Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 26 giugno 2018

Collegialità nel Vaticano II: una nuova dottrina? - P. Albert Kallio o.p.

Conferenza in occasione della Giornata di studi su
“Vecchio e nuovo Modernismo: Radici della Crisi nella Chiesa”
Roma – 23 giugno 2018

Collegialità nel Vaticano II:
una nuova dottrina?

Padre Albert Kallio o.p.

L'importanza della collegialità nel Concilio

Sarebbe difficile esagerare l'importanza che, nel Concilio Vaticano II, ebbe la questione che venne chiamata “collegialità”, cioè la dottrina secondo la quale i Vescovi, per diritto divino, condividono con il Papa il governo della Chiesa Universale. Potremmo moltiplicare all’infinito i testi che trattano di questo, ma qui ci sono alcuni dei più accreditati.

Il Cardinale Montini, che presto sarebbe diventato Papa Paolo VI, scrisse così al Cardinale Cicognani appena una settimana dopo l'apertura del Concilio:
“Il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo deve focalizzarsi su questo unico tema: la Santa Chiesa. Questo è ciò che viene richiesto dalla continuità con il Concilio Vaticano I, che è stato interrotto mentre stava trattando questo argomento. Ciò è quanto l'intero Episcopato stava aspettando, per conoscere esattamente quali siano i suoi poteri, dopo la definizione dei poteri del papa, e quali relazioni esistano tra questi due poteri”(1).

Lo stesso cardinale ritorna sullo stesso tema in un discorso nell'Aula alcune settimane dopo:
“Sono pienamente d'accordo con coloro che nelle sessioni generali hanno affermato che la questione della De Ecclesia sia il tema principale di questo Concilio Ecumenico (...) poiché, sebbene faticoso, dobbiamo sforzarci di conoscere ed esporre il pensiero e la volontà di Cristo su ciò che riguarda i vescovi e la loro funzione nella Chiesa (...) Allo stesso modo i rapporti tra il primato del Romano Pontefice e l'episcopato saranno illustrati più chiaramente”(2).

Più tardi, come papa, aprì la Terza Sessione del Concilio dicendo:
In quest’ottica, quindi, dobbiamo discutere della dottrina che il Concilio Vaticano I ha proposto di trattare, ma, interrotta da ostacoli esterni, non fu in grado di definire (... cioè quella riguardante) il pensiero di Cristo nei confronti di tutta la sua Chiesa e specialmente la natura e la funzione di coloro che sono i successori degli Apostoli, cioè l'Episcopato (...). Così questo Sinodo Ecumenico (...) tenterà anche e soprattutto di spiegare e onorare le prerogative dell'Episcopato.(3)
Mons. Parente, nel suo discorso chiave ai vescovi poco prima che votassero sul passaggio della Lumen gentium che insegna la collegialità, dice che “nella misura in cui è la continuazione e il complemento del Concilio Vaticano I che è stato interrotto, si può dire che essa fosse, come fu, il cuore di questo Concilio Vaticano II”(4).
P. Giuseppe Dossetti, principale stratega all'inizio del Concilio(5) per “la maggioranza”, esclamò a un certo punto, quando sembrava che il documento sulla collegialità fosse in pericolo di essere respinto: “Riusciremo a salvare il Concilio?”, e il papa ebbe la stessa reazione dicendo “sarebbe il fallimento del Concilio”.(6)
I membri della minoranza si sono sentiti esattamente allo stesso modo. Il perito domenicano p. Gagnebet, per esempio, in una lettera inviata in extremis a Paolo VI come ultimo tentativo di persuaderlo a non accettare la collegialità, la definisce “la questione centrale del Concilio”(7).
Lo scopo principale del primo incontro del Coetus Internationalis Patrum, il gruppo di Padri che ha guidato la reazione contro i vescovi del Reno, è stato registrato dal suo segretario, p. Berto come: “Opposizione alla collegialità nello schema sulla Chiesa, adottando come bandiera la difesa dei diritti del Sommo Pontefice”(8).
Infine, c'è il giudizio di p. Ralph Wiltgen nella sua importante storia del Concilio  Il Reno si getta nel Tevere, dove scrive:
 “La battaglia più importante e drammatica che si è svolta al Concilio Vaticano II non è stata la controversia ampiamente pubblicizzata sulla libertà religiosa, ma quella sulla collegialità, che è avvenuta soprattutto dietro le quinte.” (p. 228)
La novità della dottrina della collegialità

È chiaro allora: almeno per coloro che vi hanno partecipato, che il tema più importante trattato dal Concilio Vaticano II fu la collegialità. Nel tentativo di scoprire, quindi, come stiamo cercando di fare in questo incontro, le radici della crisi sempre più profonda che la Chiesa ha sperimentato fin da questo Concilio, l’argomento della collegialità non può essere trascurato. In questo breve intervento cercherò semplicemente di mostrare cosa implichi precisamente la questione della collegialità e in che cosa consiste la sua novità.
Infatti, l'accusa fondamentale rivolta contro la nuova dottrina dai suoi oppositori era precisamente che fosse nuova e contraddiceva una credenza e una pratica plurisecolare della Chiesa. Questa era la spinta principale di una “Nota” firmata da 25 cardinali e 13 superiori di congregazioni religiose (inclusi tutti i principali Ordini religiosi) consegnata a Paolo VI alla vigilia dell'apertura della Terza Sessione del Concilio.

Vogliamo sottolineare, hanno scritto, che sarebbe nuovo, inaudito e ben strano che una dottrina ritenuta prima del Concilio come meno comune, meno probabile, meno seria e meno fondata, passasse improvvisamente — soprattutto a causa di azioni propagandistiche e non già per serità di argomentazioni — a divenire più probabile, anzi certa o addirittura matura per essere inserita in una Costituzione dogmatica.(9)

Se la dottrina proposta nello Schema fosse vera, la Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino; da ciò ne conseguirebbe che, durante quei secoli, i suoi organi supremi “infallibili” non sarebbero stati tali, avendo essi insegnato ed agito in opposizione al diritto divino. Gli ortodossi e in parte i protestanti avrebbero dunque avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato(10).

I sostenitori della collegialità ammettono che è una nuova dottrina, come per esempio p. Yves Congar, che, in un articolo scritto nel 1951, sembra aver inventato egli stesso il termine per tradurre la parola russa: “sobornost”(11). Scrive allegramente nel 1963, dopo la Prima Sessione del Concilio:
L'idea della “collegialità episcopale” ha, nel giro di pochi mesi, conquistato l'opinione teologica. La parola stessa è diventata quasi una sorta di talismano magico ... L'annuncio del Concilio, quindi la sua celebrazione, ha permesso e innescato questa ascesa trionfale dell'idea e della parola. Tutto ad un tratto, la scena della Chiesa era cambiata.(12)
Secondo i collegialisti, tuttavia, questa novità è solo apparente, a causa, dicono, di un certo oscuramento dal Medioevo di questa dottrina che risale ai primi secoli della Chiesa. Non possiamo entrare quì nei dettagli di questa questione storica, ma il punto sul quale tutti sono d'accordo è che per molte centinaia di anni la maggioranza dei teologi e del magistero insieme a loro, non credevano che i vescovi partecipassero, per diritto divino, al governo della Chiesa universale. È vero che alcuni tentativi coraggiosi furono fatti per cercare di provare l'esistenza e persino il predominio della dottrina della collegialità durante questo periodo, in particolare da Giuseppe Alberigo in un libro spesso citato durante il Concilio intitolato Lo sviluppo della dottrina sui poteri della Chiesa Universale(13). Tuttavia Mons. Dino Staffa conclude con un giudizio severo una revisione del libro, ma comprovato da molti testi, che dice: 
Resta a merito dell’Autore la fatica profusa per togliere dalla loro oscurità alcuni Teologi e Canonisti di secondo o terzo ordine (…) In ogni caso la dimostrazione delle sue tesi l’A. non poteva fornircela prescindendo, come invece ha fatto, dall’insegnamento dei Sommi Pontefici, dei Santi Dottori della Chiesa Universale, dei grandi Teologi e dei grandi Canonisti(14).

Come Claude Troisfontaines asserisce ingenuamente in un intervento sull'argomento in un congresso a Brescia nel 1986:
 Bisogna ammettere che questo tema è stato nascosto per diversi secoli.(15) 
Che cosa era la dottrina e cosa ci fu di nuovo a riguardo

Ma quale era questa nuova dottrina, precisamente, e cosa c'era di nuovo a riguardo? Per rispondere a questa domanda possiamo semplicemente citare il vicepresidente della Commissione teologica, il cardinale Michael Browne, in una critica che ha fatto di un testo proposto che conteneva questa dottrina. Si limita a due punti che sembrano contraddire il precedente insegnamento della Chiesa.

1) Contraddice il Vaticano I sulla pienezza dell'autorità papale

Inizia il primo punto citando una frase del testo proposto che dice:
(L'Ordine dei Vescovi) è anche il soggetto della suprema e piena autorità su tutta la Chiesa, il cui potere non può essere esercitato indipendentemente dal Romano Pontefice (16) 
Egli commenta:

Con queste parole è attribuita al collegio dei vescovi una certa partecipazione abituale alla suprema e piena autorità di governare la Chiesa universale, anche se si dice che il suo esercizio dipenda dal Romano Pontefice che, come Vicario di Cristo, già possiede di per sé il potere pieno e supremo. Questa limitazione per quanto riguarda il diritto all'esercizio, sebbene sia giuridicamente sufficiente a salvare la pienezza dell'autorità del Pontefice romano, non lo salva, tuttavia, in modo puro e semplice (simpliciter) poichè la suprema autorità di governare la Chiesa universale, anche se sotto un altro titolo, vale a dire dal diritto di collegialità, è posseduto anche dal corpo dei vescovi insieme al Romano Pontefice, suo capo. Poiché questa partecipazione dovrebbe essere data per diritto divino, il Romano Pontefice sarebbe tenuto in tutti gli atti del suo governo a consultare il pensiero e la volontà di tutto l'episcopato, e questo non solo come collegio dei suoi fratelli e consiglieri, ma come partecipanti con lui alla suprema autorità di governare tutta la Chiesa(17) . Ci troviamo quindi nella posizione in base alla quale il Romano Pontefice avrebbe la maggior parte nel governo della Chiesa universale, ma non l'intera pienezza di questa autorità.
Ciò, sottolinea, va contro la solenne definizione del Concilio Vaticano I che pronunciava anatema su chiunque affermasse che il papa ha “solo la maggior parte, ma non l'intera pienezza dell'autorità suprema” nella Chiesa (tantum potiores partes non vero totam plenitudinem huius supremae potestatis).(18)

2) Contraddice il magistero riguardo la fonte della giurisdizione episcopale

Il secondo punto della nuova dottrina che egli critica è contenuto in un'altra frase del testo proposto che afferma:
La consacrazione episcopale conferisce, insieme al potere (munus) di santificare, anche i poteri (munera) di insegnare e governare, i cui poteri, tuttavia, per loro natura non possono essere esercitati se non in comunione con il capo del collegio e dei suoi membri.(19)
Egli commenta il testo dicendo:
Se la parola “potere” (munus) è intesa nel senso dei doni di grazia mediante i quali la persona consacrata diviene adatta all'esercizio dell'ufficio di insegnare e governare il testo, come è ovvio, può essere ammessa. Se tuttavia, come sembra essere supposto, si intende il conferimento del potere stesso per insegnare e soprattutto per governare con autorità, non può essere ammessa.(20)
Lo dimostra poi citando tre testi di Papa Pio XII che insegnano esplicitamente che il potere di giurisdizione è dato ai vescovi, non dalla loro consacrazione, ma dal papa(21).

La risposta a queste obiezioni
1) Per quanto riguarda l'intera pienezza dell'autorità papale
Vediamo ora la risposta che è stata data a queste due obiezioni chiave che accusano la dottrina della collegialità di contraddire il precedente magistero. Per quanto riguarda la prima difficoltà di “tutta la pienezza dell'autorità sulla Chiesa universale” negata dalla collegialità, l'unica risposta che sembra essere stata data è quella espressa da uno degli esperti della Commissione teologica, p. Umberto Betti, in un articolo scritto qualche tempo dopo:
La definizione secondo cui il papa possiede tutta la pienezza del potere ecclesiastico intende escludere che il collegio episcopale ne sia il detentore unico e che il capo del Collegio lo abbia solo perché è il suo capo e che di conseguenza non ne abbia anche come soggetto distinto.(22)
In altre parole, secondo questo autore, quando il Concilio Vaticano I dichiarò che il papa aveva “l'intera pienezza di autorità” non intendeva escludere altri dall'avere quell'autorità, ma semplicemente voleva dire che il papa aveva questa pienezza da solo, che non esclude la possibilità che lo abbia anche in quanto lo ha con gli altri vescovi come capo del collegio dei vescovi.

È vero che esiste, in un certo senso, un doppio soggetto dell'autorità universale nella Chiesa, perché i vescovi, in determinati momenti (cioè durante i Concili ecumenici), condividono questa autorità. Ciò è dimostrato dalla pratica multi-secolare della Chiesa ed è stata dichiarata esplicitamente in diritto canonico(23). La domanda a cui si deve rispondere, tuttavia, è da dove viene l'autorità dei Vescovi quando la esercitano nei Concili. 

L'unica risposta possibile a quella domanda e che sembra essere in grado di essere data a partire dal Concilio Vaticano I, ha definito che il papa ha “tutta la pienezza dell'autorità sulla Chiesa universale”, vale a dire che il Papa comunica questa autorità ai vescovi, e in verità questo è stato l'insegnamento comune prima del Concilio.(24)

Come dice il cardinale Browne, il semplice fatto che l'esercizio di questa presunta autorità posseduta dai vescovi in virtù della loro stessa consacrazione dipenda dal papa non è sufficiente a mantenere la pienezza del potere del papa definito dal Vaticano I(25). Inoltre, come p. Gagnebet sottolinea in un articolo scritto poco prima del Concilio, l'idea stessa di una giurisdizione suprema che è subordinata nel suo esercizio è contraddittoria:

Si possiede una giurisdizione quando non si ha il diritto di esercitarla? Non è proprio la giurisdizione il diritto di esercitare il governo nella Chiesa(26) ?

2) Per quanto riguarda la fonte della giurisdizione episcopale
La risposta della maggioranza alla seconda critica in merito al conferimento mediante la consacrazione episcopale dei poteri di insegnamento e di governo fu quella di reinterpretare i documenti di Pio XII e di altri papi in cui si diceva che questi poteri di giurisdizione provenissero dal papa. Questa risposta è contenuta nella Nota Explicativa Praevia, aggiunta al testo di Lumen gentium di Paolo VI. Viene fatta una distinzione tra il munus, che è una giurisdizione “ontologica” data dalla consacrazione episcopale, e la potestas ad actum expedita, che è la giurisdizione vera e propria pronta per essere esercitata ed è data dalla missione canonica del papa. Questa missione canonica dà una determinazione definitiva al munus, assegnando argomenti sui quali questo potere può essere esercitato. I recenti documenti papali sulla competenza dei vescovi ricevuti dal papa devono essere interpretati, dice la Nota, come riferiti a questa determinazione canonica e non al potere della giurisdizione stessa.
Mons. Philips, segretario della Commissione teologica, nelle note prese durante le sue riunioni e successivamente pubblicate, ci informa che questa interpretazione proviene da p. Bertrams, un teologo vicino a Paolo VI, e prosegue:
Le dichiarazioni degli ultimi Papi sulle consacrazioni episcopali irregolari in Cina, che si dice non conferiscano il potere di giurisdizione, devono essere interpretate nel senso che, sebbene conferiscano il potere, non danno la determinazione canonica necessaria per esercitare la giurisdizione. Fr. P. Fernandez, il Maestro Generale dei Domenicani, obietta che sarà difficile rendere accettabile questo significato dal momento che fa violenza ai testi. Rispondo che la frase si trova nel documento inviato dal Papa e che inoltre, non è un'esegesi, ma un'interpretazione ufficiale (restrittiva).(27)
In altre parole, come dice Troisfontaine, in modo più schietto e chiaro, dopo un intervallo di sicurezza di vent'anni:
Per dirla chiaramente, questa dichiarazione significa che la posizione di Pio XII viene abbandonata per ritornare ad una posizione più tradizionale: la consacrazione episcopale non conferisce solo il potere di santificare ma anche quello di insegnare e governare.(28)
Per mons. Philips questo punto - che può sembrare un capro espiatorio per chi non lo sapesse - è stato estremamente importante. In un libro scritto dopo il Concilio, scrive persino:
Il legame stabilito tra la sacramentalità e la collegialità dell'ufficio episcopale costituisce ai nostri occhi il più importante progresso teologico compiuto dal Concilio.(29) 
Una considerazione finale e conclusione

Possiamo infine indicare, in chiusura, un altro punto importante nell'insegnamento tradizionale e nella pratica della Chiesa che è in conflitto con la nuova dottrina: l'esercizio della giurisdizione di vescovi e papi prima della loro consacrazione come vescovi. Questa fu pratica costante della Chiesa per molti secoli e ancora sancita dal codice di diritto canonico in vigore al tempo del Concilio, e tuttavia è chiaramente contraddetta dalla dottrina della Lumen gentium, secondo la quale la giurisdizione viene dalla consacrazione episcopale. Il cardinale Dante, in una lunga lettera al papa durante la Terza sessione del Concilio in cui si discuteva della collegialità, fa riferimento a questo problema e lamenta la spregiudicata risposta della Commissione alle obiezioni sollevate su di esso.
A tale grave problema si risponde : “Textus, ordinis generalis, ad casum tam particularem attendere non potest.” (…) Si può fare il lungo catalogo sia di Papi che furono eletti senza essere Vescovi, sia degli Atti di governo posti in essere nel periodo intercorrente fra la elezione e la consacrazione: (…) Sbagliò la Chiesa nel ritenere che quegli uomini fossero Sommi Pontefici già precedentemente alla loro consacrazione e che le loro decisioni fossero valide ? (…La Commissione) crede che basti far appello al fatto che avevano la volontà “accipiendi consecrationem seu votum consecrationis”. Forse che la volontà di ricevere un sacramento, che conferisce un potere, è sufficiente per avere tale potere? La risposta data dalla Commissione è tanto assurda come il dire che un seminarista che ha il desiderio e la volontà di farsi ordinare sacerdote, può già celebrare validamente la Santa Messa in virtù del suo “votum ordinationis”. (…Dicono) che toccherà ai teologi cercare di spiegare come i fatti storici possano conciliarsi con la dottrina dello Schema. Ma il problema sta proprio quì: possono tali fatti conciliarsi con tale dottrina ? (30)
Conclude la sua lunga lettera - e sarà anche la nostra conclusione - con una descrizione patetica dell’angosciosa confusione causata tra i teologi fedeli a Roma dall'apparente disprezzo per la Tradizione che aveva assunto il Concilio. Costituisce un commovente esempio della Romanitas che per tanti secoli è stata il baluardo della Chiesa cattolica e alla quale essa deve tornare per risolvere la crisi in cui si è trovata da quando l'ha abbandonata cinquant'anni fa.
Infine mi sia permesso far presente che, a motivo di tutto ciò che è avvenuto ed avviene, non sono pochi i teologi che si trovano in grave angustia di coscienza : educati alla sottomissione al Magistero e fedeli difensori del valore di questo nel campo della dottrina e della morale, vedono oggi questo stesso fonte dogmatico contraddetto e denegato da parte di documenti conciliari. Essi sanno che solo 8 Padri Conciliari avevano chiesto che in Concilio si trattasse della Collegialità(31) ; essi sanno che alcune opinioni, fino al 1960 avanzate e sostenute da pochi autori, nel giro di soli quattro anni sono venute a sostituirsi a dottrine teologicamente certe e facenti parte dell’insegnamento della Chiesa per secoli interi ; essi naturalmente si rendono conto che ciò non può spiegarsi se non per l’uso che si è fatto di ogni mezzo propagandistico(32), il che ha ostacolato un sereno ed esauriente esame scientifico di questi difficili e delicati problemi teologici che toccano la stessa struttura della Chiesa.
Voglia Vostra Santità vedere in queste osservazioni, che in coscienza sento di doverLe sottoporre, null’altro che il sincero desiderio di informarLa oggettivamente al fine ie aiutarLa nel suo difficile ed arduo compito.
Con i più profondi sensi della mia devozione, chiedo la Apostolica Benedizione della Santità Vostra(33) .
________________________________________
 1. Cf Cardinal L.-J. Suenens, « Aux origines du Concile Vatican II », Nouvelle Revue Théologique 107 (1985), p. 19, où cette lettre est reproduite. Pour des citations sur le même thème après son élévation au Pontificat, cf Claude Troisfontaines, « A propos de quelques interventions de Paul VI dans l’élaboration de Lumen Gentium », dans Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio, Colloquio internazionale di studio, Brescia 19-20-21 settembre 1986, Brescia, 1989, p. 97, n. 2.
2. Nam iis plane assentior, qui in his congregationibus generalibus affirmaverunt quaestionem de Ecclesia esse argumentum primarium huius Concilii Oecumenici (…) Eo enim contendere debemus, etsi laboriosum est, ut cognoscamus et exponamus mentem et voluntatem Iesu Christi quod attinet ad episcopos eorumque munus in Ecclesia. (…) Eadem (exponendi ratione) propterea efficiet ut relationes inter primatum Romani Pontificis et episcopatum apertius ostendantur. (December 5, 1962, AS I/4, p. 292-294)
3. Hoc igitur modo absolvenda est doctrina, quam Concilium Oecumenicum Vaticanum primum sibi statuerat enuntiare, sed, ob externa impedimenta abruptum, definire non potuit (…ut) explicentur cogitata Christi de universa Ecclesia ipsius ac praesertim de natura et munere eorum, qui Apostolorum sunt successores, Episcopatus nempe (…) Haec Synodus pariter Oecumenica (…) id quoque et praecipue intendet, ut praerogativas Episcopatus describat et honore collustret. (AS III/!, 144)
4. Utpote Concilii Vaticani I interrupti carminis continuatio et complementum, huius Concilii Vaticani II quasi cor dici potest. (AS III/2 210)
5. History of Vatican II, Vol. III, edited by Guissepe Alberigo, Maryknoll/Leuven, 2000,  p. 85, n. 339.
6. Giovanni Caprile, S.J., « Contributo alla storia della « Nota Explicativa Praevia »’ in Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio, Colloquio internazionale di studio, Brescia 19-20-21 settembre 1986, Brescia, 1989, , p. 615.
7. Jan Grootaers, Primauté et collégialité, Le dossier de Gérard Philips sur la Nota Explicativa Praevia ; Leuven University Press, 1986, p. 119.
8.  History III, p. 173, n. 182.
9.  Caprile, p. 598, 600.
10. Caprile, p. 598, 600.
11. Y. Congar, « La fonction prophétique dans l'Église », Irénikon 24 (1951), p. 446. The word would have been more exactly translated by something like « Conciliarism », since soborˆ is the Russian word for Council, but obviously that would not do, since that is the term used to describe an error condemned by the Church. Alberigo notes the surprise of a bishop on his arrival at the Council at what he called this “new and strange term”. History III, p. 256, n. 256.
12.  Y. Congar, L'épiscopat catholique. Collégialité et primauté, ???, p. 8. This change is aptly described by Fr. Joseph Ratzinger, who writes : “The Church is not like a circle, with a single centre, but like an ellipse with two focuses, primacy and episcopate” (K. Rahner and J. Ratzinger, The Episcopate and the Primacy, Herder and Herder, New York, 1962, p. 43).
13. Herder, Roma, 1964.
14. In the Monitor ecclesiasticus, n. 4 (1964), p. 685-694.
15. Claude Troisfontaines, « A propos de quelques interventions de Paul VI dans l’élaboration de Lumen Gentium », dans Paolo VI e i problemi ecclesiologici al Concilio, Colloquio internazionale di studio, Brescia 19-20-21 settembre 1986, Brescia, 1989, p. 138.
16. “Subiectum quoque supremae ac plenae potestatis in universam Ecclesiam existit, quae quidem potestas independenter a Romano Pontifice exerceri nequit.”
17. This was also pointed out by Bishop Carli in a long document signed by 103 Council Fathers and sent to the pope, where he writes : “Se si afferma la immediata e permanente derivazione (del potere giuridizionale) da Dio “vi consecrationis”, il Papa non possa lasciare quei poteri privi del loro naturale compimento, che è l’esercizio: [If one affirms the immediate and permanent derivation (of the power of jurisdiction) from God “vi consecrationis”, the pope cannot leave this power deprived of its natural complement, which is its exercise.]” Caprile, p. . 657.
18. Praedictis verbis Ordini, seu collegio episcoporum, attribuitur habitualis quaedam participatio supremae et plenae potestatis regendi universam Ecclesiam, etsi exercitium eiusdem ponitur dependere a Romano Pontifice qui, ut Vicarius Christi habet iam ex se eamdem plenam et supremam potestatem. Haec limitatio quoad ius exercitii, etsi mere iuridice aliquo modo sufficiat ad salvandam plenitudinem potestatis Romani Pontificis, simpliciter tamen loquendo eam non salvat. Potestas enim suprema regendi universam Ecclesiam, etsi sub alio titulo, iure scii, collegialitatis, possidetur quoque a corpore episcoporum una cum Romano Pontifice suo capite. Cum talis participatio ex parte corporis episcoporum sit, ut supponitur, divinitus largita, Romanus Pontifex moraliter ligaretur in omnibus suis actis gubernii ad habendam rationem mentis et voluntatis totius episcopatus et quidem non solum ut collegii suorum fratrum et consiliariorum, sed ut participantium cum eo in potestate suprema gubernandi totam Ecclesiam. 
Sumus exinde in positione illa secundum quam Romanus Pontifex haberet quidem potiores partes potestatis regendi universalem Ecclesiam non vero totam plenitudinem huius potestatis. (AS III/1, 629)
19. « Episcopalis autem consecratio cum munere sanctificandi, munera quoque confert docendi et regendi quae tamen natura sua nonnisi in communione cum collegii capite et membris exerceri possunt. »
20. Si vox munera sumatur pro donis gratiae quibus consecratus fit aptus ad exercitium officii docendi et regendi, textus, ut patet, admitti posset; si autem, ut pronum est supponere, sumatur pro collatione ipsius potestatis ex auctoritate docendi et, maxime, regendi, admitti non potest. (AS III/1, 630) 
21. He adds as well a text of St. Thomas  (SG, IV, c. 29) who quotes the passages of the Gospel which show that Saint Peter received authority over the whole Church (in particular John XXI : “Feed my sheep” and Mt XVI : “I will give you the keys of heaven”) and adds : “(this was) to show that the power of the keys was to be derived to others through him in order to safeguard the unity of the Church (ut ostenderetur potestas clavium per eum ad alios derivanda, ad coservandam Ecclesiae unitatem)”.
22. Commentaire officiel du texte de Lumen gentium, § 22 : Relations entre le pape et les autres membres du Collège épiscopal, par Umberto Betti, dans Unam Sanctam 51c, p. 797).
23. Canon 228 of the Code of 1917. « Concilium Oecumenicum suprema pollet in universam Ecclesiam potestate ».
24. Mgr Staffa gives the example of Leo XIII in his encyclical Satis cognitum, where he quotes Pope Saint Leo the Great : “If by a divine condescendance God has willed that there be something in common between the other authorities and Peter, He never gives whatever He does not refuse to others except through him. Divina dignatio si quid cum (Petro) commune ceteris voluit esse principibus numquam nisi per ipsum dedit, quidquid aliis non negavit”. (S. Leo M., sermo IV, c. 2) He adds that the Manual of Hervé  calls this opinion omnino certam after the Encyclicals of Pius XII that we referred to earlier. (J.M. Hervé, Manuale theologiae dogmaticae, ed. 1962, vol. I, n. 461)
25. Fr. Gagnebet, quotes several theologians and canonists who insist on this point which just seems common sense. Wilmers, for example, writes : “According to (this doctrine) there exists a power which extends over the whole Church which is subordinate to the Successor of Peter in its exercise, but does not come from him. Therefore the pope does not have the total plenitude of power in the Church.” Ibid., p. 451. Similarly Palmieri says : “God does not communicate the universal power except to one : He wills, on the contrary, that others not have it through themselves ; for those who are subordinated to the supreme Power cannot possess it.” p. 471. Another, Lombard, asks: “How is the power of the Roman Pontiff full and supreme if the Bishops have a certain collegial power by their consecration ?” Ibid., p. 448.
26. Ibid., p. 447. And he quotes another canonist, Cavagnis, who says : ”It is impossible to conceive of a jurisdiction that cannot be exercised because jurisdiction is precisely the right to exercise government 
27. Grootaers, p. 77.
28. Troisfointaines, p. 126, n. 57. At least this position has the advantage of being honest. For, as Mgr Staffa writes with regard to Bertram’s interpretation and his distinction between a jurisdiction that is “efficacious” and one that is not : “Veritatis gratia animadvertimus documenta Pontificia loqui de « iurisdictione » sic et simpliciter. Iurisdictio quae a RR.PP. conceditur per se est efficax, sed de eius efficacia RR.PP. siluerunt, ob proprietatem verborum, quia iurisdictio per se seu intrinsece infefficax non est iurisdictio. [For the sake of truth we must remark that the Pontifical documents speak of “jurisdiction” period. The jurisdiction that is conceded by the Roman Pontiffs is efficacious by itself, but the Roman Pontiffs did not speak of its efficaciousness, keeping to the proper meaning of the word, because jurisdiction that is inefficacious by itself or intrinsically is not jurisdiction.  ».
29. L’Eglise et son mystère, t. II p. 306, quoted by Troisfontaines, p. 126, n. 57. Troisfontaines reports the gleeful exclamation of Philips after a meeting with Paul VI at that time : “ « Ce coup-ci, le pape a compris : la collégialité n’est pas concédée mais fondée ontologiquement dans le sacrement et les munera que celui-ci confère. [This time the pope got it : the collegiality is not conceded (by the pope) but founded ontologically in the sacrament and in the powers that it confers.] ». (Ibid., p. 113, n. 33)
30.  Caprile, p. 639. Fr. Umberto Betti addresses this problem very candidly, saying : “It is not possible to give an answer that is absolutely satisfying. On the doctrinal level, the solution would consist, perhaps, in saying that God supplies Himself, by an anticipated effect of the episcopal consecration to which they are ordered by an intrinsic necessity from the moment of their election. On the practical level, there would be no reason that, from now on, in virtue of new dispositions, the investiture of the respective function coincide with the episcopal consecration.” Relations entre le Pape et les autres membres du collège épiscopal”, L'Église de Vatican II, Unam Sanctam 51c, Ed. G. Barauna et Y. Congar, 1965, p. 794. This is, in fact, precisely what they have done in the new code of Canon Law after the Council : all the laws have been changed in order to concord with collegiality.
31, The pope adds here in brackets a question mark, as if to contest this affirmation.
32. The pope adds again a question mark:
33.  Ibid., p. 640-641.

3 commenti:

Alessandro Mirabelli ha detto...

Breaking news: Galantino oggi è stato nominato presidente dell'Apsa al posto del card. Calcagno, dimissionario per limiti d'età. Strano che siano state accettate subitaneamente le dimissioni di calcagno che è un bertoniano, uno di quelli che in conclave s'e dato da fare per racimolare i voti. Chissà se in un prossimo concistoro Galantino sara' fatto cardinale. Che Dio non voglia. Che lui possa eleggere il Papa prossimo venturo mi ripugna un po'

Anonimo ha detto...


La nuova collegialità, una mostruosità da eliminare

Nell'articolo si cita l'immagine usata da Ratzinger per esprimere la collegialità anomala uscita dal Concilio: la Chiesa come ellisse con due fuochi, il Papa e l'episcopato.
Ratzigner ha sempre difeso la nuova collegialità. Egli criticava la concezione tradizionale, che faceva risalire al "giuridicismo" della Scolastica, di san Tommaso, che non ha mai amato. Gli preferiva di sicuro Martin Buber.
L'immagine della Chiesa come "ellisse con due fuochi" è contraddittoria, mette il Papa e i vescovi sullo stesso piano, introducendo un dualismo istituzionale nel governo della Chiesa.
In effetti, in quanto titolari in blocco della suprema potestà su tutta la Chiesa con il Papa, i vescovi non sono più subordinati al Papa. L'unica subordinazione ce l'hanno nell'esercizdio di questo potere sovrano su tutta la Chiesa. Ma, come fu appunto notato, se sono contitolari con il Papa dello stesso potere di governo su tutta la Chiesa, in base a quale criterio non possono esercitarlo, questo potere, senza l'autorizzazione del Papa?
Si è introdotta questa limitazione nell'esercizio di tale potere proprio per salvare il primato petrino, per non fare del Papa il passacarte dei vescovi, come avrebbero voluto Rahner e compari. Ma questa limitazione, che gioca sulla distinzione fra titolarità di un diritto e suo esercizio, che fondamento ha? Un fondamento logico, razionale? Se godono della piena titolarità della suprema potestas con il Papa, non si vede perché non possano esercitarla anche senza l'autorizzazione del Papa. Se non possono, allora questa "titolarità" non è piena oppure è una scatola vuota.
L'astenersi dall'esercizio di un diritto soggettivo, privato o pubblico che sia, è poi in genere libero, dettato dalle circostanze. Es: non esercito il mio diritto di credito nei confronti del debitore; non esercito il mio diritto pubblico soggettivo consistente nell'andare a votare etc. Appare figura anomala, a mio avviso, dichiarare la titolarità di un potere sovrano in capo ad un soggetto collettivo (i vescovi) in modo istituzionalmente mutilo, dichiarando che tale titolarità non possa esercitarsi se non con l'autorizzazione di un terzo (qui, il Papa, capo del collegio), quasi tale soggetto collettivo fosse un minore.
Nei fatti, il collegio dei vescovi non potrebbe esercitarla mai tale sovrana potestà, finché c'è un Papa regnante. Le Conferenze episcopali non dettano norme per l'intera Chiesa.
C'era bisogno di tutta questa confusione? No, ovviamente. La cosa da fare è una sola: la nuova collegialità è una mostruosità che va abolita, al pari delle Conferenze Episcopali. Il vescovo deve esser restituito alla sua piena responsabilità individuale, sovrano nel governo della sua diocesi, sotto il Papa, che invece governa da solo iure divino l'intera Chiesa.
PP
PP

Anonimo ha detto...

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