Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 14 ottobre 2025

Difendere le cosiddette ripetizioni comprendendo il parallelismo

Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement una interessante analisi sui "rimandi" che provocano ripetitività nella liturgia. Richiamo l'attenzione sulla mia nota: lo scritto mi ha richiamato alla mente dei vecchi appunti in tema.

Difendere le cosiddette ripetizioni comprendendo il parallelismo

Una simmetria come quella di queste torri parigine è comune a tutte le opere d'arte, musicali, poetiche, retoriche, di danza, ecc. Ciò che è strano è che non ci sia parallelismo.

Uno dei crucci dei liturgisti moderni era quello che amavano chiamare "doppioni", ovvero elementi che apparivano loro ridondanti o inutilmente ripetitivi. Aderendo alla strana convinzione di Romano Guardini secondo cui la devozione è caratterizzata dalla ripetizione, mentre la liturgia dalla singolarità lineare (si veda questa mia lezione per i testi pertinenti), dopo il Concilio sostennero che il rito dell'Offertorio anticipava inutilmente e confusamente il Canone e che pertanto necessitava di essere radicalmente modificato. Come tutti sappiamo, la loro soluzione fu quella di eliminare quasi tutto l'Offertorio esistente e sostituirlo con una banale simil-benedizione ebraica del pane e del vino.

È difficile sfuggire all'impressione che tali riformatori fossero come i critici illuministi e vittoriani che si lamentavano delle oscurità, delle infelicità e delle irregolarità nelle opere di Shakespeare, e quindi si sentivano giustificati nel "correggerle" diligentemente per i lettori moderni. Guardando indietro oggi, non possiamo che meravigliarci che persone altrimenti colte e competenti siano così cieche di fronte alla straordinaria perfezione delle opere del Bardo, che raggiunse i suoi obiettivi con una piena padronanza di tutto l'occorrente. 

Nel suo superbo libro La Foresta dei Simboli, Padre Claude Barthe ci guida a vedere il parallelismo tutt'altro che casuale o incidentale che esiste tra l'Offertorio del Rito Romano e il Canone Romano. Lungi dall'essere un esempio di ripetizione inutile o di anticipazione incoerente, è un esempio lampante di come la liturgia proceda per preparazione, rinforzo, parallelismo, costruendo un sistema di rimandi incrociati che consentono di cogliere il significato più pieno, proprio come gli uomini hanno due occhi e due orecchie per vedere e sentire meglio un'unica realtà, o come un treno viaggia su due binari paralleli per rimanere stabile e non deviare a sinistra o a destra. In effetti, quasi ogni processo cognitivo coinvolge molteplici fonti che si confrontano e si completano a vicenda. Sarebbe strano ridurre l'approccio alla verità a una sola battuta, singola e senza relazione. Né sorprende affatto che nessun rito liturgico divino-apostolico presenti questo difetto razionalista.

Consideriamo i parallelismi in dettaglio, citando Barthe, pp. 84-88.

Parallelismo n. 1
Il Suscipe, sancte Pater,
hanc immaculatam hostiam
(Ricevi, o Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, questa ostia immacolata, che io, tuo indegno servo, offro a te, mio ​​Dio vivente e vero, per i miei innumerevoli peccati, offese e negligenze, e per tutti i presenti; come anche per tutti i fedeli cristiani, vivi e morti, affinché possa giovare alla mia e alla loro salvezza per la vita eterna)

…corrisponde all’Hanc igitur
(Ti imploriamo quindi, o Signore, di essere placato e di accettare questa offerta del nostro dovere, come anche di tutta la tua famiglia; ordina i nostri giorni nella tua pace; concedici di essere salvati dalla dannazione eterna e di essere annoverati tra i tuoi eletti) del Canone e della consacrazione dell'Ostia (Questo è il mio Corpo). Questo Suscipe è particolarmente importante per lo sviluppo dello scopo propiziatorio ultimo della Messa: un'oblazione per i peccati dei vivi e dei morti in vista della loro salvezza.

Parallelismo #2
Il Deus qui humanae e
l’ Offerimus, tibi, Domine, calicem salutaris
(O Dio, che nel creare la natura umana l'hai nobilitata in modo meraviglioso e l'hai riformata in modo ancora più meraviglioso; concedi che, per il mistero di quest'acqua e di questo vino, possiamo essere resi partecipi della sua divinità, colui che si è degnato di diventare partecipe della nostra umanità, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore... Ti offriamo, o Signore, il calice della salvezza, implorando la tua clemenza, affinché possa salire al cospetto della tua divina maestà, come un profumo di soavità, per la nostra salvezza e per quella del mondo intero)

…corrispondono alla consacrazione del vino
(Questo è il calice del mio sangue).
Deus, qui Humanae substantiae… è, come abbiamo visto, un'antica preghiera assegnata dai sacramentari alla festa del Natale. Essa si riferisce alla rappresentazione, mediante l'aggiunta dell'acqua al vino, dell'unione dei fedeli con Cristo. Non fa altro che riprendere un'allegoria del periodo patristico a cui si è già fatto riferimento ("Quando il vino nel calice si mescola all'acqua, il popolo si unisce a Cristo", dice san Cipriano), la cui autorità a sua volta si fonda almeno sul simbolismo scritturale: "Le acque che hai visto... sono popoli, nazioni e lingue" (Ap 17, 15). L'attenzione è quindi focalizzata sull'umanità di Cristo e dei fedeli uniti a lui.

Il testo non ha fornito una spiegazione allegorica a posteriori dell'azione, dell'aggiunta: al contrario, è un chiaro esempio del significato allegorico dell'azione che spiega la scelta dei testi di accompagnamento. In effetti, l'aggiunta è di immensa importanza teologica. Il decreto del Concilio di Firenze (1438-1445) relativo agli Armeni, che riconoscevano in Cristo solo l'unica natura divina e consacravano solo il vino, senza l'acqua simbolo dell'umanità di Cristo, si riferisce all'estrema appropriatezza della mescolanza, citando Ap 17, 15.

A dire il vero, l'allegoria è duplice: nei riti milanese e certosino la preghiera allude anche all'acqua sgorgata dal costato di Cristo. Si tratta infatti di una triplice allegoria, se si tiene conto di san Tommaso d'Aquino, che oltre a una ragione storica adduce tre ragioni mistiche per la mescolanza di vino e acqua nel calice, di cui le prime due sono state appena menzionate: come rappresentazione della Passione, con l'acqua e il Sangue che sgorgavano dal costato aperto di Cristo (nell'Offertorio certosino, il sacerdote dice: «Dal costato di Nostro Signore Gesù Cristo sgorgarono Sangue e acqua per la redenzione del mondo»); come simbolo dell'unione del popolo con Cristo; ma anche come dimostrazione dell'effetto del sacramento, cioè l'ingresso nella vita eterna, rappresentata dall'acqua che disseta ogni sete (Gv 4, 13-14).

Parallelismo #3
La preghiera con il “noi” regale e l’invocazione, che derivano dai messali gallicani:
In spiritu humilitatis...
Veni, sanctificator...
(In uno spirito umile e in un cuore contrito, possiamo essere ricevuti da te, o Signore; e possa il nostro sacrificio essere offerto alla tua presenza in questo giorno, affinché ti sia gradito, o Signore Dio... Vieni, o tu che rendi santo, onnipotente, eterno Dio e benedici questo sacrificio, preparato per il tuo santo nome)

corrispondono all’epiklesis,
Supplices te rogamus…
(Ti imploriamo umilmente, Dio Onnipotente, di comandare che queste cose siano portate dalle mani del tuo santo angelo al tuo altare in alto, al cospetto della tua divina maestà, affinché quanti di noi, presso questo altare, parteciperanno e riceveranno il santissimo Corpo e Sangue del tuo Figlio, possano essere ricolmi di ogni benedizione e grazia celeste).

Nonostante tutto, non sembra che il santificatore invocato qui sia specificamente inteso come la Persona dello Spirito Santo. Inoltre, contrariamente all'opinione comune, la nozione di epiclesi (una richiesta, accompagnata da un profondo inchino, affinché la potenza di Dio possa discendere o che il sacrificio possa essere elevato a lui) non implica necessariamente una supplica allo Spirito Santo.

Parallelismo #4
Salmo 25, 6-12,

Lavabo inter innocentes manus meas…
(Io lavo le mie mani tra gli innocenti... Non distruggere la mia anima con gli empi, o Dio: né la mia vita con gli uomini di sangue. Nelle cui mani sono iniquità: la loro destra è piena di doni. Ma ho camminato nella mia innocenza... Il mio piede si è fermato sulla retta via: nelle chiese ti benedirò, o Signore), che accompagna il lavaggio delle sue mani da parte del celebrante, e ha dato il suo nome all'azione,

ci prepara al
Nobis quoque peccatoribus…
(Anche a noi peccatori, tuoi servi, che speriamo nella moltitudine delle tue misericordie, degnati di concedere una parte e una comunione con i santi apostoli e martiri... nella cui compagnia ti preghiamo di ammetterci, non considerando i nostri meriti, ma per il tuo libero perdono).

"Lavatevi, siate puri", dice Isaia (1, 16). Secondo gli storici liturgici, questo lavaggio delle mani potrebbe essere stato mistico fin dall'inizio. In caso contrario, potrebbe essere più plausibilmente collegato all'incensazione solenne che all'antica oblazione del popolo: san Cirillo di Gerusalemme (c. 315-386) aveva già notato che coloro che dovevano lavarsi le mani non avevano parte nella ricezione delle oblazioni.

Questo lavaggio delle mani, a quanto pare, era già presente nella Messa pontificale del V e VI secolo, e si trovava nello stesso punto della Messa in cui si trova oggi. Il sacerdote che si accinge a offrire il sacrificio si lava le mani, simboleggiando le sue azioni, per indicare che deve lavare e purificare la sua coscienza dalle cattive azioni con le lacrime di pentimento e compunzione, secondo il versetto: «Ogni notte laverò il mio letto, inonderò di lacrime il mio giaciglio» (Sal 6, 7).

Parallelismo #5
L'ultima grande preghiera dell'Offertorio,

Suscipe, sancta Trinitas,…
ob memoriam passionis, resurrezionis, et ascensionis…
(Ricevi, o Santa Trinità, questa offerta che ti facciamo in memoria della Passione, della Resurrezione e dell'Ascensione del nostro Signore Gesù Cristo, e in onore della beata Maria sempre vergine, del beato Giovanni Battista, dei santi apostoli Pietro e Paolo, di questi e di tutti i santi: affinché possa giovare al loro onore e alla nostra salvezza: e si degnino di intercedere per noi in cielo, la cui memoria celebriamo sulla terra)

sottolinea la finalità del sacrificio. È un'anamnesi (ricordo, rammemorazione), come quella del Canone,

Unde et memores…
(Perciò, o Signore, noi tuoi servi, come anche il tuo popolo santo, ricordando la beata passione dello stesso Cristo tuo Figlio nostro Signore, e anche la sua risurrezione dagli inferi, e la sua gloriosa ascensione al cielo, offriamo alla tua eccelsa maestà, dei tuoi doni elargiti a noi…).

Ma la preghiera ricorda anche il

Communicantes
con il suo appello dei santi
(Comunicando e venerando la memoria, in primo luogo, della gloriosa Maria, sempre Vergine, Madre del nostro Signore Gesù Cristo; così come dei tuoi beati apostoli e martiri, Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo... e di tutti i tuoi santi; per i cui meriti e preghiere concedi che in ogni cosa siamo custoditi dal tuo aiuto protettivo).

È una preghiera rivolta alla Santissima Trinità, anche se il Canone, come ogni preghiera eucaristica, è rivolto al Padre. I latinisti noteranno che nei messali più antichi si usava la forma più classica in honore con l'ablativo ( beatae Mariae semper Virginis et... ) piuttosto che in honorem con l'accusativo, un effetto accentuato dal fatto che segue un ad honorem ( ut illis proficiat ad honorem ). In honore equivale a in veneratione, in honore sanctorum , e ci fa pensare all'" in honore deorum ", la festa degli dei in latino antico. Notiamo anche che la progressione illis ad honorem… nobis ad salutem…; intercedere in caelis… quorum memoriam agimus in terris è un’interessante imitazione nel latino altomedievale dei misurati parallelismi del latino tardoantico.

Parallelismo #6

Orate, fratres…
(Fratelli, pregate affinché il mio e il vostro sacrificio siano graditi a Dio Padre Onnipotente. Possa il Signore ricevere il sacrificio dalle vostre mani, a lode e gloria del suo nome, a nostro beneficio e a quello di tutta la sua santa Chiesa)

…ricorda la preghiera
Quam oblationem del Canone
(Quale offerta ti degni, o Dio, di benedire, consacrare, approvare, rendere ragionevole e accettabile in ogni cosa)

Fiat acceptabile – facere acceptabilem, affinché il sacrificio offerto sia giudicato accettabile da Dio stesso, così che egli possa riceverlo. La teologia è ammirevole e rivela ancora una volta la rigorosa precisione della lex orandi di Roma.

Ma questo Orate, fratres è soprattutto un saluto, come Dominus vobiscum : il sacerdote bacia l'altare e stende le mani in segno di pace. Può trattarsi quindi di una sorta di benedizione da parte del sacerdote che si accinge a offrire il sacrificio: noteremo, infatti, che la duplice idea di sacrificio gradito e di offerta del celebrante a favore di coloro in nome dei quali compie l'offerta riappare in Placeat tibi, sancta Trinitas… (Ti sia gradito, o santa Trinità, l'omaggio del mio servizio; e fa' che il sacrificio che, pur indegno, ho offerto al cospetto della tua maestà, ti sia gradito: e per la tua misericordia ottieni il perdono per me e per tutti coloro per i quali l'ho offerto), l'altra apologia che precede la benedizione finale.

Ora, per l' Orate, fratres il celebrante compie un giro completo, con un movimento identico a quello della benedizione finale. Infine, dobbiamo ricordare che al termine della preghiera silenziosa dell'Offertorio (che rappresenta la preghiera silenziosa di Cristo nell'Orto del Getsemani), l'invito del sacerdote ai ministri a pregare prima di entrare nel sacrificio riecheggia quello di Cristo ai suoi discepoli nel Getsemani: «Pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22,40).

* * *

Padre Barthe prosegue mostrando che i molti altri "doppioni" del Rito Romano sono altrettanto attentamente elaborati per far emergere la massima profondità del significato teologico, proprio come lo sono i doppioni equivalenti del Rito Bizantino. Barthe ci aiuta a vedere, da nuove prospettive, le profonde analogie tra Oriente e Occidente che la riforma liturgica ha quasi cancellato e che il Rito Romano, nella sua integrità classica, preserva come testimonianza di cattolicità.

Non hanno forse tutti questi riti preso spunto dalla Parola stessa di Dio, in cui ripetizione e parallelismo sono caratteristiche chiave? La poesia ebraica non può essere compresa se non si coglie l'uso di frasi parallele che si riecheggiano in una sorta di rima concettuale. E chi potrebbe dimenticare il versetto tonante del profeta Geremia: "Non confidate in parole menzognere, dicendo: Il tempio del Signore, il tempio del Signore, è il tempio del Signore" (Ger 7, 4). Non basta avere un edificio consacrato; Bisogna vivere come popolo consacrato, accogliendo con umiltà e gratitudine tutto ciò che il Signore desidera donare. Non basta avere un “rito valido”; occorre la pienezza della tradizione, che è la pienezza della validità: valida da e per un popolo che il Signore ha fatto suo, in un amore annunciato, anticipato, realizzato, compiuto e rinnovato.

Nota di Chiesa e post-concilio
Martin Mosebach (scrittore e saggista). Santa routine: sul mistero della ripetizione. (dai miei appunti al Convegno Summorum Pontificum. Roma, Angelicum 14 settembre 2017)
Esordisce sottolineando l'ironia della "nobile semplicità" (espressione di Winckelman di 250 anni fa) ripresa da Sacrosanctum Concilium, n.34. "I riti splendano per nobile semplicità; siano trasparenti per il fatto della loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni". Da qui Mosebach sviluppa interessanti e significative riflessioni sia sull'importanza della ripetizione che sull'enfasi infausta circa la comprensibilità. Afferma che la supposta semplicità in realtà è diventata riduzione, depauperamento. Ѐ proprio della Liturgia esprimere l'eternità attraverso strumenti temporali. Ѐ qui che si inseriscono le ripetizioni: le triplici ripetizioni . Cita la riduzione del Kyrie a sole due invocazioni, chiedendosi perché una ripetizione duplice sia meno inutile di una triplice.
Afferma che la semplicità e la ripetizione non esprimono alcuna contraddizione; al contrario la semplicità esige la ripetizione. Lo strumento retorico della ripetizione viene scelto per rendere un canto echeggiante al di fuori della sfera storica (come il Sanctus). Il Kyrie (che è come la spina dorsale) e l'Agnus Dei, nella rispettiva triplice ripetizione, mostrano che l'invocazione dovrebbe essere ripetuta all'infinito, che è l'unica preghiera che valga la pena pronunciare (esemplare in questo la liturgia orientale). La soppressione delle cosiddette ed erroneamente ritenute "ripetizioni inutili" - nella possibile non consapevolezza dei padri conciliari - segna il distacco dall'aspetto escatologico della liturgia.
La rinascita della liturgia tradizionale rivaluta le "ripetizioni necessarie", non già all'interno del rito, ma dell'intero rito. Il rito è ripetizione, ma è sempre nuovo nel sacrificio di Cristo che è reso presente come fosse la prima, ultima, unica volta. E nella gradualità del rinnovarsi consente che si sperimenti e si attinga la forza di ritrovarsi a casa. Ciò che più conta è che il rito è più forte degli uomini che vincono se si abbandonano; ma se non sono pronti non possono coglierne la forza. Lasciarsi trasportare dalla messa nelle sue interminabili ripetizioni significa abbandonare la volontà di semplificare e di pensare in maniera indipendente. E molto altro. Accenna inoltre alla lingua, ancella traditrice perché le traduzioni possono alterare i riti (corre spontaneo il pensiero al recente motu proprio magnum principium... qui). Ѐ una possibilità tecnica, intellettuale (ma non spirituale) adatta all'anima.
I frutti maturano nella ripetizione e nell'abitudine. Richiama la necessità della continuità del prendersi cura: cultura deriva dal contesto agricolo e indica ciò che deve essere prodotto e amato costantemente e ripetutamente. L'atto spirituale non si esaurisce nell'essere compreso una sola volta, sollecita nutre e trasfigura. Cogliamo in controluce la bellezza e l'insistente qualità dell'eternità sempre identica ed è la pratica costante che produce frutti. Per questo repetita iuvant, qualcuno accenna...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

L'Offertorio sta al Canone come il Vecchio Testamento sta al Nuovo Testamento. La figura e la realizzazione. La messa comprende tutto, nella figura e nella realizzazione è una realtà totale e complessiva che si congiunge all'eternità. Alessandro da Roma.

Anonimo ha detto...

E' il secondo editoriale pubblicato questa mattina sulla NuovaBussolaQuotidiana a firma della Luisella Scrosati, contro Mons. Viganò e Don Leonardo M. Pompei per demolirli. E' impressionante come si accaniscano virulentemente nei loro confronti. Il nuovo teorema dell'editoriale ha un perno centrale, demolito il quale non rimane che polvere al vento ed è L'IRRAZIONALITA' LA DEMOLIZIONE DEL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE. Emerge nella sua brutalità la loro anima neo modernista, gnostica e idealista. E' soncertante!!!!!! Signori vi presento i conservatori. Alessandro da Roma.