Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 28 giugno 2015

Don Elia. Divina conversazione

Le nostre difese di natura dottrinale o canonica, esaminate nell’ultimo articolo, sono il bastione di cui Dio ha cinto la Sua città e che è nostro precipuo interesse conoscere bene: «Osservate i suoi baluardi, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura: “Questo è il Signore, nostro Dio, in eterno, sempre”» (Sal 48 [47], 14-15). Dato però che il nemico è riuscito a penetrare nella santa Città con il cavallo di Troia delle false opinioni, Colui che è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8) ha messo a nostra disposizione anche armi di natura spirituale per quel quotidiano combattimento che è sempre stato necessario, ma che oggi lo è più che mai, visto che i sacri Pastori fuggono davanti ai lupi o, peggio, spalancano loro le porte dell’ovile. «Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove» (Ef 6, 13).

Cominciamo allora con quell’arma che non ricorre per prima nella lista approntata da san Paolo, ma riveste una priorità dal punto di vista teologico. L’Apostolo segue effettivamente – si direbbe oggi – un ordine di tipo “pastorale”: bisogna anzitutto cingersi i fianchi con la verità e rivestirsi della corazza della giustizia (cf. Ef 6, 14), in altre parole assicurarsi che la propria fede personale aderisca strettamente alla sana dottrina e fare in modo che la propria condotta sia inattaccabile dal punto di vista morale. Tutto questo suppone però che si sia afferrata la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio (Ef 6, 17): la divina Rivelazione fissata nella Sacra Scrittura, fedelmente trasmessa dalla Chiesa nella Tradizione e autenticamente interpretata dall’autorità competente nel Magistero. Al di fuori della Tradizione e del Magistero, guidati dallo Spirito Santo (cf. Gv 14, 26; 16, 13), è impossibile comprendere correttamente i testi biblici, ispirati da quel medesimo Spirito.

Non si può dunque leggere la Bibbia come se si fosse i primi a farlo, ma occorre porsi nell’alveo di quel grande fiume che è rappresentato dai Concili, dai Padri, dai Papi e dai Santi, sotto la scorta di Colei che, nella Sua vita terrena, conosceva perfettamente le sacre Scritture ed era ricolma dello Spirito di verità più di tutti i cristiani di ogni tempo messi insieme. Questo è l’unico modo cattolico di ascoltare la divina Parola; gli svariati commenti in circolazione, compresi quelli al lezionario festivo e feriale, anche se di autori di grido che vanno per la maggiore, sono il più delle volte vere e proprie contraffazioni del messaggio biblico ed evangelico, basandosi su travisamenti e forzature che lo riducono a pretesto di puerili illusioni e di banale moralismo del tutto sganciati dalla sana dottrina come dall’effettiva realtà umana, che essi pretendono di illuminare. I commenti che hanno pretese scientifiche, invece, quand’anche non riducano l’annuncio cristiano ad una variante del Giudaismo, hanno in genere il difetto di limitarsi ad un’analisi del testo certo accurata e obiettiva, che esclude però, per speciose ragioni di metodo, il doveroso ricorso alla dimensione dogmatica dell’analogia fidei (cf. Dei Verbum, 12), lasciando così aperta la via a qualsiasi conclusione teologica, anche erronea.

Non intendo certo proporre un nuovo metodo di meditazione della Sacra Scrittura: ci sono già tanti maestri incomparabilmente più autorevoli, dai commenti patristici di singoli libri della Bibbia alla monastica lectio divina (illustrata nella Lettera di Guigo II il Certosino), al metodo che sant’Ignazio di Loyola descrive nei suoi Esercizi spirituali… senza disprezzare, per quanto riguarda i Vangeli, quelle rivelazioni private che ce ne rappresentano i fatti in modo vivido e coinvolgente. Un utile sussidio sono le sintesi di storia biblica e le vite di Cristo di autori riconosciuti, quali Ratzinger e Ricciotti. Le ricostruzioni contemporanee della Sua figura storica, come osserva Benedetto XVI nell’introduzione al suo Gesù di Nazareth, non fanno altro, di solito, che descrivere l’idea che l’autore ne aveva in partenza, in base alla quale seleziona e interpreta i dati con “scientifica” acribia. In realtà il Gesù storico – ribadisce il Papa – è il Cristo della fede; ammettere una distinzione tra i due – aggiungiamo discretamente – significa rinnegare la fede cattolica e porsi fuori della Chiesa, con evidente e grave pericolo di dannazione eterna.

Ora, se è indispensabile una retta conoscenza del Signore e della Sua salvifica Parola, è altresì necessario interiorizzarla, sempre con il Catechismo a portata di mano, mediante un’assimilazione vitale che plasmi la coscienza individuale e diventi impulso a comportamenti conformi alla volontà di Dio, riconosciuta e amata quale via di salvezza: «Porrò la mia legge nel loro intimo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31, 33). «Conservo nel cuore le tue parole per non offenderti con il peccato. […] Se la tua legge non fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria. […] La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici» (Sal 119 [118], 11.92.130). Qui si attua quella sinergia tra l’azione dello Spirito Santo e la collaborazione dell’uomo che si ritrova in tutto l’operare della grazia, conducendo la natura ad una conversione sempre più completa. Una lettura autenticamente spirituale della Bibbia è una lettura amorosa che la bagna di lacrime, lacrime di compunzione per i propri peccati e di gratitudine per la misericordia divina.

Dopo aver posto, esteriormente e interiormente, uno spazio libero tra sé e i propri pensieri, occupazioni e preoccupazioni; dopo aver raccolto tutte le facoltà nel centro del cuore per invocarvi la luce dello Spirito Santo; dopo aver letto lentamente e più volte il testo, meditandolo secondo il metodo prescelto e con l’eventuale aiuto di validi sussidi… piuttosto che trarne arbitrariamente norme di comportamento, del resto già fissate da chi di dovere, o dedurne affrettati propositi irrealistici, per quanto generosi, chiediamo umilmente quella grazia che la Parola stessa ci ha suggerito come la più urgente e necessaria, attivamente disposti a cooperare con essa mediante l’esercizio della virtù corrispondente. Se il Signore vorrà, la sincerità e l’intensità della nostra preghiera ci innalzeranno alla Sua santa presenza facendocene gustare l’inesprimibile dolcezza: «… e li disseti al torrente delle tue delizie» (Sal 36 [35], 9).

Simile frequentazione della Sacra Scrittura, per quanto possibile regolare, ci formerà gradualmente ad un dialogo intimo e costante con il Salvatore. Non quell’apparente dialogo rivendicato da chi non Lo conosce e che non è altro, in realtà, che un monologo di auto-conferma, ma quel dialogo effettivo, impregnato di timore e riverenza, di chi sa di non essere autore, da solo, se non della propria miseria, essendo debitore di ogni cosa buona all’infinito Amore che non è amato… Sì, piangi, anima mia, piangi senza sosta per averlo amato troppo tardi e troppo poco; piangi per chi non l’ama, per chi lo offende e lo calpesta, per chi in tal modo si danna già in questa vita; piangi per l’insondabile tenerezza che non trova chi la accolga… Questo pianto ti lavi, ti purifichi, ti rigeneri; ti spalanchi le porte dell’abisso, di quell’abisso di misericordia in cui non cade se non chi vuole e non vuol cadere se non chi lo conosce. Tuffati e sprofondaci senza voler sapere, senza voler capire; quando tornerai in superficie – alla superficie di questo mondo tenebroso che respinge Dio – rivedrai ogni persona portata in grembo dalla divina compassione, ogni cosa abitata dalla divina presenza, ogni fatto disposto dalla divina provvidenza.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Preghiamo spesso con le parole di Duns Scoto: "dignare me laudare Te, Virgo sacrata;da mihi virtutem contra hostes tuos", e prepariamoci alla lotta contro satana, il mondo e... noi stessi - per salvare e santificare la nostra anima e il maggiore numero possibile di altre anime - prepariamoci a soffrire e a lavorare; ci riposeremo dopo la morte. San Massimiliano Maria Kolbe. Avemaria.

Anonimo ha detto...

@ Qualche domanda di chiarimento nell'ambito di questa bella ed istruttiva "conversazione"

a. Dove si dice: "...opera della grazia, conducendo la natura ad una conversione sempre piu' completa", con "natura" si intende ovviamente la natura umana, l'uomo, ciascuno di noi.

b. Si ricorda che Ratzinger ribadisce giustamente che "il Gesu' storico e' il Cristo della fede". L'ha detto da qualche parte, sicuramente. Dove, esattamente? Non ha pero' aggiunto che credere nella separazione tra i due significhi "rinnegare la fede cattolica", come ricorda molto opportunamente Padre Elia. Non si tratta, infatti, di una semplice questione di ermeneutica. Questo e' uno dei problemi che, a mio avviso, l'esegesi dell'Emerito presenta: la tendenza a ridurre certe questioni a semplici problemi di interpretazione, di scuole ermeneutiche, come se non coinvolgessero invece la fede e quindi la salvezza della nostra anima.

c. Sempre nella brevissima Prefazione alla "Vita di Gesu'",che possiedo solo nell'edizione inglese, c'e' scritto: "La seconda questione posta da una buona esegesi dev'essere: cio' che leggo e' vero? Mi riguarda? E se si', come? Con un testo come la Bibbia, il cui autore ultimo e fondamentale, secondo la fede, e' Dio stesso, la questione circa lo hic et nunc delle cose passate e' innegabilmente inclusa nel compito dell'esegesi". Faccio notare: perche' quell'inciso "secondo la fede"? Non avrebbe dovuto il Nostro dire: ...e fondamentale e' Dio stesso etc."? Quell'inciso non introduce una nota di soggettivismo? Dio e' l'autore dei Testi Sacri perche' lo e' effettivamente o solo perche' lo crediamo noi?
Il fatto e' che l'esegesi di Ratzinger, nonostante i suoi meriti nei confronti del dilagante razionalismo di marca protestante diffusissimo tra gli esegeti cattolici, va a mio modestissiimo avviso presa anch'essa con prudenza. Per esempio, nella "Vita di Gesu'", dove parla delle genealogie di NS (cap. I) come riportate da Matteo e Luca, testi che notoriamente hanno sempre rappresentato dei complessi problemi di interpretazione, sembra accreditare un'interpretazione sostanzialmente simbolica da parte di entrambi, in applicazione di numerologie davidiche, per cosi'dire, ed apocalittiche. Ora, quest''interpretazione (del tutto congetturale) non mi sembra coincida con altre del passato, basate su argomenti piu' solidi, che risolvevano le apparenti contraddizioni del Testo (vedi voce "Genealogia di Gesu'" di mons. Francesco Spadafora, ne "Dizionario Biblico" diretto da F. Spadafora, Studium, Roma, 1963). PP

tralcio ha detto...

La fede è dono di Dio.
Dio è Verità.
Dio è Spirito santo, distributore di svariati doni, tra cui sapienza, scienza e intelletto.
E' lo Spirito a farci discernere quando rischiamo l'inganno.
Il demonio infatti è menzogna.
Il dono della fede è luce aggiuntiva alle facoltà della mente.
Il pensiero, la pura razionalità (spesso ingannata dalla superbia), senza l'ausilio della fede (che è anche umiltà), può perdere la strada.
Quindi nel ricorso all'intelligenza aggiuntiva (e decisiva) della fede, non bisogna da vedere alcun soggettivismo, ne' alcuna deroga all'oggettività della Verità.
La rivelazione cristiana è per chi ha occhi per vedere.
C'è chi è cieco, ma ha la pretesa di vederci chiaro.
Solo chi si fida del dato rivelato può, con umiltà, sondarne il mistero e lasciarsi condurre da una sapienza non nostra alla scoperta di ciò che la Parola contiene.
Chi invece fa dell'esegesi uno spezzatino agnostico, un'autopsia del testo, una contabilità ragioneristica di contraddizioni quasi sempre solo apparenti, non è più un teologo in senso mistico (un tralcio della vite), ma un sapiente secondo il mondo, con quelle misure e con i limiti intrinseci a una lettura della storia che non sa vedere oltre il proprio naso.
L'esegeta teologicamente mistico può essere apologeta (senza vergognarsene), può essere ispirato, evita di essere un dotto, uno scriba e in larga parte un fariseo che insegna a Dio come ci si dovrebbe comportare, preferendo Cartesio, Kant o Hegel, per finire all'esistenzialismo o alla demitizzazione bultmaniana, in cui la fede restante è nell'io.

Elia ha detto...

Risposte alle domande di chiarimento di PP.

a. Il termine "natura" è effettivamente usato nel senso scolastico del trattato "De gratia" e indica quindi la natura umana. E' vero che l'uso corrente può ingenerare degli equivoci, ma si sta parlando di conversione e cooperazione con la grazia; quindi il soggetto non può essere altri che l'uomo.

b. Se non ricordo male, l'affermazione che il Gesù storico è il Cristo della fede si trova nell'Introduzione alla prima edizione del primo volume del "Gesù di Nazareth", che però non ho a portata di mano per la verifica. E' stato segnalato che, nelle edizioni successive, l'Introduzione di Ratzinger è preceduta da una prefazione del card. Ravasi che, in sostanza, annulla detta affermazione.
Quanto all'esegesi di Benedetto XVI (la quale comunque non ha autorità magisteriale), essa si fonda prevalentemente sulla lettura di autori tedeschi, come si può agevolmente dedurre dalla Bibliografia. Ora, l'esegesi tedesca si caratterizza appunto per la scelta metodologica di limitarsi all'aspetto ermeneutico senza entrare nell'ambito dogmatico, senza quindi preoccuparsi della retta fede e della salvezza dell'anima.

c. Dio è oggettivamente l'autore principale della Sacra Scrittura; l'inciso "secondo la fede", preso alla luce del pensiero generale dell'Autore, sottolinea probabilmente il fatto che, per riconoscere questo, è necessaria la fede. Chi non crede non è evidentemente in grado di riconoscere ai testi biblici la stessa portata veritativa.
L'esegesi dei Vangeli è condizionata da una scelta di metodo, analoga a quella sopra ricordata, propria dell'esegesi attuale: per non incorrere nella critica della cultura contemporanea, si escludono per principio le questioni di veridicità storica (come quelle concernenti i miracoli e la Risurrezione) o la si nega esplicitamente, limitandosi poi alla dimensione simbolica dei fatti, con evidenti rischi di derive gnostiche. Fino ad una cinquantina di anni fa, invece, gli esegeti, specie italiani (come Spadafora, Garofalo, Barsotti...), affrontavano con serietà e competenza i problemi storici nell'intento di risolverli; oggi essi sono ignorati con sufficienza, se non denigrati come tutto ciò che risale a prima degli anni '70, ma personalmente li sto riscoprendo con grande profitto proprio per colmare le lacune dei miei studi.

Anonimo ha detto...

Grazie per le esaurienti spiegazioni. PP