Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 25 giugno 2025

Il valore teologico della narrativa

Nella nostra traduzione da The Catholic Thing. Il professor Kmita sottolinea una prospettiva al di fuori del quotidiano – che si tratti di letteratura, architettura, storia, teologia – da molti considerata irrilevante, ma che in realtà apporta maggiore rilevanza e un significato umano e divino più pieno alle nostre vite.

Il valore teologico della narrativa

In un articolo dedicato alla lettura di narrativa letteraria, L'autorevole padre gesuita James V. Schall, uno dei fondatori di The Catholic Thing, ha ricordato l'opinione di Rudolf Allers (1883-1963), il quale affermava che vale sempre la pena leggere opere letterarie. Questa affermazione, ci dice padre Schall, include anche la cattiva letteratura; per la ragione che "vi troveremo quasi sempre scene di realtà umana che altrimenti non noteremmo".

Fin da giovanissimo, sono stato – e rimango – un avido lettore di narrativa. Persino i miei interessi teorici sono sempre stati subordinati alla letteratura. Questo perché il mio mentore, un professore francese di nome Marian Prada, mi ha insegnato che scrittori e poeti hanno in genere una visione della vita, dell'essere umano e del mondo più profonda di quella della maggior parte di noi. Potrebbe sembrare un'affermazione semplicistica, una che avrete sicuramente sentito (o letto) in una forma o nell'altra. Ma quando viene detta al momento giusto, dalla persona giusta, assume un valore che può cambiarti la vita. L'affermazione di Allers va nella stessa direzione.

martedì 24 giugno 2025

Latino e musica / San Giovanni e le note musicali

Latino e musica
San Giovanni e le note musicali

Oggi, 24 giugno, ricorre la festività di San Giovanni Battista, detto anche San Giovanni “della mietitura”, per la concomitanza con la stagione di quella importante pratica agricola.
Ma qui voglio ricordare San Giovanni in relazione a un antichissimo inno latino in suo onore, da cui deriva la denominazione, ancora oggi in uso, delle note musicali: Re, Mi. Fa... (ho omesso il Do, per un motivo che vedremo subito).
Ecco, in estrema sintesi, la storia. Le note per il canto gregoriano cominciarono a essere scritte - senza righi (notazione neumatica) - nel IX secolo, in alcuni monasteri europei, tra cui quello di San Gallo. La loro annotazione su quattro righi comparve nell’XI secolo ad opera del monaco Guido d’Arezzo. Ma lo stesso monaco ovviò anche a un altro notevole inconveniente: la difficoltà pratica di intendersi, comunicando oralmente, tra compositore ed esecutori (cantori). Infatti non era per nulla agevole indicare verbalmente le varie note senza poterle chiamare con i loro nomi: perché quei nomi non esistevano! Ed ecco allora il colpo di genio del monaco Guido: assegnare a ciascuna nota il proprio nome, facendole così uscire dall’anonimato e dall’incomunicabilità... E come fece? Semplice: prese una pergamena su cui era stato scritto (rigorosamente a mano!) un inno a San Giovanni Battista, che iniziava con “Ut queant laxis”, e scelse come nome di ciascuna nota le prime due lettere dei versetti - latini ovviamente - nell’ordine in cui si susseguivano in quell’inno. E così la prima nota si chiamò “Ut”, e tale rimase fino al XVII secolo, quando Giovanni Battista Doni la cambiò nella meglio pronunciabile “Do”: Do come “Dominus”! Ma c’è chi pensa che quel “Do” sia la “sigla” con cui Doni ha legato per sempre il suo nome alla prima nota musicale. Da osservare che in Francia e nei paesi francofoni la denominazione “Ut” è ancora in uso.
Guido d’Arezzo “battezzò” (proprio come il Battista!) le sei note allora esistenti. La settima fu introdotta da Bartolomeo Ramis de Pareja nel 1482, e prese nome dalle iniziali delle ultime due parole dell’inno di cui si era servito Guido d’Arezzo, “Sancte Ioannes”: dunque l’ultima delle sette sorelle fu chiamata “Si”.
Ecco una possibile traduzione dell’Inno:
Affinché i tuoi servi
possano cantare
a voce distesa
le tue meravigliose opere,
cancella il peccato
del loro labbro impuro,
o San Giovanni.
(Oreste Martinelli)

"Era nel bel mezzo di una funzione religiosa": l'attentato che ha causato 22 morti in una chiesa in Siria

Com’era facilmente prevedibile, buttato giù Assad a favore dei tagliagole, a Damasco i cristiani vengono perseguitati dai cosiddetti islamici buoni, quelli che piacciono a Europa e Israele... L'attentato suicida durante la messa nella chiesa di Sant'Elias: l'uomo ha sparato sui fedeli prima di farsi esplodere. Qui l'indice dei precedenti.

"Era nel bel mezzo di una funzione religiosa":
l'attentato che ha causato 22 morti in una chiesa in Siria

La messa della domenica nella chiesa greco ortodossa di san Elias alla periferia di Damasco si è trasformata in una strage. Almeno 20 i morti e quasi i 60 feriti. Ci sono anche bambini tra le vittime. Un attentatore suicida è riuscito ad eludere i controlli all’ingresso. Ha prima sparato all’impazzata e poi, quando la polizia è entrata richiamata dalle urla, si è fatto esplodere.

Il pensiero di tanti è andato immediatamente alla guerra israelo-americana contro l’Iran. L’ipotesi era che da Teheran potesse essere arrivato l’ordine di creare il caos. Il nuovo corso siriano può essere un buon obiettivo con cui cominciare ad incendiare il Medio Oriente per vendetta. Il presidente Ahmad al-Sharaa è un ex al Qaeda ed ex Isis, cioè un ex terrorista della Guerra Santa sunnita, nemico giurato della Rivoluzione Islamica sciita iraniana. Sin dal principio però non c’erano prove, indizi, rivendicazioni nulla .Già a logica l’accusa regge poco. L’Iran è abbastanza impegnato a resistere contro chi lo attacca veramente e non ha interesse a colpire la Siria, ormai ridotta alla semi impotenza da mesi di bombardamenti israeliani e da anni di guerra civile.

Col passare delle ore sono arrivate le testimonianze dei cristiani sopravvissuti, il loro racconto delle urla dell’attentatore suicida, ed è emersa una pista più credibile. L’attentatore sarebbe un membro dell’Isis che ha ancora una forte presenza nel Paese, ma è contrario al nuovo corso. Il suo ex esponente al-Sharaa, ora alla presidenza, è considerato un traditore del califfato. Cellule dello Stato Islamico sono ancora presenti con rapimenti e la richiesta di pedaggi nella zona desertica verso l’Iraq. Le celebri rovine di Palmira sono ancora di difficile accesso proprio per queste bande integraliste.

Il quartiere di Dweilaa dov’è avvenuta la strage è un’area mista della capitale siriana, abitata da sunniti, cristiani e alawiti. È il primo attacco di questa importanza alla comunità cristiana della Siria da dicembre 2024, alla caduta del regime di Bashar al-Assad. Il ministro dell’Informazione Hamza Mostafa ha parlato di «vile attacco terroristico. Non cederemo al nostro impegno per l’eguaglianza tra i cittadini, proteggeremo la società e combatteremo le organizzazioni criminali».

Molti analisti temono che la attuale instabilità nel paese possa alimentare la rinascita di cellule dormienti di gruppi islamici estremisti.

Pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma - 2025 - Sotto il patrocinio del cardinale Burke

Annuncio del 14° Pellegrinaggio annuale Summorum Pontificum a Roma, 24-26 ottobre. Il pellegrinaggio di quest'anno, presieduto dal cardinale Burke, coincide con il 100° anniversario della festa di Cristo Re. Dettagli di seguito.

Pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma - 2025 -
Sotto il patrocinio del cardinale Burke


Il pellegrinaggio Summorum Pontificum si svolgerà a Roma per la quattordicesima volta, concludendosi la domenica di Cristo Re, il 26 ottobre. 
Questo pellegrinaggio eccezionale, nel primo anno del pontificato di Papa Leone XIV, ha la particolarità di svolgersi durante l'Anno Santo e il centenario dell'enciclica Quas Primas di Papa Pio XI, sulla regalità istituzionale di Cristo.
La partecipazione a tutte o ad alcune delle cerimonie del pellegrinaggio è completamente gratuita. Tuttavia, i pellegrini organizzeranno autonomamente il loro viaggio a Roma e provvederanno autonomamente al loro alloggio. Il programma del pellegrinaggio sarà il seguente:

Giudicare o non giudicare. Il dilemma di San Girolamo

Nella nostra traduzione da Substack.com una interessante riflessione sul tema del "giudicare". Sul giudizio in generale vedi precedente: È il passato che giudica il presente qui

Giudicare o non giudicare. Il dilemma di San Girolamo
Cosa possiamo giudicare? Come dovremmo giudicare?

Immagine a lato: Domenico Ghirlandaio (1448–1494), San Girolamo nello studio

Negli ultimi anni, quando parlavo con alcuni miei conoscenti della terribile crisi che sta attraversando sia il mondo moderno sia la Chiesa, uno degli “argomenti” utilizzati dai miei interlocutori per mettermi a tacere era tratto direttamente dal Vangelo di Matteo:
Non giudicate, affinché non siate giudicati (Matteo 7:1). (1)
Tutte queste situazioni sono diventate per me una buona occasione per riflettere sul brano biblico in relazione al quale mi è stato chiesto di sospendere la mia capacità di giudizio. Ho così iniziato a leggere le interpretazioni dei Santi Padri e Dottori della Chiesa, che sono assolutamente unitarie e convergenti. I due aspetti estremamente importanti riguardanti l'interpretazione dell'affermazione di Nostro Signore "Non giudicate, affinché non siate giudicati" si riferiscono, in primo luogo, al contenuto – cosa dovremmo e non dovremmo giudicare – e, in secondo luogo, al modo in cui giudichiamo – come giudichiamo. Li considererò uno per uno, ma non prima di aver menzionato il dilemma di San Girolamo – un dilemma espresso attraverso una domanda che ci condurrà direttamente al cuore della questione:

lunedì 23 giugno 2025

Mons. Viganò. Pignus futuræ gloriæ / Omelia nella solennità esterna del Corpus Domini

Qui l'indice degli interventi precedenti e correlati.
Mons. Carlo Maria Viganò
Pignus futuræ gloriæ
Omelia nella solennità esterna del Corpus Domini,
II Domenica dopo Pentecoste
Se nascens dedit socium,
Convescens in edulium,
Se moriens in pretium,
Se regnans dat in præmium.
Nascendo si è fatto simile a noi,
nel banchetto si è fatto cibo,
nella morte prezzo di redenzione,
regnando nostro premio.
Hymn. Verbum supernum prodiens ad Mat.
L’ufficio del Corpus Domini fu composto da San Tommaso d’Aquino. Una pia tradizione vuole che il Doctor Angelicus ne abbia trascritto i testi appoggiando l’orecchio al tabernacolo, quasi sotto dettatura del Signore Eucaristico. Tutta la Liturgia di oggi è un canto al Santissimo Sacramento, indissolubilmente legato al Sacrificio della Messa e al Sacerdozio.

Nell’antifona O sacrum convivium, l’Aquinate definisce il Santissimo Sacramento – e implicitamente con esso, appunto, la Santa Messa in cui è consacrato – Pignus futuræ gloriæ, pegno di gloria futura.

Lex naturalis non abrogatur: La voce di Papa Leone XIV e il disinganno del moderno

Lo scorso 20 giugno, nel solenne contesto del Giubileo dei governanti, Leone XIV ha pronunciato un discorso che si distingue, come una delle più lucide enunciazioni del fondamento morale della politica nell’orizzonte del magistero recente. Qui l'indice degli articoli sulla realtà distopica, in attesa del ripristino della Lex naturalis.

Lex naturalis non abrogatur: La voce di Papa
Leone XIV e il disinganno del moderno


Nel solenne contesto del Giubileo dei governanti, il 20 giugno 2025, Papa Leone XIV ha pronunciato un discorso che si distingue, per pregnanza concettuale e profondità teoretica, come una delle più lucide enunciazioni del fondamento morale della politica nell’orizzonte del magistero recente. La sua affermazione secondo cui l’azione politica, per non divenire arbitrio travestito da procedura, deve ancorarsi alla legge naturale, "non scritta da mani d’uomo, ma riconosciuta come valida universalmente e in ogni tempo", recupera con vigore una visione ontologicamente fondata dell’ordine normativo, in netta controtendenza rispetto alle derive decisionistiche e contrattualistiche che hanno segnato la modernità giuridica.

La Secreta

Si riallaccia ai precedenti: Il Suscipe sancte Pater qui - qui e L'offerimus tibi Domine qui; In spiritu humilitatis qui: Il Lavabo qui; Il Suscipe Sancta Trinitas qui ; L'Orate fratres e Suscipiat qui. Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement conosciamo più a fondo la Secreta, un'altra delle sublimi formule della Messa dei secoli e gli elementi che ne fanno un unicum irreformabile. Ogni semplice sfumatura è densa di significati per nulla scontati a prima vista. Minuzie, patrimonio del passato, da custodire. Conoscerle non è ininfluente per una fede sempre più profonda e radicata. Grande gratitudine a chi ce le offre con tanta generosa puntualità.

La Secreta

Dopo l' Orate fratres e il Suscipiat qui, il sacerdote recita la seconda orazione propria. Nel cosiddetto Sacramentario Gregoriano, è intitolata Oratio super oblata, ovvero "Preghiera sulle offerte"; nel cosiddetto Sacramentario Gelasiano, è chiamata Secreta o Secreto. Il Messale Romano del 1970 usa il primo titolo per questa preghiera, il Messale 1570/1962 il secondo.

L'uso del termine secreta ha dato origine a numerose speculazioni storiche e ancor più a riflessioni teologiche.
In primo luogo, potrebbe indicare la voce del celebrante. Secondo Josef Jungmann, la liturgia gallo-franca, come le liturgie mozarabica e orientale, aveva un rito di offertorio silenzioso, e fu questa pratica a influenzare la terminologia del sacramentario gelasiano. [1] Secreta, in altre parole, significa qui "segreto" o sussurrato, e per Jungmann tale rubrica è in tensione con quella che egli sostiene essere la precedente pratica romana (e perennemente ambrosiana) di recitare l'orazione ad alta voce, una traccia della quale è rimasta nel Messale tridentino quando il sacerdote recita la parte conclusiva ( per omnia saecula saeculorum ) a voce udibile.

domenica 22 giugno 2025

Siamo fatti per nutrirci di Dio

Per chi desidera leggere e meditare per intero le sue parole, ecco l’omelia completa pronunciata dal Santo Padre questa sera a Roma sul sagrato di San Giovanni in Laterano. Merita tempo, silenzio, ascolto. Perché, come ha detto lui stesso, “quando ci nutriamo di Gesù, viviamo per Lui”. Oggi trovate le foto della processione fino a Santa Maria Maggiore, da lui ripristinata.

Testo integrale dell’omelia di Papa Leone XIV – Corpus Domini 2025




Cari fratelli e sorelle, 
è bello stare con Gesù. Il Vangelo appena proclamato lo attesta, raccontando che le folle rimanevano ore e ore con Lui, che parlava del Regno di Dio e guariva i malati (cfr Lc 9,11). La compassione di Gesù per i sofferenti manifesta l’amorevole vicinanza di Dio, che viene nel mondo per salvarci. Quando Dio regna, l’uomo è liberato da ogni male. Tuttavia, anche per quanti ricevono da Gesù la buona novella, viene l’ora della prova. In quel luogo deserto, dove le folle hanno ascoltato il Maestro, scende la sera e non c’è niente da mangiare (cfr v. 12). La fame del popolo e il tramonto del sole sono segni di un limite che incombe sul mondo, su ogni creatura: il giorno finisce, così come la vita degli uomini. È in quest’ora, nel tempo dell’indigenza e delle ombre, che Gesù resta in mezzo a noi.
Proprio quando il sole declina e la fame cresce, mentre gli apostoli stessi chiedono di congedare la gente, Cristo ci sorprende con la sua misericordia. Egli ha compassione del popolo affamato e invita i suoi discepoli a prendersene cura: la fame non è un bisogno che non c’entra con l’annuncio del Regno e la testimonianza della salvezza. Al contrario, questa fame riguarda la nostra relazione con Dio. Cinque pani e due pesci, tuttavia, non sembrano proprio sufficienti a sfamare il popolo: all’apparenza ragionevoli, i calcoli dei discepoli palesano invece la loro poca fede. Perché, in realtà, con Gesù c’è tutto quello che serve per dare forza e senso alla nostra vita.
All’appello della fame, infatti, Egli risponde con il segno della condivisione: alza gli occhi, recita la benedizione, spezza il pane e dà da mangiare a tutti i presenti (cfr v. 16). I gesti del Signore non inaugurano un complesso rituale magico, ma testimoniano con semplicità la riconoscenza verso il Padre, la preghiera filiale di Cristo e la comunione fraterna che lo Spirito Santo sostiene. Per moltiplicare pani e pesci, Gesù divide quelli che ci sono: proprio così bastano per tutti, anzi, sovrabbondano. Dopo aver mangiato – e mangiato a sazietà – ne portarono via dodici ceste (cfr v. 17).
Questa è la logica che salva il popolo affamato: Gesù opera secondo lo stile di Dio, insegnando a fare altrettanto. Oggi, al posto delle folle ricordate nel Vangelo stanno interi popoli, umiliati dall’ingordigia altrui più ancora che dalla propria fame. Davanti alla miseria di molti, l’accumulo di pochi è segno di una superbia indifferente, che produce dolore e ingiustizia. Anziché condividere, l’opulenza spreca i frutti della terra e del lavoro dell’uomo. Specialmente in questo anno giubilare, l’esempio del Signore resta per noi urgente criterio di azione e di servizio: condividere il pane, per moltiplicare la speranza, proclama l’avvento del Regno di Dio.
Salvando le folle dalla fame, infatti, Gesù annuncia che salverà tutti dalla morte. Questo è il mistero della fede, che celebriamo nel sacramento dell’Eucaristia. Come la fame è segno della nostra radicale indigenza di vita, così spezzare il pane è segno del dono divino di salvezza. Carissimi, Cristo è la risposta di Dio alla fame dell’uomo, perché il suo corpo è il pane della vita eterna: prendete e mangiatene tutti! L’invito di Gesù abbraccia la nostra esperienza quotidiana: per vivere, abbiamo bisogno di nutrirci della vita, togliendola a piante e animali. Eppure, mangiare qualcosa di morto ci ricorda che anche noi, per quanto mangiamo, moriremo. Quando invece ci nutriamo di Gesù, pane vivo e vero, viviamo per Lui. Offrendo tutto sé stesso, il Crocifisso Risorto si consegna a noi, che scopriamo così d’essere fatti per nutrirci di Dio. La nostra natura affamata porta il segno di un’indigenza che viene saziata dalla grazia dell’Eucaristia. Come scrive Sant’Agostino, davvero Cristo è «panis qui reficit, et non deficit; panis qui sumi potest, consumi non potest» (Sermo 130, 2): un pane che nutre e non viene meno; un pane che si può mangiare ma non si può esaurire.
L’Eucaristia, infatti, è la presenza vera, reale e sostanziale del Salvatore (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1413), che trasforma il pane in sé, per trasformare noi in Lui. Vivo e vivificante, il Corpus Domini rende noi, cioè la Chiesa stessa, corpo del Signore. Perciò, secondo le parole dell’apostolo Paolo (cfr 1Cor 10,17), il Concilio Vaticano II insegna che «col sacramento del pane eucaristico viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo. Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con Cristo, che è la luce del mondo: da Lui veniamo, per mezzo suo viviamo, a Lui siamo diretti» (Cost. dogm. Lumen gentium, 3). La processione, che tra poco inizieremo, è segno di tale cammino. Insieme, pastori e gregge, ci nutriamo del Santissimo Sacramento, lo adoriamo e lo portiamo per le strade. Così facendo, lo porgiamo allo sguardo, alla coscienza, al cuore della gente. Al cuore di chi crede, perché creda più fermamente; al cuore di chi non crede, perché si interroghi sulla fame che abbiamo nell’animo e sul pane che la può saziare. Ristorati dal cibo che Dio ci dona, portiamo Gesù al cuore di tutti, perché Gesù tutti coinvolge nell’opera della salvezza, invitando ciascuno a partecipare alla sua mensa. Beati gli invitati, che diventano testimoni di questo amore! [se Lo accolgono -ndr]

Card. Burke: La corruzione dottrinale e morale è “direttamente correlata” alla falsificazione della liturgia

Ne avevamo dato notizia qui. Ora, nella nostra traduzione da National Catholic Register un articolo di Edward Pentin che ne riferisce i dettagli dalla Conferenza tenutasi a Londra per celebrare i 60 anni della Latin Mass Society of England and Wales.

Card. Burke: La corruzione dottrinale e morale è
“direttamente correlata” alla falsificazione della liturgia


Il cardinale Raymond Burke ha fatto appello a Papa Leone XIV affinché revochi le restrizioni sulla liturgia precedente al 1970, sottolineando che il rispetto della tradizione liturgica è fondamentale per la missione della Chiesa cattolica e che la corruzione dottrinale e morale si manifesta in «divisioni e fazioni» che portano all’abuso liturgico.

Parlando in videoconferenza a una conferenza a Londra per celebrare i 60 anni della Latin Mass Society of England and Wales, il cardinale Burke ha ricordato che la difficoltà più grave che San Paolo ha dovuto affrontare nella Chiesa primitiva di Corinto era «l’abuso che era entrato nella celebrazione della Santissima Eucaristia» e che era «direttamente collegato alle divisioni dottrinali e morali tra i membri della comunità».