Nella nostra traduzione da la Nef. Intervista concessa dal Padre Abate dell'abbazia tradizionale tra le più influenti al mondo, Nostra Signora di Fontgombault (Francia), al periodico cattolico francese La Nef . Si tratta di una realtà spuria, posto che usano il Messale del 1965; ma è comunque interessante trovare spunti più consoni alla Tradizione che alle derive odierne, insieme tuttavia a molti elementi ibridi che testimoniano come il cambiamento sia stato comunque ampio e divaricatore.
La Nef, Giugno 2025
Dom Jean Pateau: “L’unità non è uniformità”
Siamo lieti di offrirvi questa intervista esclusiva in lingua originale con il TRP Dom Jean Pateau, Padre Abate di Fontgombault, condotta da Lothar Rilinger e tradotta in tedesco per il sito web kath.net. Abbiamo parlato con lui personalmente per completare l'intervista e raccogliere le sue parole dopo la morte di Francesco e l'elezione di Leone XIV.
La Nef - Celebrate la Messa nella vostra abbazia secondo il rito antico. Pensate che questo modo di celebrare possa mettere a repentaglio l'unità dei credenti?
Dom Jean Pateau - Innanzitutto, le devo una precisazione. La messa conventuale in abbazia non viene celebrata secondo il messale del 1962, noto come Vetus Ordo o rito antico, ma secondo il messale del 1965. Quest'ultimo messale, frutto della riforma voluta dal Concilio il 4 dicembre 1963, è comunque vicino al messale del 1962, conservando l'offertorio e la maggior parte dei gesti. Abbiamo anche optato per l'uso del calendario attuale per il santorale. Abbiamo mantenuto il vecchio calendario liturgico, che comprende la Settuagesima, l'ottava di Pentecoste e le Quattro Tempora, ma celebriamo Cristo Re l'ultima domenica dell'anno, insieme alla Chiesa universale. Tutto ciò contribuisce a un riavvicinamento con l'attuale messale del 1969.
Per rispondere più direttamente alla sua domanda sull’unità ecclesiale, vorrei ricordarle che Benedetto XVI, nella sua lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum, ha esaminato due timori contrari alla pubblicazione di questo testo:
- sminuendo l'autorità del Concilio Vaticano II e mettendo in dubbio la riforma liturgica;
- portando disordini e perfino fratture nelle comunità parrocchiali.
Per quanto riguarda la messa in discussione dell'autorità del Concilio Vaticano II, vale la pena ricordare che, pochi mesi dopo la pubblicazione dell'Ordo Missæ del 1965, l'Arciabate di Beuron [nota: la grande abbazia tedesca] inviò a San Paolo VI una copia dell'edizione postconciliare del Messale Schott conforme a tale Ordo. Il 28 maggio 1966, il Segretario di Stato, il Cardinale Cicognani, indirizzò all'Abate una lettera di ringraziamento a nome del Papa, in cui dichiarava: "Il punto caratteristico ed essenziale di questa nuova edizione riformulata è che essa costituisce il perfetto culmine della Costituzione liturgica conciliare".
Quanto al secondo punto, mi sembra che dobbiamo diffidare delle facili caricature. Ci sono luoghi in cui le divisioni sono avvenute e continuano a verificarsi. Ma ci sono anche luoghi in cui la situazione è pacifica. Molti rimarrebbero sorpresi nello scoprire che la maggior parte dei giovani che scelgono di unirsi alle cosiddette comunità tradizionali non sono giovani cresciuti in comunità tradizionali fin dalla culla. Io stesso ne sono un esempio. Quanto ai giovani che si uniscono alle comunità tradizionali, sono molto liberi nelle loro pratiche liturgiche e hanno abbandonato da tempo le loro parrocchie d'origine.
L'unità nella Chiesa non è uniformità. Lavorare per l'unità non significa lavorare per l'uniformità. Oserei persino dire che imporre l'uniformità è dannoso per l'unità. Questa, mi sembra, era la prospettiva di Benedetto XVI. Lavorare per l'unità significa permettere a tutti di beneficiare sia dei tesori della lunga tradizione liturgica della Chiesa sia della riforma auspicata dal Concilio Vaticano II. Si tratta di vivere la diversità liturgica, non come competizione o umiliazione, ma al servizio dell'annuncio del Vangelo.
I fedeli in Francia desiderano partecipare alla messa secondo il rito antico?
È difficile rispondere a questa domanda, poiché il messale del 1962 viene celebrato raramente. Ciò che possiamo dire, tuttavia, è che le persone che partecipano a questo tipo di celebrazione sono sensibili alla sua dimensione contemplativa, più incentrata su Dio. Molti fedeli sono aperti alla partecipazione occasionale alle Messe celebrate secondo questo messale e dichiarano volentieri che rafforza la loro fede. Nella lettera citata sopra, Benedetto XVI ha osservato che, contro ogni aspettativa, "molte persone rimangono fortemente attaccate" al messale antico. Questo è certo, e possiamo aggiungere che molte persone che lo incontrano si affezionano ad esso. È un segno positivo.
Ha notato che sono soprattutto i giovani ad apprezzare il messale antico e a recarsi in chiesa più spesso grazie ad esso?
Posso testimoniare che un giovane religioso che ha assistito a una Messa celebrata secondo il Vetus Ordo mi ha chiesto, in modo del tutto inaspettato per quanto mi riguarda: "Com'è possibile che la Chiesa ce lo abbia nascosto?". Altri hanno espresso il desiderio di assistere a una Messa secondo questo Ordo. Il primo contatto con la forma antica della Messa può a volte essere più sorprendente: "Sono venuto qui perché la gente parla male di te!". Immersi in un mondo iperconnesso e rumoroso, dove i messaggi sono onnipresenti, apprezzano il silenzio e la sobrietà dei testi del Vetus Ordo. Questo carattere più espressivo, meno cerebrale, mi sembra un vantaggio pastorale. È stato detto che i fedeli che partecipano alla Messa secondo il Vetus Ordo hanno una pratica più regolare. Ci credo volentieri. Ma credo che lo stesso valga per i giovani che sono legati a parrocchie e comunità vivaci.
La celebrazione secondo il rito antico potrebbe essere anche un mezzo per una nuova evangelizzazione?
Per rispondere correttamente alla sua domanda, torniamo al messale del 1965. Pierre Jounel dedicò un libro (1) ai riti della Messa nel 1965. Nella sua introduzione, osserva che "quando, nel 1962, la Congregazione dei Riti pubblicò una nuova editio typica del Messale Romano... nessuno ebbe l'impressione che si trattasse di qualcosa di veramente nuovo. Al contrario, il 7 marzo 1965, sacerdoti e fedeli scoprirono una nuova liturgia...: l'uso della lingua volgare, la celebrazione della Liturgia della Parola fuori dall'altare, il fatto che il celebrante non recitasse più in privato i testi proclamati da un ministro o cantati dall'assemblea". Queste riflessioni, di un liturgista che ha vissuto l'attuazione della riforma, insieme al giudizio di Papa Paolo VI sopra menzionato, mi sembrano conferire al messale del 1965 un'autorità particolare e quindi una sua efficacia missionaria. È su questa base che vorrei rispondere.
Jounel prosegue la sua introduzione osservando che "dal 7 marzo, alcuni problemi posti dalla riforma liturgica sono maturati con sorprendente rapidità". -- L'imprimatur del libro risale al 16 luglio 1965! -- "Nella celebrazione davanti al popolo..., gesti ereditati dal Medioevo, come il ripetuto bacio dell'altare, la firma degli oblati, le ripetute genuflessioni o la recita del Canone a bassa voce, sono diventati un vero peso per i sacerdoti che, fino ad allora, avevano osservato le rubriche con assoluta tranquillità".
Ed è proprio questa una delle critiche mosse al messale attuale.
Il legame tra il celebrare davanti al popolo e il fatto che i gesti liturgici siano improvvisamente diventati un peso è degno di nota, e mi sembra attesti un cambiamento nello stato d'animo, persino nello stato d'animo, di questi sacerdoti. Perché questi gesti, che fino ad ora venivano compiuti con naturalezza, diventano un peso? Il sacerdote si vergogna? Trova ridicolo, quando i fedeli lo vedono, ciò che faceva spontaneamente davanti a Dio? Non è da tutti ignorare gli sguardi che ti rivolgono.
Non si è forse verificato lo stesso cambiamento di mentalità e di umore tra i fedeli? Ad esempio, il fatto di celebrare la Messa secondo il messale attuale, seppur in modo orientato [Nota: versus Deum], ha provocato forti reazioni e incomprensioni da parte di alcuni fedeli.
L'innegabile ricerca del sacro, sia tra i giovani che tra molti fedeli, merita certamente la considerazione dei liturgisti. A questo proposito, vi invitiamo a leggere l'interessantissimo contributo del vescovo Erik Varden [Nota: Varden è un trappista norvegese e vescovo di Trondheim], Il corpo in preghiera (2), presentato in apertura di un simposio ecumenico. La lettera apostolica Desiderio desideravi ha il merito di affrontare questa questione.
Oggi, alcuni sacerdoti riconoscono di celebrare privatamente secondo il Vetus Ordo. Questo nutre la loro vita spirituale. Se la celebrazione dell'Eucaristia non è oggetto di devozione personale, non si può rimproverare a un sacerdote di volerne attingere, di trarne nutrimento sostanziale. In questo senso, l'abbandono dell'orientamento dall'Offertorio in poi e la drastica riduzione dei gesti sono deplorevoli.
Credo quindi che l'evangelizzazione potrebbe senza dubbio essere stimolata da una riscoperta dell'orientamento e dei gesti tradizionali, che potrebbero essere ben introdotti, ad libitum, nel messale odierno e che sottolineano che l'Eucaristia è il memoriale vivente della Redenzione, che c'è un Altro che si fa presente e che davanti a quest'Altro tutti devono farsi da parte in adorazione. L'unico soggetto della liturgia è il Corpo Mistico di Gesù Cristo, di cui Cristo è Capo e unico Sommo Sacerdote, e di cui sacerdoti e fedeli sono membra. L'arricchimento reciproco dei due messali dovrebbe essere combinato con una catechesi mistagogica, alla maniera dei Padri della Chiesa. [Il problema del Messale odierno sono i tagli, gli annacquamenti e le modifiche, che lo fanno portatore di una teologia diversa -ndT]
Ritiene che il motu proprio Traditionis custodes rappresenti una rottura con Benedetto XVI/Ratzinger, che favorivano la celebrazione nel rito antico?
Non si può negare che i Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI abbiano facilitato la celebrazione secondo il Vetus Ordo. Benedetto XVI ha anche aperto la strada all'influenza reciproca dei due messali, in primo luogo scegliendo la stessa terminologia: forma ordinaria e forma straordinaria dello stesso rito romano, e in secondo luogo invitando: "I nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi possono e devono essere inseriti nel messale antico... La celebrazione della Messa secondo il messale di Paolo VI potrà esprimere con maggiore forza di quanto non sia avvenuto finora quella sacralità che attrae così tante persone al rito antico". Sorprendentemente, la Commissione Ecclesia Dei ha impiegato tredici anni per introdurre nuovi santi e prefazi nel messale antico. Tale ritardo può essere spiegato solo dall'opposizione, che potrebbe essere venuta sia da ambienti impegnati a preservare il messale antico senza aggiunte, sia da liturgisti che, avendo constatato la morte del Vetus Ordo, erano molto contrari a qualsiasi aggiornamento di questo messale che ne potesse prolungare l'uso.
Penso che sia importante rileggere la lettera di Papa Benedetto ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum, che attesta i suoi obiettivi:
- riconciliazione interna alla Chiesa;
- che tutti coloro che desiderano veramente l'unità abbiano la possibilità di rimanere in tale unità o di ritrovarla.
La riconciliazione desiderata è avvenuta? Certo che no. La Chiesa, i suoi membri, vescovi, sacerdoti e fedeli, stanno soffrendo, anche se per ragioni diverse.
Ciononostante, il motu proprio Summorum Pontificum aveva innegabilmente pacificato la situazione. Aveva inaugurato una nuova era. Ho sempre creduto, tuttavia, che quest'era non sarebbe durata se non si fosse lavorato concretamente nella direzione voluta da Benedetto XVI. Questo lavoro non è stato fatto.
Il motu proprio Traditionis custodes di Papa Francesco ha cambiato la disciplina. La situazione per i fedeli legati al vecchio messale è diventata più difficile. Alcuni si sono rivolti alla Fraternità San Pio X. Altri percorrono molti chilometri per assistere alla messa secondo il messale del 1962 o del 1965, o per ricevere un sacramento. Le tensioni sono riemerse in molti luoghi. I risentimenti si esacerbano; le incomprensioni si accentuano, soprattutto quando il numero di fedeli che assistono alla messa secondo il Vetus Ordo è in aumento e la loro età media è piuttosto giovane. Cercare ragioni politiche per questo successo è fuorviante. Se i fedeli vanno in questi luoghi, è semplicemente perché trovano qualcosa che stanno cercando.
A mio avviso, ci sono due ragioni per riprendere il lavoro chiesto da Papa Benedetto per avvicinare i due messali.
In primo luogo, non possiamo ignorare il fatto che si è svolto il Concilio Vaticano II e che è stata pubblicata la Costituzione sulla Liturgia, Sacrosanctum Concilium, che chiedeva una riforma del messale. Mantenere il messale del 1962 o il vecchio pontificale mi sembra difficile da conciliare con questo fatto.
In secondo luogo, il forte declino della pratica religiosa non può essere ignorato. Contrariamente a quanto si pensa, il fascino del messale antico non si limita ad alcuni Paesi europei o agli Stati Uniti. È quindi legittimo chiedersi se un rito più espressivo non possa contribuire in qualche modo ad arginare questo declino. Le reazioni dei fedeli, dei turisti, che si trovano ad assistere a una messa conventuale nel nostro monastero e ne sono profondamente commossi, mi portano a credere che un arricchimento ad libitum del messale del 1969 in termini di gesti, in particolare l'uso dell'ordinario del messale del 1965 con l'offertorio, e una celebrazione mirata non sarebbero privi di frutti. Sarebbe quindi legittimo che tutti i sacerdoti e i cristiani ne traessero beneficio.[inesorabilmente conciliarista -ndT]
Come valuta il pontificato di Papa Francesco?
È troppo presto per fare un bilancio del pontificato di Francesco. Papa Francesco è stato un dono di Dio alla Chiesa del nostro tempo (!?), proprio come lo è oggi Papa Leone. Di Papa Francesco, custodisco gelosamente il suo motto "Miserando atque eligendo" - Mostrando misericordia e scegliendo [purtroppo non ci si può fermare qui -ndT]. Avendo sperimentato la misericordia di Dio quando si è sentito scelto dal Signore per diventare sacerdote, non ha mai cessato di far conoscere lo sguardo di Dio su di loro e di invitare tutti a vedere il prossimo nella stessa luce. Ogni essere umano è oggetto della misericordia di Dio ed è scelto da Lui, anche il più miserabile. Da Dio ha ricevuto il diritto di esistere, il diritto di essere oggetto di vero amore, un amore di scelta. Accogliere e mettere in pratica questo motto è impegnativo, soprattutto quando il prossimo è un peso per noi. Eppure il Papa ci ha chiamato a niente di meno che all'imitazione di Cristo che ha dato la sua vita per i suoi amici.
Con Leone XIV la Chiesa ha un nuovo papa: come vede questo pontificato aprirsi a noi?
Per rispondere più direttamente alla sua domanda sull’unità ecclesiale, vorrei ricordarle che Benedetto XVI, nella sua lettera ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum, ha esaminato due timori contrari alla pubblicazione di questo testo:
- sminuendo l'autorità del Concilio Vaticano II e mettendo in dubbio la riforma liturgica;
- portando disordini e perfino fratture nelle comunità parrocchiali.
Per quanto riguarda la messa in discussione dell'autorità del Concilio Vaticano II, vale la pena ricordare che, pochi mesi dopo la pubblicazione dell'Ordo Missæ del 1965, l'Arciabate di Beuron [nota: la grande abbazia tedesca] inviò a San Paolo VI una copia dell'edizione postconciliare del Messale Schott conforme a tale Ordo. Il 28 maggio 1966, il Segretario di Stato, il Cardinale Cicognani, indirizzò all'Abate una lettera di ringraziamento a nome del Papa, in cui dichiarava: "Il punto caratteristico ed essenziale di questa nuova edizione riformulata è che essa costituisce il perfetto culmine della Costituzione liturgica conciliare".
Quanto al secondo punto, mi sembra che dobbiamo diffidare delle facili caricature. Ci sono luoghi in cui le divisioni sono avvenute e continuano a verificarsi. Ma ci sono anche luoghi in cui la situazione è pacifica. Molti rimarrebbero sorpresi nello scoprire che la maggior parte dei giovani che scelgono di unirsi alle cosiddette comunità tradizionali non sono giovani cresciuti in comunità tradizionali fin dalla culla. Io stesso ne sono un esempio. Quanto ai giovani che si uniscono alle comunità tradizionali, sono molto liberi nelle loro pratiche liturgiche e hanno abbandonato da tempo le loro parrocchie d'origine.
L'unità nella Chiesa non è uniformità. Lavorare per l'unità non significa lavorare per l'uniformità. Oserei persino dire che imporre l'uniformità è dannoso per l'unità. Questa, mi sembra, era la prospettiva di Benedetto XVI. Lavorare per l'unità significa permettere a tutti di beneficiare sia dei tesori della lunga tradizione liturgica della Chiesa sia della riforma auspicata dal Concilio Vaticano II. Si tratta di vivere la diversità liturgica, non come competizione o umiliazione, ma al servizio dell'annuncio del Vangelo.
I fedeli in Francia desiderano partecipare alla messa secondo il rito antico?
È difficile rispondere a questa domanda, poiché il messale del 1962 viene celebrato raramente. Ciò che possiamo dire, tuttavia, è che le persone che partecipano a questo tipo di celebrazione sono sensibili alla sua dimensione contemplativa, più incentrata su Dio. Molti fedeli sono aperti alla partecipazione occasionale alle Messe celebrate secondo questo messale e dichiarano volentieri che rafforza la loro fede. Nella lettera citata sopra, Benedetto XVI ha osservato che, contro ogni aspettativa, "molte persone rimangono fortemente attaccate" al messale antico. Questo è certo, e possiamo aggiungere che molte persone che lo incontrano si affezionano ad esso. È un segno positivo.
Ha notato che sono soprattutto i giovani ad apprezzare il messale antico e a recarsi in chiesa più spesso grazie ad esso?
Posso testimoniare che un giovane religioso che ha assistito a una Messa celebrata secondo il Vetus Ordo mi ha chiesto, in modo del tutto inaspettato per quanto mi riguarda: "Com'è possibile che la Chiesa ce lo abbia nascosto?". Altri hanno espresso il desiderio di assistere a una Messa secondo questo Ordo. Il primo contatto con la forma antica della Messa può a volte essere più sorprendente: "Sono venuto qui perché la gente parla male di te!". Immersi in un mondo iperconnesso e rumoroso, dove i messaggi sono onnipresenti, apprezzano il silenzio e la sobrietà dei testi del Vetus Ordo. Questo carattere più espressivo, meno cerebrale, mi sembra un vantaggio pastorale. È stato detto che i fedeli che partecipano alla Messa secondo il Vetus Ordo hanno una pratica più regolare. Ci credo volentieri. Ma credo che lo stesso valga per i giovani che sono legati a parrocchie e comunità vivaci.
La celebrazione secondo il rito antico potrebbe essere anche un mezzo per una nuova evangelizzazione?
Per rispondere correttamente alla sua domanda, torniamo al messale del 1965. Pierre Jounel dedicò un libro (1) ai riti della Messa nel 1965. Nella sua introduzione, osserva che "quando, nel 1962, la Congregazione dei Riti pubblicò una nuova editio typica del Messale Romano... nessuno ebbe l'impressione che si trattasse di qualcosa di veramente nuovo. Al contrario, il 7 marzo 1965, sacerdoti e fedeli scoprirono una nuova liturgia...: l'uso della lingua volgare, la celebrazione della Liturgia della Parola fuori dall'altare, il fatto che il celebrante non recitasse più in privato i testi proclamati da un ministro o cantati dall'assemblea". Queste riflessioni, di un liturgista che ha vissuto l'attuazione della riforma, insieme al giudizio di Papa Paolo VI sopra menzionato, mi sembrano conferire al messale del 1965 un'autorità particolare e quindi una sua efficacia missionaria. È su questa base che vorrei rispondere.
Jounel prosegue la sua introduzione osservando che "dal 7 marzo, alcuni problemi posti dalla riforma liturgica sono maturati con sorprendente rapidità". -- L'imprimatur del libro risale al 16 luglio 1965! -- "Nella celebrazione davanti al popolo..., gesti ereditati dal Medioevo, come il ripetuto bacio dell'altare, la firma degli oblati, le ripetute genuflessioni o la recita del Canone a bassa voce, sono diventati un vero peso per i sacerdoti che, fino ad allora, avevano osservato le rubriche con assoluta tranquillità".
Ed è proprio questa una delle critiche mosse al messale attuale.
Il legame tra il celebrare davanti al popolo e il fatto che i gesti liturgici siano improvvisamente diventati un peso è degno di nota, e mi sembra attesti un cambiamento nello stato d'animo, persino nello stato d'animo, di questi sacerdoti. Perché questi gesti, che fino ad ora venivano compiuti con naturalezza, diventano un peso? Il sacerdote si vergogna? Trova ridicolo, quando i fedeli lo vedono, ciò che faceva spontaneamente davanti a Dio? Non è da tutti ignorare gli sguardi che ti rivolgono.
Non si è forse verificato lo stesso cambiamento di mentalità e di umore tra i fedeli? Ad esempio, il fatto di celebrare la Messa secondo il messale attuale, seppur in modo orientato [Nota: versus Deum], ha provocato forti reazioni e incomprensioni da parte di alcuni fedeli.
L'innegabile ricerca del sacro, sia tra i giovani che tra molti fedeli, merita certamente la considerazione dei liturgisti. A questo proposito, vi invitiamo a leggere l'interessantissimo contributo del vescovo Erik Varden [Nota: Varden è un trappista norvegese e vescovo di Trondheim], Il corpo in preghiera (2), presentato in apertura di un simposio ecumenico. La lettera apostolica Desiderio desideravi ha il merito di affrontare questa questione.
Oggi, alcuni sacerdoti riconoscono di celebrare privatamente secondo il Vetus Ordo. Questo nutre la loro vita spirituale. Se la celebrazione dell'Eucaristia non è oggetto di devozione personale, non si può rimproverare a un sacerdote di volerne attingere, di trarne nutrimento sostanziale. In questo senso, l'abbandono dell'orientamento dall'Offertorio in poi e la drastica riduzione dei gesti sono deplorevoli.
Credo quindi che l'evangelizzazione potrebbe senza dubbio essere stimolata da una riscoperta dell'orientamento e dei gesti tradizionali, che potrebbero essere ben introdotti, ad libitum, nel messale odierno e che sottolineano che l'Eucaristia è il memoriale vivente della Redenzione, che c'è un Altro che si fa presente e che davanti a quest'Altro tutti devono farsi da parte in adorazione. L'unico soggetto della liturgia è il Corpo Mistico di Gesù Cristo, di cui Cristo è Capo e unico Sommo Sacerdote, e di cui sacerdoti e fedeli sono membra. L'arricchimento reciproco dei due messali dovrebbe essere combinato con una catechesi mistagogica, alla maniera dei Padri della Chiesa. [Il problema del Messale odierno sono i tagli, gli annacquamenti e le modifiche, che lo fanno portatore di una teologia diversa -ndT]
Ritiene che il motu proprio Traditionis custodes rappresenti una rottura con Benedetto XVI/Ratzinger, che favorivano la celebrazione nel rito antico?
Non si può negare che i Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI abbiano facilitato la celebrazione secondo il Vetus Ordo. Benedetto XVI ha anche aperto la strada all'influenza reciproca dei due messali, in primo luogo scegliendo la stessa terminologia: forma ordinaria e forma straordinaria dello stesso rito romano, e in secondo luogo invitando: "I nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi possono e devono essere inseriti nel messale antico... La celebrazione della Messa secondo il messale di Paolo VI potrà esprimere con maggiore forza di quanto non sia avvenuto finora quella sacralità che attrae così tante persone al rito antico". Sorprendentemente, la Commissione Ecclesia Dei ha impiegato tredici anni per introdurre nuovi santi e prefazi nel messale antico. Tale ritardo può essere spiegato solo dall'opposizione, che potrebbe essere venuta sia da ambienti impegnati a preservare il messale antico senza aggiunte, sia da liturgisti che, avendo constatato la morte del Vetus Ordo, erano molto contrari a qualsiasi aggiornamento di questo messale che ne potesse prolungare l'uso.
Penso che sia importante rileggere la lettera di Papa Benedetto ai vescovi in occasione della pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum, che attesta i suoi obiettivi:
- riconciliazione interna alla Chiesa;
- che tutti coloro che desiderano veramente l'unità abbiano la possibilità di rimanere in tale unità o di ritrovarla.
La riconciliazione desiderata è avvenuta? Certo che no. La Chiesa, i suoi membri, vescovi, sacerdoti e fedeli, stanno soffrendo, anche se per ragioni diverse.
Ciononostante, il motu proprio Summorum Pontificum aveva innegabilmente pacificato la situazione. Aveva inaugurato una nuova era. Ho sempre creduto, tuttavia, che quest'era non sarebbe durata se non si fosse lavorato concretamente nella direzione voluta da Benedetto XVI. Questo lavoro non è stato fatto.
Il motu proprio Traditionis custodes di Papa Francesco ha cambiato la disciplina. La situazione per i fedeli legati al vecchio messale è diventata più difficile. Alcuni si sono rivolti alla Fraternità San Pio X. Altri percorrono molti chilometri per assistere alla messa secondo il messale del 1962 o del 1965, o per ricevere un sacramento. Le tensioni sono riemerse in molti luoghi. I risentimenti si esacerbano; le incomprensioni si accentuano, soprattutto quando il numero di fedeli che assistono alla messa secondo il Vetus Ordo è in aumento e la loro età media è piuttosto giovane. Cercare ragioni politiche per questo successo è fuorviante. Se i fedeli vanno in questi luoghi, è semplicemente perché trovano qualcosa che stanno cercando.
A mio avviso, ci sono due ragioni per riprendere il lavoro chiesto da Papa Benedetto per avvicinare i due messali.
In primo luogo, non possiamo ignorare il fatto che si è svolto il Concilio Vaticano II e che è stata pubblicata la Costituzione sulla Liturgia, Sacrosanctum Concilium, che chiedeva una riforma del messale. Mantenere il messale del 1962 o il vecchio pontificale mi sembra difficile da conciliare con questo fatto.
In secondo luogo, il forte declino della pratica religiosa non può essere ignorato. Contrariamente a quanto si pensa, il fascino del messale antico non si limita ad alcuni Paesi europei o agli Stati Uniti. È quindi legittimo chiedersi se un rito più espressivo non possa contribuire in qualche modo ad arginare questo declino. Le reazioni dei fedeli, dei turisti, che si trovano ad assistere a una messa conventuale nel nostro monastero e ne sono profondamente commossi, mi portano a credere che un arricchimento ad libitum del messale del 1969 in termini di gesti, in particolare l'uso dell'ordinario del messale del 1965 con l'offertorio, e una celebrazione mirata non sarebbero privi di frutti. Sarebbe quindi legittimo che tutti i sacerdoti e i cristiani ne traessero beneficio.[inesorabilmente conciliarista -ndT]
Come valuta il pontificato di Papa Francesco?
È troppo presto per fare un bilancio del pontificato di Francesco. Papa Francesco è stato un dono di Dio alla Chiesa del nostro tempo (!?), proprio come lo è oggi Papa Leone. Di Papa Francesco, custodisco gelosamente il suo motto "Miserando atque eligendo" - Mostrando misericordia e scegliendo [purtroppo non ci si può fermare qui -ndT]. Avendo sperimentato la misericordia di Dio quando si è sentito scelto dal Signore per diventare sacerdote, non ha mai cessato di far conoscere lo sguardo di Dio su di loro e di invitare tutti a vedere il prossimo nella stessa luce. Ogni essere umano è oggetto della misericordia di Dio ed è scelto da Lui, anche il più miserabile. Da Dio ha ricevuto il diritto di esistere, il diritto di essere oggetto di vero amore, un amore di scelta. Accogliere e mettere in pratica questo motto è impegnativo, soprattutto quando il prossimo è un peso per noi. Eppure il Papa ci ha chiamato a niente di meno che all'imitazione di Cristo che ha dato la sua vita per i suoi amici.
Con Leone XIV la Chiesa ha un nuovo papa: come vede questo pontificato aprirsi a noi?
Abbiamo un giovane papa dotato dal Signore di molti doni. Mi sembra che possiamo aspettarci un pontificato che raccoglierà i frutti dei tre grandi papi che lo hanno preceduto, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco: la chiamata alla missione di Giovanni Paolo II, la spiritualità e l'insegnamento di Papa Benedetto, e l'accoglienza di tutti da parte di Francesco. Anche il suo motto ci pone di fronte all'essenziale. È un orientamento: "In illo uno, unum". In lui che è uno, siamo uno.
Come pensa che evolverà questa questione liturgica con il nuovo pontificato?
Il cardinale Prevost non sembra aver detto molto sul Vetus Ordo. Discepolo di Sant'Agostino, è un uomo di unità, un uomo di preghiera che potrebbe essere sensibile alla dimensione orante del Vetus Ordo. È anche un uomo che ascolta, e questo ascolto è mancato gravemente su tutti i fronti di questa questione.
È giunto il momento favorevole in cui le giovani generazioni di sacerdoti e laici invitano e inviteranno sempre più persone a riconsiderare la questione liturgica in modo pacifico, lontano da qualsiasi ideologia.
Dopo più di 50 anni di attuazione della riforma, discernerne i frutti e trarre beneficio dall'esperienza maturata aprirebbe un cammino sinodale e, per alcuni, un cammino di guarigione.
Così come sarebbe auspicabile che si organizzassero incontri al più alto livello della Chiesa con le comunità legate alla celebrazione del Vetus Ordo, ascoltando anche l’esperienza dei sacerdoti diocesani che celebrano entrambi gli Ordo.
Questo al fine di avviare un autentico processo di riflessione sulla celebrazione della Messa, sui lezionari, sul calendario e sugli altri sacramenti, in un'ottica di reciproca influenza e, perché no, di avvicinamento o addirittura di unificazione in alcuni casi. Il motu proprio di Papa Francesco ha portato a un inasprimento delle posizioni antagoniste. Lavorare per l'unità non significa mantenere un equilibrio precario tra gli opposti. Dobbiamo uscire dall'impasse. Troppa energia spirituale si disperde in lotte senza fine. L'evangelizzazione e i fedeli ne soffrono.
Come pensa che evolverà questa questione liturgica con il nuovo pontificato?
Il cardinale Prevost non sembra aver detto molto sul Vetus Ordo. Discepolo di Sant'Agostino, è un uomo di unità, un uomo di preghiera che potrebbe essere sensibile alla dimensione orante del Vetus Ordo. È anche un uomo che ascolta, e questo ascolto è mancato gravemente su tutti i fronti di questa questione.
È giunto il momento favorevole in cui le giovani generazioni di sacerdoti e laici invitano e inviteranno sempre più persone a riconsiderare la questione liturgica in modo pacifico, lontano da qualsiasi ideologia.
Dopo più di 50 anni di attuazione della riforma, discernerne i frutti e trarre beneficio dall'esperienza maturata aprirebbe un cammino sinodale e, per alcuni, un cammino di guarigione.
Così come sarebbe auspicabile che si organizzassero incontri al più alto livello della Chiesa con le comunità legate alla celebrazione del Vetus Ordo, ascoltando anche l’esperienza dei sacerdoti diocesani che celebrano entrambi gli Ordo.
Questo al fine di avviare un autentico processo di riflessione sulla celebrazione della Messa, sui lezionari, sul calendario e sugli altri sacramenti, in un'ottica di reciproca influenza e, perché no, di avvicinamento o addirittura di unificazione in alcuni casi. Il motu proprio di Papa Francesco ha portato a un inasprimento delle posizioni antagoniste. Lavorare per l'unità non significa mantenere un equilibrio precario tra gli opposti. Dobbiamo uscire dall'impasse. Troppa energia spirituale si disperde in lotte senza fine. L'evangelizzazione e i fedeli ne soffrono.
La liturgia è uno dei luoghi d'incontro tra uomo e Dio. Il cristianesimo oggi rischia di dissolversi in una religione orizzontale. La liturgia apre l'uomo alla trascendenza di Dio. Il rito contribuisce, nel suo giusto ruolo, a disporre l'uomo alla sua divinizzazione per grazia divina. Tocca in particolare il cuore dei semplici, conducendoli dal visibile all'invisibile. Per questo motivo, non deve essere trascurato.
Andiamo avanti con speranza, riconoscendo i frutti della riforma senza umiliare le conquiste di secoli di pratica liturgica; anzi, riscopriamole alla luce della riforma voluta dai Padri conciliari. La Chiesa e la sua liturgia non possono che esserne arricchite.
Il compito è enorme. La parte più difficile sarà probabilmente la conversione dei cuori, l'apertura al diverso, la rinascita della fiducia tra la Santa Sede, la gerarchia ecclesiastica, le comunità legate alla celebrazione del Vetus Ordo e i fedeli. Per questo, sarà necessaria la parola del Santo Padre. Voglio credere che questo dialogo rimanga possibile e che sarà non solo proficuo, ma profondamente fruttuoso per tutta la Chiesa, che ha bisogno di apostoli, sacerdoti e di tutti i suoi sacerdoti per la missione. Dobbiamo uscire dalla disputa tradizionalista-progressista, che è estenuante per tutti, e riportare la pace sull'altare!
Nel tabernacolo, Cristo è presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, implorando amore. Attende i suoi messaggeri. "In illo uno, unum".
_________________________
(1) Pierre Jounel, Les Rites de la Messe en 1965, Les premières étapes de la réforme liturgique, Tomo II, Desclée, 1965.
(2) https://coramfratribus.com/life-illumined/il-corpo-in-preghiera/
[ Fonte, in francese ]
4 commenti:
Questa intervista è emblematica dello stato confusionale grave che c’è nella Chiesa, oltre al tentativo sprovveduto di dissimulazione da parte degli alti ranghi.
Approfitto di questo spazio, che spero mi conceda la moderatrice, per raccontare un episodio, molto significativo della situazione vera, non di quella camuffata, capitato a me e mia moglie, lo scorso maggio. Lo faccio perché ritengo che uno dei nostri compiti sia quello di “smascherarli”, proprio in senso letterale, anche correndo il rischio di rimanerne inorriditi. inoltre ho provato a farlo pubblicare in qualche sito molto gettonato, ma senza successo, anche se non è difficile capire il perché.
UNA MESSA SENZA CONSACRAZIONE
Mi trovavo sabato scorso, 3 maggio, a Genova con mia moglie, attorno a mezzogiorno. Dopo aver visitato la bellissima cattedrale di San Lorenzo, in pieno centro, siamo entrati nella vicina chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea, la chiesa dei gesuiti. Dopo aver ammirato il meraviglioso interno, impreziosito dalle pale d’altare di Rubens e Guido Reni, siamo rimasti per assistere alla Messa che stava iniziando. Confesso di essere rimasto anche per curiosità, che difatti è stata decisamente appagata.
Tralasciando le solite stravaganze della liturgia della parola, mi sono accorto, con grande sconcerto, che dopo il “Santo”, il celebrante saltava completamente la Preghiera Eucaristica, passando direttamente alle preghiere dopo la Consacrazione, al Padre Nostro e, ovviamente, allo “scambio della pace”, quindi alla distribuzione della Eucarestia. Poi, visto che mi sembrava che nessuno se ne fosse accorto, ho pensato di assistere ad una di quelle liturgie in cui la Messa viene sostituita da un rito celebrato dal diacono, con la distribuzione delle ostie precedentemente consacrate. Allo scopo di chiarirmi questo dubbio, all’uscita dalla sagrestia, ad un tale in maglietta e pantaloni casual, che assomigliava al celebrante, ho chiesto:
«Mi scusi, è lei il sacerdote celebrante ?».
«Sì» risponde, «ahh, capisco che cosa vuole chiedermi. È vero, mi sono scordato la preghiera di consacrazione !».
Gli ribatto: «no, lei non si è “scordato” la preghiera della consacrazione, lei si è scordato di “fare la consacrazione”».
La breve conversazione è poi proseguita ma mi astengo dal riportare il seguito.
Tralascio ogni commento, perché sarebbe superfluo; dico solo che, facendo spesso il pane in casa, penso sia impossibile “scordarsi” della farina.
Claudio Gazzoli
Vien da esclamare : Dove aveva la testa! Cosa lo preoccupava!
Aveva l'intenzione di fare cio' che fa la Chiesa?
Essì che la celebrazione attuale e' così breve che piu' breve non si puo'
a meno di ridurla alla sola consacrazione! Perche'? Perche' si avverte la calura eccessiva, perche' si ha altro e meglio da fare? Nella mia Parrocchia attualmente ci sono due stranieri che evidentemente studiano a Roma e nella Messa "concelebrata" uno di essi sta per tutto il tempo con le braccia ciondoloni e se sta seduto allunga le gambe come stesse in poltrona; l'altro che ha un intercalare un po' robotico alla consacrazione spesso e volentieri dice :" Fate questo in memoria" ..tralasciando il "di Me".. Che dire? Che bisogna stare molto attenti perche' la Consacrazione avvenga effettivamente!
Ma, la S.Messa si puo' prendere alla leggera?
Io dissento TOTALMENTE da quel che dice Dom Jean Pateau. Soltanto il ritorno al Missale Romanum nella sua edizione del 1920 vivificherà la Santa Chiesa. Per esorcizzare il veleno del modernismo moderato - più letale del modernismo sguaiato -, invochiamo il Divin Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.
O Sanguis innocentis, lava culpas poenitentis.
Posta un commento