Ora che abbiamo toccato il fondo con lo «storico incontro» di Abu Dhabi e relativa Dichiarazione [qui], non senza aver riaffermato le verità cattoliche [qui - qui - qui] e sull'onda del dibattito riacceso dalla parresìa di Mons. Viganò [qui], giova riprendere alcune chiose di Romano Amerio tratte dal suo ultimo lavoro. Precedenti nel blog [qui - qui - qui - qui - qui - qui].
Si tratta di Stat Veritas, pubblicato postumo nel 1997, che analizza e commenta in 55 chiose la Lettera apostolica «Tertio Millennio Adveniente» indirizzata il 10 novembre 1994 da Giovanni Paolo II all'episcopato, al clero e ai fedeli in preparazione del giubileo dell'anno 2000, per definire gli orientamenti pastorali per la Chiesa del nuovo millennio.
Insieme a Iota Unum, Stat Veritas è l'opera fondamentale di Romano Amerio, il massimo rappresentante dei fautori della continuità della Chiesa. Amerio contesta all'insegnamento cattolico nato dal Vaticano II di aver trascurato la Verità metafisica del Logos divino - che non è unidimensionale né astratta, come oggi la ritengono anche molti cattolici, ma è una realtà di persona - e di essersi concentrato sul tema della Carità, riducendo la Chiesa a mero soggetto storico, sociale e culturale che si confronta con le varie opzioni filosofiche e morali proposte dalla società moderna. Deprivato del suo principio più specifico - la sovrannaturalità, la fede, la dottrina perfettamente «impersonata» dal Logos -, il messaggio cattolico ha così smarrito la sua identità rispetto alle altre religioni e si è dimostrato impotente di fronte al diffondersi, anche all'interno del mondo cristiano, della secolarizzazione e del relativismo.
Come scrive Enrico Maria Radaelli nella postfazione al volume : «Stat Veritas. La Verità sta, ossia è ferma, solida, irremovibile. Anzi - meglio di ogni traduzione letterale -, dobbiamo dire la Verità è: come una vera Amica la Verità è, ci precede, poi ci sta davanti, e infine anche ci attende. Per non farci perire nel nostro Io, senza un'Amica accanto».
Ruunt sæcula, stat Veritas. Immo, stante Veritate, stat homo, stat mundus. Circumversamur undique, et deversamur; sed Veritas nos erigit. Amice, siste fugam, pone te in centro, ubi nullus motus, sed vita, immo: vita vivificans. Romano Amerio, gennaio 1996 dettato proprio per Stat Veritas |
Scorrono i secoli, la Verità permane. Anzi, stante la Verità, sta l’uomo, sta il mondo. Ci aggiriamo e ci fermiamo in ogni dove; ma la Verità ci tiene dritti. Amico, desisti dalla fuga, poniti al centro, dove non c’è moto, ma vita, anzi: vita vivificante. (Trad. nella Postfazione di E.M.Radaelli) |
CHIOSA 49: Commento al § 53, p. 61.
«In tale dialogo [interreligioso] dovranno avere un posto preminente gli ebrei e i musulmani. Voglia Dio che a sigillo di tali intenzioni si possano realizzare anche incontri comuni in luoghi significativi per le grandi religioni monoteiste.»
I – Che, dopo tali incontri, restano ciascuna quello che è, senza
alcun frutto reale in vista dell’unità.
Inoltre, questi appuntamenti storici, questi incontri in luoghi di «grande significato simbolico», come dice la Lettera, non si caricano di nessun valore soprannaturale ma, casomai, solo di religiosità naturale perché, nella religione naturale, è vero che noi comunichiamo con gli islamici, con gli ebrei, come anche con i buddisti, con gli indù, con gli animisti: infatti la religione naturale è in fondo a ogni credenza positiva. Ma la nostra religione è soprannaturale: è sopra la natura, è fuori della natura creata. Quindi noi non possiamo comunicare soprannaturalmente con loro; assolutamente.
Inoltre, questi appuntamenti storici, questi incontri in luoghi di «grande significato simbolico», come dice la Lettera, non si caricano di nessun valore soprannaturale ma, casomai, solo di religiosità naturale perché, nella religione naturale, è vero che noi comunichiamo con gli islamici, con gli ebrei, come anche con i buddisti, con gli indù, con gli animisti: infatti la religione naturale è in fondo a ogni credenza positiva. Ma la nostra religione è soprannaturale: è sopra la natura, è fuori della natura creata. Quindi noi non possiamo comunicare soprannaturalmente con loro; assolutamente.
Gli ebrei e i musulmani «dovrebbero avere un posto preminente
nel dialogo interreligioso con i cattolici» forse per il fatto che vengono
riconosciuti, come i cattolici, dice la Lettera, «figli di Abramo».
Quanto agli Ebrei, san Giovanni Battista però affermava:
«Non crediate di poter dire tra voi: abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre»
(Matteo 3, 9). Mons. Garofalo, in nota, spiega rettamente questo
versicolo: «Non è la discendenza carnale da Abramo che fa eredi
delle promesse a lui fatte, ma l’imitazione della sua fede» (Il Santo
Vangelo, versione ufficiale della CEI, Edizioni Paoline, p. 16).
Ma se gli ebrei (e i musulmani) fossero figli di Abramo, per questa
figliolanza subito riconoscerebbero il Cristo: non sono vane le parole
di san Giovanni Battista, che vedono la figliolanza dove c’è la somiglianza
spirituale e non dove c’è la mera somiglianza carnale.
San Tommaso, nel commento a Giovanni 8, 40 (Expositio super
Ioannem, nn. 1221-1223), mette bene in luce come la debole filiazione
del sangue sia valida solo come figura della fortissima filiazione
spirituale, la filiazione cioè che si attua nella fede nel Verbo: «C’è la somiglianza al padre Abramo solo in chi come lui si
dispone a vedere nelle Scritture il Cristo futuro». Opera, questa,
che Abramo compì, come di lui testimoniò lo stesso Cristo:
«Abramo, vostro padre, esultò per vedere il mio giorno: lo vide e
si rallegrò» (Giovanni 8, 56). La Grazia opera già nell’animo dei
Padri del Vecchio Testamento: il Vecchio Testamento non è senza
Grazia, difatti, da Abramo al Battista, gli uomini dell’Antica Alleanza
disposero il loro spirito alla fede nella Rivelazione che Dio
loro proponeva: lasciarono che la Grazia operasse in loro.
Ma, a riguardo della vanagloria dei Giudei di ritenersi figli
di Abramo, Cristo stesso osserva: «Se siete figli di Abramo, fate
le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho
detto la verità udita da Dio: questo Abramo non lo ha fatto. Voi
fate le opere del padre vostro» (Giovanni 8, 39-41). San Tommaso
qui si unisce a sant’Agostino rilevando: «La loro carne derivava
da Abramo, ma non ne derivava la vita» (Expositio super
Ioannem, n. 1222).
Il fatto è che il principio dottrinale insegnato da Gesù Cristo,
che è il principio che governa il rapporto tra i cristiani e gli ebrei,
è il principio della sostituzione [vedi], secondo quanto detto dal Signore
stesso in Matteo 21, 40-44 concludendo la parabola dei vignaioli
malvagi: «“Ora quando verrà il padrone della vigna, che farà a
quei contadini?”. Gli risposero: “Egli colpirà senza pietà quei
malfattori e affiderà la vigna ad altri contadini, i quali gliene renderanno
il frutto a suo tempo”. Disse loro Gesù: “Non avete mai
letto nelle Scritture: ‘La pietra rigettata dai costruttori è quella che
è diventata la pietra angolare; dal Signore è stato fatto questo ed
è cosa meravigliosa ai nostri occhi?’ Perciò io vi dico che il Regno
di Dio vi sarà tolto e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare.
E chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato ed essa stritolerà
colui sul quale cadrà”». A riguardo di questo luogo scandalosissimo,
il commento unanime della Tradizione della Chiesa addita
senz'altro nei Gentili il popolo sostitutivo del popolo giudeo nella
fede in Dio: i vignaiuoli malvagi demeritano il possedimento e i
frutti della vigna avendo essi ammazzato l'erede, il padre del
quale, loro signore, li fa sterminare e chiama a beneficare dei frutti della vigna altri e più degni vignaiuoli. Anzi: la consegna dei
frutti è richiesta precipua a questi nuovi chiamati per essere essi
gli unici responsabili della buona raccolta.
Oggi questa dottrina millenaria – la dottrina della sostituzione –
è una dottrina velata, è anzi una dottrina ripudiata. Ma, se si tocca
la dottrina, anche in nome di un senso “ecumenico” che qui risulta
tutto vano, non solo si distrugge la verità, ma anche non si
soccorre l'infedele a cui la velatura della verità nasconde la gravità
del suo stato e cancella l'unica strada da percorrere per salvarsi
dalla morte eterna. Quando si abbandona la verità si perde tutta
la giustizia del giudizio e si smarrisce la radice da cui nasce la carità.
C'è quel passo dell'Apostolo che lega l'amore alla verità come
il buon frutto partecipa della sanità della pianta: «La carità si compiace
della verità» (I Corinti 13, 6b).
Il Signore ha tolto la Grazia a quelli che erano i figli carnali di
Abramo per darla a chi si disponeva a ben riceverla. Questi sono
i veri figli di Abramo: quelli che, mettendosi nella stessa sua disposizione
a credere nel Cristo, di Abramo imitano le opere, cioè
la fede. Cosa, questa, che chiunque può fare in ogni momento.
II – Qui siamo al punto principale delineato nella Lettera apostolica
fin dal § 6, corrispondente alla nostra primissima CHIOSA:
la religione cattolica è fondata su una Rivelazione soprannaturale,
cioè – come abbiamo già più volte rilevato – sulla Grazia: la
Grazia mette nell’animo dell’uomo un elemento nuovo, un elemento
ontologico, e non soltanto un elemento morale. Questo elemento
della Grazia è proprio soltanto alla nostra religione e ne fa,
per ciò stesso, l’unica vera: le altre credenze o confessioni sono infatti
false perché la Grazia, che non è altro che la vita divina di Cristo,
non l’hanno.
Questa è una proposizione che, malgrado sia stata in parte delineata
alla CHIOSA 4 I, esigerebbe un ulteriore approfondimento.
La Grazia non è soltanto qualcosa di accidentale, una affezione
dei nostri sentimenti; è un elemento ontologico, è un elemento
reale: anche se in forma incipiente e non ancora piena, qualcosa
di divino si inserisce realmente nell’anima creata, nel nostro essere,
nella nostra struttura metafisica.
Bisogna superare la difficoltà di accettare un reale divino inserito
nel nostro reale naturale. La difficoltà è nella disparità tra
il naturale – finito – e il soprannaturale – eterno. Come è possibile
che nel meno che è l’umano possa posarsi, possa inserirsi, il
più che è il divino? La cosa è così profonda che non la si intende:
è un mistero.
Una ispirazione, invece, può essere anche soprannaturale; ma
una ispirazione non può trascendere del tutto le facoltà di ispirazione;
quindi non può essere soprannaturale soltanto perché non
scaturisce dal nostro essere, ma bisogna proprio che venga e dal
di fuori e dal di sopra del nostro essere: dal di fuori, come tutti gli
influssi che si esercitano sulla nostra anima nell’ordine della natura
creata; dal di sopra, come l’influsso proveniente da un ordine
posto sopra la natura, l’ordine soprannaturale.
Quindi: anche una ispirazione è una realtà, ma una realtà di
atto, una realtà morale, non una realtà ontologica come è la Grazia.
Questa dottrina, così ben affermata da Rosmini, è una dottrina
più netta, più religiosa persino di quella di san Tommaso: se la
Grazia è qualcosa di ontologico, se è davvero l’Essere Divino che
viene in noi, e non soltanto l’ispirazione divina, il regno della
Grazia è formidabilmente diverso dal regno della Natura.
C’è una ispirazione naturale; ma c’è anche una ispirazione soprannaturale:
col Battesimo si crea una nuova creatura e, quel nuova,
non è soltanto qualcosa di morale, ma è qualcosa di ontologico,
di perdurante.
Il Battesimo, infatti, è una aggregazione a una società, quella
Trinitaria, ma non soltanto un’aggregazione morale, come se si
trattasse dell’anagrafe: è infatti una aggregazione fondata su un
elemento ontologico, veramente reale, ancorché imperfetto e incipiente:
è fondata sull’Essere Divino.
Ancora una volta, è da asserire che il cattolicesimo non è una
comunità soltanto morale, ma è una comunità ontologica, perché
in tutti i cristiani c’è un elemento veramente reale ma veramente
soprannaturale: è un fatto di carattere. E la Grazia, che imprime
il carattere divino, è il solo elemento accomunante. Se la Grazia è
una partecipazione dell’unica Vita divina, è chiaro che la Grazia
che è in un individuo è la Grazia che è anche negli altri individui:
infatti la Grazia è il superiore principio di unità.
III – Quanto ai musulmani (e qui siamo all’altro punto), quando
si dice che, «nel dialogo interreligioso», dovranno avere «un posto
preminente i musulmani», si dice che si vuole celebrare l’Islam,
religione monoteista, come una religione equivalente alla nostra,
una religione che, per esempio, di per sé non può commettere
abusi, come di per sé non può commettere abusi la cattolica.
È proprio in questo senso che si espresse il portavoce ufficiale
della Santa Sede, signor Navarro, in occasione della Giornata
mondiale della Pace: a degli obiettori islamici che protestavano
esservi ingiurie verso la loro religione nel discorso tenuto dal Papa
in quella occasione, egli precisò alle agenzie di stampa che:
«Gli abusi possono venire dal comportamento delle persone, mai
dalle religioni» («Avvenire», 10 dicembre 1994).
Ma bisogna ben guardare perché, se gli islamici, a titolo di
esempio, praticano la poligamia, è perché la poligamia è proprio
inscritta nella loro fede, inscritta nel loro credo; quindi la poligamia
non è un abuso delle persone, ma è un abuso inscritto nella
legge islamica.
Bisogna dire che, se gli abusi non provenissero dalle religioni,
le religioni sarebbero tutte moralmente corrette, senza abusi: la
loro morale sarebbe vera; infatti, per essere corrette, devono tutte
essere aderenti alla verità: non possono essere corrette se non in
queste condizioni. Non possono quindi contenere errori. Quindi
tutte le religioni portano uguali frutti, uguali leggi, in modi diversi.
Il che è manifestamente falso.
Il sofisma è che «tutte le religioni», dicono, «esprimono la ricerca
di Dio da parte dell’uomo», (cfr. § 6, CHIOSA I), cioè il medesimo in
una maniera diversa e varia. Questa diversità e varietà sarebbe
una ricchezza.
Le false religioni, le religioni umane, le religioni non rivelate
dall’Unigenito, sono invece tutte fondate sull’abuso: ammettono
l’abuso nella pratica morale e si fondano sull’abuso nella dottrina
della loro fede. Tutte le religioni che ammettevano le immolazioni
di esseri umani portavano nel loro grembo l’errore, l’abuso,
perché questo non era un errore di uomini: erano le religioni che
li facevano operare così.
Ma, secondo la veduta neoterica, tutte le religioni esprimono,
in modo vario, il medesimo; dunque anche le religioni che immolavano
vittime umane esprimevano con le vittime umane in
qualche maniera il sentimento religioso che si trova nella religione
vera. Proprio esse come religioni e proprio soltanto come religioni.
Qui il cozzo con la dottrina della Grazia è tutto evidente:
difatti, l’Islam non è una religione soprannaturale, e quindi non
si vede quale sia il terreno comune sul quale dovrebbe svolgersi
il dialogo interreligioso.
CHIOSA 50: Di seguito.
«Si studia, in proposito, come predisporre sia storici appuntamenti a Betlemme, Gerusalemme e sul Sinai, luoghi di grande valenza simbolica, per intensificare il dialogo con gli ebrei e i fedeli dell’Islam, sia incontri con rappresentanti delle grandi religioni del mondo in altre città. Sempre tuttavia si dovrà fare attenzione a non ingenerare pericolosi malintesi […].»
I – Oggi sarebbe ancora troppo ardito pensare di predisporre
uno «storico incontro» con gli islamici anche in quell’altra città a
loro sacra che è La Mecca. Ma forse così si urterebbe troppo la
sensibilità dei cristiani.
A Gerusalemme non sono proibiti i luoghi di culto per le comunità
maomettane ma, alla Mecca, i luoghi di culto per i cristiani
sono invece proibitissimi: il fatto è che, alla Mecca, i maomettani
esplicano fino in fondo i caratteri intrinseci della loro confessione,
tra i quali caratteri spicca l’esclusivismo, l’intolleranza assoluta.
Intanto, a Roma, una volta città santa de iure per i cristiani, è
stata costruita la più grande moschea d’Europa. Noi aspettiamo
il momento in cui avverrà la sua inaugurazione, perché essa non
potrà non essere un’occasione per uno «storico incontro» tra cristiani
e musulmani: con tutte le parole che sono state pronunziate
per anni e anni, la Santa Sede dovrà per forza mandare una delegazione
Pontificia in un luogo di culto musulmano.
Ecco che quindi, quando si parla di «pericolosi malintesi», bisogna
concludere che essi sono ingenerati proprio dalla base dell’ecumenismo
moderno, il quale vuol chiamare alla vera religione
nel momento stesso in cui professa che tutte le religioni sono
un’unica religione.
II – Si dovrebbe poi anche osservare che l’espressione «i rappresentanti
delle grandi religioni» è un’espressione imprecisa: gli
Stati possono essere rappresentati, perché ci sono persone a cui è
conferito l’incarico di rappresentare. Ma «i rappresentanti delle
grandi religioni», da chi hanno ricevuto il mandato? Non sono stati
eletti in nessuna assemblea: da che cosa quindi derivano l’autorità
di rappresentare una religione?
Noi, cattolici, possiamo dire che il Papa e i Vescovi rappresentano
la religione cattolica; i Vescovi, infatti, in forza del Sacramento
dell’Ordine e in forza della organizzazione che Cristo ha dato
alla sua Chiesa, sono i rappresentanti della Chiesa cattolica. Dei
protestanti, degli ebrei e degli islamici questo non si può dire.
CHIOSA 51: Di seguito.
«[…] Ben vigilando sul rischio del sincretismo e di un facile e ingannevole irenismo.»
Questo è puro parlato: perché, dopo le parole lette alle CHIOSE
precedenti, non si può più scrivere queste: non si può promuovere
questo sincretismo e poi avvertire che bisognerà badare a evitare
il sincretismo.
Nella preparazione del Giubileo del 2000, prima si raccomanda
a Vescovi e a fedeli che «si studia di predisporre storici appuntamenti
a Betlemme, a Gerusalemme e sul Sinai», in quanto «luoghi significativi
delle grandi religioni monoteiste», così eguagliando l’unica
fede rivelata da Cristo e alla fede di chi Cristo «l’ha rinnegato,
consegnato agli empi e ucciso» (Atti 3, 14-15) e a quell’altra idolatria
di chi afferma, come gli Islamici nei loro libri affermano, che
«coloro che dicono che il Messia, figlio di Maria, è Dio, bestemmiano
» (Sura V, 76) e che «bestemmiano coloro che sostengono la
Trinità di Dio».
È il solito procedimento: di fare una metà ex corde e l’altra metà
di puro parlato, di convenienza.
(Romano Amerio, Stat Veritas, Lindau 2009, pagg, 121-130)
(Romano Amerio, Stat Veritas, Lindau 2009, pagg, 121-130)
La chiarezza e la forza (verità) del discorso di Amerio spiegano molto bene perché hanno preferito farlo cadere nell'oblio piuttosto che rispondergli nel merito.
RispondiEliminaCosa avrebbero potuto opporgli?
Sarebbero stati velleitari, dei fringuellini contro un aquila.
Un vero gigante!
Antonio
Chiosa 49. Questa Grazia ontologicamente DONATA in quanto superiore alla natura nostra umana naturale ed il concetto di Sacrificio insito in ogni religione, è dalla mia visuale, un rimasuglio di Verità, quella verità che fu patrimonio gratuito della prima coppia, perduto col peccato originale, che fu conseguenza generazionale, stabilita come verità indiscutibile dal Concilio di trento. Il tentativo di appropriarsi dell'anima dei defunti di certi riti magici, del cannibalismo per catturare lo spirito vitale dei nemici, dello stesso cannibalismo ed adrenocromo oggi imperanti nelle società satanistiche (ho letto che forse a Wulan, dove esistono due laboratori prossimi, uno per produzione adrenocromo e l'altro OMS-UE-Cina, qualcuno ha scambiato le provette del virus,infatti in Cina, ha affermato un esponente del governo di Trump, muoiono a milioni; la Cina considera il cannibalismo come mezzo di sopravvivenza in guerra, pare anzi cibo prelibato per alcuni), questo tentativo quindi risale alla ricerca spasmodica di appropriarsi di un qualcosa di spirituale superiore altrui, non a caso i bimbi innocenti della rete pedofila-satanista sono i più ricercati per tale uso quale elisir di giovinezza. Uno scambio ontologico quindi, come il sacrificio rituale dall'antichità ad oggi. Un atto di giustizia positiva o negativa direi, si sacrifica onde riparare oppure si sacrifica onde ottenere. Ora Gesù Cristo è venuto a compiere l'Unico Sacrificio valido capace di cambiare ontologicamente il nostro essere in Essere a determinate condizioni,di vivere le virtù. "Guai a chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la sua condanna": in tale frase è ancora una conferma di una capacità ontologica di essere dannati eternamente in modo molto più acuto. Il sacrificio onde avere, godere, potere è un altro sacrificio di giustizia ad un'entità malvagia: dammi ed io ti dò. Le tentazioni del deserto sono state avanzate allo stesso nostro Signore Gesù Cristo. Libero arbitrio. Ora, in conclusione, la Chiesa di Cristo deve farsi riparazione per l'umanità, ontologicamente segnata dalla Grazia, nel momento in cui tramuta il proprio dna in vizio allora decade in un orrore PEGGIORE. Ma ontologicamente non è più Chiesa di Cristo per libero arbitrio. Resterà un piccolo resto, di chi composto non si dice...ma risorgerà dopo l'eclisse per tutta l'umanità: un solo Pastore ed un solo Ovile come avrebbe dovuto essere per ontologico Dono.
RispondiEliminaOntologico soprannaturale versus ontologico preternaturale...
RispondiEliminaHo letto notizie rispetto a quanto segnalato nell'ultimo commento. Ma preferisco non approfondire e di solito vado oltre, tanto mi ripugna.
L'importante è guardare di sbieco questo male che imperversa come non mai forse; ma tenendo occhi e cuore fissi nel Signore e nella Sua e nostra Madre...
Detto altrimenti, chi va con lo zoppo impara a zoppicare, oppure, dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, anche, tanto va la gatta a lardo che ci lascia lo zampino...
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