Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 24 novembre 2025

Mentre l’Islam chiede visibilità e spazio e finora li guadagna, ai cristiani viene chiesto il silenzio e si adeguano

Qui l'indice degli articoli in tema.
Mentre l’Islam chiede visibilità e spazio e finora li guadagna, ai cristiani viene chiesto il silenzio e si adeguano

Questa mattina, scorrendo Instagram, mi sono imbattuta in un video di Isabel Brown, una commentatrice americana che seguo da tempo. Parlava di un tema che molti in Europa ignorano o non vogliono vedere: il pericolo dell’Islam istituzionale quando entra nelle strutture politiche e comincia a influenzare le leggi, la cultura e la vita quotidiana. Lei stessa afferma apertamente che l’Islam istituzionale non è compatibile con la civiltà occidentale, perché nei Paesi dove prende forma politica finisce sempre per limitare diritti fondamentali, in particolare quelli delle donne e delle minoranze religiose. Il suo discorso nasceva dalle elezioni di Zohran negli Stati Uniti, una situazione che avevo commentato anch’io giorni fa. Molti avevano capito il mio punto, ma altri mi avevano chiesto in che cosa la sua religione rappresentasse un problema e perché dovrebbe preoccupare più di un politico cattolico che tiene un rosario. Da cristiana, da pakistana e da persona che ha vissuto in un Paese dove la religione diventa legge, questa domanda mi fa preoccupare profondamente. Possibile che abbiamo perso completamente la capacità di distinguere?

E forse questa incapacità di distinguere nasce anche dal fatto che in Italia non si è mai davvero sperimentato cosa significhi vivere accanto a un Islam che non rimane privato, ma tende a radicarsi nelle strutture sociali. È un cambiamento che io ho iniziato a percepire già anni fa. Ricordo quando studiavo a Roma nel 2013: vedevo i primi segnali in alcuni quartieri, una presenza diversa che cominciava piano piano a diventare parte del paesaggio urbano. Oggi, vivendo a Torino, questa sensazione è diventata ancora più evidente. Le strade sono piene di donne con l’hijab, molte famiglie provenienti da Paesi di forte tradizione islamica, una presenza sempre più numerosa e visibile. E voglio dirlo con chiarezza: l’hijab non è il problema. Il vero problema è ciò che accade parallelamente: una crescente visibilità pubblica dell’Islam, mentre allo stesso tempo ai cristiani viene chiesto di fare un passo indietro, di non nominare Gesù a Natale per “non offendere”, di mettere la propria fede tra parentesi.

Questa asimmetria non è rispetto: è cancellazione. E mentre tutto questo accade, molti sembrano non collegare i punti. Si considera uguale un politico cattolico e uno musulmano, ignorando che il cattolicesimo – nella sua espressione moderna e secondo la dottrina della Chiesa – non pretende che lo Stato diventi cattolico. Un cattolico può portare un rosario, può ispirarsi al Vangelo, ma non chiede che il Codice di Diritto Canonico diventi legge civile. L’Islam istituzionale invece, nelle sue forme politiche, non separa religione e Stato. Io provengo da un Paese dove lo Stato e la religione sono un’unica cosa: in Pakistan la legge non esiste senza la religione, e la religione non esiste senza la legge. Le donne, i cristiani, le minoranze, i convertiti: tutti vivono sotto un sistema che decide ciò che possono o non possono fare in nome della religione. Il cristianesimo porta libertà; l’Islam politico porta controllo.

Non tutti i musulmani la pensano così, questo è evidente. Ma quando un politico musulmano parla apertamente del desiderio di portare la propria religione nella gestione della città — come è accaduto negli Stati Uniti — la domanda è legittima: quali parti della sua fede vuole tradurre in legge? Quale idea ha della libertà religiosa, dei diritti delle donne, della libertà di coscienza? Questi interrogativi non sono discriminazione: sono prudenza, sono responsabilità, sono memoria.

Il paradosso più grande, però, è che mentre l’Islam chiede visibilità e spazio, ai cristiani viene chiesto il silenzio. Nella scuola di mia figlia si parla e si celebra il Ramadan con naturalezza, mentre a Natale quasi bisogna evitare di nominare Gesù. È accaduto anche a me, anni fa a Roma, di sentirmi dire da uomini bengalesi: “Come fai a essere ancora cristiana? Perché non sei musulmana, venendo dal Pakistan?”. Questa mentalità la conosco bene, perché fa parte di un sistema dove l’identità islamica non resta mai solo personale, ma tende a espandersi nella società.

A giugno, durante una visita all’Acquario di Genova, sono rimasta colpita dalla grande presenza di famiglie bengalesi; lo stesso accade intorno al Vaticano, dove i negozi gestiti da comunità islamiche sono in aumento. A Torino, lo vedo ogni giorno. Non è razzismo, non è giudicare le persone — che meritano rispetto come tutti gli esseri umani — ma sarebbe ingenuo fingere che questa crescita non porti con sé un forte senso identitario. L’Europa, nel frattempo, perde le sue radici cristiane e sembra quasi vergognarsi della sua identità. L’Islam, invece, non perde mai il legame tra fede, cultura e comunità. E quando una religione cresce più velocemente delle altre, mentre quella “di casa” si indebolisce, il risultato finale non è difficile da immaginare.

Chi non ha vissuto in Paesi musulmani non può comprendere fino in fondo cosa significhi vivere sotto un Islam istituzionale. Non ha visto leggi sulla blasfemia, conversioni forzate, matrimoni precoci, discriminazioni verso le minoranze. Non ha visto cosa succede quando la religione non resta nella sfera privata. Io sì. E chi proviene da quei Paesi lo sa molto bene.

Non scrivo tutto questo per alimentare odio o paura. I musulmani non sono il nemico; sono persone amate da Dio, come ogni essere umano. Ma c’è una differenza tra rispettare le persone e ignorare i pericoli di un sistema politico-religioso che limita la libertà cristiana, la libertà delle donne e la libertà di coscienza. Posso amare il prossimo e, allo stesso tempo, dire con fermezza che non voglio vivere sotto un sistema che non concede la reciprocità: moschee qui, ma nessuna chiesa lì; libertà di predicare qui, ma nessuna libertà di conversione là.

L’Italia e l’Europa stanno cambiando. Il punto non è impedire questo cambiamento, ma capirlo, leggerlo, riconoscerlo con lucidità. Non dobbiamo odiare nessuno, ma non dobbiamo neppure essere ingenui. E se i cristiani non riescono più a distinguere la differenza tra la fede cattolica — che libera — e l’Islam politico — che controlla — allora il problema è molto più grande.

Scrivo tutto questo come donna cattolica, come pakistana che ha conosciuto l’altra faccia della medaglia, e come italiana d’adozione che ama profondamente questo Paese. Non parlo per paura: parlo per esperienza. E proprio per questo oggi sento il dovere di dirlo, con chiarezza, rispetto e coraggio.

* * *
Situazione del Pakistan
Negli ultimi giorni ho parlato con diversi giovani adulti della nostra comunità cristiana. Come sapete, il mio impegno per sostenere l’educazione dei nostri bambini e aiutare i nostri giovani a costruirsi un futuro migliore è una parte fondamentale del mio lavoro. E proprio ascoltando loro, ancora una volta, mi sono ritrovata davanti a una realtà che in Pakistan conosciamo tutti fin troppo bene. Molti di questi ragazzi hanno studiato, si sono impegnati, hanno fatto sacrifici. Eppure, quando cercano lavoro, si scontrano sempre con lo stesso ostacolo: la loro identità cristiana. La scena è sempre la stessa. Al termine del colloquio, dopo tutte le domande tecniche, arriva quella finale: “Di quale religione sei?” Quando rispondono “Cristiano”, il tono cambia. “Ti faremo sapere.” È una frase di cortesia che, da noi, significa semplicemente: “Non ti richiameremo.”

La cosa non mi sorprende più. Ho 38 anni e ricordo benissimo di aver vissuto la stessa identica esperienza quando avevo vent’anni e cercavo il mio primo lavoro. Andavo ai colloqui preparata, piena di speranza, convinta che contassero le competenze. Invece, anche allora, la mia fede diventava un problema. Durante un colloquio per insegnante d’inglese mi chiesero: “Cosa dice la Bibbia se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia?” Risposi: “Porgere l’altra guancia. Ma cosa c’entra con un colloquio per insegnare inglese?” Risero. “C’entra eccome.” Era chiaro che non stavano valutando la mia capacità di insegnare, ma se la mia identità religiosa fosse “accettabile”.

Sono passati quasi vent’anni, e i nostri giovani vivono ancora le stesse dinamiche. Nonostante l’istruzione, nonostante i progressi, la discriminazione rimane un muro invisibile che blocca intere generazioni. È un meccanismo silenzioso ma concreto, che costringe la nostra comunità a rimanere indietro, senza possibilità di competere alla pari, quando non subisce persecuzioni, anche cruente [qui - qui - qui]. 

Condivido tutto questo non per suscitare compassione, ma per far capire a chi vive altrove come stanno realmente le cose in Paesi come il Pakistan. Molti non immaginano nemmeno quanto sia un privilegio crescere in società dove la religione non è un criterio per accedere al lavoro, dove nessuno ti chiede quale fede professi prima di valutare le tue capacità. Da noi non è così. Da noi, la fede cristiana diventa la ragione per cui una vita può essere limitata, frenata, respinta.

Questa è la realtà che viviamo qui. Una realtà scomoda, spesso ignorata, ma che continua a segnare il futuro di migliaia di giovani cristiani. E non la racconto per chiedere pietà, né per presentare la nostra comunità come vittima: la racconto perché il silenzio protegge solo chi discrimina, mai chi subisce. Chi vive in Paesi dove la religione non determina il valore di una persona spesso non immagina cosa significhi crescere sapendo che il tuo cognome, la tua fede, la tua identità possono decidere se avrai un’opportunità o no. Per molti è un concetto lontano; per noi è la quotidianità.

E tuttavia, nonostante tutto questo, continuiamo ad andare avanti. Continuiamo a studiare, a formare, a sostenere i nostri giovani. Continuiamo a bussare a porte che spesso non si aprono, ma non smettiamo di farlo. Perché la nostra comunità non si arrende. Perché i nostri giovani meritano un futuro costruito sul merito, non sulla religione. Perché nessun sistema, per quanto ingiusto, potrà spegnere il desiderio di dignità e libertà che portiamo dentro.

E un giorno, ne sono certa, la nostra perseveranza sarà più forte della discriminazione che abbiamo dovuto subire. Un giorno, le storie dei nostri giovani non saranno più esempi di ingiustizia, ma testimonianze di una comunità che ha avuto il coraggio di resistere, di rialzarsi e di cambiare la propria storia. Fino ad allora, continueremo a dire la verità. Senza paura. Perché è così che si apre la strada a un domani diverso. 
Zarish Imelda Neno

Latino: “ne quid nimis”, origine e significato dell’espressione

Origine e significato dell'espressione usata ancora oggi, in latino, "ne quid nimis". E le implicazioni sotto varie angolature. Un esempio di λόγοι σπερματικοί/Semina Verbi, i “semi di verità” che i Padri attribuivano alle filosofie i “semi di verità”, anche se l’espressione risulta coniata da Giustino, nel valorizzare la ricerca filosofica e morale dell’uomo: «Tutto ciò che rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è frutto di ricerca e speculazione, grazie ad una parte di Logos. Ma poiché non conobbero il Logos nella sua interezza, che è Cristo, spesso si sono anche contraddetti» (Seconda apologia, X, 2-3). Qui l'indice degli articoli sulla Latina lingua.

Latino: “ne quid nimis”, origine e significato dell’espressione

L’espressione in latino «ne quid nimis», è una delle massime più celebri dell’antichità e racchiude un intero modo di interpretare l’esistenza. Letteralmente significa: «nulla di troppo», «non eccedere in nulla», oppure «che non ci sia mai troppo». A prima vista potrebbe sembrare una semplice esortazione alla moderazione, ma il suo significato si rivela molto più ricco se lo si osserva nel contesto culturale, filosofico e morale da cui proviene.

La frase è di origine greca, prima ancora che latina: si trova infatti nel tempio di Apollo a Delfi, insieme ad altre celebri sentenze quali medèn ágan (“niente in eccesso”). Quando nel mondo romano venne tradotta come «ne quid nimis», essa mantenne intatto il proprio valore precettivo, diventando una delle massime fondamentali della saggezza stoica e della misura classica.

domenica 23 novembre 2025

L'ultima domenica dopo Pentecoste si collega con la prima domenica di Avvento

Peter Kwasniewski sottolinea un aspetto importante della Messa antiquior odierna:
Oggi, il rito romano* celebra l'ultima domenica dopo la Pentecoste, con il Vangelo di Matteo 24 sulla spaventosa fine del mondo. È una Messa piena di consolazione, speranza, avvertimento e trionfo, perfettamente adatta al suo posto alla chiusura dell'anno liturgico, che è come un microcosmo della storia della Chiesa.

Eppure, come si addice a un ciclo ricorrente, l'ultima domenica dopo Pentecoste si collega con la prima domenica di Avvento in molti modi meravigliosi. I Vangeli sono molto simili, entrambi riguardano la Parousia. Il canto dell'Offertorio "De profundis" è molto simile nella modalità e nella melodia all'Offertorio di domenica prossima "Ad te levavi", poiché infatti siamo nel profondo, guardando in alto, gridando a Dio di venire a salvarci.

Nelle parole della postcomunione: "Concedici, ti supplichiamo, o Signore, con questo sacramento che abbiamo ricevuto, affinché tutto ciò che è corrotto nelle nostre anime sia ripristinato dal dono del suo potere guaritore. Attraverso nostro Signore... " Di anno in anno rinnoviamo la fede e la speranza in Cristo Salvatore del mondo (cfr la Lettera).

Dom Johner definisce l'antifona della Comunione "Amen dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite quia accipiétis, et fiet" l'"ultima parola" della Chiesa per riflettere alla fine del suo anno: "Amen vi dico: qualunque cosa chiederete quando pregate, credete che lo riceverete e vi sarà fatto". Amen, infatti. Maranatha. Vieni, Signore Gesù.

(*Non sto parlando qui del rito moderno di Paolo VI. )

Quando la giurisdizione minorile diventa ingegneria sociale: Il caso della "famiglia nel bosco"

Come ha potuto l'ideologia di sinistra e il nichilismo mettere radici così profonde?
Quando la giurisdizione minorile diventa ingegneria sociale:
Il caso della "famiglia nel bosco"


Ho riflettuto tutto il pomeriggio. Vi propongo alcune semplici riflessioni:

La vicenda è, nella sua essenza, semplice e drammatica. Una coppia anglo-australiana vive da anni in un’area boschiva del territorio di Palmoli, nel Chietino, in un rudere privo di utenze e in una roulotte, con tre figli di sei e otto anni. La loro è una scelta consapevole: vita essenziale, forte contatto con la natura, cura diretta dei figli, istruzione parentale, rifiuto di molti elementi della cosiddetta "vita moderna".
La miccia che porta l’autorità giudiziaria a intervenire è un episodio di intossicazione da funghi, seguito da ricovero ospedaliero; da lì la segnalazione, l’attivazione dei servizi sociali, una prima sospensione della responsabilità genitoriale senza allontanamento, e infine il nuovo provvedimento del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che dispone l’inserimento dei bambini in comunità, con collocazione della madre nella medesima struttura e sostanziale isolamento del padre nel casolare. Alla base dell’ordinanza si evocano il "grave pregiudizio" alla crescita, le condizioni abitative ritenute indegne, la mancata adesione dei genitori a controlli e trattamenti sanitari obbligatori e, soprattutto, il pericolo di lesione del "diritto alla vita di relazione" ex art. 2 Cost., ritenuto suscettibile di produrre gravi conseguenze psichiche ed educative.

Il cardinale Zen mette in guardia dal rischio di "suicidio" della Chiesa cattolica a causa della deriva sinodale

Nella nostra traduzione da Infocatolica In un articolo molto critico, il cardinale Zen chiede di fermare la deriva sinodale e di tornare alla dottrina apostolica. La Chiesa sta diventando qualcosa di simile alla Chiesa anglicana. Peccato che sottolinei la collegialità senza coglierne le pecche [qui - qui] (un problema del conservatorismo). Dobbiamo offrire le nostre preghiere e sacrifici”- Qui l'indice dei precedenti.

Il cardinale Zen mette in guardia dal rischio di "suicidio"
della Chiesa cattolica a causa della deriva sinodale


Il cardinale Joseph Zen, 93 anni, vescovo emerito di Hong Kong, ha pubblicato una lunga riflessione in cui critica fortemente l'attuale direzione del Sinodo sulla sinodalità e mette in guardia dal rischio reale di una distorsione dell'identità cattolica. Il cardinale si erge come una delle voci più chiare contro la confusione dottrinale che, a suo dire, la Chiesa sta vivendo.

Una lezione di fedeltà dalla liturgia
Zen fa parte della liturgia di questi giorni, dove si legge il martirio di Eleazar, l'anziano maestro della Legge che preferì la morte piuttosto che provocare scandalo tra i giovani fingendo di mangiare carne proibita. Il cardinale confessa di sentirsi legato a questa figura: "Io, uomo di novantatré anni, ammiro in modo particolare Eleazar. Chi ha dedicato la sua vita all'insegnamento ai giovani, alla fine della sua vita, può dare loro un cattivo esempio?"

Dominica XXIV Post Pentecosten ("Dicit Dominus")

Ogni settimana ripercorriamo l'anno liturgico; il che ci consente, di anno in anno, nella ripetizione, di approfondire sempre più i doni di grazia che scaturiscono da ogni celebrazione. Qui trovate l'Ordinario delle Messe tradizionali e qui il proprio della Messa di oggi.

Dominica XXIV Post Pentecosten
("Dicit Dominus")
Intróitus
Ier. 29, 11, 12 et 10 - Dicit Dominus: Ego cogito cogitationes pacis, et non afflictionis: invocabitis me, et ego exaudiam vos: et reducam captivitatem vestram de cunctis locis.
(Ps. 84,2) Benedixisti, Domine, terram tuam: avertisti captivitatem Jacob.
Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen. – Dicit Dominus ...

Orátio
Excita, quǽsumus, Dómine, tuórum fidélium voluntátes: ut divíni óperis fructum propénsius exsequéntes; pietátis tuæ remédia maióra percípiant.

Per Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum, qui tecum vívit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. M. - Amen.
Introito
Ger. 29, 11, 12 e 10 -
Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.
Sal. 84, 2 - Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitù di Giacobbe.
Gloria al Padre…
 - Dice il Signore:…

Colletta
 Éccita, o Signore, Te ne preghiamo, la volontà dei tuoi fedeli: affinché dedicandosi con maggiore ardore a far fruttare l’opera divina, partécipino maggiormente dei rimedi della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i sécoli dei sécoli. M. – Amen.

Il compimento dell'anno Liturgico.

sabato 22 novembre 2025

Imparare il latino liturgico, lezione 19

Nella nostra traduzione da Via Mediaevalis, approfittiamo del lavoro di uno dei tanti appassionati studiosi d'oltreoceano Per chi è completamente digiuno di latino e ha interesse a colmare questa lacuna, così diffusa nelle ultime generazioni — e purtroppo anche tra i sacerdoti —, può trovare i rudimenti indispensabili per comprendere il latino ecclesiastico e porre le basi di un maggiore approfondimento in genere favorito dalla frequentazione delle liturgia dei secoli. Un piccolo inconveniente è dato dalla taratura per lettori anglofoni; ma penso agevolmente colmabile dall'efficacia del metodo. Qui l'indice degli articoli dedicati alla Latina Lingua, per le lezioni precedenti.

Imparare il latino liturgico, lezione 19
in nomine Domini confitebimur in saecula


Clicca qui per un elenco di tutte le lezioni precedenti.

Riflessioni sull'acquisizione del vocabolario
Mentre continuo a scrivere queste lezioni, sono sempre più consapevole della sfida posta dal vocabolario. Come accade quando si impara una lingua, l'elenco delle parole che si dovrebbero conoscere per comprendere il latino liturgico può sembrare sconcertantemente lungo. Il compito è tutt'altro che impossibile, ma so quanto possa essere difficile sedersi e studiare semplicemente le parole, soprattutto quando la vita è spesso più frenetica del previsto. La vita moderna, infatti, sembra particolarmente ostile allo studio delle parole, e la mente moderna sembra particolarmente restia a dedicare tempo a questo. Ciò riguarda anche me; è vero che per molto tempo sono stato piuttosto bravo nello studio delle parole (in varie lingue, non solo in latino), ma la mia tolleranza per esso è diminuita nel corso degli anni: ho così tante cose che competono per le ore di veglia di ogni giorno, e lo studio delle parole non è più una priorità. Questo non mi preoccupa più di tanto, dato che a quanto pare conosco abbastanza parole in abbastanza lingue per adempiere ai miei doveri di stato così come esistono attualmente. Ma vorrei conoscere altre parole e forse in futuro ne avrò bisogno.

Ceneri da dimenticare: perché i cattolici devono seppellire i loro morti, non bruciarli

Nella nostra traduzione da "Tradition and Sanity" una riflessione che, in questo mese in cui ricordiamo i defunti e le cose ultime, richiama le nostre autentiche radici cattoliche.

Ceneri da dimenticare: perché i cattolici
devono seppellire i loro morti, non bruciarli

John Mac Ghlionn, 17 novembre

Sebbene la Chiesa consenta la cremazione in circostanze limitate, il permesso non è un'approvazione. La concessione nasce da una concessione pastorale, non da un'approvazione dottrinale: un gesto verso la fragilità umana, non una riscrittura dell'ordine divino.

Fin dai primi secoli, i cattolici seppellivano i loro morti a imitazione di Cristo, che fu deposto in una tomba e risorse nella carne. La sepoltura afferma la sacralità del corpo – tempio dello Spirito Santo – e proclama la risurrezione con silenziosa fiducia. La cremazione, al contrario, riduce il corpo a polvere e negazione, trasformando ciò che un tempo era un vaso di grazia in un mero residuo chimico. È una pratica che mormora negazione pur professando fede.

venerdì 21 novembre 2025

Il Vaticano segnala continuità nelle restrizioni alla messa tradizionale nonostante le voci

Nella nostra traduzione da The Catholic Herald, abbiamo una risposta, sulla possibile rettifica di Traditionis custodes, che appare definitiva. Mala tempora...

Il Vaticano segnala continuità nelle restrizioni
alla messa tradizionale nonostante le voci


Il Vaticano ha risposto alle affermazioni secondo cui sotto Papa Leone XIV ci sarebbe stato un cambiamento di politica sulla messa latina tradizionale.

Un portavoce del Dicastero per il Culto e la Disciplina dei Sacramenti ha chiarito che il Papa non intende annullare il motu proprio Traditionis Custodes, emanato dal suo predecessore nel 2021, che ha posto significative restrizioni alla celebrazione della Messa tradizionale in latino.
Il pontefice, invece, consentirà dispense di due anni per i vescovi che ne faranno richiesta, il che è già la direttiva vigente.

21 novembre Presentazione della Beata Vergine Maria

21 novembre Presentazione della Beata Vergine Maria

Salve, Madre Santa, tu hai dato alla luce il Re, che governa il cielo e la terra per i secoli, in eterno.
Ti consacro, o Regina: la mia mente, affinché pensi sempre all’amore che tu meriti; la mia lingua, perché ti lodi; il mio cuore, perché ti ami.
Accetta, o Santissima Vergine, l’offerta che ti presenta questo misero peccatore. Accettala, ti prego, per quella consolazione che sentì il tuo cuore quando, nel tempio, ti donasti a Dio.
O Madre di misericordia, aiuta con la tua potente intercessione la mia debolezza, impetrandomi dal tuo Gesù la perseveranza e la forza, per esserti fedele sino alla morte. Affinché, sempre servendoti in questa vita, possa venire a lodarti in eterno nel Paradiso. Amen.

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Chiunque tu sia, che nel flusso di questo tempo ti accorgi che, più che camminare sulla terra, stai come ondeggiando tra burrasche e tempeste, non distogliere gli occhi dallo splendore di questa stella, se non vuoi essere sopraffatto dalla burrasca!
Se sei sbattuto dalle onde della superbia, dell’ambizione, della calunnia, della gelosia, guarda la stella, invoca Maria.
Se l’ira o l’avarizia, o le lusinghe della carne hanno scosso la navicella del tuo animo, guarda Maria.
Se turbato dalla enormità dei peccati, se confuso per l’indegnità della coscienza, cominci ad essere inghiottito dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, pensa a Maria.
Non si allontani dalla tua bocca e dal tuo cuore, e per ottenere l’aiuto della sua preghiera, non dimenticare l’esempio della sua vita.
Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare.
Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la mèta. (San Bernardo da Chiaravalle)

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Prospero Guéranger, Presentazione di Maria Santissima al Tempio