Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 19 settembre 2023

Siamo arrivati al 'Solum Magisterium'?

L'ho spostato in alto, per facilitarne la lettura ai nuovi visitatori. poiché lo trovo particolarmente interessante.
Nella nostra traduzione da Crisis Magazine una nuova trattazione sugli insegnamenti innovatori del nuovo corso di Bergoglio e sodali: "L'affermazione dell'arcivescovo Victor Fernández su una "dottrina del Santo Padre" rischia di far crollare ogni distinzione tra il magistero e le sue fonti normative, come la Scrittura e la Tradizione.".  Ci troviamo infatti di fronte al solum magisterium gestito da un'autorità assoluta dotata di un carisma unico... Mi pare una delle migliori affermazioni su come la Chiesa (e il suo munus docendi) sia al servizio di "coloro cui è stato fatto dono" della rivelazione divina, e non di una regola autogiustificante, come alcuni apologeti la presentano oggi. Il tutto persino al di là dei documenti conciliari abbondantemente citati nell'articolo... 
Sulla minaccia del primato delle fonti di conio conciliare vedi il mio testo: Fusione delle fonti della Rivelazione con l'assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura. Ma ora, come già detto, siamo persino oltre...

Siamo arrivati al 'Solum Magisterium'?

Come può la Chiesa conciliare l'insegnamento secondo cui il magistero è servitore della Parola di Dio («Magisterium verbum Dei ministrant») e non al di sopra di essa («non supra verbum Dei»), come afferma Dei Verbum (§10), con la presunzione, espressa recentemente in un’intervista con Edward Pentin dal cardinale designato arcivescovo Victor Manuel Fernández, che Papa Francesco abbia un
carisma particolare... un carisma unico, ...un dono vivo e operante, che opera nella persona del Santo Padre...[non solo] per la custodia del deposito della fede... [ma anche per] la dottrina del Santo Padre.
L'affermazione di Fernández è sconcertante. Una cosa è affermare che il magistero ha un carisma attinente alla missione di custodire infallibilmente la Fede consegnata una volta per tutte alla Chiesa (Lettera di Giuda 1,3); altra cosa è affermare che il papa stesso ha un carisma che garantisce la propria dottrina.
Possiamo riassumere una descrizione della presunzione che il papa abbia un carisma unico che garantisce la propria dottrina con il seguente sillogismo: “Ciò che il magistero papale insegna con l'assistenza dello Spirito Santo deve essere vero; ma il magistero pontificio insegna X. Quindi X deve essere vero”. Questo è un argomento a priori che pretende di essere il fondamento del confidare nella promessa di Cristo secondo cui lo Spirito di verità guiderà la Chiesa alla pienezza della verità (Giovanni 16:13).

L'affermazione di mons. Fernández sull'unicità del carisma del papa rischia di far crollare ogni distinzione tra il magistero e le sue fonti normative, come la Scrittura, che, come sostiene Ratzinger, “minaccia il primato delle fonti che, se si continuasse logicamente in questa direzione) finirebbe per distruggere il carattere di servizio del munus docendi”. In breve, il problema con questo argomento a priori è che confonde la differenza tra due affermazioni: primo, dovremmo accettare l’insegnamento della Chiesa perché è vero, in conformità con la supremazia della Scrittura e di altre fonti autorevoli di fede e, secondo, dovremmo accettare l'insegnamento della Chiesa semplicemente perché la Chiesa lo insegna.

La prima affermazione è vera, ma non la seconda. Ratzinger elabora l'implicazione che deriverebbe dalla verità di quest'ultima affermazione:
Il risultato di questo [argomento a priori] era che la Scrittura veniva considerata fondamentalmente solo dal punto di vista della prova che offriva ad affermazioni già esistenti, e anche quando ciò veniva fatto con grande cura e con metodi esegetici moderni, questo modo di procedere difficilmente consentiva un tema da sviluppare dalla prospettiva della Scrittura stessa o questioni da sollevare dalla Bibbia non trattate nel corpo dell'insegnamento della Chiesa.
La direzione logica di questo argomento a priori, e quindi dell'affermazione di Mons. Fernández, è solum magisterium.
La posizione del solum magisterium è talvolta chiamata “positivismo ecclesiastico”. Il card. Avery Dulles descrive la direzione logica di questa posizione come segue:
In alcune presentazioni sembrava che il credente dovesse dare un assegno in bianco al magistero. La fede cattolica era intesa come una fiducia implicita nell'ufficio di insegnamento, e la prova dell'ortodossia era la disponibilità di una persona a credere a qualunque cosa la Chiesa potesse insegnare proprio per la ragione che la Chiesa lo insegnava. Un pericolo di questo approccio era che generasse una certa indifferenza verso il contenuto della rivelazione. Si sentiva dire da credenti che, se la Chiesa insegnasse che in Dio esistono cinque o dieci persone, essi lo crederebbero con la stessa fede con cui ora credevano nelle tre Persone divine.
Ora, la posizione del solum magisterium è sbagliata perché fa del magistero della Chiesa la norma suprema della fede [fa il paio col sola Scriptura di Lutero -ndT]. In altre parole, la Chiesa cattolica non ritiene che la sua autorità sia la base – “credo per autorità della Chiesa” – per assentire intenzionalmente alla verità divina che è creduta, insegnata e proclamata dalla Chiesa. Piuttosto, la Chiesa è uno strumento divino attraverso il quale acconsentiamo a quella verità.
La posizione del solum magisterium è sbagliata perché fa del magistero della Chiesa la norma suprema della fede. 

Consideriamo qui, ad esempio, le osservazioni di Ratzinger sui limiti dell'autorità della Chiesa riguardo all'ordinazione delle donne. Le sue osservazioni qui riguardano la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II del 1994, Ordinatio Sacerdotalis. Ratzinger scrive riguardo all'affermazione chiave di questa Lettera:
[Volendo restare fedele all’esempio del Signore], «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». In questa affermazione il Magistero della Chiesa professa il primato dell'obbedienza e i limiti dell'autorità ecclesiastica: La Chiesa e il suo Magistero hanno autorità non in sé e per sé, ma piuttosto solo dal Signore. La Chiesa credente legge le Scritture e le vive... nella comunione viva del popolo di Dio di ogni tempo; sa di essere vincolata da una volontà che l'ha preceduta, da un atto di “istituzione”. Questa volontà preveniente, la volontà di Cristo, si esprime nel suo caso con la nomina dei Dodici.
E più di trent’anni prima Ratzinger scrive sulla stessa linea:
La “tradizione” infatti non è mai una semplice e anonima trasmissione di un insegnamento, ma è legata a una persona, è una parola viva che ha nella fede la sua realtà concreta. E, viceversa, la successione [apostolica] non è mai l'assunzione di alcuni poteri ufficiali che sono poi a disposizione del titolare; è piuttosto un essere assunti al servizio della Parola, all'ufficio di testimoniare qualcosa che ci è stato affidato e che sta al di sopra del suo portatore, così che questi passa in secondo piano rispetto a ciò che è preponderante ed è [per usare l'immagine meravigliosa di Isaia e di Giovanni Battista) solo una voce che fa sì che la Parola sia ascoltata nel mondo.
Il punto principale che Ratzinger sottolinea qui è che l'autorità del magistero della Chiesa non si fonda su se stessa, e quindi non è la Chiesa stessa la norma della fede. La Chiesa afferma il primato dell'autorità di Dio, della Sua Parola, insomma della rivelazione divina, sull'autorità magisteriale della Chiesa, che è autorità derivata da Cristo.

Certo, la Chiesa ha l'autorità d'insegnare, anzi partecipa dell’autorità della Scrittura, ma “è solo una regola secondaria”, dice Yves Congar, “commisurata alla regola primaria, che è la Rivelazione divina”. Forse possiamo chiarire meglio questo punto distinguendo tra la “ragione formale” della fede e l'autorità magisteriale della Chiesa. Il primo è il motivo per cui crediamo in qualcosa, ad esempio che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. Lo crediamo in virtù della rivelazione divina. “La rivelazione divina è quindi la ragione senza la quale non ci sarebbe motivo di avere fede”. Quest’ultima – l’autorità della Chiesa – è il mezzo di cui dispone la Chiesa “per evitare di perdere quella rivelazione preziosissima”. Il cardinale domenicano Caietano (1469-1534) spiega quali sono questi mezzi:
E affinché nessun errore apparisse nella proposta o nella spiegazione delle cose da credere, lo Spirito Santo ha provveduto una regola costituita, che è il senso e la dottrina della Chiesa, così che l'autorità della Chiesa è la regola infallibile della proposizione e spiegazione di cose che bisogna credere per fede. Nella fede concorrono quindi due regole infallibili, cioè la rivelazione divina e l'autorità della Chiesa; c'è tra loro questa differenza: la rivelazione divina è la ragione formale dell'oggetto di fede, e l'autorità della Chiesa è il soggetto che amministra l'oggetto di fede.
La negazione del solum magisterium rinuncia all'autorità del magistero? In altre parole, il magistero della Chiesa è, secondo le parole del cardinale Dulles, “capace di certificare la verità rivelata con autorità divina”? Sì, il magistero della Chiesa serve come “colonna e sostegno della verità” (1 Timoteo 3:15), nel senso che parla in modo autorevole e dogmatico a tutta la Chiesa in nome della Chiesa. Come insegna Dei Verbum §10,
Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.
In sintesi, il cardinale Dulles spiega un moderato infallibilismo riguardo all'autorità del magistero e un corrispondente carisma per preservare la Chiesa:
  1. Dio fornisce alla Chiesa mezzi efficaci perché essa possa continuare a rimanere nella verità del Vangelo fino alla fine dei tempi.
  2. Tra questi mezzi rientrano non solo le Scritture canoniche ma anche, come controparte essenziale delle Scritture, l'ufficio pastorale. Senza tale ufficio pastorale la comunità cristiana non sarebbe adeguatamente protetta contro le corruzioni del Vangelo.
  3. L'ufficio pastorale è esercitato per la Chiesa universale dal detentore dell'ufficio petrino (che significa, per i cattolici, dal papa). È quindi ragionevole supporre che il papa sia dotato da Dio di uno speciale carisma (o grazia di stato) per interpretare correttamente il Vangelo alla Chiesa universale, come le circostanze lo richiedano.
  4. Affinché il papato possa adeguatamente adempiere alla sua funzione di preservare l'unità nella fede e di smascherare errori pericolosi, il carisma papale deve includere il potere di affermare la verità del Vangelo e di condannare gli errori contrari in modo deciso e obbligatorio. I pronunciamenti autorevoli dell'ufficio petrino che vincolano seriamente tutti i fedeli devono avere una verità sufficientemente certificata, poiché non potrebbe esserci alcun obbligo di credere a quello che probabilmente potrebbe essere un errore.
In che modo, allora, l’ufficio petrino certifica adeguatamente la verità? Se la tradizione e la Chiesa sono intrinsecamente e necessariamente legate alla Scrittura, cioè costituiscono una rete di autorità interdipendenti, presumibilmente ciò significa che la Chiesa non può giustificare, o certificare adeguatamente, nessuna verità proveniente dalla sola Scrittura, ma del resto nemmeno solo dalla tradizione, né solo dal magistero. Sì, queste autorità funzionano insieme (ciascuna a modo suo) differendo nel grado di autorità, con la Scrittura che è la regola suprema della fede, la norma normans non normata (la norma senza norme su di essa), in modo tale che la Scrittura non è sottomessa a tradizione o al magistero della Chiesa.

La Chiesa, inoltre, non ritiene che il magistero della Chiesa operi per conto proprio, cioè senza riferimento ad alcuna norma superiore. Ancora, nella Dei Verbum, §10:
È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.
C’è una coerenza tra Scrittura, tradizione e Chiesa nel modello dell’autorità teologica tale che in modo intrinseco e necessariamente correlato essi “sono così legate e unite insieme che l’una non può stare senza le altre”. Ma “ciascuna a suo modo” opera sotto l’azione dello Spirito Santo in modo tale che all’interno di quel modello la Scrittura ha la priorità – prima Scriptura, secondo Dei Verbum, §21–26. Probabilmente, quindi, quando Dei verbum afferma una relazione necessaria e intrinseca della tradizione e della Chiesa con la Scrittura, afferma anche una prima Scriptura, anzi, chiama la Scrittura la “regola suprema della fede”.

Quindi, con buona pace dell’arcivescovo Fernández, non può esistere qualcosa come la “dottrina del Papa”. Questa frase mi ricorda il riferimento di un giornalista alla messa funebre di Giovanni Paolo II al “divieto del papa” sulla contraccezione, sulle donne prete, ecc. Non esiste una cosa del genere. Come giustamente afferma il cardinale Charles Journet riguardo all'attività del magistero di insegnare la verità della fede, è quindi necessario che vi sia
un'infallibile omogeneità e continuità tra il deposito della fede divinamente rivelato, rivelato una volta per tutte dagli apostoli, da un lato, e la sua effettiva conservazione attraverso i secoli mediante un insegnamento divinamente assistito, dall'altro.
Il punto di Journet non è incoerente con l'idea e la pratica dello sviluppo dottrinale espressa da San Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura al Vaticano II, ribadendo il Vaticano I, che, a sua volta, citava Vincenzo di Lérins: “Per il deposito della fede, il una cosa sono le verità contenute nella nostra veneranda dottrina; il modo in cui si esprimono, ma con lo stesso significato e lo stesso giudizio [ eodem sensu eademque sententia ], è un’altra cosa».

La clausola subordinata in questo passaggio è parte di un passaggio più ampio della costituzione del Concilio Vaticano I, Dei Filius, e questo passaggio è esso stesso dal Commonitorium 23 di Vincenzo di Lérins:
Ci sia dunque crescita e progresso abbondante nell'intelligenza, nella conoscenza e nella sapienza, in ciascuno e in tutti, nei singoli e in tutta la Chiesa, in ogni tempo e nel corso dei secoli, ma solo entro i dovuti limiti, cioè entro lo stesso dogma, lo stesso significato, lo stesso giudizio (in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia).(1)
Anche se le verità di fede possono essere espresse diversamente, la Chiesa deve sempre valutare, alla luce delle garanzie ecclesiali, come le Sacre Scritture, i concili ecumenici, i dottori della Chiesa, i fedeli cristiani e il magistero, se quelle nuove verità le formulazioni preservano lo stesso significato e giudizio ( eodem sensu eademque sententia ), e quindi la continuità materiale, l'identità e l'universalità di quelle verità. Solo allora potremo distinguere tra vero e falso sviluppo.
Eduardo Echeverría 

 Eduardo Echeverria è professore di Filosofia e Teologia Sistematica al Seminario Maggiore del Sacro Cuore di Detroit. Ha conseguito il dottorato in filosofia presso la Libera Università di Amsterdam e il STL presso l'Università San Tommaso d'Aquino (Angelicum) a Roma. È autore di diversi libri, tra cui Dialogue of Love: Confessions of an Evangelical Catholic Ecumenist (Wipf & Stock, 2010).
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Nota di chiesa e post.concilio
Sempre dal Commonitorium: «È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l'andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l'età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.»
* * * 
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
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34 commenti:

da ex studente di Giurisprudenza ha detto...

Forse ho trovato insegnanti di religione piuttosto... strani, ecco, ma una cosa di questo tono l'ho sentita una quarantina d'anni fa. Sì, uno di questi insegnanti aveva detto (circa, dopo tanto tempo posso non ricordare esattamente) che la Rivelazione non si è fermata alle Scritture ma è continuata attraverso i Padri della Chiesa fino a proseguire tuttora nelle parole dei Pontefici.
Che stiano esasperando il concetto, forse oltre il lecito?

Anonimo ha detto...

Mi sembra che i danni che ha provocato alla Chiesa Cattolica l'ordine dei Gesuiti con i suoi principali esponenti, teologi, cardinali e quant'altro, a partire dal CVII, sia enorme. Il Papa attuale ne è l'espressione tangibile.
Leggo del nutrito gruppo di gesuiti che prenderà parte, con voce in capitolo, al prossimo sinodo e spontanea sorge la domanda: dove vogliono arrivare, dove pensano gli sia consentito arrivare? Sono già "oltre la linea", in odore di eresia, lo registrano ormai varie analisi di schietti studiosi di area conservatrice.
È ora di ergere muri a sostegno della Verità. È ora di sguainare le spade per difenderla. È ora che che il clero segua gli esempi del Vescovo Strickland, di Mons. Viganò e altri pochissimi.

Gz

Anonimo ha detto...

Per onestà va detto che anche ai tempi del Concilio Vaticano I c'erano esponenti ultramontanisti che esageravano le prerogative papali, quanto stiamo vivendo ha quindi radici lontane, e voglia il cielo che magari proprio in questa crisi possiamo risolvere tale problema
Roberto De Albentiis

Anonimo ha detto...

1) Sarò approssimativo e schematico, o non in grado intellettualmente di apprezzare la profondità del dibattito
- 2) Ma il problema mi sembra (schematicamente) semplice: abbiamo avuto papi eretici, libertini, assassini, non vedo interesse a dibattere le questioni in oggetto
- 3) Ecclesia fluctuat nec mergitur, e tanto peggio per i papolatri e per chi creda loro
Arnaldo T. Maria Canziani

Anonimo ha detto...

L'esempio di Mons. C. M. Viganò, più che altro.

Anonimo ha detto...

Guardi 40 anni sono una sciocchezza, i guastatori già guastavano da molto prima.

Anonimo ha detto...

Ho letto poco, anche per me è troppo. Però credo che tutto dipenda dall onestà intellettuale, dalla superbia anche e dalla purificazione del soggetto. Ci vuole molto tempo per la purificazione e completamente è difficile da trovare, a fronte anche di una purificazione buona rimangono tanti lati ancora oscuri, ammalati, fuori sentiero. Anni ed anni fa una signora sottolineó che un tempo, a tavola, non si poteva parlare prima dei 40 anni. Figuriamoci per la religione, meglio, per la Fede! Assimilare realmente cosa sia l Onnipotenza di Dio, sì può imparare la parola anche nella prima infanzia, ma comprenderla, assimilarla, farla diventare carne e sangue è un altra cosa ed è strettamente individuale nei tempi e nei modi. Quindi direi che un sacerdote non dovrebbe pubblicare nulla prima dei sessanta anni. Può scrivere quanto vuole e quello che vuole, ma passare al vaglio quello che ha scritto dopo i 60 anni. Nel mentre si vede come è vissuto e poi si legge quello che forse alcuni gli hanno consigliato di pubblicare, insomma si controlla prima di mandare in giro qualunque pensiero. Credo che per il clero la libertà di stampa proprio non dovrebbe esistere. Tra i voti dovrebbe esserci anche quello di non pubblicare prima dei sessanta anni. Questa dovrebbe essere una buona cosa per tutti, per i sacerdoti che hanno più tempo per studiare, meditare, pregare e per i fedeli che sono messi al riparo delle stravaganze che il sacerdote assorbe inevitabilmente dal suo tempo.

max ha detto...

Quando i modernisti non erano al potere attaccavano l'autorità pontificia. Basta vedere quello che fecero con Benedetto XVI, ma anche con Giovanni Paolo II e Paolo VI. Ora invece che sono al potere, l'autorità del Papa è sacra e inviolabile, e nessuno può metterla in discussione.

Anonimo ha detto...


FT ma sino ad un certo punto.

L'agenzia Reuters (di parte, schierata con i Poteri Forti, cosiddetti) sta seguendo attentamente le vicende di Lampedusa e dintorni. In genere si basano su corrispondenti locali, integrati da altri del "sistema". Hanno subito notato (servizio di oggi) che Meloni sta cercando di alzare il tiro. INfatti ha invocato una missione navale europea ma non per salvare i c.d. "migranti" bensì per pattugliare le coste africane e impedir loro di arrivare alle nostre. Giusto, no? E difatti, la Reuters si preoccupava subito di far intervenire esperti di immigrazione e di diritto internazionale per affermare che una "missione" del genere non si può fare, sarebbe contro il diritto internazionale, il diritto di emigrare, i diritti umani etc.
Sono tutti pronti a saltare addosso al governo di CD, con coltelli ben affilati.
Difficile muoversi in una situzione del genere. Chi critica Meloni (ma perché sempre solo lei?) dovrebbe tener conto della situazione internazionale ossia dei rapporti di forza, che ci schiacciano.
Allora, ci arrendiamo e ci prepariamo ad offire il collo al carnefice maomettano che ci sta invadendo alla grande, con la complicità aperta e vantata [!!!] della Chiesa cattolica attuale? No, mai.
Bisogna aguzzare l'ingegno, fare delle critiche costruttive, elaborare degli spunti validi, cercare di far gruppo di pressione su Georgia & Co.
Per esempio. La Francia ha sospeso unilateralmente il trattato di Schenghen (sono strapieni di "migranti" e di arabi stanziali) e blocca adesso alle sue frontiere tutto quello che può. E noi perché non sospendiamo anche noi il trattato infausto di Schengen, quello che garantisce il libero movimento interno tra i paesi che lo riconoscono?
Articolo de il Giornale: due giudici di sesso femminile hanno bloccato i respingimenti alla nostra frontiera orientale,vedi un po'. Ma a che punto è la riforma della Giustizia, Nordio adiuvante, odiatissima dai giudici, è ovvio? Quand'è che diventa legge? È una riforma difficile, lo sappiamo, ma insomma bisogna procedere.
I "berlusconidi" nella coalizione di governo, che fanno?
Bisogna poi elaborare il concetto che il diritto di migrare non esiste. E che questa non è comunque una migrazione ma un'invasione bella e buona.
Non basta pregare, tra l'altro anche perché fallisca l'infame Sinodo dei Sinodi, bisogna anche tirar fuori qualche valida idea.
L'Islam ci sta invadendo in dosi sempre più massiccie, siamo in guerra e da tempo, ci attaccano da fuori e da dentro. Occorre fare un salto di qualità.
Z.

Gederson Falcometa ha detto...

L'articolo dal lontano 2012 di Giovanni Servodio "Esercizio di esegesi della Tradizione: da Giovanni Paolo II a Mons. Bernard Fellay - http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV256_Esegesi_della_Tradizione.html tratta dello stesso problema:

"Questa annosa questione sembra non avere soluzione, se non quella già indicata da Giovanni Paolo II: non opporsi “al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi”, tale che il dilemma tra oggettività e soggettività verrebbe meno, non perché risolto, ma perché negato.

Quando Giovanni Paolo II affermava che il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi “detengono” il Magistero, e quindi non può esistere una nozione di Tradizione che si opponga a questo Magistero, sosteneva semplicemente che Tradizione, Magistero e Vescovo/i, sono tutt’uno, e che quindi non esiste un rapporto condizionante fra Tradizione e Magistero, tale che la prima, oggetto attivo, imponga al secondo, soggetto passivo, la funzione di “trasmettitore”. Se il soggetto “detiene” l’oggetto, è inevitabile che questo secondo non esista più nella sua oggettività, se non attraverso la soggettività del primo. Vale a dire che il Magistero è l’unico criterio della Tradizione. Ma, in questo modo, non avendo lo stesso Magistero, di per sé, alcuna oggettività, in quanto essa è negata a priori, l’unica cosa che rimane, in perfetta coerenza, è la soggettività del Vescovo/i. In ultima analisi, la Tradizione, e il Magistero stesso, si identificherebbero con l’unico soggetto reale che ha la connotazione di “vivente”: il Papa e il Corpo dei Vescovi: sarebbero essi il Magistero e la Tradizione.

L’inversione è così realizzata: il Papa e i Vescovi non “trasmettono” più la Tradizione, che è altro dal loro esistere, ma “sono” la tradizione, tale che questa non si possa più considerare un “dato” da “trasmettere” lungo l’esistenza e aldilà di essa, bensì il frutto di questa stessa esistenza; fino al punto che si è costretti a concludere che in questo modo la Tradizione non esiste, perché, una volta eliminato l’oggetto da trasmettere, non può esistere per definizione".

Ambrosius ha detto...

La rivelazione se è finita con la morte dell'ultimo apostolo. Ratzinger è chi critica questo nel suo libro "Natura e compiuto della Teologia":

"I. L’aporia della storia dei dogmi in campo cattolico e protestante

1. Dichiarazioni del magistero cattolico nel sec. xix e inizio del xx In pratica la reazione al problema della storicità del fatto cristiano fu radicalmente diversa nel campo cattolico da quello protestante appunto in relazione alle diverse premesse sistematiche con le quali lo si affrontò. In ambito cattolico innanzitutto divennero normative due prese di posizione del magistero ufficiale che delimitavano i confini della ricerca scientifica indicandone altresì l’orientamento corretto. Il Concilio Vaticano i contrappone la dichiarazione dell’immutabilità all’evoluzionismo teologico dicendo che in materia di fede l’oggetto non è una dottrina che si perfeziona a poco a poco attraverso lo sforzo umano come un sistema filosofico, si tratta invece del divinum depositum (parathéke: 1 Tm 6,20; 2 Tm 1,12.14) affidato alla Sposa di Cristo per essere custodito fedelmente e spiegato in modo infallibile. Per i dogmi quindi bisogna conservare «per sempre» {perpetuo), senza allontanarsene mai con il pretesto di un criterio superiore2, quanto «una volta» (semel) la Santa Madre Chiesa ha esposto. In conformità a ciò il canone corrispondente dichiara scomunicato chi in forza del progresso scientifico ritiene possibile applicare ai dogmi della Chiesa un senso diverso da quello in cui Essa lo ha inteso e lo intende tuttora3. Con queste affermazioni non veniva certo toccato il problema di una storia della fede in senso stretto, in quanto esse si opponevano ad un’interpretazione del dogma diversa e modernizzante, a quella cioè che si potrebbe chiamare interpretazione ideologica del dogma, che in concreto non aveva più nulla a che fare con una vera storia della fede. Essa anzi era preservata nel testo di Vincenzo di Lerino, citato dal Concilio, che parla di una crescita e di un... approfondimento progressivo di conoscenza sia del singolo che di tutta la Chiesa, pur restando invariato il senso del dogma. In questo modo veniva presentata quasi una definizione dell’effettivo divenire storico, la cui essenza consiste appunto in una diversità nell’identità, in una trasformazione e in una apertura progressiva di un soggetto che ciononostante resta invariato. Solo dove è presente questa identità dell’elemento che permane nella trasformazione si può parlare di storia in senso proprio (diversamente si tratterebbe di giustapposizione di fatti senza rapporto fra loro, che non comporterebbe ancora una storia); al contrario dove ha luogo effettivo progresso ed evolversi si può parlare di storia, giacché la semplice identità dell’elemento permanente non costituisce di per sé storia. Pertanto si può dire che le determinazioni del Concilio Vaticano i non avevano escluso del tutto una storia della fede, anzi in certo senso avevano offerto un principio di comprensione storica, ovviamente inadeguato, tanto più che resta legato al concetto astorico di tradizione che Vincenzo di Lerino aveva sviluppato in antitesi al tardo Agostino. Il «semper-ubique-ab omnibus», con cui il semipelagiano Vincenzo aveva definito la tradizione, non significava soltanto il rifiuto specioso di ciò che Agostino aveva sviluppato dal principio paolino, ma insieme (come vedremo) il ripiegare il concetto dinamico di sviluppo della patristica in una rigidità astorica, che dalla riscoperta di Vincenzo da Lerino fino alla fine del Medioevo appesantì gravemente il concetto di Tradizione, fino ad impedire una comprensione storica del Fatto cristiano4.

Ambrosius ha detto...

Continuazione:

Nello stesso senso agì anche la seconda decisione del magistero sull’argomento, all’inizio del sec. xx, vale a dire il capitolo sul concetto di rivelazione e di dogma del decreto Lamentabili di Pio x. In questa sede per la prima volta venne formulato ufficialmente un assioma da lungo tempo dato per scontato, che esprime tecnicamente un dato fondamentale della fede cristiana. Nella sua formulazione però evidenzia un’insufficiente riflessione del rapporto fra rivelazione e storia, precisamente nell’affermazione che la rivelazione, oggetto costitutivo della fede cattolica, si conclude con gli Apostoli5. Fu anche condannato l’asserto che i dogmi non sono verità cadute dal cielo ma solo interpretazioni di concretezze religiose che lo spirito umano è riuscito a far proprie con faticosa ricerca6. Certamente è molto difficile stabilire il senso e l’obbligatorietà di questa condanna; è un fatto comunque che per analogie con fatti simili nella storia della Chiesa, le singole condanne del decreto Lamentabili non possono essere sopravvalutate. Il decreto ha valore nel suo insieme in quanto condanna un indirizzo radicalmente evoluzionistico e storicistico, definito in blocco modernismo, che si esprime in asserti più o meno particolari, senza escludere che presi a sé essi possano avere un senso corretto (come ha dimostrato molto bene Knox nel suo libro sul fanatismo cristiano relativamente al caso analogo della condanna del quietismo)7. Ritornando al decreto Lamentabili non gli si possono attribuire affermazioni proprie sul problema della storicità della fede, che vadano oltre quelle del Vaticano i. In quella data situazione storica tutto questo significa certamente che la Chiesa cattolica praticamente si chiuse, in un primo tempo, alla questione sollevata dallo spirito moderno circa la storicità della fede, e che il primo atto di distinzione da tale problema fu un rifiuto radicale di esso". Natura e compito della teologia, Joseph Ratzinger

Anonimo ha detto...

"Voi cattolici - mi diceva il filosofo con il suo gusto ironico - avete resistito impavidi per quasi due secoli all'assedio della modernità. Avete ceduto proprio poco prima che il mondo vi desse ragione. Se tenevate duro ancora per un po', si sarebbe scoperto che gli "aggiornati", i profeti del futuro "post-moderno" eravate proprio voi, i conservatori. Peccato. Un consiglio da laico: : se proprio volete cambiare ancora, restaurate, non riformate. È tornando indietro, verso una Tradizione che tutti vi invidiavano e che avete gettato via, che sarete più in sintonia con il mondo d'oggi, che uscirete dall'insignificanza in cui siete finiti, "aggiornandovi" in ritardo. Con quali risultati, poi? Chi avete convertito, da quando avete cercato di rincorrerci sulla strada sbagliata"? (dialogo fra Gianni Vattimo e Vittorio Messori in "pensare la storia", Edizioni Paoline 1992)

Anonimo ha detto...

Tradizione può essere appaiata a Classicità, ogni materia di studio ha i suoi classici che la sostengono. I classici sono quelli di ieri che hanno espresso il Vero chiaro, semplice, in forma prossima alla umana perfezione. Chi realmente vuol dare un aiuto al suo tempo non può non rifarsi ai classici che hanno già magnificamente zappato seminato raccolto e custodito per i contemporanei e per i posteri. I classici sono gli avi che lasciano i loro beni preziosi per migliorare la vita dei discendenti. Così la Tradizione è il patrimonio di famiglia che la rende capace di andare avanti senza impoverirsi, ammalarsi perché ha quanto le necessita per vivere bene in modo sano e santo. Forse ogni generazione è nata e nasce moderna, con l anelito di fare a modo suo, senza nessun aiuto da parte di chi più di lei sa e sapeva, ma nessuna generazione può crescere senza il patrimonio dei Padri che le viene consegnato. Questa nostra modernità ha, fin dalla nascita, ridicolizzato eppoi negato Dio, arricchendosi solo in superbia e questa ricchezza superbissima ha finito con l avvelenare anche tutti gli uomini compresi moltissimi di Chiesa. Questo duro e severo impazzimento delle guide e delle moltitudini può essere risanato solo con un costante bagno di umiltà che consenta a molti di conoscere il loro Patrimonio, Tradizione e Classicità, di saperlo amministrare per poterlo consegnare ai loro posteri.

Anonimo ha detto...

Il salto di qualità lo si fa uscendo dalla UE, riacquistando la sovranità politica, monetaria in primis. E come? Riformando la Banca d'Italia, rimettendola sotto il Ministero del Tesoro, ridandole forma giuridica pubblica effettiva (non come ora, controllata dalle banche private di sistema) e una nuova moneta alternativa all'euro (inizialmente magari abbinata ad esso).
L'idea di riformare la UE è utopica, in quanto la costruzione è fatta in modo tale che o si accetta questo stato di cose che porta ad un superstato dispotico, oppure la si fa implodere e la si ricostruisce da capo, creando un'Europa confederale, con limitatissimi poteri delegati al "centro", e ampi poteri agli Stati, cosa che però non sarà mai permessa da lorSignori. E allora, meglio uscire dal circolo.
Quello con la UE è l'unico matrimonio non indissolubile, ricordiamolo.

Gz

Anonimo ha detto...

Forse all' epoca il filosofo la pensava così, perché in seguito ha cercato di attaccare il cattolicesimo dall' Interno, vedi pensiero debole

Anonimo ha detto...

Non possiamo uscire dalla UE, dato che contiamo come il 2 di coppe a comanda bastoni, l'accordo proposto da GM con la Tunisia che prevedeva la concessione di una notevole somma di denaro, è stato bloccato dalla Germania e ricordo che fu Merkel da sola, senza avallo della UE, a dare una montagna di soldi ad Erdogan e abbiamo visto come ci tratta, l'unica nostra speranza è che F e D collassino, allora possiamo alzare la testa, ma di poco, prima che arrivino gli UKUSA.......

Murmex ha detto...

Beata ingenuità, gent. MAX! I modernisti erano già al potere . ( vedi Paolo VI, più potere di così...ma anche il dirompente Wojtyla, e il" mite" Ratzinger .. della cui" mitezza" abbiamo un esempio proprio sopra). Il povero Bergoglio è stato allevato, ha fatto carriera, è stato insignito del cardinalato in quel clima lì, o sbaglio?.È il frutto maturo, forse neppure il più colpevole, porta alle estreme conseguenze ciò che era già in nuce.

Murmex ha detto...

A biamo avuto Papi libertini, assassini e tutto ciò che vogliamo, MA NON ERETICI. ( per lo meno eretici pubblici, e che abbiano insegnato l'eresia,). Ciò NON È POSSIBILE . A MENO DI SCONFESSARE IL VANGELO. La conseguenza? Traetela voi.

Anonimo ha detto...

Uhm, ci vorrebbe un italo Viktor Mihály Orbán ...

Murmex ha detto...

Gent. Se Albertiis , cosa vuol dire? Vuole sconfessare il dog.a dell'infallibilita del Magistero solenne e di quello ordinario? Penso proprio di no. E allora che rilevanza ha che ci fossero"ultramontanisti" ( posto che sia così) in quel Sacro Concilio?

Murmex ha detto...

Grazie di questo intervento, gent. GEDERSON. Chiaro e lampante modernismo, per chi non chiude volontariamente gli occhi.

Murmex ha detto...

Ma guardi che finora i suddetti non hanno sgranato nessuna spada. Speriamo lo facciano

Murmex ha detto...

Premetto che non apprezzo GP II, ma, per quanto ne capisco , questo concetto di" Magistero vivente" non è errato. Nel senso che , per divina istituzione, ogni Papa, nella storia, ha provveduto a esercitare questo Magistero, in forma solenne o ordinaria. Trasmettendo fino a noi il deposito( oggettivo) della Fede, secondo le esigenze dei tempi( ad esempio, per combattere le eresie, o per evidenziare o solennizzare una verità perenne). Se no sarebbe bastato s, Pietro. Ma, questo è il punto, senza mai contraddirsi senza mai negare, cambiare, negare un dogma. Ribadisco: sarebbe stato impossibile, la Chiesa è stata costituita Madre e Maestra, infallibile e indefettibile, sulla roccia della Fede di Pietro. Ma, si dirà, ora i modernisti hanno preso il potere...ma secondo voi, con queste premesse, che non possono essere negate perché di Fede, può essere un potere legittimo, o lo è solo "di fstto" ?

Ambrosius ha detto...

Caro Murmex,

Ancora sul Ratzinger, esiste la storia della sua tesi di dottorato, come se può leggere:

"A pagina 50 Valente affronta la discussione della Tesi di laurea di Ratzinger e intitola il paragrafo “Una Tesi modernista”. Infatti Ratzinger aveva scritto in essa che “la Rivelazione [doveva essere] percepita come storia della salvezza e non secondo l’impostazione neoscolastica, che concepiva la Rivelazione come l’insieme oggettivizzato dei contenuti di verità […]. Ratzinger si spingeva anche oltre, fino a suggerire che tale concezione della Rivelazione […], implicava necessariamente la presenza di un soggetto ricevente, senza il quale non potrebbe avvenire alcuna trasmissione di verità rivelate” (p. 51). È la stessa teoria soggettivista ed evoluzionista della Verità rivelata, esposta sopra, che Ratzinger presenta nel 1956 alla Tesi di laurea. Ma se il relatore era l’idealista Söhngen, il correlatore della Tesi era il tomista Michael Schmaus, il quale “disse a Söhngen: ‘guarda che questo lavoro è modernista, non posso farlo passare’. In certi passaggi della Tesi Schmaus vedeva un pericoloso soggettivismo che metteva in crisi l’oggettività della Rivelazione” (p. 52). La Tesi non fu bocciata totalmente, come aveva chiesto Schmaus, e, grazie all’ intervento di Söhngen venne restituita al candidato con l’ordine di sottoporla a revisione radicale. “Per risolvere l’impasse e aggirare l’ostacolo Ratzinger ricorse a un escamotage. Si è accorto che la parte finale della Tesi […], è passata quasi indenne sotto la furia censoria di Schmaus. Tale sezione […] costituiva un’unità tematica a sé stante e poteva anche essere letta come testo in sé compiuto” (p. 53) e quella sola parte fu ripresentata da Ratzinger nel 1957. Quando discusse la sua Tesi, il giovane Joseph, come racconta Läpple, fu interrogato da Schmaus il quale gli chiese “se secondo lui la verità della Rivelazione era qualcosa di immutabile o qualcosa di storico-dinamico. Ma non rispose Ratzinger. Prese la parola Söhngen, e i due professori iniziarono a scontrarsi. […] Alla fine arrivò il rettore a dire che il tempo era scaduto” (pp. 54-55) e la Tesi fu approvata. Oltre la gravità del fatto (modernismo recidivo e pertinace del giovane Ratzinger) occorre tener presente la sua astuzia, che ritroveremo durante il Vaticano II, come vedremo oltre, onde non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze: Ratzinger non è un ingenuo, tutt’ altro; è molto furbo sotto apparente ingenuità (cfr. l’ossimoro di Pera) e nei colloqui con lui non bisogna mai dimenticarsene, altrimenti si resta scottati".

Alla domanda di Schmaus, Ratzinger ha risposto (50 anni, dopo?) nella presentazione della sua opera omnia dicendo:

"Se la Rivelazione nella teologia neoscolastica era stata intesa essenzialmente come trasmissione divina di misteri, che restano inaccessibili all'intelletto umano, oggi la Rivelazione viene considerata una manifestazione di sé da parte di Dio in un'azione storica e la storia della salvezza viene vista come elemento centrale della Rivelazione. Mio compito era quello di cercare di scoprire come Bonaventura avesse inteso la Rivelazione e se per lui esistesse qualcosa di simile a un'idea di "storia della salvezza"".

Ora, se la rivelazione è questo, reitero appena il "solução magisterium".

Anonimo ha detto...


Nella sua Opera Omnia, curata dal card. Brandmueller, Ratzinger ha riprodotto inalterata la sua discutibile tesi di laurea.
Mi ricordo che mons. Gherardini era molto scandalizzato del fatto (ricordo personale).
Nell'Enciclica Spe salvi, Ratzinger mette il ricco Epulone della famosa parabola in Purgatorio e non si capisce se l'Inferno sia per lui un luogo (soprannaturalmente creato) effettivamente esistente o uno stato psichico del peccatore, di colui che vive nella separazione da Dio, soffrendone le amare conseguenze nella sua psiche.
Negare o comunque oscurare l'esistenza dell'Inferno come luogo di "eterna dannazione" tra i tormenti, luogo e non stato psichico di uno che è morto, della sua anima o del suo spirito quando è ancora in vita, ciò costituisce violazione del dogma della fede.
Non so se la Chiesa imponga di credere letteralmente all'immagine delle fiamme, dello zolfo etc. Tuttavia, ordina di credere che l'Inferno è un luogo nel quale l'anima è condannata a stare per sempre (con il corpo dopo il GU) immersa nel dolore atroce della sua separazione da Dio, infinito amore.
Comunque, è bene credere all'immagine letterale, con i relativi tormenti, alimentati da un "fuoco" che esiste realmente, anche se soprannaturale.

Anonimo ha detto...

Ho letto recentemente di Romano Guardini, Le cose ultime. Che devo rileggere con più attenzione, tuttavia pur escludendo l immagine delle fiamme infernali, lui batte sulla giustizia del Signore, sulla Sua trasfigurazione, passione, morte, resurrezione, ascensione e sul concetto di eternità. Ora pur non capendo tutto e pur avendo fiducia nella ortodossia dell autore, in alcuni passaggi ho avuto l impressione che, volendo, là e qua si sarebbero potuti aprire dei varchi incoerenti.
Certamente le immagini hanno più presa sul sentimento, le fiamme le capiscono tutti diciamo che sono un insegnamento democratico popolare, mentre i concetti son di difficile assimilazione e sono sempre collegati ad una certa catena di altri concetti, spostando uno solo dei quali si rischia di dare, al meno, una diversa sfumatura a quello che si voleva dire; ricordo che la nostra insegnante al liceo, quando eravamo ancora sognanti, batteva sull importanza del concetto, noi si annuiva, ma eravamo ancora nel pieno delle nostre immagini da sogno.
Credo che tutti abbiamo bisogno di questi due strumenti di comprensione, dell immagine e del concetto, nella sempre giusta sana santa misura della verità.

Gederson Falcometa ha detto...

"Nell'Enciclica Spe salvi, Ratzinger mette il ricco Epulone della famosa parabola in Purgatorio e non si capisce se l'Inferno sia per lui un luogo (soprannaturalmente creato) effettivamente esistente o uno stato psichico del peccatore, di colui che vive nella separazione da Dio, soffrendone le amare conseguenze nella sua psiche".

La cosa curiosa è l'enfasi sulla tradizione ebraica, come fattore determinante in quella cristiana. Questo al posto di ciò che Nostro Signore (il maestro), così come tutti i padri della Chiesa, papi, santi e dottori (discepoli) hanno insegnato sul destino di Epulione che sta all'inferno.

Cerca il suo ricordo personale della reazione di Mons. Gherardini, potrebbe dire qualcosa in più? Capiremo se non vorrai dirlo.

Anonimo ha detto...


Comunque sia, è difficile non prendere alla lettera l'immagine del fuoco e delle fiamme che bruciano in eterno, dal momento che l'immagine del "fuoco eterno" risale direttamente al Signore. Nel cap. 25 del Vangelo di Matteo, dove rappresenta a noi il Giudizio Finale, ad un certo punto afferma : " Infine dirà a quelli che sono alla sua sinistra: Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno, preparato pel diavolo e per gli angeli suoi. Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare etc." E conclude, dopo aver fatto l'elenco delle categorie dei dannati: "Costoro andranno all'eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna" (Mt 25, 41 ss.). C'è poi l'Apocalisse. Sempre in Matteo, non dice che gli increduli nel giorno del Giudizio saranno trattati peggio di Sodoma e Gomorra (Mt 10, 11-15)? E non lo specifica anche per gli Ebrei increduli, minacciando le loro città di un castigo peggiore di quello di Sodoma e Gomorra? "Guai a te Corazin! Guai a te Betsaida! [..] E tu Cafarnao, sarai esaltata sino al cielo? Tu discenderai sino all'Inferno perché se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli operati in te, oggi ancora sussisterebbe. E però ti dico che nel giorno del giudizio il paese di Sodoma sarà trattato meno duramente di te" (Mt 11, 21-24).
Credere all'esistenza letterale del fuoco eterno dell'Inferno sembra quindi più aderente ai testi e più prudente anche sul piano spirituale.
Le visioni dell'Inferno fatte avere a Santi e Beati del passato dovrebbero pertanto esser prese alla lettera. Una particolarmente terribile c'è all'inizio dell'autobiograia di S. Teresa d'Avila: il Signore le fece vedere dove l'avrebbe condotta alla fine la sua vita fin allora (non dissoluta ma) totalmente arida spiritualmente, persa dietro i sogni del mondo.
I veggenti di Fatima insistettero sempre nel dire che nella visione dell'Inferno fatta loro avere dalla Madonna, sentivano le urla terribili dei dannati come urla reali, una cosa da far venire l'infarto.

Anonimo ha detto...

Il Cristianesimo non disprezza affatto il corpo che infatti risuscita, ma il fuoco fa presto a ridurre in cenere un corpo umano, quindi il corpo che brucia, risorto o no, deve essere reso resistente alle fiamme per l eternità. Eternità che è una condizione senza tempo che non conosciamo e che forse si avvicina ad una meditazione ben fatta, non so. Certamente ci sono richiami alle fiamme.. eppoi forse ci sono due tipi di risurrezione, quella del figlio della vedova di Nain, che poi muore, e quella di Gesù Cristo che passa attraverso le porte, mangia e poi scompare, porta i segni della Crocifissione e poi ascende al Cielo... a me personalmente tutto ciò non suscita dubbi, conosco i miei limiti in problemi molto più semplici, sono esercizi di pensiero.

Anonimo ha detto...


La reazione di mons. Gherardini alla ristampa inalterata della tesi di dottorato di Ratzinger.

Mi ricordo che era rimasto scandalizzato, appunto. Sempre in privato, è ovvio, questo fu il concetto che espresse, da come mi ricordo:
È incredibile che, adesso che è Pontefice, Ratzinger lasci pubblicare la sua eterodossa tesi giovanile di dottorato senza almeno farla precedere da una sua nota, nella quale prendesse le distanze dalle (eterodosse) tesi all'epoca sostenute.
Questo il concetto manifestato dall'illustre e valoroso teologo, nel suo studio.
Mi ricordo anche che diceva non potersi dubitare dell'opinione critica (su Ratzinger) manifestata "dal grande Schmaus", il correlatore che voleva bocciare la tesi di Ratzinger.

Gherardini era stato nominato Canonico del Vaticano e abitava in un palazzo, quello dei Canonici e di altri, per chi guarda S. Pietro vi si accede dalla sinistra. Il palazzo sta di fronte al Cimitero teutonico, cosiddetto, chiuso il cimitero dentro il giardino di un altro palazzo.
Una volta gli chiesi quale fosse effettivamente la funzione di un "Canonico del Vaticano" o "vaticano". Lui mi disse che in teoria il Canonico avrebbe dovuto collaborare con il papa, consigliarlo nel suo alto ufficio, sempre a richiesta del papa, si capisce. Ma disse anche che in realtà lui, Gherardini, era piuttosto lasciato da parte.
Se mi ricordo bene, disse anche che l'istituto dei Canonici era in declino, i papi non li utilizzavano.

Anonimo ha detto...

Personalmente credo che siamo davanti a misteri che è impossibile svelare. Prendere o lasciare. La nostra intelligenza non ha la potenza e gli strumenti, almeno ora, per capire tutto. D altra parte la Fede questo è accettare quello che non cade sotto i nostri sensi e la nostra ragione. Si possono fare ipotesi e niente più. Noi non siamo onnipotenti, né onniscienti. Ci viene chiesto solo di tornare bambini, semplici, puri, innocenti,di amare Dio, Uno e Trino, e di amarci tra noi. Sempre consapevoli che pur affinando la nostra umanità sempre limitatissimi restiamo.

Anonimo ha detto...


Non ci viene chiesto solo di "tornare bambini". Ci viene chiesto anche di batterci apertamente per la difesa della fede, insozzata e tradita in primo luogo proprio dai pastori che dovrebbero custodirne il Deposito.
Questo non significa uscire dai nostri limiti, dei quali siamo ben consapevoli, significa solo fare il proprio dovere di battezzati e cresimati, milites Christi.
Nessuno pretende di risolvere il mistero del male o quello della predestinazione. Dobbiamo solo chiedere a Dio di avere il coraggio di fare quello che la retta fede ci impone di fare.

Anonimo ha detto...

Fernandez bergogliolatra?
Arnoldo T. Maria Canziani