Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 4 novembre 2025

Colligite Fragmenta / XXI Domenica dopo Pentecoste

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf che, nell'ottava, ci aiuta ad approfondire i doni spirituali della Messa della Domenica precedente qui.

Colligite Fragmenta / XXI Domenica dopo Pentecoste

Mentre l'anno liturgico volge al termine, la voce della Chiesa assume una gravità autunnale. Le domeniche dopo Pentecoste volgeranno il nostro sguardo verso la mietitura finale, quando il Signore prenderà ogni cosa per sé. La Colletta, l'Epistola e il Vangelo di questa domenica formano un'unica meditazione su misericordia e giudizio, protezione e pericolo, la famiglia divina custodita dalla grazia ma sottoposta alla prova dal fuoco. 
La Colletta, già presente nel Liber Sacramentorum Gellonensis, è elegante nella sua semplicità:
Familiam tuam, quaesumus, Domine, continua pietate custodi: ut a cunctis adversitatibus, te protegente, sit libera; et bonis actibus tuo nomini sit devota.
“Custodisci la tua famiglia, ti preghiamo, o Signore, con continua misericordia,
affinché, protetta da te, 
sia libera da ogni avversità e dedita al tuo nome nelle buone opere.”
Qui intravediamo già il dramma della fine dell'anno. La familia Dei è circondata dai nemici. Solo la pietas di Dio, la sua incrollabile misericordia, può preservarla. Familia in latino significava non solo genitori e figli, ma l'intera famiglia, servi inclusi. Così, quando il Canone prega Memento Domine famulorum famularumque tuarum, ricorda l'intera famiglia dei fedeli. Siamo dipendenti di Dio, sotto il suo governo paterno.

Custodi evoca la vigilanza di una sentinella; pietas, parola cara a Virgilio, significa più che "pietà". È amore doveroso, la prontezza ad adempiere agli obblighi verso Dio, i genitori e la patria. Nel linguaggio cristiano, diventa la fedeltà di Dio stesso alle Sue promesse. La sua pietas custodisce. La nostra devozione, l'offerta di sé implicita in devoveo ("dedicare con voto"), risponde. La preghiera descrive quindi la grazia in movimento: la misericordia divina che protegge la famiglia, la devozione umana che ricambia l'amore in azione.

In quest'epoca di esagerata autonomia, l'umiltà della preghiera urta le orecchie moderne. Presuppone una gerarchia: Dio Padre governa, noi figli serviamo. I miei peccati feriscono la famiglia; la mia fedeltà la rafforza. La casa non è egualitaria ma ordinata, e il suo ordine è l'amore. "Custodisci la tua famiglia, o Signore" significa precisamente: mantienici obbedienti e grati nel tuo governo paterno.

L'Epistola (Efesini 6:10-17) rende militante questa dipendenza.
“Siate forti nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio.”
La Chiesa si avvicina al campo di battaglia di fine anno e l'Apostolo ci chiama alle armi. I nostri nemici non sono gli uomini, ma "principati e potestà... dominatori di questo mondo di tenebre". Il termine greco, "lotta", implica un combattimento corpo a corpo. La famiglia fedele deve combattere corpo a corpo con nemici invisibili.

L'armatura di Paolo è fatta di virtù: la cintura della verità, la corazza della giustizia, i sandali della pace, lo scudo della fede, l'elmo della salvezza, la spada dello Spirito. Ogni pezzo difende la familia Dei dalla paralisi spirituale. Eppure il verbo endynamousthe, "rafforzatevi", è passivo. Non siamo guerrieri che si sono fatti da soli; la forza si riceve. La stessa pietas invocata nella Colletta qui diventa grazia, armando il credente.

Un'armatura inutilizzata non serve a nulla. Deve essere indossata, testata e ammaccata in battaglia.

Perciò Paolo aggiunge: «Pregate in ogni tempo nello Spirito». La preghiera mantiene l’armatura forte e luminosa.

L'immaginario di questo soldato si volge direttamente al Vangelo (Matteo 18,23-35), alla parabola del servo spietato. Un re fa i conti con i suoi servi, e il linguaggio riecheggia già la familia Dei. Un servo deve diecimila talenti, sessanta milioni di giorni di paga, 168.000 anni di lavoro. Il debito è impossibile da ripagare, a indicare la magnanimità divina: il signore perdona tutto. Eppure lo stesso servo strangola il suo compagno per un debito di cento denari. Il padrone, saputolo, revoca il perdono e lo consegna ai torturatori "finché non abbia pagato tutto". Cristo conclude senza mezzi termini:
“Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonate di cuore al vostro fratello”.
La parabola è un giudizio ammantato di immagini domestiche. La casa del re rispecchia la Chiesa; il resoconto prefigura il Giudizio Universale. Il servo spietato è il cristiano disarmato, che depone lo scudo della fede e la spada della carità. San Tommaso d'Aquino ne elenca cinque difetti: l'immediatezza (pecca "mentre usciva"), l'ipocrisia (implorare misericordia e poi negarla), la crudeltà verso un pari, l'avarizia per una sciocchezza, la violenza che cerca misericordia. Ogni difetto corrode un pezzo dell'armatura. Morale: la misericordia negata è un'armatura abbandonata.

La tradizione visiva rafforza questo concetto. Il dipinto di Domenico Fetti raffigurante il servo spietato mostra l'uomo perdonato che strangola il suo debitore ai piedi di una scala. Gli occhi della vittima imploranti verso l'osservatore, con la vite di Giovanni 15 che si arrampica dietro di loro (purtroppo, tagliata fuori dall'immagine in alto per motivi di formato – cercatela):
“Io sono la vite, voi i tralci… Se uno non rimane in me, viene gettato via come il tralcio e secca… e i tralci vengono raccolti, gettati nel fuoco e bruciati.”
L'immaginario lega i temi della famiglia, dell'unione e del giudizio. Separati dalla Vite, si diventa combustibile per il fuoco.

Qui convergono la Colletta, l'Epistola e il Vangelo. La pietas di Dio custodisce la Sua famiglia. La nostra devotio manifesta questa misericordia nelle opere. L'armatura della virtù protegge la casa fino al ritorno del Padrone per regolare i conti. La Chiesa, al tramonto dell'anno, legge questi testi come specchio della propria condizione. Essa è la famiglia protetta, il soldato agli ordini, il servo a cui molto è stato perdonato.

Il Beato Ildefonso Schuster ha colto la stessa nota nell'Offertorio, tratta da Giobbe: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore". Il grido di Giobbe è il canto dei fedeli messi alla prova. L'antico canto, ripetuto ut videam bona, "affinché io possa rivedere cose buone", si eleva come un battito di cuore attraverso la sofferenza, finché il lamento si trasforma in speranza.

Così anche la Chiesa in queste ultime domeniche canta la sua fiducia che, al di là della prova e della purificazione, vedrà di nuovo il bene.

San Giovanni Crisostomo, predicando su Efesini 6, confortò i suoi ascoltatori:
“Questa guerra che abbiamo contro di loro mette fine a un’altra guerra, quella che c’è tra noi e Dio; se siamo in guerra con il diavolo, siamo in pace con Dio.”
Il paradosso è evidente: il combattimento spirituale è di per sé riconciliazione. Combattere il male significa riposare nell'amicizia divina. Perdonare il nemico significa colpire il cuore di Satana. Quindi misericordia e guerra non sono opposti, ma due facce della fedeltà.

In questa luce, i tormenti della parabola non sono crudeltà arbitraria, ma giustizia rifiutata. I "torturatori" rappresentano le conseguenze del peccato impenitente: il verme che rode la coscienza, il fuoco "inestinguibile" (Marco 9,43). Come afferma Sant'Agostino, in comparatione noster hic ignis depictus est: il nostro fuoco non è che una fiamma dipinta in confronto a quello dell'Inferno. I dannati sperimentano per sempre la perdita del Bene Infinito; i beati ardono del fuoco dell'amore trasformante e divinizzante. Tra questi due fuochi ogni anima deve scegliere.

A questo punto, la supplica della Colletta per la custodia divina assume una risonanza apocalittica. "Proteggi la tua famiglia, Signore" non è una supplica cortese, ma un grido di battaglia. La familia Dei prega per la protezione non solo dalle avversità temporali, ma anche dal vaglio finale del Nemico. Essere "liberi da ogni avversità" significa essere liberati dal peccato, dall'orgoglio, dalla durezza di cuore che ha portato il servo spietato a dannarsi. Essere "devoti al tuo nome nelle buone opere" significa tradurre la fede in carità, l'armatura in azione.

Lo schema si ripete nella storia della salvezza. Israele era la famiglia di Dio, custodita in Egitto, armata nel deserto, giudicata per ingratitudine. La Chiesa è quella famiglia universalizzata, che porta la croce come Enea portò il padre – pius Aenea trasfigurato in pius Christianus. La sua pietas è ora quella di Dio, che la protegge attraverso secoli di prove; la sua devotio è la fedeltà di martiri e monaci, genitori e sacerdoti, ognuno dei quali adempie al proprio dovere nella famiglia della fede.

Mentre l'anno liturgico volge al termine, la Santa Chiesa si chiede se viviamo ancora in quella casa. Siamo rimasti sotto la protezione del Padre o siamo usciti nell'oscurità dove "ci sarà pianto e stridore di denti"? Abbiamo usato l'armatura di Dio o l'abbiamo lasciata arrugginire? Abbiamo perdonato di cuore o covato risentimento che corrode la misericordia? Il calendario stesso diventa un memento mori. Il tempo scorre. I libri saranno presto aperti... e poi chiusi.

Il genio romano della liturgia consiste nel condensare una vasta teologia in poche parole. Pietas, devotio, familia : ciascuna un mondo. Insieme raccontano la storia della grazia: l'amore fedele di Dio, la nostra risposta filiale, la comunione della famiglia che marcia sotto la Sua protezione. Quando queste parole vengono recitate al tramonto dell'anno, suonano quasi come l'ultima parola d'ordine di una guarnigione prima dell'alba.

Perché l'alba arriverà. «La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via dunque le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce» (Rm 13,12). La famiglia custodita dalla continua pietas sopporterà la lunga notte della prova e si sveglierà all'eterno mattino. I servi che perdonano sentiranno: "Intra in gaudium Domini tui". I soldati che hanno resistito deporranno le loro armature davanti al Re. E il fuoco che un tempo li spaventava brillerà intorno a loro come gloria.

Siate membri fedeli della famiglia. Armatevi per la guerra invisibile. Siate misericordiosi come avete ricevuto misericordia.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

3 commenti:

Anonimo ha detto...

OT
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2024/11/4-novembre-giorno-della-vittoria-e.html?m=1

Anonimo ha detto...

Segnalazione di lettura: https://www.barbadillo.it/125868-fine-della-cristianita-post-conciliare-lettera-aperta-al-cardinale-matteo-zuppi/

Anonimo ha detto...

https://gloria.tv/post/ZXopLsSZz2MH2AFTCLRTwf3SX ; Tucho respinge e rifiuta i titoli mariani "Corredentrice" e "Mediatrice di tutte le grazie"... e chi se ne frega? come dicono a Roma, i veri romani, "a noi nun ce po' fregar de meno". Ma con il biogno di braccia che c'è in agricoltura, quei due tipi lì, effigiati a fianco della Corredentrice, non pòootrebbero riciclarsi in una bella masseria? sicuiramente ne guadagnerebbe l'agricoltura, e a loro stessi stessi un po' di fatica fisica non potrebbe fare che bene, oltre ad impedir loro di dire e scrivere vere e proprie blasfemie. Pace e bene, a loro in primis. LJC Catholicus