può, come in realtà è accaduto, essere decretata di punto in bianco per ordre de mufti. E tuttora ci troviamo a pagarne le conseguenze.
Guido Horst

martedì 28 agosto 2012

Dove celebrare? (CCC 1179-1186)

DOVE CELEBRARE?
di Uwe Michael Lang*

Nel suo esistere, l’uomo è individuato da due coordinate fondamentali: lo spazio e il tempo, due realtà che non si costruisce, ma che gli sono date. L’uomo è legato allo spazio e al tempo, e lo è anche la sua preghiera a Dio. Mentre la preghiera in quanto semplice atto religioso si può fare dappertutto, la liturgia, invece, in quanto atto di culto pubblico e ordinato, richiede un luogo, di norma un edificio, dove si può realizzare come rito sacro.

L’edificio di culto cristiano non è il corrispettivo del tempio pagano, dove la cella con l’effigie della divinità era anche considerata in qualche modo l’abitazione di quest’ultima. Come dice San Paolo agli ateniesi, “Dio non abita in templi costruiti dall’uomo” (Atti degli Apostoli 17,24).

C’è invece un rapporto più stretto con la Tenda del convegno, eretta nel deserto secondo le istruzioni di Dio stesso, dove la gloria del Signore (shekinah) si rendeva manifesta (Esodo 25,22; 40,34). Tuttavia, Salomone, dopo aver costruito il Tempio di Gerusalemme, edificio che prese il posto della Tenda del convegno, esclama, “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli, e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita!” (1 Re 8,27). Nella storia del popolo d’Israele avviene una spiritualizzazione, che porta al famoso passo dal libro del profeta Isaia: “Tutta la terra è piena della sua gloria” (Isaia 6,3; cf. Geremia 23,24; Salmi139,1-18; Sapienza 1,7), testo poi passato nel Sanctus della Liturgia Eucaristica. “Tutta la terra è santa e affidata ai figli degli uomini” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1179).

Una tappa ulteriore è presente nel Vangelo secondo Giovanni, quando Cristo dichiara, durante il suo incontro con la donna samaritana, che “è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giovanni 4,23). Ciò non significa che, alla luce del Vangelo, non ci dovrebbe essere alcun culto pubblico o edificio sacro. Il Signore non dice che non ci dovrebbero essere luoghi per il culto nella Nuova Alleanza; allo stesso modo, nella profezia sulla distruzione del Tempio, Egli non afferma che non ci debba essere più alcun edificio costruito in onore di Dio, ma piuttosto che non ci debba essere un solo luogo esclusivo.

Cristo stesso, il suo corpo vivo, risorto e glorificato, è il nuovo tempio dove Dio dimora e dove si svolge il suo culto universale “in spirito e verità” (cf. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, pp. 39-40). Come scrive San Paolo: “È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità e voi avete in lui parte alla sua pienezza” (Colossesi 2,9-10). Per partecipazione, in forza del Battesimo, anche il corpo del cristiano diventa tempio di Dio (1 Corinzi 3,16-17; 6,19; Efesini 2,22). Utilizzando una frase molto cara a Sant’Agostino, Christus totus, il Cristo interoè il vero luogo di culto cristiano, cioè Cristo in quanto Capo e i cristiani in quanto membra del suo Corpo Mistico. I fedeli che si riuniscono in uno stesso luogo per il culto divino costituiscono le “pietre vive”, messe insieme “per la costruzione di un edificio spirituale” (1 Pietro 2,4-5). Infatti, è significativo che la parola che prima indicava l’azione del riunirsi dei cristiani, cioè ekklesia – Chiesa –, sia passata a indicare il luogo stesso in cui la riunione si realizza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insiste sul fatto che le chiese (come edifici) “nonsono semplici luoghi di riunione, ma significano e manifestano la Chiesa che vive in quel luogo, dimora di Dio con gli uomini riconciliati e uniti in Cristo” (n. 1180).

In epoca paleocristiana, forma tipica dell’edificio chiesa è diventata la basilica con grande navata centrale rettangolare, che termina in un’abside semicircolare. Tale tipo di edificio corrispondeva alle esigenze della liturgia cristiana e, allo stesso tempo, lasciava grande libertà ai costruttori, per la scelta dei singoli elementi architettonici ed artistici. La basilica esprime anche un orientamento assiale, che apre l’assemblea alle dimensioni trascendente ed escatologica dell’azione liturgica. Nella tradizione latina, la disposizione dello spazio liturgico con l’orientamento assiale è rimasta normativa e si ritiene che anche oggi sia la più adatta, perché esprime il dinamismo di una comunità in cammino verso il Signore.

Come afferma Benedetto XVI, “la natura del tempio cristiano è definita dall’azione liturgica stessa” (Sacramentum Caritatis, n. 41). Per questo, anche la progettazione degli arredi sacri (altare, tabernacolo, sede, ambone, battistero, luogo della penitenza) non può seguire soltanto criteri funzionali. L’architettura e l’arte non sono elementi estrinseci alla liturgia e neppure hanno una funzione puramente decorativa. Perciò, l’impegno di costruire o adeguare le chiese deve essere permeato dallo spirito e dalle norme dalla liturgia della Chiesa, ossia da quella lex orandi che esprime la lex credendi, e da questo risulta la grande responsabilità sia dei progettisti che dei committenti.
______________________________
* Padre Uwe Michael Lang, C.O., era Officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. Ora è tornato al suo convento Brompton Oratory di Londra.

Fonte: Zenit.org

lunedì 27 agosto 2012

L'ICRSP, in Irlanda, salva una Chiesa venduta dai Gesuiti

Riprendo da Le Forum Catholique una notizia annunciata dal Blog ACCION LITURGICA:

La magnifica Chiesa del Sacro Cuore di Limmerick, Irlanda, messa in vendita dalla Compagnia di Gesù (e che rischiava di divenire un ginnasio o un centro di spa) è stata acquistata dall'Istituto del Cristo Re, che la riaprirà al culto, nella sola Forma extraordinaria del rito romano.Numerosi amici dell'Istituto si sono mobilitati, sia in Europa che negli USA, per impedire la desacralizzazione di questo tempio del 1868.

Deo gratias ! 

IMPORTANTE: Risposta della Pontificia Commissione Ecclesia Dei a due "dubia" su "legittimità" in Universae Ecclesiae

Postato sul suo blog il 25 Agosto 2012 da p. John Zuhlsdorf.

Mi sono limitata a tradurre il testo originale inglese eliminando quasi tutti i commenti inclusi tra parentesi quadre, che mi pare facevano perdere la fluidità del testo (chi vi fosse interessato li trova accedendo dal link sopra al testo originale). Sono grata a Peter Moscatelli per la tempestiva segnalazione. Lascio ogni commento alla discussione, sperando che venga fuori qualcosa di utile, anche se -al solito- si deve registrare la reticenza a pronunciamenti netti e limpidi.

L'articolo che segue è un copia-incolla dal PDF dell'edizione 2012/08/23 di The Wanderer.

La Pontificia Commissione Ecclesia Dei ...
emette una risposta favorevole ai tradizionalisti.


Un vescovo che vuole rimanere anonimo ha recentemente presentato due dubia alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, per quanto riguarda l'interpretazione di "legittimità" nell'istruzione Universae Ecclesiae del 2011, n. 19. La risposta della Commissione è conciliante con i gruppi tradizionalisti di linea dura come la Fraternità San Pio X, perché Roma richiede ai devoti della Messa nella forma straordinaria solo di riconoscere che la forma ordinaria è "legittima" dal punto di vista umano secondo la legge(ecclesiastica), non necessariamente dal punto di vista della legge divina. [il che appare ragionevole, dal momento che Summorum Pontificum è un documento giuridico]. Significa anche  che Roma non richiede che i cattolici che vogliono accedere alla Messa nella forma straordinaria ammettano che le innovazioni come le chierichette e la Comunione nella mano sono accettabili agli occhi di Dio. Riportiamo di seguito la lettera presentata dal vescovo e la risposta della Pontificia Commissione.

L'autore della lettera del vescovo è un professore di teologia in pensione. Ha passato la lettera e la risposta romana a The Wanderer dopo che la risposta gli è stata trasmessa dal vescovo in questione.
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Due Dubia presentati alla Pontificia Commissione [Non risulta la data, ma presumibilmente è recente]

Nell'articolo 19 della istruzione della commissione del 30 aprile 2011, Universae Ecclesiae ( UE ), si stabilisce che quei cattolici che desiderano celebrazioni dell'Eucaristia nella forma straordinaria del Rito Romano (con il Messale del 1962) non possono sostenere, o essere membri di nessun gruppo che "metta in discussione la validità o legittimità" ( validitatem vel impugnent legitimitatem ) della forma ordinaria.

Mentre sono davvero pochi coloro che ancora mettono in discussione la validità della Messa con il Messale Romano riformato, alcuni importanti gruppi "tradizionalisti", individui, e pubblicazioni hanno apertamente e provocatoriamente sfidato la sua legittimità. [In poche parole, mentre la maggior parte ammette che Paolo VI aveva l'autorità giuridica e legislativa di imporre il Novus Ordo, non aveva - mettiamola così - l'autorità morale o religiosa. Aveva il diritto / potere, ma non ne aveva davvero il diritto]. Tuttavia, ci sembra che in questi ambienti ci sia spesso confusione e posizioni contrastanti su come, appunto, quest'ultima parola deve essere intesa. Di conseguenza, a quei sacerdoti che desiderano servire cattolici legati alla liturgia tradizionale, non è sempre chiaro se alcune di queste persone sono, infatti, in conformità col requisito della Sede Apostolica, enunciato in UE , n. 19.

Al fine, quindi, di chiarire la questione e facilitare una coerente applicazione pastorale dell'articolo 19, la Commissione potrebbe gentilmente prendere in considerazione e rispondere ai seguenti due dubia ?
  1. Se legitimitas in UE , articolo 19, è da intendersi nel senso che:
    (A) debitamente promulgata da opportune procedure di diritto ecclesiastico ( ius ecclesiasticum ); o
    (B) in accordo sia con diritto ecclesiastico e diritto divino ( divinum ius ), cioè né dottrinalmente non ortodossa né altrimenti non gradita a Dio.
  2. Se (b) di cui sopra rappresenta la mens della Commissione per quanto riguarda il significato di legitimitas, UE , n. 19 è quindi da intendersi nel senso di consentire l'accesso alla Messa nella forma straordinaria:
    (A) solo a quei cattolici che  non mettono in discussione la legittimità di qualsiasi testo specifico o la pratica di qualsiasi tipo che sia stata debitamente approvata da una legge universale o ecclesiastica locale sull'uso della celebrazione della forma ordinaria; o
    (B) a quei fedeli di cui al (a) e anche a coloro che riconoscono in linea di principio la legittimità delle Messe celebrate secondo il riformato Messale Romano e la sua istruzione generale, ma non la legittimità di talune pratiche che, pur non previste in esso, sono consentite come opzioni con adattamenti da leggi liturgiche universali o locali.
Il secondo dubium riguarda quei molti cattolici orientati tradizionalmente che accettano la legittimità (nel senso 1 sulla) forma ordinaria della Messa in cui le opzioni più tradizionali vengono utilizzate, ma che considerano sbagliate e non gradite a Dio certe pratiche che sono state per molti secoli universalmente disapprovate e proibite dalla Chiesa, ma che ora sono consentite dalla legge locale liturgica di molte o della maggior parte delle diocesi o conferenze episcopali (per esempio, la Comunione sulla mano, il servizio femminile all'altare, e la distribuzione della Comunione da parte dei sacerdoti).  
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Risposta di Roma

Pontificia Commissio Ecclesia Dei
PROT. 156/2009

Città del Vaticano, 23 Maggio 2012

Eccellenza,

Questa Pontificia Commissione ha ricevuto, tramite i buoni uffici di Vostra Eccellenza, la copia di una corrispondenza da [nome oscurato] ponendo alla Commissione due dubia circa l'interpretazione dell'articolo 19 della Istruzione di questa Commissione Universae Ecclesiae .

Il primo [ dubium ] chiede se il termine legitimas nella UE, articolo 19, è da intendersi nel senso che:

(A) debitamente promulgata da opportune procedure di diritto ecclesiastico ( ius ecclesiasticum ), oppure

(B) In accordo sia con diritto ecclesiastico e diritto divino ( divinum ius ), cioè né dottrinalmente non ortodossa né altrimenti non gradita a Dio.

Questa Pontificia Commissione si limiterebbe a dire che legitimas è da intendersi nel senso di 1 (a). Al secondo [ dubium ] è risolto da questa risposta. [ius ecclesiasticum  e non anche divinum ius]

Con la speranza che Vostra Eccellenza comunicherà il contenuto di questa lettera alla persona interessata, questa Pontificia Commissione coglie l'occasione per rinnovare i suoi sentimenti di stima.

Sinceramente suo in Cristo

Mons. Guido Pozzo
Segretario
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Commento di p. Zuhlsdorf

La mia impressione è "Quando si ottiene la risposta che si desidera, non continuate a chiedere.". Il PCED ha risposto ecclesiasticum ius (almeno) e poi si è fermato lì. "'Silenzio!', Hanno spiegato.", Non è abbastanza, ma io mi accontento.

Con questa risposta, il PCED chiarisce che coloro che vogliono la forma più antica della messa non devono ammettere che le pratiche come la comunione in mano, o le chierichette, ecc, sono buone. Potrebbero essere legali, ma potrebbero anche essere abominazioni agli occhi di Dio ... a seconda dei punti di vista. Inoltre, un sacerdote o un vescovo non può dire: "Poiché il vostro gruppo, laggiù a ..., nega la 'legittimità' delle ragazze d'altare, non ha i requisiti di gruppo stabile in grado di chiedere la Forma Straordinaria".

domenica 26 agosto 2012

Disputationes: «Accordo (pratico) Roma-Ecône: avevano davvero scherzato». E perché?

Chi di machiavellismo ferisce
di machiavellismo perisce
Disputationes Theologicae aveva dichiarato di non lasciarsi imbavagliare nei confronti di un'invadenza della curia attraverso l'Ecclesia Dei. Peccato che il bavaglio non l'abbia conservato anche nei confronti della tormentata vicenda Santa Sede-FSSPX, uscendosene il 22 agosto scorso con un nuovo articolo, dal titolo: Accordo (pratico) Roma-Ecône: avevano davvero scherzato. Viene usata come immagine allusiva quella di Machiavelli, a sottolineare gli aspetti anche 'politici' della questione, ma non sottraendosi al machiavellismo attribuito ad altri.

La lettura è tutta in chiave critica dalla linea Fellay e mette in risalto, come contraddizioni, evidenti evoluzioni della posizione della Fraternità secondo le recenti valutazioni di Mons. Fellay e dell'ala più propensa a non dilazionare la soluzione del problema della regolarizzazione canonica, lasciando tuttavia aperta la possibilità di continuare a mantenere la propria posizione dottrinale e pastorale sui punti controversi determinati da alcune applicazioni post-conciliari: il falso ecumenismo, la libertà religiosa che mette sullo stesso piano tutte le religioni, l'uso esclusivo della Forma antica del rito romano, nonché alcune esigenze espresse dal Capitolo di luglio.

Mi chiedo cui prodest questa puntualizzazione che mette molti accenti critici sulla linea-Fellay e intende dimostrare la sagacità di precedenti valutazioni della stessa redazione nonché il non raggiungimento, da parte della Fraternità, di precisi obiettivi come questo: « L’obiettivo che si cerca di raggiungere con queste discussioni dottrinali è un importante chiarimento nell’insegnamento della Chiesa negli ultimi anni ». Di fatto, nel sottolineare che questo obiettivo non è stato raggiunto, si ignora che, pur ritenendo conclusi i 'colloqui' ufficiali, la Santa Sede non sembra abbia escluso che delle questioni controverse si possa continuare a discutere e questo lascia alla Fraternità, come a tutta la Tradizione, un largo margine di libertà teoretica e pratica, secondo una visuale realistica piuttosto che rigorosamente impositiva. Non solo, ma ciò consente di non ritenere definitivamente chiusa ogni possibilità di soluzione canonica. E questo spero non tarderemo a vederlo!

A questo punto non posso far a meno di estrarre dalla discussione precedente quanto sulla situazione in cui ci dibattiamo e sulle nostre risposte ha detto come meglio non avrei potuto Dante Pastorelli.

Punti fondamentali mi sembran proprio quelli più apertamente insistiti:
  • la mancanza di obbedienza ed unità del clero alto e basso intorno al Papa,
  • la cialtroneria di una Messa che tutto è ormai fuori che il rinnovamento sacramentale del Sacrificio salvifico,
  • l'assenza di formazione seria dei sacerdoti che a sua volta si riflette sulla famiglia, per cui non esiste più una sia pur piccola societas christiana.
Centrale, naturalmente è l'unità intorno al Papa. Esser cattolici significa esser col Papa. Ma qui il discorso diventa più complicato e delicato e si dev'affrontar con cautela filiale. Si dev'esser necessariamente sottomessi al papa, alla sua guida, ai suoi moniti, non solo quando parla ex-cathedra, ma anche quando si esprime nel magistero ordinario infallibile, ed anche in quello autentico. In quest'ultimo caso, tuttavia, l'obbedienza non può esser pronta, cieca ed assoluta. Poteva esserlo, salvo qualche rarissimo caso, in tutta la storia della Chiesa, al di là delle carenze umane dei Papi, ma oggi, dopo il concilio Vaticano II, assistiamo ad esternazioni, anche del dottore privato che si confonde col Sommo Pontefice nello svolgimento delle sue funzioni, fumose, contraddittorie, che ci appaion contrastanti col Magistero precedente il quale ci trasmetteva integra la Rivelazione scritta ed orale senza mutamenti di sostanza: i mutamenti eran solo apparenti, perché diversi eran i problemi che si presentavano nelle varie epoche, ma i Papi e la Gerarchia nella perenne dottrina via via approfondita eodem sensu eademque sententia sapevano interpretarli. Ora non più. 

Vorremmo tanto poterci dire: i nostri dubbi son tentazioni, la nostra lettura critica di certi documenti è faziosa e conseguenza di superbia, in certa prassi non vediamo il fine intimo perché troppo nascosto ai nostri occhi miopi. Vorremmo imporci: obbediamo sempre e comunque. Ed invece non possiamo farlo, perché i nostri dubbi, le nostre incertezze, il nostro sguardo critico non si distacca da ciò che ci è stato insegnato come verità. L'unità col passato molto spesso è di fatto spezzata. I pontefici stessi han parlato di fumo di Satana e di pensiero non cattolico penetrati nella Chiesa. Quali antidoti vi hann'inoculato, quali difese ci hann'approntato?

La nostra difesa è nella Verità immutabile. Fermi restando nella nostra indefettibile e piena disponibilità a seguire il Papa a costo della vita sulla via che ci traccia sulla scia di tutti i predecessori, non posiamo seguirlo ad esempio quando c'invita ad Assisi o a creder che tutte le religioni son via di salvezza. In queste strade contorte zeppe di buche e costeggiate da dirupi, noi rimaniamo fedeli alla strada luminosa che ci ha visto proceder fino ad oggi. Le nostre cadute le dobbiamo soltanto alla nostra cattiva volontà, alla nostra tiepidezza, alla nostra debolezza. Ma sul trono di Pietro c'era Chi ci chiamava con le sue parole di vita eterna, le stesse che Pietro riconosceva in Cristo.

Cattolici senza Papa?

Ricevo e pubblico, con condivisione piena, un articolo apparso su La voce di Romagna, a firma di Giovanni Lugaresi, giornalista e scrittore, allievo di Prezzolini.

Credo… et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam…

Catholica: quindi se in questo “Credo” ci riconosciamo, cattolici dobbiamo essere, e non protestanti. E, nell’essere cattolici, si presuppone siamo in comunione con il Papa. Il che significa che dobbiamo ascoltarlo, seguirlo, applicarne le direttive, e non soltanto quando parla “ex cathedra”, sia chiaro.

Che cosa accade invece? Che, a incominciare dai vescovi (da certi vescovi), per finire ai (troppi) sacerdoti, questa comunione non esista.

 Il Papa dice una cosa? Loro ne fanno un’altra, addirittura l’opposto - spesso. Ma noi non siamo protestanti, con tante sette e… disunità. L’essere cattolici presuppone unità attorno al Vicario di Cristo, il successore di Pietro.

Che poi, se ognuno va per proprio conto, se ogni vescovo (o sacerdote) pensa di avere un’autorità come quella (se non superiore) del Romano Pontefice, si creerà la babele, la confusione, la dispersione, il caos, con rischio di incamminarsi sulla strada dell’eresia – le eresie esistono ancora, ancorché poco o punto se ne parli.

Pare che la disobbedienza sia entrata (non da oggi purtroppo) a vele spiegate, per così dire, nella Catholica, e che ognuno pensi sia giusto, opportuno, fare come più gli aggrada. Senso dell’umiltà, dubbi sui propri convincimenti, sulle proprie valutazioni? Zero.
Dall’abito ai comportamenti dei sacerdoti, che ormai (in tanti) non insegnano più e consentono ai fedeli di fare, a loro volta, ugualmente, quel che loro più aggrada, pare non esistano più regole, norme, indirizzi, ammonizioni.
Viene da chiedersi se esista ancora una “educazione cattolica”, che un tempo nasceva in famiglia, si sviluppava poi in parrocchia, per maturare quindi nell’associazionismo giovanile e adulto – non è un lodare i bei tempi che furono, bensì una semplice constatazione!

Quella che si chiamava formazione, in virtù della quale il credente era pronto ad affrontare i sacrifici della vita, disgrazie, difficoltà, privazioni, dove è finita?
Spesso non la si vede: all’ombra dei campanili, né altrove.

Genitori ignoranti delle cose della religione, o di poca fede, preti permissivi, lassisti, che celebrano la liturgia quasi per abitudine, inconsapevoli, pare, che sull’altare (oggi ridotto a tavolo magari per un buffet freddo!) non si celebra tanto la “cena del Signore”, quanto, e prima di tutto, si rinnova il sacrificio (incruento) della Croce. Questo è primieramente la messa; poi sarà anche “cena del Signore” e/o altro ancora, come un ritrovarsi del popolo di Dio.
Ma non siamo protestanti, siamo cattolici, ergo…

Perché allora, durante le messe  cui partecipiamo ogni domenica e nei giorni festivi, il popolo di Dio sta quasi mai inginocchiato? A parte il momento della Consacrazione, spesso si sta seduti o in piedi.
Manca il senso dell’adorazione, manca la consapevolezza di quel che, appunto, si celebra nelle chiese cattoliche, da Roma all’ultimo piccolo paese sperduto delle pampas argentine. Per poi, una volta uscitine (dalle chiese), passare ad altri tipi di adorazione.

Non si adora un Dio che si è fatto carne, cibo, bevanda per il nostro nutrimento spirituale, ma si adorano i nuovi idola che a seconda delle mode il mondo ci presenta.

Ecco allora che il discorso, dalla liturgia domenicale e festiva si sposta alla quotidianità, per esempio alle sagre paesane che si riferiscono quasi sempre a una festa liturgica - il santo patrono soprattutto. Ebbene, chiunque prenda in mano un pieghevole con il programma della “Sagra dell’Assunta”, per esempio, vedrà che tranne nel giorno convenuto, cioè il 15 agosto, non c’è stata ombra di celebrazione, appuntamento, convegno, preparazione, di natura religiosa. E’ tutto un canto (profano ovviamente), un ballo, un mangiare e bere sotto enormi tendoni e il senso della fede (nella fattispecie, l’aspetto mariano) limitato a una giornata… su due settimane – naturalmente, scriviamo con cognizione di causa!

Fosse l’iniziativa profana di un qualsiasi sodalizio laico, di un partito, di un sindacato, di una polisportiva, nulla da eccepire; ma quando di mezzo ci sono parrocchie, associazioni cattoliche, eccetera, beh, un po’ di amaro in bocca ci viene.

Ancora. Non si vede perché con tutta la retorica dilagante sull’ecumenismo, i fratelli separati, eccetera eccetera, non si debba, da parte di noi cattolici, guardare agli ortodossi piuttosto che ai protestanti, in fatto di liturgia. Gli ortodossi e i cattolici di rito orientale, che per loro fortuna non hanno avuto riforme della celebrazione eucaristica, pongono al centro della liturgia Nostro Signore e non il celebrante a volte con manie da primadonna, protagonismi dettati da una sconfinata vanità, da uno smisurato ego, come si vede da noi, con sacerdoti che aggiungono, tolgono, inseriscono quel che passa loro per la testa, durante la messa, ignorando regole ben precise che escludono la cosiddetta creatività.

Il rito diventa qualcosa di socializzante come quando si va alla sagra, appunto, o ad un incontro sportivo, o ad una gita. Ma la messa, tornando a noi, e ripetendoci, è qualcosa di più di un rito “socializzante”. Guardiamo, appunto, agli ortodossi.

Invece, quel che di buono a nostro avviso c’è nel mondo (e nella mentalità) protestante, noi tendiamo a penderlo ben poco in considerazione. Ci riferiamo a quell’etica della responsabilità personale, in virtù della quale ciascuno di noi è responsabile delle proprie azioni, e deve rispondere di quel che fa. E se sbaglia, e se commette una colpa, e se pecca, non tiri in ballo la società, o qualcun altro su cui scaricare errori e peccati, appunto.

Qui da noi si finisce invece in un deleterio e (forse) incosciente buonismo… Massì, alla fine ci è concesso tutto; così come non adoriamo più Nostro Signore in chiesa, e piegare le ginocchia di fronte al tabernacolo non usa più (del resto anche certi sacerdoti fanno fatica a compiere questo gesto), fuori possiamo fare benissimo i comodacci nostri…

Una volta un monaco che teneva una lezione a un corso di aggiornamento per insegnanti di religione della diocesi di Treviso sottolineò le eccessive proibizioni della Chiesa. Aveva ragione: perché non metterle in discussione, a incominciare dai Dieci Comandamenti? Che sono (anche) proibizioni, no? Il tono, il lettore, lo avverte, è sull’ironico, ma ne piange il cuore, ne piange la fede, che pure resiste, grazie a Dio…

 Da laici credenti che la Chiesa sta in piedi perché lo vuole Nostro Signore, vorremmo però alcune certezze: non che i preti siano santi, ma che cerchino di esserlo, e che ci indichino la strada della santità; non che la Chiesa conceda tutto quello che il mondo dà, ma che dia alle anime ben altro. Parli di preghiera, di penitenza, di conversione dei peccatori, e quindi di peccato e di grazia. Esorti al silenzio contro il caotico rumore del mondo, bandisca le canzonette dalle liturgie, perché queste le dà già il mondo… e tante cose “profane” i preti le lascino ad altri. Sono infatti in grado di farle benissimo qualsiasi assistente sociale, nonché i tanti demagoghi di partito e di sindacato.

E per concludere, i vescovi propongano (come del resto aveva fatto Benedetto XVI) quale figura sacerdotale di riferimento, di esempio, Giovanni Maria Vianney (il santo curato d’Arts), e non don Gallo!!!
       Giovanni Lugaresi

sabato 25 agosto 2012

"Ancora la dottrina"; ma facciamo qualche distinguo

Mi ha colpito questa riflessione di Mons. Williamson che pubblico integralmente di seguito e che, insieme alla sua visione bianco-nero della situazione - che appare irreversibile -, dice cose condivisibilissime in quanto vere. Il punto centrale e anche conclusivo di tutto è questo:
Essi sanno che questa dottrina che li guida non è una loro fantasiosa invenzione, quindi non vogliono che essa possa essere minata o sovvertita o corrotta dai miserabili neo-modernisti della neo-Chiesa, guidati dalla loro falsa, conciliare, nozione di Dio, dell’uomo e della vita. Lo scontro è totale.
Il problema, però, sta nella ferrea convinzione che un accordo possa riuscire a minare sovvertire e corrompere la dottrina custodita e vissuta. I timori sono concreti e anche motivati; ma chi è saldo nella Fede è certo di non esser solo a lottare. Il discrimine è tutto qui. È una visione che ha la sua logica umana; ma che non lascia spazio al Soprannaturale, invocato invece da mons. Fellay. Una espressione che toglierei da questa frase è 'miserabili', perché denota disprezzo per le persone invece che per le idee, come si dovrebbe. E poi aggiungerei che lo scontro totale è tra il Bene e il Male e non si può pensare che Roma incarni il Male e la FSSPX il Bene. È una visuale manichea e distorta della pur ingarbugliata realtà. Il resto è sacrosantamente vero. Questa conclusione non ne depotenzia l'impatto col lettore; ma fa comprendere come si possa arrivare a conclusioni errate anche da premesse giuste, se non si è guidati fino in fondo dalla Carità o se non si riesce a deporre una idea-forte precostituita. Gli errori, figli del padre della menzogna sono in agguato dietro l'angolo in ogni contesto. Tra "chi persevererà fino alla fine" non c'è solo la FSSPX. Ma nessuno di noi o altri può presumerlo in assoluto: può solo sperare e fare del proprio meglio in Fedeltà e quindi coerenza di pensiero e di azione, Deo adiuvante.

In fondo non c'è nulla di nuovo; ma emerge la polarizzazione delle due diverse posizioni presenti nella Fraternità. Ormai esse sono ben note. Quindi parlarne non toglie nulla al delicato momento dell'attesa di ciò che accadrà, si spera, tra non molto.

Ancora sulla dottrina
Il disprezzo della dottrina, oggi è un problema immenso. I “migliori” cattolici del nostro XXI secolo riservano un rispetto verbale all’importanza della “dottrina”, ma nel loro intimo moderno essi sentono istintivamente che anche la dottrina cattolica è una sorta di prigione per le loro menti, e la mente non dev’essere imprigionata. A Washington D. C., sul fregio all’interno della cupola del Jefferson Memorial, questo quasi-religioso tempio dedicato al campione della libertà degli Stati Uniti, scorre una sua quasi-religiosa citazione: I have sworn upon the altar of God eternal hostility against every form of tyranny over the mind of man (Ho giurato sull’altare di Dio eterna ostilità contro ogni forma di tirannia sulla mente dell’uomo). Sicuramente, tra altre tirannie sulla mente, egli pensava alla dottrina cattolica. La quasi-religione dell’uomo moderno esclude ogni dottrina fissata.

Tuttavia, una frase del “Commenti Eleison” di due settimane fa (CE 263 del 28 luglio) presenta da una diversa angolazione la natura e l’importanza della “dottrina”: Fino a quando Roma crederà nella sua dottrina conciliare non potrà non utilizzare un tale accordo (non dottrinale) per spingere la FSSPX in direzione del Concilio (Vaticano II). In altre parole, ciò che presumibilmente spinge Roma a non tenere conto della “dottrina” e a riconciliare ad ogni costo la FSSPX, è la sua convinzione circa la sua stessa dottrina conciliare. Come la dottrina cattolica tradizionale è – si spera – la forza trainante della FSSPX, così la dottrina conciliare è la forza trainante di Roma. Le due dottrine si scontrano, ma entrambe sono forze trainanti.

In altre parole, “dottrina” non è solo un insieme di idee nella testa di un uomo, o una prigione della sua mente. Quali che siano le idee che un uomo scelga di tenere in testa, la sua vera dottrina è quell’insieme di idee che muovono la sua vita. Ora, un uomo può cambiare questo insieme di idee, ma non può non averne uno. Ecco come lo diceva Aristotele: “Se vuoi filosofare, devi filosofare. Se non vuoi filosofare, devi ancora filosofare. In ogni caso un uomo deve filosofare.” Allo stesso modo, i liberali possono disprezzare un insieme di idee come fosse una tirannia, ma il ritenere che un insieme di idee sia una tirannia è ancora un’idea forza, ed è l’idea che oggi guida le vite di un’infinità di liberali e di fin troppi cattolici. Questi ultimi dovrebbero saperlo bene, ma tutti noi uomini moderni abbiamo il culto della libertà nel sangue.

Così, la dottrina, nel suo vero significato, non è solo un imprigionante insieme di idee, ma quella centrale nozione di Dio, dell’uomo e della vita, che orienta il vivere di ogni uomo vivo. Anche quando un uomo sta per suicidarsi, viene guidato dall’idea che la vita sarebbe troppo miserevole perché valga la pena di continuare. Una nozione di vita centrata sul denaro può condurre l’uomo a diventare ricco; centrata sul piacere, a diventare libertino; centrata sull’attestazione, a diventare famoso, e così via. Quale che sia la sua centrale concezione di vita, è essa la sua vera dottrina.

I Romani conciliari sono trainati dal Vaticano II, ed è questa loro nozione centrale che li porta a cancellare la FSSPX, che rigetta il Vaticano II, e finché non riusciranno in questo, o cambieranno tale loro nozione centrale, continueranno ad essere spinti a dissolvere la FSSPX di Mons. Lefebvre. Di contro, il centro motore dei chierici e dei laici della FSSPX è il raggiungimento del Paradiso, partendo dall’idea che il Paradiso e l’Inferno esistono, e che Gesù Cristo e la Sua vera Chiesa forniscono il solo e unico modo sicuro per andare in Paradiso. Essi sanno che questa dottrina che li guida non è una loro fantasiosa invenzione, quindi non vogliono che essa possa essere minata o sovvertita o corrotta dai miserabili neo-modernisti della neo-Chiesa, guidati dalla loro falsa, conciliare, nozione di Dio, dell’uomo e della vita. Lo scontro è totale.

Né può essere evitato, come vogliono supporre i liberali. Se vince la falsità, alla fine saranno le pietre che grideranno (Lc. XIX, 40). Se vince la Verità, Satana susciterà ancora un errore dopo l’altro, fino alla fine del mondo. “Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato.”, dice Nostro Signore (Mt. XXIV, 13).

Kyrie eleison.
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© 2012 Richard N. Williamson. Tutti i diritti sono riservati.
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venerdì 24 agosto 2012

Il Messaggero di San Antonio per la diffusione delle Messe in latino

Ho appreso questa notizia oggi, consultando Le Forum Catholique. Mi sono cercata una fonte italiana ed ho trovato l'articolo di Cantuale Antonianum già del giugno scorso, che pubblico di seguito, non senza sottolineare la confusione nonché l'impropria equivalenza del termine "messa in latino", che sta ad indicare le "due forme" del Rito Romano: quella usus antiquior e quella novus ordo: anch'essa in latino nell'originale. L'equivalenza è evidentemente impropria perché è ovvio che le due forme, pur se hanno in comune la lingua latina, sono diversificate da anni-luce di differenze cultuali e dottrinali. La cosa di per sé sta a ratificare l'attuale "convivenza", peraltro non equilibrata dei due riti, pardon delle "due forme" e in fondo anche una maggiore diffusione del Messale del 1962 in contesti dai quali è stato defenestrato; tuttavia lascia molto perplessi questo ribadire il "mantra" dello sviluppo organico senza rotture.

Una novità editoriale, un "unicum" nel suo genere, è il sussidio da poco uscito per i tipi delle Edizioni Messaggero Padova - passato quasi inosservato anche nei blog specializzati -. Si tratta del libretto dal titolo Eucharisticum Mysterium, che contiene (per la prima volta insieme), uno vicino all'altro, l'ordo missae del 1970 e del 1962, ovvero il testo (in latino con italiano a fronte) della Messa di Paolo VI e della Messa del Beato Giovanni XXIII, con tutte le rubriche tradotte e belle introduzioni.

Il tutto ha compilatori di assoluto primo piano: il prof. Manlio Sodi, direttore di Rivista Liturgica (edita anche questa dal Messaggero di Padova) e per anni preside della Facoltà di Teologia dei Salesiani di Roma, curatore dei Monumenta Liturgica Concilii Tridentini, uno dei massimi esperti dei testi della liturgia romana lungo la storia. Le traduzioni e revisioni sono affidate nientemeno che al Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, la scuola per latinisti alle dirette dipendenze del Papa.

Infine, la presentazione dell'opera è affidata addirittura a Mons. Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie.

osa viene a dire una pubblicazione di questo genere, a cui collaborano tanti esperti, e che viene diffusa da una delle case editrici cattoliche più popolari? Il significato è abbastanza ovvio: bisogna superare steccati e barriere ideologiche contro il latino nella Messa. Sia la messa "nuova" che la messa "antica" sono da conoscere nella loro lingua originale, e - con l'aiuto di sussidi come questo - si possono anche celebrare. Non in concorrenza, ma nello spirito di mutua valorizzazione, accettazione e complementarietà che esse esprimono, mettendo in luce, in modi diversi ma non avversi, le ricchezze della Parola di Dio e dei tesori dell'eucologia della Chiesa Romana.
Esortandovi a sostenere queste interessanti e lodevoli iniziative editoriali, diffondendole e facendole conoscere, vi posto come bonus le parole prefatorie di Mons. Marini.
Il 2010 è stato l’anno di due importanti anniversari: il 40° della promulgazione del Messale di Paolo VI (1970) e 1440° di quella del Messale di san Pio V(1570). Come è noto, con il «motu proprio» Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, Benedetto XVI ha stabilito che nel Rito Romano sussistono, a particolari condizioni, due modalità celebrative dell’Eucaristia: la «forma ordinaria» (Paolo VI) e la «forma straordinaria» (san Pio V, nell’edizione del suo Messale promulgata nel 1962 dal beato Giovanni XXIII).

Il 2012 è l’anno di due grandi eventi ecclesiali: il Sinodo dei Vescovi, sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana», e l’inizio dell’Anno della fede, indetto da Benedetto XVI nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e a vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.

È dunque con gratitudine che, in questo contesto della vita della Chiesa, il presente volume è da accogliere. Non è compito di questa presentazione entrare nel dettaglio di quanto vi si afferma in generale e per questioni più particolari. Vi si troverà, comunque, uno strumento molto utile perché ogni «Anno della fede» - l’anno liturgico - possa essere «un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia» («motu proprio» Porta fidei, n. 9).

Leggere con attenzione il sussidio potrà significare per molti una riscoperta o un approfondimento della bellezza della Celebrazione eucaristica nel suo svilupparsi armonico attraverso la storia. Infatti, come afferma Benedetto XVI in Sacramentum caritatis: «Guardando alla storia bimillenaria della Chiesa di Dio, guidata dalla sapiente azione dello Spirito Santo, ammiriamo, pieni di gratitudine, lo sviluppo, ordinato nel tempo, delle forme rituali in cui facciamo memoria dell’evento della nostra salvezza. Dalle molteplici forme dei primi secoli, che ancora splendono nei riti delle antiche Chiese d’Oriente, fino alla diffusione del rito romano; dalle chiare indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di san Pio V fino al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II: in ogni tappa della storia della Chiesa la Celebrazione eucaristica, quale fonte e culmine della sua vita e missione, risplende nel rito liturgico in tutta la sua multiforme ricchezza» (n. 3).

Allo stesso tempo, questa pubblicazione sarà di aiuto a procedere nella direzione tanto auspicata di una cordiale accoglienza della liturgia della Chiesa, nel suo Rito ordinario, da promuovere con rinnovata fedeltà al Concilio Vaticano II, e nel suo Rito straordinario, che tanti tesori ha ancora oggi da donare a tutti noi. «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum — afferma Benedetto XVI nella lettera inviata ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il citato «motu proprio» —. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto» (7 luglio 2007).

Oggi più che mai la liturgia della Chiesa ha bisogno di essere avvicinata, approfondita e vissuta in cordiale sintonia con le indicazioni del magistero pontificio e in un clima di serenità e saggezza.

La presente pubblicazione, curata dal Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, va in questa direzione. È auspicabile che essa continui a essere percorsa e condivisa da molti, da tutti.

Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
Città del Vaticano, 19 marzo 2012 Solennità di san Giuseppe
...Passo passo verso la riconciliazione liturgica e l'uso delle due forme dell'unico rito romano....
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Testo preso da: Il Messaggero di Sant'Antonio per la diffusione delle Messe in Latino

L'eremita del pensiero

Memento cuius capitis
et cuius corporis
sis membrum

S. Leone
Favola semiseria per persone sofferenti d’insonnia

L’Eremita del pensiero è uno che crede di essere rimasto solo a pensare “così”. Gli eremiti pensano sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto. Sapeste che gioia quando s’incontrano!

Un eremita del pensiero … che? Sì un eremita del pensiero, dei nostri giorni, con tanto di moglie e figli, è un tale che crede di essere solo a pensare così.
Gli eremiti credono sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto... sapeste che gioia quando si incontrano!
Dunque... un eremita del pensiero stava meditando sul Vangelo quando fu rapito in estasi ed ebbe un sogno. Rapito in estasi? Certo! Solo gli eremiti del pensiero credono che capiti così.
Gli eremiti credono sempre di essere soli... sapeste che gioia quando si incontrano!
Nel sogno gli sembrò di trovarsi in un’immensa cattedrale romanica. Agli eremiti del pensiero piacciono molto le cattedrali romaniche così solide e ancorate alla terra, ma con gli occhi dell’Abside sempre aperti a ricevere i primi raggi del sole che viene.

Gli eremiti del pensiero credono di essere soli a pensare così.
Gli eremiti credono sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto... sapeste che gioia quando si incontrano!
La cattedrale era piena di alti prelati e vicino al trono vescovile c’era un Pastore della Chiesa in abiti pontificali con tanto di Mitria, Anello e Bastone, che rivoltosi all’eremita del pensiero, sorpreso e titubante, gli disse: “Tu terrai, per obbedienza, un sermone a tutti questi Servi di Cristo.” Lui? Un sermone ai Servi di Cristo, che quando ascoltiamo loro ascoltiamo Cristo? Non poteva essere vero! La Chiesa che impara che deve insegnare alla Chiesa che insegna?
Gli eremiti del pensiero credono di essere soli a pensare così. Gli eremiti credono sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto... sapeste che gioia quando si incontrano!
L’eremita del pensiero si accorse subito di essere in un brutto dilemma. Non poteva tenere il sermone perché avrebbe peccato di superbia, ma non poteva nemmeno disubbidire perché pensava che la virtù dell’obbiedenza fosse la più grande virtù nella Chiesa e la disobbedienza la colpa più grave. Gli eremiti del pensiero credono di essere soli a pensare così.
Gli eremiti credono sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto... sapeste che gioia quando si incontrano!
L’eremita del pensiero, turbato, invocò dallo Spirito Santo una soluzione che lo salvasse da quel guazzabuglio e fu esaudito. Decise di parlare confessando pubblicamente i propri peccati di incredulità commessi durante i sermoni di quei Servi di Dio. Essi avrebbero conosciuto la pochezza della sua anima e avrebbero studiato per fare sermoni che attizzassero sempre di più il fuoco dell’amore per il Signore. L’eremita del pensiero pensava di essere solo ad aver trovato una soluzione così. Gli eremiti del pensiero credono di essere soli a pensare così.
Gli eremiti credono sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto … sapeste che gioia quando si incontrano!
L’eremita del pensiero si raccolse ancora di più, srotolò la sua coscienza sotto un raggio di luce che veniva da una vetrata istoriata con una colomba e tremando per la vergogna cominciò:
“Signori, non vedo l’anno, non vedo il giorno, non vedo il luogo, ma sento un sermone che suona così: ‘Noi non possediamo la Verità, dobbiamo piuttosto, dobbiamo piuttosto lasciarci possedere dalla Verità.’. Ed ecco invece io sono lì che dico: ‘Ma Signore, credevo di averti incontrato e Tu mi dicesti di essere la Verità, la Parola di Dio fatta carne; e io avevo accettato questa Verità che intendevo donare agli altri, perché anche loro avessero certezze, ma non posso dare di quel che non ho? Signore, quando parlava costui, che quando ascolto Lui ascolto Te. Io ho dubitato delle Tue parole che uscivano dalla bocca di Lui. Abbi pietà di me peccatore.

Ora questa luce mi fa vedere un luogo e mi fa sentire un altro sermone: ‘La Chiesa preconciliare, attardata nel suo conservatorismo e passata attraverso la purificazione dal Concilio diventa una Chiesa aperta alla verità del mondo’. Com’è tremendo il mio peccato! Ho dubitato ancora delle Tue parole che uscivano dalla bocca di costui che quando ascolto Lui ascolto Te. Scusami Signore, ma io non sapevo che c’erano due Chiese e nel Credo recitavo con convinzione: ‘Credo la Chiesa Una’.

Vedo ancora Signore, un altro luogo e ascolto un altro sermone: “La Chiesa è la Chiesa del dialogo. E’ il nostro stile di cristiani che non deve essere improntato all’integrismo, ma alla mediazione’. Ed io Signore che Ti avevo ascoltato quando dicevi: ‘Non si può servire a Dio e a Mammona. Chi non è con Me è contro di Me, chi non semina con Me disperde.’

Ho dubitato ancora una volta delle Tue parole che uscivano dalla bocca di costui che quando ascolto Lui ascolto Te. Perdona anche questa volta il mio peccato. Vedo ancora un’altra occasione e sento un altro sermone. Parla di due montagne; sono divaricanti, ma più si sale su quelle montagne, (l’una o l’altra non fa differenza), si arriva sempre alla luce. Ed io, avendo sentito dire che Tu eri la Via, una via stretta e piena di Croci, per la quale sola via stretta c’è salvezza, ho dubitato ancora una volta delle Tue parole che uscivano dalla bocca di costui che quando ascolto Lui ascolto Te. Perdona Signore... ”
Il povero eremita già sconcertato per tutti questi peccati, si spaventò quando vide che il rotolo della sua coscienza si stava sdipanando su una serie assai lunga di situazioni del genere, incominciò a sudar freddo e a tremare. Non ce la faceva proprio più. Lo salvò una provvidenziale voce di bimba: “Babbo, babbo!”. La visione sparì; l’eremita del pensiero abbassò gli occhi su due splendidi occhi di bimba (uno di quei fiori che nascono raramente tra i tanti recisi prima di sbocciare alla vita) e si rincuorò. “Babbo, - domandò la bambina – perché ripetevi di continuo: ‘Sapeste che gioia quando si incontrano?’.

L’eremita del pensiero abbassò gli occhi sul Vangelo che gli stava davanti e disse leggendo: “Quando due eremiti del pensiero saranno riuniti nel mio Nome, Io sarò in mezzo a loro”. “Chi sono babbo gli eremiti del pensiero?” “L’eremita del pensiero è colui che si crede di essere solo a pensare così.
Gli eremiti credono sempre di essere soli perché vivono qua e là nel deserto... sapeste che gioia quando si incontrano!”
Un eremita del pensiero

giovedì 23 agosto 2012

Vigili sentinelle o quinte colonne?

Scrive Francesco Bernardini in una nota al mio libro:
Il concetto di vigili sentinelle che dovrebbe essere l’appellativo da attribuire all’episcopato è ormai attribuibile a pochi sacerdoti o laici che non essendo legati virtualmente all’"episcopio" hanno comunque più libertà di giudizio o di denuncia. Le sentinelle se sono vigili non si lasciano, per quanto possibile, sfuggire nulla, e all’occorrenza danno l’allarme in modo che tutti quelli che vogliono sentire sentano. La sentinella che vedendo il nemico entrare fa finta di nulla non è vigile, anzi non è nemmeno sentinella è "quinta colonna".

E il Verbo si fece... carta? L'ostensione perpetua della Parola

Pubblico questo articolo tratto da Una Vox, constatando che la meraviglia dell'autore dimostra che egli non conosce le deleterie analogie con il Cammino neocatecumenale ! La neo-usanza documentata fa il paio con l'eliminazione degli inginocchiatoi e il divieto di inginocchiarsi alla consacrazione.
Quella della foto a lato vi sembra forse la Cappella del Santissimo? Eppure, presso la Domus Galileae ed ogni altro centro neocatecumenale ormai si chiama Santuario della Parola, che ospita un Tabernacolo a due piazze che - conferendo loro pari dignità - contiene le Sacre Specie (una Presenza Reale anche al di fuori della celebrazione) e la Torah (La Scrittura sacra in cui la presenza è mediata dal testo denominato more ebraico: uno dei tanti esempi di pesante giudaizzazione di quel contesto).

E il Verbo si fece... carta? L'ostensione perpetua della Parola

Ecco un'altro esempio di realtà che ha superato la fantasia! 

Nel presbiterio di una chiesa vicino a casa mia, oltre alla consueta mesta “tavola calda” di guareschiana memoria, dove il Celebrante... pardon, il Presidente dell'Assemblea dice Messa voltando - come d'abitudine - le spalle al Santissimo Sacramento custodito nell'Altare Maggiore, un bel libro aperto faceva bella mostra di sé nel ciborio sovrastante! 

Mi è tornato alla mente un passo di un romanzo - tristemente profetico - di don Giuseppe Pace recentemente ristampato e pubblicato, dove si “adorava la Parola” esponendo un libro aperto sull'altare, perché asserivano che il Verbo si è fatto carta!

Come se non bastasse non c'era nessuna traccia del Crocifisso; né sull'altare né nelle sue immediate vicinanze!
Neppure la Croce astile, portata in processione all'inizio della Messa è stata posta a fianco dell'altare (leggi tavolino) su di un piedistallo, come è invece usanza in altre chiese; il ragazzo, in calzoncini corti, ha tirato dritto riponendola dietro!
A onor del vero ce n'era uno grande di legno e anche di pregevole fattura, ma piuttosto distante e affisso al muro fuori dal presbiterio; improbabile e da “arrampicata sugli specchi” poterlo definire il Crocifisso dell'altare.

Terminata la Messa, alla quale avevo accompagnato mio padre preventivando di vedere qualche stramberia, mentre mi avvicino per immortalare l'ennesima trovata del mio creativo Parroco, una signora anziana mi si avvicina, e poggiando una mano sulla spalla mi esprime tutto il suo disappunto (mi aveva letto nel pensiero?); scuoteva la testa sconsolata dicendo che continuano a cambiare tutto... di rimando le ho detto che la capivo ed ero solidale con lei.

Il Parroco non c'era, e non me la sono sentita di lamentarmi col prete che aveva detto Messa; qualcuno di voi giustamente stigmatizzerà la mia omissione, ma sarebbero state parole al vento... ho preferito convogliare il mio disappunto nel pregare per i nostri Sacerdoti, alfieri del neoprotestantesimo e fieri delle loro stravaganze sempre più ardite, frutto della deriva postconciliare di “creatività liturgica”, che un tempo sarebbero state criticate, e che ora passano nella più totale indifferenza.
Davide Carollo
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[Fonte: Inter multiplices Una Vox]

mercoledì 22 agosto 2012

Pallegrinaggio annuale toscano a Montenero

Il Coordinamento toscano Benedetto XVI(*) – Per l’applicazione del motu proprio Summorum Pontificum è lieto di invitarVi alla quinta edizione del pellegrinaggio annuale dei fedeli legati all'antica liturgia presso il Santuario della Madonna di Montenero (Livorno), Patrona della Toscana, sabato 22 settembre 2012.

Oltre alla consueta processione in salita per raggiungere il Santuario, il Coordinamento annuncia la presenza, per il secondo anno consecutivo, del vescovo diocesano, mons. Simone Giusti, segno inequivocabile dell’attenzione e della cura pastorale di Sua Eccellenza per i fedeli legati all’antica liturgia e alla Tradizione della Chiesa cattolica. 
Proprio su invito del vescovo Giusti, il solenne Pontificale in rito antico sarà celebrato da Sua Eminenza il Cardinale Raymond L. Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

Il Coordinamento inoltre ringrazia per la preziosa collaborazione l’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote, che garantirà l’impegnativo servizio liturgico del Pontificale.

Il programma definitivo del pellegrinaggio, che si terrà sabato 22 settembre 2012 sarà dunque il seguente:

Ore 9,30 - Ritrovo dei pellegrini in Piazza delle Carrozze (Montenero Basso).

Ore 10,00 - Processione al Santuario con recita del Santo Rosario.

Ore 11,00 - Santa Messa Pontificale in rito romano antico, celebrata  da Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Raymond L. Burke, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con assistenza di Sua Ecc.za Rev.ma mons. Simone Giusti, Vescovo di Livorno.

Alle solite condizioni, il Santo Padre accorda l'indulgenza plenaria ai partecipanti.

In seguito, sarà possibile fermarsi a pranzo, insieme a Sua Eminenza il Cardinale, presso la foresteria del Santuario.

Per quanti provenissero da lontano, ricordiamo che sarà possibile pernottare presso il Santuario al prezzo di 25 euro per una notte; 20 euro, se il soggiorno dura due o più notti.

Pranzo insieme al Cardinale (quanto prima saremo in grado di comunicarvi il prezzo e il menù del pranzo) nella foresteria del Santuario Ore 13.30 circa Pranzo insieme al Cardinale (quanto prima saremo in grado di comunicarvi il prezzo e il menù del pranzo) nella foresteria del Santuario.
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[*] Il Coordinamento toscano è una federazione, costituita il 22 novembre 2008, che attualmente comprende nove associazioni di fedeli laici (Associazione Cristo Re di Livorno, Associazione Madonna dell’Umiltà di Pistoia, Associazione Regina Sacratissimi Rosarii di Arezzo, Coetus Joseph Ratzinger di Bientina, Comitato lucchese Lucio III Papa, Comitato pisano San Pio V, Militia Templi-Poggibonsi, Una Voce Firenze, Una Voce Piombino), è in contatto con la quasi totalità dei centri di Messa in rito antico della Toscana e collabora costantemente con i Frati francescani dell’Immacolata di Firenze e con l’Istituto Cristo Re di Gricigliano. Il Coordinamento ha per fine primario quello di favorire l'applicazione del motu proprio Summorum Pontificum, fornire informazioni e supporto logistico a quanti intendano formare coetus fidelium per promuovere celebrazioni in rito antico in Toscana.

Per ulteriori informazioni e per scaricare le locandine, potete consultare il sito: 
http://coordinamentotoscano.blogspot.it
o scrivere a coordinamentotoscano@hotmail.it