Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 31 marzo 2013

Pasqua di Resurrezione

Dalla Veglia Pasquale 
Christus heri et hodie;
Principium et Finis 
Alpha et Omega
Ipsius sunt tempora et saecula
Ipsi gloria et imperium
Per universa aeternitatis saecula. Amen
Per sua sancta vulnera gloriosa
custodiat et conservet nos Christus Dominus. Amen
Lumen Christi gloriose resurgenti
Dissipet tenebras cordis et mentis.


Resurrexit sicut dixit. Alleluia!

A tutti gli amici, conosciuti e sconosciuti,
che passano di qua

BUONA PASQUA nella Luce del Signore Risorto!

sabato 30 marzo 2013

Il silenzio orante del Sabato Santo

Stando ai piedi del Tabernacolo noi viviamo la vita nascosta di Gesù e con Cristo in Dio proprio come insegna san Paolo. Oggi, ai piedi della Croce e sulla soglia del Sepolcro, ci affidiamo a Maria Santissima, l'Addolorata e la Regina, l'Immacolata, la Vergine del Sabato Santo, guardiamola mentre portò nel cuore gli spasimi di quella Passione e Morte, spasimi di quelle piaghe doloranti, dolore vivente delle sue stesse agonie che l'hanno resa nostra Corredentrice oltre che nostra Madre. Tuffiamoci nel grembo di questa Santa Madre per inondarla del nostro pianto, chiediamole la sua preghiera per noi, troviamo in lei il nostro conforto che dà le ali alla nostra attesa.

Dal discorso del Santo Padre Benedetto XVI al termine della Via Crucis - 2 aprile 2010

Da quando Gesù è sceso nel sepolcro la tomba e la morte non sono più luogo senza speranza dove la storia si chiude nel fallimento più totale, dove l'uomo tocca il limite estremo della sua impotenza. Il Venerdì Santo è il giorno della speranza più grande, quella maturata sulla croce, mentre Gesù muore, mentre esala l'ultimo respiro gridando a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). Consegnando la sua esistenza, donata nelle mani del Padre, egli sa che la sua morte diventa sorgente di vita. Come il seme nel terreno, deve rompersi perché la pianta possa nascere. Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto. Gesù è il chicco di grano che cade nella terra, si spezza, si rompe, muore e per questo può portare frutto. Dal giorno in cui Cristo vi è stato innalzato la croce che appare come il segno dell'abbandono, della solitudine, del fallimento è diventata un nuovo inizio. Dalla profondità della morte s'innalza la promessa della vita eterna, sulla croce brilla già lo splendore vittorioso dell'alba del giorno di Pasqua.

Nel silenzio di questa notte, nel silenzio che avvolge il Sabato Santo, toccati dall'amore sconfinato di Dio, viviamo nell'attesa dell'alba del terzo giorno, l'alba della vittoria dell'amore di Dio, l'alba della luce che permette agli occhi del cuore di vedere in modo nuovo la vita, le difficoltà, la sofferenza.

I nostri insuccessi, le nostre delusioni, le nostre amarezze che sembrano segnare il crollo di tutto sono illuminate dalla speranza. L'atto di amore della croce viene confermato dal Padre e la luce sfolgorante della Risurrezione tutto avvolge e trasforma. Dal tradimento può nascere l'amicizia, dal rinnegamento il perdono, dall'odio l'amore.

Donaci Signore di portare con amore la nostra croce, le nostre croci quotidiane, nella certezza che esse sono illuminate dal fulgore della tua Pasqua. Amen.

venerdì 29 marzo 2013

Uno sguardo all'orizzonte mediatico ed ecclesiale

Prima di immergerci nel silenzio e nella contemplazione dell'ora nona, mi soffermo con voi su una riflessione che coincide col 'sentire' di molti, che riprendo da Infinito quotidiano. È ancor più significativa perché è la voce di un giovane credente che non si lascia massificare ed esprime e condivide ciò che il suo cuore gli detta.

Sono passati pochi giorni dall’elezione al Soglio di Pietro di Papa Francesco nonostante, nel mondo cattolico, sembri trascorso un secolo.

Complice il ruolo dei media, assistiamo quotidianamente all’esaltazione, probabilmente anche non voluta, da parte del nuovo Papa. Qualsiasi cosa egli faccia, dalla più semplice alla più solenne (se si può parlare di solennità) egli è osannato da tutti, credenti e non credenti, con una commozione ed esaltazione tale che lascia sgomenti e perplessi. Non che un tale attaccamento nei confronti del Papa sia sbagliato, l’ho avuto in maniera anche maggiore fino all’11 febbraio scorso anche io. Sorprende, ferisce e lascia l’amaro e il disgusto in bocca tutto questo atteggiamento, non per fare un torto a Papa Francesco (che pur sembra voler far di tutto per distaccarsi dal Predecessore), quanto perché in questa isterica esaltazione si dimostra come per otto anni, cattolici e non cattolici, abbiano vissuto male, malissimo, il glorioso pontificato di Papa Benedetto XVI.

Siate onesti e ammettetelo, tutta questa ipocrita frenesia, dimostra solo e soltanto questo: disprezzate Benedetto XVI, l’avete mal sopportato e ora che ve ne siete liberati, strumentalizzate il nuovo arrivato. Che, va riconosciuto, per alcune cose sembra essere concorde con il vostro atteggiamento. Ma non è delle scelte di Papa Francesco che voglio occuparmi ora. Quanto, piuttosto, del vomitevole atteggiamento di certo mondo cattolico.

Dei media, pronti e proni a salire sul carro dei vincitori, era abbastanza scontato fosse così. Basta guardare il modo in cui hanno trattato Benedetto XVI per capire quanto poco lo stimassero e quanto attendessero il momento di poter esternare la gioia di esserselo tolto di torno. Mai una volta che lo avessero difeso. Non per partito preso, ci mancherebbe, ma per onestà, perché quello sarebbe dovuto essere il loro lavoro, la loro missione: informare. Sul pontificato di Benedetto XVI, invece, si è fatta solo che disinformazione. Ma da parte di certo mondo non ci stupiamo più di tanto. Dispiace che tanto tesoro sia andato disperso per colpa di molti incapaci, ma tant’è. Nel mondo vigono leggi diverse da quelle della verità e forse tanto disprezzo, confermato da Gesù stesso, è sintomo di un ottimo operato, di alta fedeltà al Signore.

Da parte del mondo cattolico, clero e laici, l’atteggiamento entusiasta nei confronti di Papa Francesco è, lo dicevo, vomitevole. Da circa una settimana tutti gli istinti repressi da quasi otto anni di santità, sono venuti fuori. Tutti, dal 13 marzo scorso, si sono accorti dell’importanza dei gesti e dei segni compiuti dal nuovo Papa. Fino al 28 febbraio, invece, chi faceva notare l’importanza di gesti e segni, di come essi fossero mezzi efficaci per indicare e trasmettere cose più grandi, veniva, come il sottoscritto, tacciato di formalismo, di bigotteria, di estetismo, di fariseismo, eccetera.

La riscoperta dei segni tradizionali compiuta da Benedetto XVI (Dio non voglia che venga cestinata!) è stata da parte del clero irrisa, disprezzata e disubbidita, specie per quel che concerne l’ambito liturgico. Il mondo dei fedeli, che si dice cattolico (sul quale mantengo delle riserve), si è felicemente accodato, facendo della liturgia un porcile misto di spontaneismo e invenzioni, della dottrina l’esito infelice di chiacchiere da bar, della persona e del ministero del Papa, di un accessorio della propria vita spirituale.

Si esalta Francesco per disprezzare Benedetto. Il gioco è riuscito per tutti gli anni di pontificato, che senso ha continuare? Che forse non si trovano motivi per esaltare Francesco? Diamogli tempo, e preghiamo, che Egli ce ne dia a sufficienza. Nel frattempo evitiamo, almeno, di essere ipocriti. Tutti i vescovi, cardinali, monsignori e preti che hanno sofferto Benedetto XVI, che si sono nascosti dietro la sua santità votata al martirio delle loro porcate, ci risparmino, oggi, la loro difesa di ogni starnuto di Papa Francesco.

Dov’erano, monsignori, vescovi, preti, vaticanisti e compagnia cantante, quando Benedetto XVI era attaccato (ingiustamente!!!) per la pedofilia, per l’antisemitismo, per essere contro la ragione, la scienza, eccetera? Perché hanno taciuto? Non sarà che forse erano conniventi, o almeno avevano i loro interessi a lasciar crocifiggere il Santo Padre Benedetto XVI? Siete alquanto disgustosi oggi, a gloriarvi di difendere il Papa. Meschini eravate e meschini rimanete.

Esaltate la povertà di Francesco ignorando che lo stesso (se non anche di più) ha fatto Benedetto. Come Benedetto e come Joseph. Solo che, appunto, sapeva distinguere. Quando si trattava della sua persona ha rinunciato a tutto (anche all’agognata vita privata), ma nessuno l’ha mai esaltato, forse perché anche lui non ha mai voluto, benedetta umiltà!, che si sapesse. Quando, invece, si trattava dell’essere Benedetto, sapeva, da buon cattolico, che tutta la (presunta) ricchezza che lo ricopriva non era per sé, ma in quanto Vicario di Cristo.

Sembrate Giuda, ladri e traditori, dell’episodio del Vangelo di Giovanni (cfr. Gv 12, 1-11), dove sotto la scusa della preoccupazione dei poveri, si preoccupava solo di riempire le sue tasche. Leggetevi quel che dice Gesù e poi ne riparliamo. Nel frattempo più di qualcuno abbia il coraggio di porsi certe domande e, magari, di fornirmi le risposte adeguate.

giovedì 28 marzo 2013

La Barca di Pietro nella tempesta

Una interessante analisi, estremamente condivisibile, dall'orizzonte francese:

Vini Ganimara sul Blog Francese Osservatore Vaticano


Mercoledì 13 marzo 2013, Il Sacro Collegio riunito in conclave ha eletto il cardinal Bergoglio per succedere a Papa Benedetto XVI. Questa scelta ha sorpreso tutti. Il nuovo Sovrano Pontefice ha assunto il nome di Francesco, in riferimento a San Francesco d'Assisi. Ha chiesto ai fedeli di pregare per lui. Nulla sembra, in effetti, più necessario.
Oggi, Papa Francesco si ritrova di fronte ad una situazione eccezionalmente grave.

Da molti anni, la Chiesa è bersaglio di attacchi, soprattutto mediatici, di una crescente intensità. Già negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, questi attacchi avevano raggiunto un livello preoccupante. Essi si sono aggravati sotto il pontificato di Benedetto XVI rivelando fino a che punto le misure restauratrici adottate dal Santo Padre turbassero i disegni ed il dispositivo distruttore del Sistema. Questi attacchi non sono stati solo mediatici ma anche politici, istituzionali e finanziari. Solo una piccola parte di essi è visibile al grande pubblico. Questi attacchi sono legati alle minacce arrecate in molti paesi al diritto naturale, e in particolare all'istituzione del matrimonio. La Francia e il Regno Unito non stanno forse per adottare una legislazione che snatura il matrimonio, in virtù, ha svelato il deputato Nigel Farage (UKIP), di direttive sovranazionali indirizzate dall'Unione Europea a tutti i suoi membri? 

Al cuore di questa offensiva di fortissima intensità, c'era l'intento di neutralizzare Papa Benedetto XVI il cui insegnamento era di permanente contraddizione per il mondo. La dignità e l'autorità di cui egli era rivestito, le eccezionali qualità intellettuali e umane che gli sono proprie ne facevano l'avversario più irriducibile del Sistema e capo naturale di tutti coloro che sono attaccati al Bene, al Vero, al Giusto. 

Questa neutralizzazione ha messo in moto considerevoli forze, forze mediatiche, istituzionali e finanziarie, diffuse attraverso le loro reti abituali, potenti, e nascoste.

Ci sono stati da una parte gli intrighi che hanno agitato la Curia all'inizio del 2012, e soprattutto le fughe di notizie che annunciavano che il pontificato di Benedetto XVI si sarebbe concluso entro un anno. C'è stato l'intensificarsi della campagna mediatica, oh quanto da impostori, orchestrata intorno ai casi di pedofilia contro i quali Benedetto XVI aveva peraltro preso disposizioni giuste e coraggiose. Ci furono pressioni finanziarie, più discrete e tuttavia efficaci, che portarono, per esempio nel dicembre 2012, a misure  di ritorsione contro l'Istituto delle opere religione (I.O.R.), la banca del Vaticano, misure che cessarono, per curiosa coincidenza, il 12 febbraio 2013. Ci sono state senza dubbio molte altre manovre che solo alcuni iniziati conoscono. Di fronte ad un tale scatenato accanimento Benedetto XVI, indebolito dall'età e dalla malattia, ha ritenuto, in coscienza, che fosse preferibile per il bene della Chiesa, abdicare, per permettere ad un papa più giovane e vigoroso, di proseguire la sua opera e di affrontare questa dura battaglia. 

Nel corso della preparazione del conclave, la vecchia Curia, quella che non aveva mai accettato l'elezione di Benedetto XVI e che per otto anni non ha mai cessato di minare la sua autorità, ha dispiegato un'attività molto sottile e intensa, distraendo l'opinione con dei tranelli. La manovra fa capo al cardinal Angelo Sodano, già a suo tempo segretario di Stato, ai cardinali Re, Sandri, ed altri, alleati cardinal Bertone. Lo scopo era quello di una rivincita sul conclave del 2005, di riconquistare alcune posizioni perdute in seno alla Curia sotto Benedetto XVI, di salvaguardare potenti interessi ostentando visibilmente la volontà di riformare le gravi disfunzioni della Curia, di camuffare sotto il mantello della virtù riformatrice le poco appetibili, ma molto fruttuose, operazioni finanziarie praticate già da molto tempo dal fratello e dai nipoti del cardinal Sodano, e il cui dettaglio è stato illustrato in un interessantissimo e ben documentato articolo pubblicato il 7 marzo scorso da Riposte Catholique : « Il cambiamento è Sodano ». Questa operazione “cosmetica”, del tutto ingannatrice, ha portato alla rapida  e sorprendente elezione del cardinal Bergoglio, che è stato, per sua stessa ammissione, uno dei più sorpresi della scelta dei cardinali, sorpresa, dalla quale, visibilmente non si era ancora ripreso dal balcone di San Pietro la sera della sua elezione.  

L’obbiettivo della vecchia Curia era scegliere un cardinale dell'emisfero Sud, semplice, preoccupato dei poveri, na anziano e malato, che ignorava tutto della Curia nella quale non ha esercitato funzioni, al fine che, sotto il suo mantello francescano di virtuosa povertà,  nulla cambi in seno alla Curia. In un primo tempo, la vecchia curia aveva indirizzato la sua scelta sul cardinal Scherer mentre gli altri voti, alla prima tornata, si disperdevano principalmente tra i cardinali Scola, che sarebbe arrivato in testa, Ouellet, Bergoglio, Randjith et O’Malley. L'irrisorio successo del cardinal Scherer, superato dal cardinal Scola, avrebbe condotto, dopo la terza tornata, a sostituirgli il nome del cardinal Bergoglio che aveva avuto successo al primo scrutinio. Il riconoscimento del cardinal Ouellet avrebbe creato una dinamica, alla fine amplificata da quella parte maggioritaria d cardinali che fino a quel momento sostenevano il cardinal Scola.

Papa Francesco è eletto. Ci saranno, nell'assumere le sue funzioni, le grazie di stato che potrebbero sventare, questi calcoli così poco evangelici. Egli ha già manifestato durante la sua prima messa nella Cappella Sistina, decisi segnali d'indipendenza. Alcune voci gli assegnano, volutamente, una volontà di rottura con la politica del suo predecessore. Gli atti del pontificato nascente ne offrono spesso una clamorosa smentita. Per esempio, è corsa voce che Mons. Guido Marini non avrebbe più diretto la cerimonia della investitura pontificale. Ora, il giorno della celebrazione, Mons. Marini era là vicino al Santo Padre. Questa voce era senza fondamento. Al riguardo, la visita che papa Francesco ha reso al suo predecessore a Castel Gandolfo ha testimoniato, attraverso segni di reciproca delicatezza,  la stima che hanno l'uno per l'altro i due pontefici, e la volontà di papa Francesco di inserirsi nella continuità del suo « venerato predecessore ».

Volendosi innanzitutto « vescovo di Roma », papa Francesco sembra propenso a dare un nuovo soffio all'idea di collegialità episcopale. Tuttavia, questa collegialità sarà necessariamente impregnata del carattere del nuovo papa, che è molto autoritario, similmente a quello di Pio XI. Notate che il nuovo papa parla volentieri dei « suoi » cardinali, del « suo » vicario quando parla del cardinal vicario di Roma. La collegialità di papa Francesco sarà accuratamente tenuta in pugno.

Tuttavia, se Papa Francesco vuol governare e riformare la Curia. dovrà molto rapidamente affrontare coloro ai quali deve la sua elezione, e il Sistema rappresentato da questi prelati in seno alla Chiesa. Per Papa Francesco questo confronto sarà crocifiggente. Ci sarà bisogno di tutta la forza dello Spirito Santo per assumere questa sfida estremamente difficile. La fermezza del suo insegnamento per la promozione della cultura della vita e dei principi del diritto naturale dovrebbe, inoltre, alienargli definitivamente, e abbastanza rapidamente, la simpatia dei grandi media. Se vuole evitare di trovarsi in un completo isolamento, il Santo Padre dovrà dunque cercare appoggi tra coloro che probabilmente non hanno contribuito alla sua elezione ma che, per loro formazione, spirito e carattere, sono i suoi sostegni naturali, tra coloro che hanno manifestato la loro lealtà e la loro devozione a Benedetto XVI durante tutto il suo pontificato. Il pontificato potrebbe allora riservare a tutti grandi sorprese.  

La tempesta che soffia sulla Chiesa e sul mondo non ha ancora raggiunto il suo parossismo. I momenti più duri devono ancora venire, per papa Francesco, e per noi. Papa Francesco ha molto bisogno delle nostre preghiere.
Marco Raboglio
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[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

FSSPX per la Settimana Santa

FSSPX per la Settimana Santa
Priorato di Albano Laziale - Via Trilussa, 45
Sacro Triduo Pasquale
Giovedì Santo ore 19
Messa in Coena Domini - Reposizione - Adorazione fino a mezzanotte
Venerdì Santo 
- ore 15 Via Crucis
- ore 18,30 Passio e Adorazione della Croce
Sabato ore 21,30
Veglia Pasquale
Domenica ore ore 10,30
Santa Messa del giorno di Pasqua

Tutte le celebrazioni saranno accompagnate all'organo dal Maestro Andrea Moncada

Portare Cristo nelle periferie non solo geografiche ma anche esistenziali e spirituali

2013-03-28 L’Osservatore Romano
Pubblichiamo una traduzione del testo che il cardinale Bergoglio ha consegnato all’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, contenente quattro punti essenziali dell’intervento tenuto in occasione delle Congregazioni generali che hanno preceduto il conclave. Alcuni passaggi sono stati preannunciati dal cardinale cubano durante l’omelia nel corso della Messa celebrata sabato mattina all’Avana. 

Si è fatto riferimento all’evangelizzazione. È la ragion d’essere della Chiesa. «La dolce e confortante gioia di evangelizzare» (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, da dentro, ci spinge.
  1. Evangelizzare implica zelo apostolico. Evangelizzare implica nella Chiesa la parresìa di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria.
  2. Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene autoreferenziale e allora si ammala (si pensi alla donna curva su se stessa del Vangelo). I mali che, nel trascorrere del tempo, affliggono le istituzioni ecclesiastiche hanno una radice nell’autoreferenzialità, in una sorta di narcisismo teologico. nell’Apocalisse, Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare...Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire.
  3. La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il mysterium lunae e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa). Quel vivere per darsi gloria gli uni con gli altri.
    Semplificando; ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangelizzatrice che esce da se stessa; quella del Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans o la Chiesa mondana che vive in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme che si devono realizzare per la salvezza delle anime.
  4. Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive «della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare».

mercoledì 27 marzo 2013

Certezza del Papa e dei Sacramenti, o Dubbio Metodico?

La Chiesa (con San Pio X, Pio XI e Pio XII ed il “Codice di Diritto Canonico”) vuole che la certezza e la validità dell’elezione del Papa debba essere fuori di ogni discussione e dubbio.

La catena della successione apostolica, senza alcuna interruzione, deve essere certamente evidente[1] ai fedeli, poiché l’Apostolicità è una delle quattro note essenziali della Chiesa di Cristo (Una, Santa, Cattolica ed Apostolica) e non può essere soggetta a dubbi né specialmente ed assolutamente ad interruzioni.

Il criterio di valutazione dell’elezione del Papa è il suo “Accipio; Accetto” ed il seguente riconoscimento del Papa canonicamente eletto da parte della Chiesa docente o gerarchica (Cardinali elettori e Vescovi) e discente (sacerdoti e fedeli).

Ora è un fatto che Francesco I ha accettato l’elezione canonica, la quale non è stata contestata da nessun Cardinale, Vescovo residenziale, né dai sacerdoti e fedeli, tranne lo sparuto gruppo dei sedevacantisti. Ma “una rondine non fa primavera”.

Gesù ha voluto anche che la certezza e la validità dei Sacramenti, i quali sono il principale canale ordinario della Grazia senza la quale nessuno può salvarsi, debba essere fuori di ogni discussione.

Perciò il criterio per valutare se vi sia mutazione sostanziale o accidentale nella forma e materia dei Sacramenti ricorre alla maniera comune di pensare dell’uomo, ossia alla retta ragione non elevata a scienza teologica.

Infatti i Sacramenti sono per tutti (“i Sacramenti sono per gli uomini e non gli uomini per i Sacramenti”), perché la Chiesa apostolica e petrina è una Società universale e non una setta iniziatica. Quindi anche la valutazione della materia, forma ed intenzione dei Sacramenti deve essere fatta in base ad un criterio accessibile a tutti e non riservato ad una élite di gnostici.

La Chiesa non è una società esoterica per soli iniziati, ma l’unica arca necessaria di salvezza universale, che si serve dei Sacramenti come strumento principale per la trasmissione della Grazia e della salvezza eterna.

Purtroppo, oggi, alcuni (Sedevacantismo), nella crisi che travaglia l’ambiente cattolico ed ecclesiale a partire dal Concilio Vaticano II e dall’introduzione del Novus Ordo Missae, reputano
  1. che i Papi da Giovanni XXIII/Paolo VI sino all’attuale papa Francesco I siano invalidi e mettono così, oggettivamente, in dubbio la  continuità della successione apostolica e petrina, che deve essere formale[2];
  2. che i Sacramenti scaturiti dalla Riforma liturgica di Paolo VI siano totalmente invalidi e, così, costoro privano i fedeli del canale principale della Grazia santificante.
Ma questo non è lo spirito della Chiesa né di Gesù Cristo. Cerchiamo di vedere meglio il perché.

PRIMA PARTE
CERTEZZA DELL’ELEZIONE DEL PAPA

San Pio X ha voluto, molto saggiamente, che la certezza e la validità dell’elezione del Papa dovesse essere fuori di ogni discussione per mantenere – mai interrotta e sempre visibile – la catena dei Vescovi e soprattutto dei Pontefici Romani collegata ai Dodici Apostoli con a capo San Pietro.

  a) Il simoniaco eletto Papa

Quindi san Pio X ha eliminato (v. Costituzione Apostolica Vacante Sede Apostolica, 25 dicembre 1904[3]) qualsiasi sanzione invalidante l’elezione del Pontefice apportata, de jure ecclesiastico, da alcuni Papi precedentemente regnanti. Per esempio, papa Giulio II  nel 1505 aveva sanzionato la Simonia come invalidante l’elezione pontificia[4].

Ora la Simonia è equiparata da San Tommaso all’Irreligione, all’Incredulità ossia all’Ateismo (S. Th., II-II, q. 100, a. 1). Secondo la Teologia Morale essa è un peccato grave contro il 1° Comandamento o la Virtù di Fede. Eppure, per S. Pio X, Pio XI, Pio XII ed il Diritto Canonico (can. 219), il simoniaco – ciò nonostante – è egualmente Papa e assicura la certezza ininterrotta della catena successoria apostolica, la quale è essenziale alla Chiesa.

Infatti, essendo la Chiesa una Società divina, ma composta da membri umani santi ed anche peccatori (ed alcuni di questi ultimi sono ascesi al Papato comprando simoniacamente l’elezione), la Chiesa ritiene che un battezzato incredulo, irreligioso, non curante del bene della Chiesa, se viene eletto canonicamente è egualmente e certamente Papa. Altrimenti la catena successoria apostolica della Chiesa potrebbe essersi interrotta numerose volte nel corso della storia e non vi sarebbe più la certezza riguardo all’Apostolicità della Chiesa: il che è impossibile essendo la Chiesa apostolica per sua natura[5].

  b) L’eretico eletto Papa

Lo stesso paragone vale, a maggior ragione, per un eretico eventualmente eletto Papa. Se l’ateo è eletto validamente, a fortiori lo è l’eretico, che non nega tutta la Religione come l’ateo, ma solo alcuni suoi Dogmi.

 c) La ‘Bolla’ di papa Paolo IV

Per cui la Bolla di Paolo IV (Cum ex Apostolatus officio, 15 febbraio 1559, in Bullarium Romanum, Torino, 1862, vol. VI, pp. 551-556, tr. it., in S. Z. Ehler – J. B. Morrall, Chiesa e Stato attraverso i secoli, Milano, Vita & Pensiero, 1958, pp. 207-213), decade ipso facto, come è stata abrogata la Sanzione di Giulio II, del 1505 invalidante l’elezione pontificia a causa della Simonia.

Inoltre la Bolla di Paolo IV «è un atto disciplinare della Chiesa, che riassume tutte le precedenti scomuniche e deposizioni dalle funzioni della Chiesa di tutti i dignitari. […]. Durante il pontificato di Paolo IV, Gian Pietro Carafa, (1555-1559) lo scisma protestante raggiunse proporzioni molto vaste. […]. Contro questa minacciosa marea insorse fortemente il papa Gian Pietro Carafa. […]. L’atmosfera era talmente arroventata che Paolo IV giunse persino a temere defezioni nello stesso Collegio Cardinalizio. I suoi dubbi riguardavano particolarmente l’influente cardinale Morone, la cui possibile elezione alla Santa Sede era causa di grandissima apprensione per Paolo IV. […]. La Bolla Cum ex Apostolatus officio […] prevede la possibile elezione di un Papa di dubbia ortodossia […]. La Bolla dichiara invalida l’elezione al Trono pontificio di qualsiasi candidato, che in precedenza si sia dimostrato connivente con gli scismatici Luterani» (S. Z. Ehler – J. B. Morrall, Chiesa e Stato attraverso i secoli, cit., “Bolla Cum ex Apostolatus officio”, Commento, p. 206).

Non essendo stata ripresa dal CIC del 1917 ed essendo un atto disciplinare, la Bolla di Paolo IV è decaduta ipso facto anche se non abrogata esplicitamente come la Bolla di  Giulio II del 1505 sulla Simonia.

 SECONDA PARTE
 CERTEZZA DELLA VALIDITÀ DEI SACRAMENTI

Analogamente Gesù ha voluto che la certezza e la validità dei Sacramenti dovessero essere fuori di ogni discussione.

  a) Materia e Forma

Per cui “il criterio per valutare se vi sia mutazione sostanziale o accidentale [nella forma e materia dei Sacramenti, ndr] non ricorre al linguaggio scientifico teologico, ma alla maniera comune di pensare dell’uomo, ossia alla retta ragione non elevata a scienza teologica. Infatti i Sacramenti sono per tutti [come la Chiesa, ndr]. Quindi anche la valutazione dei loro elementi [materia, forma, intenzione, ndr] deve essere fatta in base ad un criterio accessibile a tutti e non riservato ad una élite di persone” (P. Palazzini, voce “Sacramenti”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, col. 1579).

La Chiesa non è una società esoterica per soli gnostici, ma è il Corpo Mistico di Cristo per la Salvezza eterna di tutte le anime che vogliono salvarsi.

  b) Intenzione del Ministro

Per quanto riguarda l’Intenzione del Ministro, basta la volontà di amministrare un Sacramento o un Rito sacro o di “fare ciò che fa la Chiesa” (Concilio di Trento, DB 854). Tale volontà di fare ciò che fa la Chiesa può essere anche solo implicita, come nell’infedele che s’induce ad amministrare il Battesimo, dietro richiesta, ignorando la Chiesa e i suoi Sacramenti, ma volendo soddisfare la richiesta di colui che glielo domanda (“ad intentionem petentis”)[6].

  c) Il problema della ‘Messa di Paolo VI’

Quanto al problema della validità della consacrazione nel Novus Ordo Missae, esso è ben distinto dalla bontà o liceità del Rito della nuova Messa[7]. La validità del Sacramento è diversa da bontà o liceità del Rito liturgico.

Nel Rito del Novus Ordo la sostanza della forma del Sacramento è rimasta pur avendo subìto quanto alla forma della Consacrazione una mutazione integrante[8], ma non essenziale. Infatti è rimasta intatta la sostanza della forma del Sacramento: “Questo è il Mio Corpo” e “Questo è il Mio Sangue”.

Tuttavia, per il rimanente, il Rito della Nuova Messa di Paolo VI “si allontana in maniera impressionante dalla Teologia cattolica sul Sacrificio della Messa definita infallibilmente dal Concilio di Trento” (card. A. Ottaviani – A. Bacci) ed è in rottura radicale ed oggettiva con la Messa di Tradizione apostolica, resa obbligatoria da S. Pio V per la Chiesa latina nel 1570 (mons. K. Gamber).

Perciò, anche se vi è la Presenza reale nelle ostie consacrate durante il “Novus Ordo Missae”, questo è equiparabile ad un Rito acattolico, pur non essendovi ancora una dichiarazione giuridica e formale dell’Autorità sulla nocività di esso[9].

Quindi il nuovo Rito della Messa – oggettivamente -  favorisce l’errore e l’eresia, ma non invalida in sé la Presenza reale di Gesù nell’Ostia consacrata (cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., III, q. 78, a. 3)[10]. Come la “Messa Nera” (solo per fare l’esempio limite che sia comprensibile a tutti, vedi nota n.° 7) non invalida la consacrazione, ma è oltraggiosa contro Dio e profanatrice della Presenza reale, la quale anzi si vuole assicurata (finis operis o fine oggettivo del Rito) proprio per profanarla (finis operantis o fine soggettivo di chi lo celebra).

CONCLUSIONE

Prima di emettere sentenze definitive ed obbliganti sulla validità dell’elezione del Papa e dei Sacramenti con conseguenze devastanti per le anime dei fedeli e per l’Istituzione divina della stessa Chiesa gerarchica, si rifletta che  la “suprema lex Ecclesiae” è la “salus animarum” e non la nostra opinione, la nostra tesi o il nostro interesse.

È disumano togliere agli uomini la suprema possibilità di salvarsi l’anima privandoli della Chiesa gerarchica (in successione continua con quella fondata da Cristo su Pietro, senza alcuna interruzione) e dei Sacramenti moralmente necessari per salvarsi l’anima; perciò non emettiamo “leggi”, o meglio “corruzioni di Legge, poiché contrarie al bene comune” (Atti, V, 29; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 98-108; Leone XIII, Enciclica Libertas, 1888), ma aiutiamo le anime a salvarsi.

Il fatto (“quia”) certo  è che il neomodernismo ha occupato l’ambiente ecclesiale. Ognuno cerca, in questo Tsunami che è penetrato dappertutto, di reagire a questa invasione restando legati alla Tradizione apostolica col fare “ciò che la Chiesa ha sempre, dovunque e universalmente fatto[11]” e facendosi un’idea del perché (“propter quid”) questo sia successo e del come si possa superarlo e sconfiggerlo.

L’importante è che, in questi tempi così difficili ed apocalittici, i fedeli abbiano ancora la Fede nella Chiesa visibile e gerarchica risalente formalmente, in atto ed ininterrottamente ai Dodici Apostoli, la Messa di Tradizione apostolica, i sette Sacramenti, l’insegnamento della Dottrina cattolica comune ed ufficiale contenuta nel Catechismo tradizionale (senza dover scendere in questioni teologiche ardue, soprattutto se ancora liberamente disputate) e si accostino regolarmente ai Sacramenti (specialmente alla Confessione e alla Comunione) per vivere in Grazia di Dio e salvarsi l’anima.

Il Diritto Romano insegna: “summum jus, summa injuria”; “il diritto applicato troppo strettamente può divenire la massima ingiustizia”; in breve: “il troppo storpia, ogni eccesso è un difetto”. “Chi vuol far l’angelo finisce per diventare una bestia”.

Se si toglie ai fedeli l’Apostolicità formale della Gerarchia ecclesiastica ed i Sacramenti li si mette in uno stato che non è quello in cui Gesù li ha posti. Egli ha fondato la sua Chiesa sui Dodici ed in primis su Pietro; inoltre ha voluto che mai venisse meno l’evidenza della continuità formale della catena, che lega i Pastori attuali (anche se fossero Simoniaci o Irreligiosi) agli Apostoli  e che tutti i fedeli potessero distinguere la sostanza dei Sacramenti, i quali sono il canale principale della Grazia, senza dover essere preda di uno scrupolo metodico sulla validità dell’elezione del Papa e dei Sacramenti.

Cerchiamo di non voler conoscere la Chiesa meglio di Gesù Cristo che l’ha fondata, di San Pio X che l’ha governata e del Diritto Canonico che la regge e di non renderla una società di iniziati in filosofia e teologia o una chiesa “pneumatica” dei soli eletti (come Wycleff, Huss e i Protestanti), togliendo la certezza e la visibilità della continuità apostolica e della validità dei Sacramenti che Gesù ha voluto fossero evidenti a tutti i fedeli e fuori di ogni discussione e dubbio, mentre in questo caso si discute e dubita proprio di ciò che è fuori discussione e dubbio, ossia si cade in una “contraddizione nei termini” e si snatura l’essenza della Chiesa come Cristo l’ha voluta e fondata.

La verità non è ciò che ci piace, ma ciò che è realmente esistente (“adaequatio rei et intellectus”). Non ragioniamo secondo i nostri gusti, ripugnanze, antipatie, con il sentimento, con l’appetito irascibile, ma sforziamoci di conformare il nostro intelletto alla realtà, anche se sgradevole. Se i Papi da Giovanni XXIII sino a Francesco I non ci piacciono, non significa che non esistano come Papi. Se la malattia, la morte, la sconfitta non ci piacciono anzi ci ripugnano, esse esistono egualmente, dobbiamo prenderne atto e non annullarle come cerca di fare la filosofia orientale (buddista e induista).

Secondo San Tommaso (S. Th., I, q. 16, a. 1; De Veritate, q. 1, a. 9; II Sent., dist., 39, q. 3, a. 2, ad 5) le cause principali dell’errore risiedono nelle nostre passioni, che ci inducono a giudizi interessati, passionali, capricciosi e non razionali. Infatti le passioni sensibili offuscano la ragione ed impediscono di vedere la verità serenamente ed oggettivamente per quello che è. Allora non ragioniamo sulla Chiesa in preda alle emozioni spiacevoli che gli uomini di Chiesa possono produrre in noi. Fu l’errore che commisero gli Apostoli davanti alla Passione di Cristo, vedendo in lui solo l’uomo umiliato e sfigurato. Quindi fuggirono e lo rinnegarono. Ora si ripete la Passione della Chiesa, che è Cristo continuato nella storia. Si può dire oggi di Essa ciò che disse allora Pilato di Gesù: “Ecce homo”/ “Ecce Ecclesia”. Non ripetiamo l’errore dal quale gli stessi Apostoli ed Evangelisti ci hanno messo in guardia
d. Curzio Nitoglia

[Fonte: http://doncurzionitoglia.net/2013/03/27/287/]
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[1] Evidenza da “ex-videre”, ciò che si vede, si mostra e non si dimostra (San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 94, a. 2; I Sent., dist. 3, q. 1, a. 2, ob. 1).

[2] La distinzione tra Papa formale o in atto e Papa materiale o in potenza non risolve la questione della successione ininterrotta dei Papi a partire da San Pietro. Per fare un esempio comprensibile a tutti, se ho una Ferrari cui manca il motore, non può muoversi. Ora l’essenza di un’automobile è muoversi e correre. Quindi un Papa solo in potenza e non in atto, non è Papa ed è simile alla Ferrari senza motore, che potrebbe muoversi qualora le fosse montato un motore, ma non si sposta di un centimetro se il motore non passa dalla potenza all’atto, ossia dal materialiter al formaliter. Siccome il Papa materiale Paolo VI è defunto nel 1978 è impossibile che egli divenga Papa in atto, così come se la Ferrari senza motore in atto viene rottamata è impossibile che riceva il motore, perché essa non esiste più, è un rottame non atto a ricevere un motore e muoversi, proprio come Paolo VI è un cadavere, che non può essere soggetto di Ordine né di Giurisdizione.

[3] Pio XI ha riconfermato la “Costituzione Apostolica” di San Pio X del 1904 nel suo “Motu Proprio” Cum proxime del 1° marzo 1922 e Pio XII l’ha ribadita  nella sua “Costituzione Apostolica” Vacantis Apostolicae Sedis dell’8 dicembre 1945. Questi testi sono riuniti in Appendice nel Codice di Diritto Canonico.

[4] Cfr. Vittorio Bartoccetti, voce “Conclave”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 176-183.

[5] Per esempio, Alessandro VI pur essendo stato un simoniaco, che ha considerato la Chiesa come un affare personale o di famiglia è stato ritenuto egualmente Papa dalla Chiesa.

[6] Cfr. San Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 64, aa. 8-10.

[7] Per esempio la “Messa Nera o Diabolica” è una Messa valida in cui avviene la consacrazione e vi è la Presenza reale di Gesù Cristo, per poterla profanare. Ora la validità della “Messa Nera” non implica la sua bontà come Rito, che è perverso. La “Nuova Messa” (senza volerla identificare con la “Messa Nera”, ma solo per fare un esempio comprensibile al lettore e per non venire accusato di essere a favore della nuova Messa, come qualcuno scorrettamente ha voluto farmi dire) favorisce l’errore luterano sul Sacrificio della Messa, però mantiene la sostanza della forma del Sacramento dell’Eucarestia (“Questo è il Mio Corpo”; “Questo è il Mio Sangue”) ed è valida, ciò non significa che sia buona (cfr. Arnaldo Xavier Vidigal da Silveira, La Nuova Messa di Paolo VI. Cosa pensarne? unavoce.it).

[8] Mutazione gravemente colpevole da parte di chi l’ha apportata, poiché in rottura con la Tradizione divino-apostolica. Infatti la forma della consacrazione del pane e del vino che si trova nel Messale Romano restaurato da San Pio V è stata data da Gesù agli Apostoli (cfr. papa Innocenzo III, Epistola Cum Martha circa, 29 novembre 1202, DB 414-415: “Noi crediamo che le parole della forma consacratoria, quale si trova nel Canone della Messa, sono state consegnate da Gesù agli Apostoli e da questi ai loro successori”; Concilio di Firenze, DB 715; Catechismo di Trento, n.° 216). Il mutarla è stato un atto gravemente illecito di rottura con la Tradizione, poiché il Papa ha ricevuto il Mandato petrino per conservare il “Depositum Fidei” e non per cambiarlo. Tuttavia tale mutazione non ha cancellato la sostanza della forma consacratoria, ma solo le sue parti integranti. Quindi essa è valida, anche se gravemente illecita.

[9] Qualcuno ha capito male (in buona fede) e qualcun altro ha voluto farmi dire (in mala fede) ciò che non ho mai detto né pensato, ossia che la Nuova Messa è buona in sé. No! Un conto è la “validità della consacrazione” ed un altro conto è “l’ortodossia del Rito nuovo”, il quale è in rottura con la Messa di Tradizione apostolica e quindi non è ortodosso e non è buono.

[10] Cfr. i migliori Commentatori della Summa Theologiae (III, qq. 73-83) di SAN TOMMASO D’AQUINO: CAJETANUS; GIOVANNI DA SAN TOMMASO; BILLUART; inoltre J. B. FRANZELIN, De SS. Eucharestiae Sacramento, Roma, 1868; G. MATTIUSSI, De SS. Eucharestia, Roma, 1925; L. BILLOT, De Ecclesiae Sacramentis, Roma, VII ed., 1931; R. GARRIGOU-LAGRANGE, De Eucharestia, Torino-Roma, 1943;  A. PIOLANTI, De Sacramentis, Torino-Roma, II ed., 1947; A. PIOLANTI, voce Eucarestia, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, col. 772.

[11] San Vincenzo da Lerino, Commonitorium, I.

Domenica 7 aprile. Insediamento sulla Cattedra Romana

Radio Vaticana
27 marzo 2013 - La solenne Celebrazione eucaristica con l'insediamento sulla Cattedra romana del vescovo di Roma, Papa Francesco, si svolgerà nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il 7 aprile, seconda Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia. La Messa inizierà alle 17.30 e segnerà ufficialmente la presa di possesso di San Giovanni in Laterano da parte del Papa.

Giovedì Santo. La Messa in Coena Domini e la Lavanda dei piedi

Ci conforta di non essere soli ad aver espresso perplessità [vedi precedente articolo] alla notizia che il nuovo Papa celebrerà la Messa in Coena Domini del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal del Marmo anziché nella sua Cattedrale e che, durante la celebrazione, effettuerà la "Lavanda dei piedi" di 12 giovani di "diverse nazionalità e confessioni", come preannunciato dalla Sala Stampa Vaticana.

Lo ha fatto anche padre Scalese, in un efficace articolo intitolato: Il relativismo nella Chiesa ? nel quale ci fornisce le ragioni che avrebbero dovuto evitare al Papa una scelta che non solo sovverte la Tradizione ma soprattutto banalizza e diluisce il significato pregnante dell'atto: un Sacramentale che riguarda direttamente gli Apostoli, cioè i Sacerdoti che, attraverso esso, vengono 'iniziati' a poter servire gli ultimi; il che è la conseguenza finale che il Papa intende significare col suo gesto. Un gesto che rischia appunto di diventare prevalentemente mediatico(1) sia per l'enfasi esasperata che i mezzi di comunicazione stanno dando alle parole e alle azioni del nuovo Papa già di per sé foriere di 'rottura' di schemi ma anche di significati. In questo caso, per la impropria trasposizione dell'atto comunque liturgico a non-cristiani, forse non-credenti e per di più responsabili di reati. Non trascurando di ricordare che il Sacramentale è un elemento significativo, se pur secondario, di un Rito che commemora qualcosa come l'Istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdozio, dei quali viene trascurata la celebrazione secondo la Tradizione anche conciliare, proprio in un tempo sacro e solenne per l'intera cristianità come il Triduo Pasquale.
Osserva Padre Scalese:
Una trentina d’anni fa fu pubblicato il Cæremoniale Episcoporum, che non credo fosse destinato soltanto ai cerimonieri delle cattedrali, ma innanzi tutto ai Vescovi stessi. Faccio notare che non mi riferisco al Cerimoniale del 1600, ma a quello del 1984, “ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli PP. II promulgatum”. Ebbene, che cosa si dice nel suddetto Cerimoniale a proposito dei riti del Triduo pasquale?
«Tenendo quindi presenti la particolare dignità di questi giorni e la grande importanza spirituale e pastorale di queste celebrazioni nella vita della Chiesa, è sommamente conveniente che il Vescovo presieda nella sua chiesa cattedrale la Messa nella Cena del Signore, l’azione liturgica del venerdí santo “nella passione del Signore”, e la veglia pasquale, soprattutto se in essa si devono celebrare i sacramenti della iniziazione cristiana» (n. 296).
E, specificamente a proposito del giovedí santo, il Cerimoniale prosegue:
«Il Vescovo, anche se ha già celebrato al mattino la Messa del crisma, abbia ugualmente a cuore di celebrare anche la Messa della Cena del Signore con la piena partecipazione di presbiteri, diaconi, ministri e fedeli intorno a sé» (n. 298).
Non si tratta di norme tassative, ma di indicazioni in ogni caso pressanti, dalle quali, a mio parere, solo per gravissime ragioni ci si potrebbe discostare.
[...] c’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri» (Sacrosanctum Concilium, n. 41). Un testo che viene ripreso dal Cerimoniale, che aggiunge: «Dunque le sacre celebrazioni presiedute dal Vescovo, manifestano il mistero della Chiesa a cui è presente Cristo; perciò non sono un semplice apparato di cerimonie … In tempi determinati e nei giorni più importanti dell’anno liturgico si preveda questa piena manifestazione della Chiesa particolare a cui siano invitati il popolo proveniente dalle diverse parti della diocesi e, per quanto sarà possibile, i presbiteri» (nn. 12-13).
La citazione segue una premessa da cui estraggo
È vero che il Papa può decidere quel che vuole: egli è il legislatore supremo. Ma può decidere, appunto, legiferando. Se esiste una legge che a lui non piace, può cambiarla; ma, se una legge esistente, fatta da lui o da uno dei suoi predecessori, lui non la cambia, non mi sembra opportuno che la disattenda. Non sono un canonista, ma non mi pare che al Papa possa applicarsi il principio “Princeps legibus solutus”: non sarebbe molto corretto nei confronti di quanti quelle leggi sono tenuti a osservarle. Questo, come principio generale.
E trae le seguenti conclusioni, definite senza mezzi termini conseguenze devastanti:
  1. innanzi tutto, disattendendo le norme esistenti, anche quelle che potrebbero apparire secondarie, si rischia di mettere in discussione alcuni valori fondamentali, che il Concilio ha rimesso in luce e ha voluto che divenissero patrimonio comune della Chiesa;
  2. in secondo luogo, potrebbe passare l’idea che le norme ci sono, sì, ma non è poi così importante rispettarle: se il Papa ritiene possibile trascurarle, significa che non sono poi così importanti; e se lo fa lui, perché non potrei fare io altrettanto?;
  3. inoltre si potrebbe dare l’impressione che non esista alcuna norma oggettiva e stabile, valida per tutti e per sempre, ma che tutto dipenda esclusivamente dalla discrezionalità del responsabile di turno;
  4. infine c’è il rischio che il relativismo, tanto osteggiato a parole nella società, diventi di fatto la norma suprema anche all’interno della Chiesa.
Aggiungo:
  1. il Coerimoniale Episcoporum, riprende il solito stantio refrain conciliare della partecipazione piena ed attiva dal popolo santo di Dio, quindi ancora ed ancora si insiste sul fatto che è il popolo di Dio che fa, è lui il soggetto, è la comunità che rende presente il Mistero che, invece, ci è stato dato, ci precede, ci supera e ci accompagna.
  2. Inoltre, un altro aspetto di 'rottura', che nessuno sembra rilevare, sta anche nel fatto di inserire, in ragione delle differenti nazionalità dei ragazzi, in un rito iniziatico cattolico -che tale è- probabili seguaci di altre religioni e forse non-credenti.
  3. Il relativismo è già presente nella Chiesa, nel senso che è presente nella predicazione e nella "pastorale" di tanti suoi uomini, ma non è presente ovviamente nella Dottrina, nella Morale, nella Liturgia, nel Depositum Fidei, questo per ciò che è stato promesso da NSGC. 
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(1) Mi compiaccio che il Vis abbia comunicato che alla celebrazione non saranno ammessi né giornalisti né telecamere (d'altronde si tratta di Minori e c'è una legge che ne tutela la persona tutelandone l'immagine). Purtroppo però la mediaticità non si esaurisce nelle immagini date in pasto al pubblico, ma è insita nell'evento in sé.

martedì 26 marzo 2013

Roma. Alcune celebrazioni della Santa Pasqua nel Rito Usus Antiquior

Oltre alla Parrocchia personale di Santa Trinità dei Pellegrini, nella quale si celebra il Triduo Pasquale, segnalo alcune Chiese romane in cui verrà celebrata la Santa Messa nella Domenica di Pasqua. E la notizia di un altro Triduo:
Sacro Triduo Pasquale nell’antico rito
Giovedì Santo, Missa “ In coena Domini “ ore 18,00
Venerdì Santo , ufficio delle Tenebre ore 7,15 
12 , 00 Hora Matris 
15 Passio D.N.J.C. 
Sabato Santo 
Coro delle Suore Francescane dell’Immacolata accompagnerà le Sacre Funzioni
Chiesa di Santa Maria Annunziata
Lungotevere Vaticano 1 - Roma
Domenica di Pasqua , 31 marzo alle ore 9,30
Santa Messa in Rito romano antico
Gesù e Maria al Corso
Via del Corso 45 Roma
Domenica di Pasqua , 31 marzo alle ore 17
Santa Messa in Rito romano antico
Sant'Anna al Laterano
Via Merulana 177 Roma
Domenica di Pasqua , 31 marzo alle ore 17:30
Santa Messa in Rito romano antico
Basilica di San Nicola in Carcere
Via del teatro Marcello 46 Roma

Per completezza aggiungo l'elenco delle Chiese romane in cui abitualmente si celebra in Rito Romano antico:
  1. Parrocchia Personale di Santa Trinità dei Pellegrini - piazza della Trinità dei Pellegrini (su via dei Pettinari) - Domenica: S. Messa letta ore 9,00 e ore 18,30, S. Messa cantata ore 10,30 - Da lunedì a sabato: S. Messa letta ore 18,30 
  2. Chiesa Santi Nomi di Gesù e Maria al Corso - Via del Corso, 45
    Domenica: ore 9,30
  3. Chiesa di San Giuseppe a Capo Le Case, via Francesco Crispi di fronte via di Capo Le Case - Domeniche e feste di precetto, ore 11,00
  4. Cappella Cesi della Basilica Patriarcale Santa Maria Maggiore - Piazza Santa Maria Maggiore – S. Messa quotidiana alle 7.10 (don Pertin, diocesano) - Primo sabato del mese, S. Messa alle ore  11,00 (abolita)
  5. Chiesa di Santa Maria Annunziata in Borgo - lungo Tevere Vaticano, 1 – tutti i giorni : S. Messa ore 7,00  - Domenica ore 10,30 (abolita)
  6. Chiesa di Sant'Anna al Laterano - via Merulana, 177 – Domenica, ore 17
  7. Basilica di San Nicola in Carcere - Via del Teatro di Marcello, 46 - ogni sabato alle ore ore 18 e ogni domenica alle ore 17,30
  8. Cappella di Palazzo Altemps, (vicino a p.za Navona) Si accede al Palazzo da Via S. Apollinare n. 8 (e non da piazza Sant'Apollinare!) portone della Sovrintendenza Archeologica di Roma: scalone di destra - Domenica, ore 11
  9. Parrocchia di S. Maria di Nazareth, via di Boccea n. 590 (ogni giorno, messa conventuale tridentina alle 7:00 e ogni domenica, festivo e precetto messa conventuale tridentina ore 08:00)
  10. S. Maria del Rosario, Via degli Scipioni, 88 - Ogni domenica ore 16,30
  11. Cappella Universitaria all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum – ogni mercoledì ore 13 – S. Messa

lunedì 25 marzo 2013

Cosa rischia di diventare il Papato?

Sono allibita da quel che vado leggendo nell'ultimo articolo di Sandro Magister: È papa ma non lo vuole dire. Lascio alla vostra lettura e valutazione il discorso, che si fa complesso e innovativo in termini inimmaginabili ed è approfondito e puntualizzato da un articolo di Gianfranco Ghirlanda su La Civiltà Cattolica. Si sta dipanando sotto i nostri occhi e imponendo alle nostre coscienze turbate una nuova 'forma' di esercizio del ministero petrino, già potenzialmente inquinato dalla "collegialità", alla quale si aggiunge ora, del tutto inopinatamente, la cosiddetta "conciliarità".
Non mi metto a riflettere sul combinato intreccio delle affermazioni di Documenti come la Lumen Gentium (1964), Ut unum sint (1995), Novo millennio ineunte (2001), il Nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) che trasformò in legge la collegialità. Ecco cosa scrisse Giovanni Paolo II nel suo decreto di promulgazione del Codice:
« Se ora passiamo a considerare la natura dei lavori che hanno preceduto la promulgazione del Codice, come pure la maniera con cui essi sono stati condotti, specialmente sotto i pontificati di Paolo VI e di Giovanni Paolo I e di poi fino al giorno d’oggi, è assolutamente necessario rilevare in tutta chiarezza che tali lavori furono portati a termine in uno spirito squisitamente collegiale. E ciò non soltanto si riferisce alla redazione materiale dell’opera ma tocca altresì in profondo la sostanza stessa delle leggi elaborate.
Ora, questa nota di collegialità, che caratterizza e distingue il processo di origine del presente codice, corrisponde perfettamente al magistero e all’indole del Concilio Vaticano II. Perciò il Codice, non soltanto per il suo contenuto, ma già anche nel suo primo inizio, dimostra lo spirito di questo Concilio, nei cui documenti la Chiesa «universale sacramento di salvezza (Cfr. Cost. Dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 1, 9, 48), viene presentata come Popolo di Dio e la sua costituzione gerarchica appare fondata sul Collegio dei Vescovi unitamente al suo Capo ».[Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983]
Il lungo circostanziato articolo del canonista Ghirlanda così conclude:
« La X Sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa (Ravenna 8-15 ottobre 2007), nel documento sottoscritto intitolato «Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità (documento di Ravenna)» (27), pone la reciproca interdipendenza tra primato e conciliarità al livello locale, regionale e universale, per cui «il primato deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato» (n. 43). Questa visione dà una dinamicità al modo di concepire il ministero pontificio in una proiezione verso un futuro che ogni fedele vorrebbe vedere realizzato [!?] ».
Ricordo che il documento di Ravenna - promotore il pluri-citato (dal nuovo Papa) card. Kasper - fu accolto con alcune riserve [documentai a suo tempo le perplessità di diverso ordine del Patriarcato di Mosca], mentre ora viene riproposto sic et simpliciter senza remore. Esso aggiunge alla collegialità la cosiddetta conciliarità, peraltro nel documento non riferita propriamente al Vaticano II. Tuttavia si corre ugualmente il rischio di riconoscere ad esso, in virtù della collegialità che evoca e che si intende realizzare, una ulteriore funzione costitutiva e fondante una nuova realtà che va a toccare il cuore stesso della Chiesa e della sua identità nella persona del Romano Pontefice. Il problema non è solo sugli evidenti segnali di apertura nei confronti dei "fratelli separati" Orientali, ma anche su quelli nei confronti delle altre confessioni cristiane, che non possiamo di punto in bianco non considerare più eretiche. Appaiono scelte che contengono un messaggio preciso, sia nel senso della collegialità episcopale, sia nel senso dell'ecumenismo. Inoltre il problema non è nell'apertura in sé; ma nel fatto che venga escluso il reditus.

Avrei molte riflessioni da fare, ma me ne astengo perché non è il mio ruolo: questioni come questa necessitano di esser prese in considerazione da chi di dovere e meriterebbero una grande smentita dotata della dovuta autorevolezza. Ma temo che queste avvisaglie preludano a tutto fuorché ad una smentita. Non dimentichiamo che qualunque adeguamento ai tempi operato attraverso 'forme'  su essi modulate, porta lontano dalla fontale primazialità voluta dal Signore. Infatti ogni 'forma' veicola e manifesta una sostanza corrispondente pur se implicita. Difendere la manifestazione della sostanza significa difendere la sostanza stessa, nella consapevolezza che la negazione di una dimensione accidentale rischia di essere un ferimento che la sostanza può sopportare solo fino ad un certo punto.

Dove si nascondono i modernisti?

Riprendo da Le Forum Catholique. Si tratta di una riflessione che compendia interrogativi e risposte che penso siano ineludibili (molti da noi già conosciuti ed esaminati ma qui molto ben esposti e sistematizzati) sui quali è necessario soffermarsi. Confesso che ogni volta che leggo la Pascendi Dominici Gregis trovo anche in altri punti, oltre quelli segnalati di seguito, acuti e chiari riferimenti a situazioni e contesti per nulla superati, nei quali siamo dentro in pieno. Il problema circa l'oltrepassamento di questi insegnamenti credo sia nel fatto che è cambiata la valenza del termine Tradizione, attualmente inteso in senso 'storicistico' e dunque affidato ai cambiamenti indotti dall'evolversi dei tempi; il che relega i principi, enunciati dal Magistero che noi chiamiamo perenne, alle diverse situazioni storiche e antropologiche che si susseguono nelle diverse epoche storiche. Ciò vanifica la portata oggettiva e permanente dei principi, che, invece, non possono cambiare in base alle contingenze, alle quali appartiene la mutevolezza. Non so quale soluzione si possa dare a questo nodo drammatico.
Sul centenario della Pascendi passato sotto silenzio, è interessante leggere cosa ne dice Magister nel 2007.

Come  tutti sapete, Papa San Pio X nel 1907 pubblicava l'enciclica Pascendi Dominici Gregis sugli errori del modernismo. Che ne è oggi di questi errori, nel 2013? Siamo in grado di dire se essi esistono ancora nella Chiesa e, in caso affermativo, è possibile indicarne i promotori (nomi di persone, istituzioni o scuole di pensiero) ? 

Due cose mi hanno particolarmente colpito riguardo agli errori modernisti: lo spirito riformatore e il tentativo di sminuire il magistero ecclesiastico. Ecco dunque i passaggi in questione dell'enciclica:
52. ...Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare colla coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l'autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell'Indice. Deve cambiarsi l'atteggiamento dell'autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l'esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all'antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d'intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare? [...]

60. ... Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilire l'autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l'origine, la natura, i diritti, sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ciò che con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio "Ut mysticam", 14 marzo 1891): "Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurità, mentitrice d'ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze". Dopo ciò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? [...]
In breve:

domenica 24 marzo 2013

Domenica delle Palme

Stralcio dall'Omelia di oggi, Domenica delle Palme:
[...] 2. Seconda parola. Perché Gesù entra in Gerusalemme, o forse meglio: come entra Gesù in Gerusalemme? La folla lo acclama come Re. E Lui non si oppone, non la fa tacere (cfr Lc 19,39-40). Ma che tipo di Re è Gesù? Guardiamolo: cavalca un puledro, non ha una corte che lo segue, non è circondato da un esercito simbolo di forza. Chi lo accoglie è gente umile, semplice, che ha il senso di guardare in Gesù qualcosa di più; ha quel senso della fede, che dice: Questo è il Salvatore. Gesù non entra nella Città Santa per ricevere gli onori riservati ai re terreni, a chi ha potere, a chi domina; entra per essere flagellato, insultato e oltraggiato, come preannuncia Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 50,6); entra per ricevere una corona di spine, un bastone, un mantello di porpora, la sua regalità sarà oggetto di derisione; entra per salire il Calvario carico di un legno. E allora ecco la seconda parola: Croce. Gesù entra a Gerusalemme per morire sulla Croce. Ed è proprio qui che splende il suo essere Re secondo Dio: il suo trono regale è il legno della Croce! Penso a quello che Benedetto XVI diceva ai Cardinali: Voi siete principi, ma di un Re crocifisso. Quello è il trono di Gesù. Gesù prende su di sé... Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, che poi nessuno può portare con sé, deve lasciarlo. Mia nonna diceva a noi bambini: il sudario non ha tasche. Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche - ciascuno di noi lo sa e lo conosce - i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati e di fare un pochettino quello che ha fatto Lui quel giorno della sua morte. [...]
E poi ai giovani [...] La portate per dire a tutti che sulla croce Gesù ha abbattuto il muro dell’inimicizia, che separa gli uomini e i popoli [tra loro, ma soprattutto da Dio (Ef 2,18). Gli uomini sono riconciliati tra loro perché, in Cristo sono riconciliati con Dio], e ha portato la riconciliazione e la pace. Cari amici, anch’io mi metto in cammino con voi, da oggi, sulle orme del beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ormai siamo vicini alla prossima tappa di questo grande pellegrinaggio della Croce. Guardo con gioia al prossimo luglio, a Rio de Janeiro! Vi do appuntamento in quella grande città del Brasile! Preparatevi bene, soprattutto spiritualmente nelle vostre comunità, perché quell’Incontro sia un segno di fede per il mondo intero. I giovani devono dire al mondo: è buono seguire Gesù; è buono andare con Gesù; è buono il messaggio di Gesù; è buono uscire da se stessi, alle periferie del mondo e dell’esistenza per portare Gesù! Tre parole: gioia, croce, giovani.

Brunero Gherardini, « Conversione »

Caravaggio, chiamata di Matteo
Su "L'Osservatore Romano" del 30 dic. 2011, a p. 8, lessi che si sarebbe oggi di fronte al "passaggio da una Chiesa prevalentemente di tradizione ad una Chiesa prevalentemente di conversione".

La frase mi colpì e m'indusse a pensare. Oggi, alla distanza di molti mesi, ci penso ancora e mi confermo nelle convinzioni che desidero qui di seguito esporre con un certo ordine.

1 - Quella frase coglieva un aspetto non proprio della Chiesa in quanto tale, bensì della complessa fenomenologia religiosa ai vari livelli della Chiesa stessa e degl'insediamenti umani - storici, sociologici, culturali - nei quali essa si è "trapiantata" ed effettivamente incarnata. Un aspetto, dicevo, e non certamente il peggiore, nonostante il senso restrittivo che tradizione riceve dal suo contrapporsi a conversione. È evidente, infatti, che il senso di codesto contrapporsi non ha nulla a che fare con il concetto teologico di Tradizione in quanto fonte della verità rivelata al pari della Sacra Scrittura e vita della Chiesa, anzi principio inesausto del suo ringiovanirsi nella scansione degli anni e dei secoli. La tradizione che cederebbe all'incedere della conversione è qualcosa di più modesto, che ha un suo valore, innegabile ma non determinante né costitutivo della realtà ecclesiale: quello del "s'è sempre fatto così". È il valore che ha consentito alle comunità cristiane di regolar il proprio comportamento pratico fin alla "rivoluzione" del Vaticano II e del burrascoso postconcilio. Tutta la tradizione che veniva invocata e rimessa in gioco non trascendeva i limiti del "s'è sempre fatto così"; li presupponeva, li trasferiva nel presente e s'identificava con essi. Proprio ad essi si doveva se credenze e pratica religiosa conferivan attualità e qualche guizzo di vitalità al quel "sempre" che riportava il passato nel presente e questo sposava con quello.

sabato 23 marzo 2013

Benedetto XVI a Francesco: "No, no... dobbiamo rispettare..." [le usanze, le forme ndr].


Video sinceramente molto commovente. Nessuno di noi avrebbe voluto vedere questa scena. Due Papi che si incontrano. È stato certamente un incontro molto cordiale affettuoso direi. Ma struggente ed anche un po' inquietante quella mano tesa di Benedetto XVI verso Francesco che lo pregava con molto vigore di inginocchiarsi nel posto non certo d'onore (non ci sono posti speciali per chi sta davanti a Dio), ma un posto che gli spettava.
Non mi sarei mai aspettato che avrebbero diffuso le immagini. Non era un fatto mediatico, da spettacolarizzare.

Una immagine surreale...
Aggiornamento, 24 marzo: una notizia interessante: Robert Moynihan, direttore del mensile Inside the Vatican, nella sua "The Moynihan Letters", segnala di aver ricevuto qualche minuto prima di scrivere la sua lettera una mail inattesa dal metropolita Hilarion che gli precisava che : "il Papa Francesco ha offerto al Papa emerito l'icona che il metropolita Hilarion ha offerto al Papa Francesco a nome del patriarca Cirillo dopo l'udienza privata ( con il nuovo papa) il 20 marzo".
Moynihan ha subito inviato una mail al metropolita Hilarion: "incredibile siete soddisfatti o contrariati"? Risposta del metropolita: " Molto felici e toccati."

Il nuovo Pontificato: conciliarismo anti o post-ratzingeriano oppure un novum tutto da scoprire?

Alcuni segnali d'inizio Pontificato ci danno l'impressione che in Conclave abbia vinto il conciliarismo anti-Ratzingeriano e da molti, pur nella prudente attesa, viene espresso il timore che la Chiesa possa essere ulteriormente trasformata se non sfigurata sotto la spinta di istanze riformiste che rischiano di rifondarla, sotto il pretesto dell'aggiornamento sempre necessario ed auspicabile nelle contingenze e non nelle essenze. E credo che oggi come non mai per noi fedeli, guidati dai nostri sacerdoti, sia giusto vigilare che non siano le essenze, cioè in fondamenti della nostra Fede nutrita dalla Rivelazione Apostolica, ad essere compromesse. Com'è ormai abitudine, faccio una sintesi dei numerosissimi interventi che si sono succeduti in questi giorni, che rispecchia il mio sentire e vuol essere il punto della situazione, dando le ragioni del nostro comportamento di attesa prudente e orante per il Papa e per la Chiesa tutta.

Molti di noi apprezzano e vivono la Messa di sempre che ha fatto riscoprire o approfondire, a seconda dei casi, la vera fede cattolica. In essa tutto parla di Cristo lì presente, della sua regalità e della vita soprannaturale che Lui ci dona.
Detto questo si ha l'impressione che troppi dimentichino però che il Regno di Cristo è dentro di noi (Lc 17, 21). È primariamente un regno spirituale.
Sappiamo bene che la nostra umanità necessita anche di segni esteriori per ben afferrare e interiorizzare i concetti e le realtà che essi esprimono, non devono però questi adombrare la loro vera essenza.

Ora ci si chiede, chi conosce ancora il senso delle scarpette rosse del papa? Ha senso investire tempo a spiegare alle persone il significato di queste o non è meglio concentrarsi nel portar loro l'essenza del messaggio cristiano ormai ben annacquato? Ammettiamo che danno fastidio coloro che arrogantemente parlano di "carnevalate" riguardo a queste cose, ma crediamo che la reazione migliore non sia quella di fare un'apologia su queste cose comunque marginali della fede cattolica. Anche se ci sono già gesti più gravi ma tuttora da verificare.

Il papa sta impostando il suo pontificato in un modo completamente nuovo rispetto al passato e ciò racchiude molti pericoli e tranelli. Anche per noi tradizionalisti che siamo obbligati, una volta ancora, a verificare cosa sia essenziale alla nostra fede. Ma già questo, e sembrerebbe contraddittorio, è un fatto positivo: la vita è e deve essere una lotta. Noi apparteniamo alla Chiesa militante, non alla Chiesa trionfante o magari scioperante di stampo modernista.

Attenzione però che le lamentele o le critiche rivolte all'operato degli ultimi papi o dei papi in generale se non conducono ad una fede più robusta, ad una speranza più salda e ad una carità più viva (in una parola a Cristo), altro non sono che vanità delle vanità.

Con queste premesse  siamo disposti anche a prendere le distanze da certi gesti di papa Francesco e dei suoi predecessori. Ma non ci scandalizziamo oltre misura: nella nostra generazione di papi non modernisti non ne abbiamo potuti conoscere. La Tradizione ce li fa conoscere!

Vedremo se questi segni che il nuovo Papa sta dando, alcuni poco rassicuranti, si confermeranno, vedremo se si farà plasmare dal suo Ministero, se sposerà il Papato, la sua funzione, o se lo piegherà alle sue idee e voglie, aderendo così alla ratzingeriana « “ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino », che vede il soggetto-Chiesa nel suo aspetto mutevole sostituire l'oggetto-Rivelazione da parte del Signore che è lo stesso ieri oggi e sempre, che la fonda.
E qui possiamo rifarci al discorso di congedo del Papa uscente (situazione già di per sé inconsueta pur se legittima). E soffermarci su questo punto
"... La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi."
L'affermazione è sacrosanta. Ciò che può lasciarci meno tranquilli è la possibilità di accentuare il discorso sulla Chiesa in divenire... È ovvio che noi lo interpretiamo nel senso che il divenire riguarda ogni generazione e le espressioni dell'Incarnazione manifestate dalla Chiesa; ma non la sua identità e la sua essenza. Però, se lo rapportiamo al famoso unico soggetto-Chiesa messo al posto dell'oggetto-Rivelazione nell'altrettanto famoso discorso del 22 dicembre del 2005 sopra citato, le nostre perplessità non possono che aumentare. E constatiamo che mentre il Papa-uscente lo teorizza, il Papa-regnante sembra applicarlo direttamente.
E alla fine dobbiamo riconoscere che è comunque un parlare e un agire ambiguo, caratteristico di questa Chiesa post-conciliare... Dipende da chi e da come lo interpreta: il che non garantisce nessuno!
Fatte tutte queste premesse, concludiamo con la esortazione di un sacerdote, che facciamo nostra:
Non ho messo gli occhiali rosa, ho tolto quelli scuri, che vanno a scrutare fin nel più lontano passato per trovare conferma per un giudizio negativo. È come se volessimo giudicare Benedetto XVI dalla foto in giacca e cravatta scattata quando era un giovane teologo o in base ai suoi pronunciamenti di anni fa. Certo è più che legittimo non condividere alcuni gesti citati in alcuni interventi, ma da lì a squalificare in tronco il pontificato ce ne corre.
Mi pare proprio lo stesso abbaglio di Famiglia Cristiana che giudica questo Pontificato l'inizio della chiesa del concilio, dagli stessi segni che per alcuni sono invece il segno di una rottura: "Papa Bergoglio ha cominciato così, senza mozzetta rossa e senza troppi apparati il suo pontificato. Nel segno di quella Chiesa povera per i poveri..." Anch'io sono preoccupato di commenti siffatti, ma penso che il Papa abbia compiuto tali gesti non per spirito di novità, ma per la sua esperienza di vescovo in America Latina. Quindi, amici, non mettetevi a ragionare con un paio d'occhiali come quelli di Famiglia Cristiana, cambia il colore, ma il resto è lo stesso.