Siamo ancora nell'
Anno della fede, che si concluderà il prossimo 24 novembre. Dal
motu proprio di indizione da parte di Benedetto XVI, “
Porta fidei”, la nostra attenzione è stata richiamata sulla
fides quae, cioè sui contenuti, i fondamenti veritativi che richiedono il nostro assenso. È ovvio che i fondamenti precedono ma non eliminano né sminuiscono il concreto e soggettivo atto del credere: la
fides qua, che invera nella persona e nella storia il Soprannaturale. Ma oggi si avverte,
ingravescente necessitate, l’urgenza di riappropriarci dei contenuti, diluiti e oltrepassati per effetto dell'ignoranza diffusa nei fedeli a causa delle innovazioni dottrinali mascherate da
pastorale, prassi sempre più ateoretica e dissolutoria, spacciate per
aggiornamento.
Tutto ciò non significa che il cristianesimo sia una dottrina, una serie di verità astratte e codificate: ben lo esprime proprio questo passaggio della Porta Fidei : « Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa ».
Mi chiedo come possa conciliarsi questa ineludibile realtà con la volgata recente scaturita da
un'intervista a La Civiltà cattolica che non può costituire magistero, ma di fatto - attraverso la nuova pastorale mediatica - non ha bisogno di documenti e atti di governo per imporsi a chi ormai ha portato cuore e intelletto all'ammasso. Ne cogliamo due punti che prendono di mira la Tradizione. Il Papa ne parla come di un -ismo e ne vede e ne descrive solo gli stereotipi che vengono fuori dai più retrivi pregiudizi, non accettabili in un pastore.
«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».
Si dà il caso che secoli fa c'è stata una esiziale Riforma, che ha dato inizio alla crisi dell'Occidente, dalla quale è rimasta la Chiesa cattolica da un lato e le confessioni protestanti riformate dall'altro. Il problema è che il linguaggio usato dalla neo-chiesa a partire dalle gerarchie più alte allude troppo spesso:
- alla conoscenza di Gesù prima delle "regolette",
- al vangelo prima della dottrina o addirittura senza, adattando la dottrina alle situazioni
- al fare lo spazio a Dio senza precondizioni
Questo è ciò che predicava Lutero e che continuano a predicare i suoi eredi spirituali. Invece noi siamo rimasti cattolici e continuiamo a usare come strumenti che ci ancorano a Cristo Signore e dunque al Padre:
- la fede (prima personale e poi anche comunitaria),
- il custodire la fedeltà per maturare nella fede, approfondendo:
- la fede attraverso la preghiera, l'adorazione, l'eucarestia, il vangelo e le scelte e l'agire che ne conseguono.
- la dottrina (la sapienza fedelmente trasmessa e ricevuta da una schiera di santi e dottori della chiesa). Non si può amare ciò che non si conosce: prima viene la conoscenza e poi l'amore.
- la Tradizione (la bellezza e la giovinezza perenne della Chiesa, custodia del Depositum fidei e fedeltà ad esso, che il Successore di Pietro deve garantire),
- nel connubio di fede e ragione, nella coscienza (non quando corrisponde a ciò che ci pare, ma a ciò che riceviamo dalla Rivelazione Apostolica trasmessa dal Magistero).
Se dalle parole del papa sono in molti a trarre conclusioni come le prime sopra, magari al di là delle sue intenzioni, c'è da chiedersi il perché. Il primo a chiederselo dovrebbe essere lui e coloro che collaborano con lui più da vicino.
Quanto alla fedeltà alla dottrina, non è né restaurazionismo né legalismo e neppure è un arbitrio: è la Tradizione viva del vangelo trasmessa dalla Chiesa, unica interprete degli insegnamenti di Cristo, che sono Spirito e Vita, non sono regole astratte.
Quando noi ci richiamiamo alla "dottrina" non lo facciamo per sterile giuridismo, ma per amore della Verità che è Una e non può essere manipolata a piacimento, come sta avvenendo oggi anche ai vertici della Chiesa. E le soluzioni disciplinari, se sono cercate, non lo sono fini a se stesse, e neppure esauriscono la realtà di cui sta parlando. Esse rappresentano una normale condotta di buon governo. La medicina della misericordia, senza la giustizia e senza il rigetto dell'errore, diventa una mancanza di carità, un tradimento della Verità, sovverte l'ordine e deforma il volto della Sposa di Cristo.
Nella Chiesa cattolica, non viene prima il Vangelo e poi la dottrina: Scrittura (e dunque anche il Vangelo inteso come NT) e Tradizione sono
le due fonti della Rivelazione a pari titolo, perché il Vangelo, senza l'interpretazione viva della Tradizione, che lo trasmette con criteri che ne garantiscono l'integrità, resterebbe lettera morta. Solo la vera dottrina e la vera adorazione che ne discende ci agganciano al nostro Signore e salvatore e non ad idoli o surrogati di vario genere.
Aggiungo e ribadisco : quando si parla di Tradizione, s'intende la Tradizione 'vivente' perché incarnata in ogni generazione, ma oggettiva cioè legata alla Rivelazione apostolica; non quella 'vivente' in senso storicistico che evolve secondo la moda del tempo ed è determinata soggettivamente nel 'presente' di ogni tempo con una nuova epistemologia fondata sulla evoluzione di verità, che invece sono immutabili perché Eterne.
L'elemento soggettivo sta nelle persone, pietre vive della Chiesa grazie all'azione discente, di guida e santificatrice dei pastori animata dallo Spirito Santo; ma è l'oggettiva immutabilità del Soprannaturale che va portata nel tempo e nella storia non l'arbitraria deformazione del momento, come di fatto sta avvenendo. E Bergoglio lo sta facendo a tutto campo.
Chi difende la dottrina non lo fa per sclerosi o per giuridismo né tanto meno per moralismo, ma per amore della Verità che è una e che non cambia secondo il nostro arbitrio e che, unica, davvero libera e feconda i nostri cuori, le nostre scelte e quindi la storia.