Dopo il vaticano secondo quella dell'episcopato è diventata una vexata quaestio in base ad una nuova teologia che lo intende come sacramento. Paolo VI il 18 giugno del 1968 ha promulgato una nuova versione del Pontificale Romano, che per la consacrazione del vescovo recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida» e per il sacerdote: «Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del Presbiterato. Rinnova in loro la effusione del tuo Spirito di santità». Dunque la sostanza del sacramento dell’ordine sacro è rimasta quanto alla materia e forma (vedremo poi la intenzione) nel nuovo Pontificale Romano di Paolo VI.
Di seguito una interessante disquisizione. (Da Tradizione Cattolica (FSSPX) n.2/2021
«Regere Ecclesiam Dei»
Questioni sull’episcopatoDon Gabriele D’Avino
Introduzione

Al fine di ben intendere cosa sia l’episcopato, chi sono e cosa fanno i vescovi, sarà utile qualche breve nozione preliminare che ci riporta alla filosofia perenne; dopo di che, avendo analizzato la costituzione canonica dell’episcopato, si procederà ad un excursus storico sulla sua origine, infine poi ad una trattazione teologica sulla sua precisa natura. Nozioni L’episcopato è, genericamente parlando, una funzione che presuppone una potestà, ed è quindi, nella Chiesa cattolica, un’autorità. Cosa si intende con questi due termini? San Tommaso dice che la potestà equivale alla potenza attiva, cioè la capacità in un soggetto di compiere una determinata azione2 . Ma ancora non basta: si può avere in primo luogo una potenza attiva nell’ordine fisico per produrre un movimento in un composto fisico, come accade al medico che guarisce un ammalato, sul cui corpo egli ha dunque una potestà fisica; come accade ugualmente al costruttore che ha una potestà sui mattoni e sul cemento; in secondo luogo una potenza attiva in senso più lato, morale, per produrre un movimento anch’esso in senso lato, questa volta sulle potenze spirituali dell’uomo, che sono l’intelletto e la volontà: è il caso del maestro che insegna all’alunno, su cui ha una potestà morale in quanto ne guida l’intelligenza; o del comandante dell’esercito sui suoi subordinati per muoverne la volontà. L’autorità, dal verbo latino augere, cioè «aumentare» (designa l’azione di aumentare la perfezione in un soggetto), è la relazione che esiste tra chi è deputato ad aumentare il bene, cioè far raggiungere la perfezione di un determinato soggetto, e il soggetto stesso. Come si vede, dunque, l’autorità presuppone una potestà . Sia detto a margine che il termine, piuttosto moderno, di potere come verbo sostantivato (a nostra conoscenza assente dal lessico tomista), indica l’esercizio di una potestà, e non va con essa confuso. L’uso frequente che oggi se ne fa al posto del termine più preciso di «potestà» è chiaramente ideologico in quanto presuppone l’ipostatizzazione di un’azione, quella politica, sganciata da ogni finalità verso il bene comune, e pertanto costituisce un presupposto liberale, quindi totalitario, del concetto di governo (potere giustificativo del potere, come in Machiavelli4 ). Nella Chiesa esistono due forme di potestà che permettono di compiere la finalità per cui essa fu da Nostro Signore istituita: quella di ordine e quella di giurisdizione. La prima, che è quella di realizzare i sacramenti, si ricollega per analogia5 alla potenza attiva nell’ordine fisico, poiché si agisce sulla materia (es. pane, vino, acqua, olio) per produrre un effetto spirituale nell’anima, cioè la grazia santificante conferita dai sette sacramenti; la seconda è invece quella che si ricollega alla potenza attiva nell’ordine morale per guidare i sudditi, cioè i cristiani, verso la perfezione: governare, istruire e giudicare i fedeli significa infatti condurli al loro fine.