Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 27 novembre 2025

27 Novembre - Supplica alla Madonna del miracolo

 

27 Novembre - Festa della Madonna del miracolo
O Maria, Vergine potente,
Tu grande illustre presidio della Chiesa;
Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani;
Tu terribile come esercito schierato a battaglia;
Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo;
Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze
difendici dal nemico e nell'ora della morte
accogli l'anima nostra in Paradiso!
Amen

Supplica alla Madonna del Miracolo 
Da recitarsi alle 17 del 27 novembre, festa della Medaglia Miracolosa, in ogni 27 del mese e in ogni urgente necessità.
Roma, S.Andrea delle Fratte,  
luogo della conversione di Ratisbonne
e delle Medaglie miracolose
O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque sei disposta ad esaudire le preghiere dei tuoi figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore in cui ti compiaci di spargere più abbondantemente i tesori delle tue grazie. Ebbene, o Maria, eccoci qui prostrati davanti a te, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da te prescelta per la manifestazione della tua Medaglia.

Noi veniamo a te, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest'ora a te sì cara, per ringraziarti del gran dono che ci hai fatto dandoci la tua immagine, affinché fosse per noi attestato d'affetto e pegno di protezione. Noi dunque ti promettiamo che, secondo il tuo desiderio, la santa Medaglia sarà il segno della tua presenza presso di noi, sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere, seguendo il tuo consiglio, quanto ci hai amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici tuoi e del tuo divin Figlio. Sì, il tuo Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all'unisono col tuo. Lo accenderà d'amore per Gesù e lo fortificherà per portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui.
O Maria concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo e per quanti a te non ricorrono, in particolare per i peccatori e per coloro che ti sono raccomandati.

mercoledì 26 novembre 2025

Perché i convertiti della Generazione Z vanno in massa alla messa antiquior

Si riallaccia all'articolo precedente [qui] e ne conferma e completa il contenuto. Testimonianza pubblicata da una giovane cattolica sul prestigioso quotidiano inglese The Catholic Herald (qui). Il suo interesse è che non si tratta proprio di qualcosa di puramente soggettivo, ma traccia oggettivamente i desideri di una nuova generazione che non ha pregiudizi rispetto alle altre generazioni rispetto alla messa tradizionale. Le nuove generazioni che assistono, diventano o semplicemente recuperano la pratica religiosa a contatto con la forma straordinaria non lo fanno per ragioni ideologiche, ma perché trovano lì qualcosa che il mondo moderno non è in grado di dare. Vogliono solo vivere serenamente la loro vita cristiana secondo il rito che ha santificato la Chiesa per secoli e sono estranei alle polemiche intraecclesiali che li accusano di epiteti che non corrispondono in nulla alla realtà. Desiderano la pace liturgica in comunione con il Papa e i suoi vescovi e non essere trattati come sospetti semplicemente perché vogliono santificarsi secondo il rito che li ha restituiti alla Chiesa. Dio voglia che il Santo Padre ascolti le suppliche di questa nuova generazione e ristabilisca la pace liturgica che Benedetto XVI ha avuto la finezza di impiantare concedendo ampie licenze a un rito mai abrogato.

Perché i convertiti della Generazione Z
vanno in massa alla messa antiquior.


Come molti giovani convertiti, la mia prima esperienza con il culto cattolico è avvenuta con la messa tradizionale. È stata grande, enigmatica e a volte sconcertante. Pochi, a parte la signora davanti a me, sembravano particolarmente sicuri di quando alzarsi e quando inginocchiarsi. Eppure, la settimana successiva, e ogni domenica da allora, sono tornata. Non come alcuni suppongono, nella speranza di incontrare il cristianesimo dei paramenti sontuosi tanto amato da alcuni settori cattolici di X, ma da un curioso desiderio di sperimentare quello che il dottor Peter Kwasniewski definisce «un prolungato corteggiamento dell'anima». È vero che il concetto di "prolungato" è una novità per noi zoomers. Nati tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2010, siamo cresciuti in pieno sviluppo tecnologico, il più rapido della storia dell'umanità. Ricordiamo a malapena un mondo precedente all'immediatezza e la nostra tolleranza al silenzio è praticamente inesistente. Che strano, quindi, che la nostra generazione, così lontana dai tempi lunghi, riempia silenziosamente i banchi di una liturgia di 90 minuti celebrata in una lingua antica.

Il latino è stato, ed è necessario che rimanga, la lingua del cattolicesimo

Nella nostra traduzione da Pelicanplus.com un altro articolo di Robert Keim da non perdere (precedente qui; oltre alle Lezioni sul latino liturgico qui). Il legame tra lingua cultura e religione è profondo e lo sarà sempre. 
Intanto leggo proprio adesso [vedi] : "Il latino è la lingua ufficiale della Chiesa e chi non la conoscesse, anche tra i cardinali, da oggi in poi deve studiarlo perché Leone XIV lo ha sancito nel nuovo «Regolamento Generale della Curia Romana» emanato il 24 novembre".
Aggiornamento: Art. 50 Riforma Curia
§1 Le istituzioni curiali redigeranno di regola i loro atti nella lingua latina o in altra lingua [Ecco il 'baco' in puro stile conciliare]
§2. È costituito presso la Segreteria di Stato un ufficio per la lingua latina, a servizio della Curia Romana. [Ci voleva; ma bisognerà vedere con quali potenzialità]
§3. Si avrà cura che i principali documenti destinati alla pubblicazione siano tradotti nelle lingue oggi più diffuse. [Questo è importante; ma sarebbe meglio se fosse salvaguardato davvero il latino in prima stesura]

Il latino è stato, ed è necessario che rimanga,
la lingua del cattolicesimo

di Robert Keim

Ferdinand de Saussure, studioso svizzero riconosciuto come il fondatore della linguistica moderna, disse che “nella vita degli individui e delle società, la lingua è un fattore di importanza maggiore di qualsiasi altro… Nella pratica, lo studio della lingua riguarda, in un modo o nell’altro, ciascuno”. [1] Una società soprannaturale, non meno di una società politica o etnica, ha bisogno di una lingua che le sia propria.

Benché Saussure sia stato il fondatore della linguistica moderna, la modernità non ha certo inventato l’idea che il linguaggio costituisca un elemento cruciale e assolutamente significativo della vita sociale. Questa è, piuttosto, un’idea pienamente e profondamente cristiana, che la Chiesa occidentale ha ereditato direttamente dalla cultura intellettuale dell’Antichità. Era già presente nella letteratura e nella liturgia degli antichi Ebrei. Scrive il grande studioso biblico Robert Alter: “I salmisti ci dicono ripetutamente che la vocazione ultima dell’uomo è usare le risorse del linguaggio umano per celebrare la grandezza di Dio ed esprimere gratitudine per i Suoi atti benefici”. [2] E sebbene l’antica Roma sia famosa per la sua abilità in attività pratiche come la costruzione di strutture monumentali, la conduzione di guerre e il governo di territori immensi, il sistema educativo romano era finalizzato alla formazione di oratori. Sia nei suoi aspetti pratici sia in quelli teorici, esso rifletteva un mondo in cui la parola e la sua presentazione erano centrali alla vita civica. [3]

martedì 25 novembre 2025

Oltre destra e sinistra: i partiti moderni e l'arte perduta della regalità

Una riflessione in un ambito complesso, nel tentativo di capirci di più, col vostro aiuto. Da quel che vedo, la presunta omologazione è solo parziale: basti pensare, ad esempio, all'immigrazionismo e alle ostinate affermazioni del gender e dei diritti lgbt.

Oltre destra e sinistra:
i partiti moderni e l'arte perduta della regalità

Le recenti elezioni regionali in Veneto, Puglia e Campania ripropongono, con evidenza quasi didascalica, una verità che la teoria politica più avvertita conosce da tempo: i partiti “tradizionali” di destra e di sinistra non sono alternative reali di paradigma, ma variazioni interne a un medesimo orizzonte moderno. In Veneto il centrodestra consolida un dominio politico ormai stratificato; in Puglia e Campania il centrosinistra si accredita come polo dell’“alternanza”. E tuttavia, sui dossier realmente decisivi – dalla guerra in Ucraina ai vincoli europei, dalle scelte di bilancio alla struttura complessiva dei rapporti economico-sociali – la convergenza è sostanziale. Cambia il linguaggio, mutano gli accenti, si diversificano le retoriche; ciò che non cambia è il quadro di riferimento, dentro il quale l’elettore è autorizzato a scegliere solo tra opzioni rigidamente precostituite, tutte interne alla medesima architettura politico-giuridica.
Questa omologazione non è un incidente, ma il frutto coerente del pensiero politico moderno. I partiti odierni nascono e si sviluppano all’interno di una costellazione teorica che, dalla dottrina della sovranità assoluta come potere indivisibile e originario (Bodin), passa per la separazione sistematica tra politica ed etica, in cui la “virtù” del governante coincide con l’efficacia e non con la bontà morale, come appare esemplarmente nei capitoli XV–XVIII del Principe dove è lodato chi “sa non essere buono” quando lo richieda la conservazione dello Stato (Machiavelli), assume la paura e la sicurezza quale fondamento del patto che istituisce il Leviatano, riducendo la comunità politica a meccanismo di auto-conservazione (Hobbes), eleva proprietà e interesse individuale a cardini della legittimazione del potere, facendo dello Stato il garante di un ordine giuridico plasmato sui diritti soggettivi proprietari (Locke), fino a dissolvere ogni mediazione sociale nella volontà generale, che è sempre nel giusto in quanto espressione di sé stessa, e trasforma il corpo politico in prodotto di un atto contrattuale fondato sulla volontà (Rousseau).

La "silenziosa rinascita cattolica" della Gran Bretagna è guidata dai laici

Nella nostra traduzione da Infocatolica. Un'ondata silenziosa di conversione e rinnovamento sta prendendo piede tra i giovani del Regno Unito. Sempre più spesso, i membri della Generazione Z si rivolgono alla Chiesa in cerca di chiarezza, stabilità e significato.

La "silenziosa rinascita cattolica"
della Gran Bretagna è guidata dai laici

Nel Regno Unito, diversi rapporti recenti parlano di una "silenziosa rinascita" all'interno della Chiesa cattolica, in particolare tra i giovani. Con l'avvicinarsi delle celebrazioni pasquali, le parrocchie di tutto il Paese hanno registrato un notevole aumento della partecipazione e dell'interesse per la fede.

Giornali come il Daily Telegraph, il Times e l'Anglican Ink hanno pubblicato titoli sulla rinascita cattolica in Inghilterra. "Ci sono splendidi segnali di crescita e rinnovamento nella vita della Chiesa, soprattutto tra i ventenni e i trentenni", ha dichiarato l'arcivescovo John Wilson di Southwark.

Colligite Fragmenta: 24ª e ultima domenica dopo Pentecoste

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre collegata alle vicende del presente. Essa, nell'ottava, ci aiuta ad approfondire i doni spirituali della Messa della Domenica precedente qui.

Colligite Fragmenta:
24ª e ultima domenica dopo Pentecoste


Tutte le cose buone giungono alla loro fine, con l’eccezione dell’amore di Dio e della gioia eterna del Cielo. Così, nella sua sapienza liturgica, la Chiesa permette che anche il ciclo dell’anno giunga alla sua solenne conclusione, affinché possiamo essere nuovamente spronati a ricominciare. Mentre questa serie di riflessioni si avvia al termine, il nostro sguardo è rivolto all’Epistola assegnata per la 24ª e ultima Domenica dopo Pentecoste, Colossesi 1,9-14, e alla sconvolgente pericope evangelica dei “tempi ultimi” tratta da Matteo 24,15-35. Poiché quest’anno la data della Pasqua è caduta in un certo modo, non è stato necessario ricorrere a nessuna delle Domeniche dopo l’Epifania per colmare lo spazio tra la 23ª Domenica e l’ultima (che è sempre la 24ª, anche quando non lo è di fatto). La fine dell’anno liturgico si incastra con il suo inizio.

lunedì 24 novembre 2025

Avviso spostamento Santa Messa a Pavia

La Santa Messa già programmata per domani, martedì 25, alle ore 18,15 è sospesa: verrà celebrata invece GIOVEDI' 27, festa della Madonna della Medaglia Miracolosa. L'orario rimane invariato (18,15).
don Fabio

Mentre l’Islam chiede visibilità e spazio e finora li guadagna, ai cristiani viene chiesto il silenzio e si adeguano

Qui l'indice degli articoli in tema.
Mentre l’Islam chiede visibilità e spazio e finora li guadagna, ai cristiani viene chiesto il silenzio e si adeguano

Questa mattina, scorrendo Instagram, mi sono imbattuta in un video di Isabel Brown, una commentatrice americana che seguo da tempo. Parlava di un tema che molti in Europa ignorano o non vogliono vedere: il pericolo dell’Islam istituzionale quando entra nelle strutture politiche e comincia a influenzare le leggi, la cultura e la vita quotidiana. Lei stessa afferma apertamente che l’Islam istituzionale non è compatibile con la civiltà occidentale, perché nei Paesi dove prende forma politica finisce sempre per limitare diritti fondamentali, in particolare quelli delle donne e delle minoranze religiose. Il suo discorso nasceva dalle elezioni di Zohran negli Stati Uniti, una situazione che avevo commentato anch’io giorni fa. Molti avevano capito il mio punto, ma altri mi avevano chiesto in che cosa la sua religione rappresentasse un problema e perché dovrebbe preoccupare più di un politico cattolico che tiene un rosario. Da cristiana, da pakistana e da persona che ha vissuto in un Paese dove la religione diventa legge, questa domanda mi fa preoccupare profondamente. Possibile che abbiamo perso completamente la capacità di distinguere?

E forse questa incapacità di distinguere nasce anche dal fatto che in Italia non si è mai davvero sperimentato cosa significhi vivere accanto a un Islam che non rimane privato, ma tende a radicarsi nelle strutture sociali. È un cambiamento che io ho iniziato a percepire già anni fa. Ricordo quando studiavo a Roma nel 2013: vedevo i primi segnali in alcuni quartieri, una presenza diversa che cominciava piano piano a diventare parte del paesaggio urbano. Oggi, vivendo a Torino, questa sensazione è diventata ancora più evidente. Le strade sono piene di donne con l’hijab, molte famiglie provenienti da Paesi di forte tradizione islamica, una presenza sempre più numerosa e visibile. E voglio dirlo con chiarezza: l’hijab non è il problema. Il vero problema è ciò che accade parallelamente: una crescente visibilità pubblica dell’Islam, mentre allo stesso tempo ai cristiani viene chiesto di fare un passo indietro, di non nominare Gesù a Natale per “non offendere”, di mettere la propria fede tra parentesi.

Questa asimmetria non è rispetto: è cancellazione. E mentre tutto questo accade, molti sembrano non collegare i punti. Si considera uguale un politico cattolico e uno musulmano, ignorando che il cattolicesimo – nella sua espressione moderna e secondo la dottrina della Chiesa – non pretende che lo Stato diventi cattolico. Un cattolico può portare un rosario, può ispirarsi al Vangelo, ma non chiede che il Codice di Diritto Canonico diventi legge civile. L’Islam istituzionale invece, nelle sue forme politiche, non separa religione e Stato. Io provengo da un Paese dove lo Stato e la religione sono un’unica cosa: in Pakistan la legge non esiste senza la religione, e la religione non esiste senza la legge. Le donne, i cristiani, le minoranze, i convertiti: tutti vivono sotto un sistema che decide ciò che possono o non possono fare in nome della religione. Il cristianesimo porta libertà; l’Islam politico porta controllo.

Non tutti i musulmani la pensano così, questo è evidente. Ma quando un politico musulmano parla apertamente del desiderio di portare la propria religione nella gestione della città — come è accaduto negli Stati Uniti — la domanda è legittima: quali parti della sua fede vuole tradurre in legge? Quale idea ha della libertà religiosa, dei diritti delle donne, della libertà di coscienza? Questi interrogativi non sono discriminazione: sono prudenza, sono responsabilità, sono memoria.

Il paradosso più grande, però, è che mentre l’Islam chiede visibilità e spazio, ai cristiani viene chiesto il silenzio. Nella scuola di mia figlia si parla e si celebra il Ramadan con naturalezza, mentre a Natale quasi bisogna evitare di nominare Gesù. È accaduto anche a me, anni fa a Roma, di sentirmi dire da uomini bengalesi: “Come fai a essere ancora cristiana? Perché non sei musulmana, venendo dal Pakistan?”. Questa mentalità la conosco bene, perché fa parte di un sistema dove l’identità islamica non resta mai solo personale, ma tende a espandersi nella società.

A giugno, durante una visita all’Acquario di Genova, sono rimasta colpita dalla grande presenza di famiglie bengalesi; lo stesso accade intorno al Vaticano, dove i negozi gestiti da comunità islamiche sono in aumento. A Torino, lo vedo ogni giorno. Non è razzismo, non è giudicare le persone — che meritano rispetto come tutti gli esseri umani — ma sarebbe ingenuo fingere che questa crescita non porti con sé un forte senso identitario. L’Europa, nel frattempo, perde le sue radici cristiane e sembra quasi vergognarsi della sua identità. L’Islam, invece, non perde mai il legame tra fede, cultura e comunità. E quando una religione cresce più velocemente delle altre, mentre quella “di casa” si indebolisce, il risultato finale non è difficile da immaginare.

Chi non ha vissuto in Paesi musulmani non può comprendere fino in fondo cosa significhi vivere sotto un Islam istituzionale. Non ha visto leggi sulla blasfemia, conversioni forzate, matrimoni precoci, discriminazioni verso le minoranze. Non ha visto cosa succede quando la religione non resta nella sfera privata. Io sì. E chi proviene da quei Paesi lo sa molto bene.

Non scrivo tutto questo per alimentare odio o paura. I musulmani non sono il nemico; sono persone amate da Dio, come ogni essere umano. Ma c’è una differenza tra rispettare le persone e ignorare i pericoli di un sistema politico-religioso che limita la libertà cristiana, la libertà delle donne e la libertà di coscienza. Posso amare il prossimo e, allo stesso tempo, dire con fermezza che non voglio vivere sotto un sistema che non concede la reciprocità: moschee qui, ma nessuna chiesa lì; libertà di predicare qui, ma nessuna libertà di conversione là.

L’Italia e l’Europa stanno cambiando. Il punto non è impedire questo cambiamento, ma capirlo, leggerlo, riconoscerlo con lucidità. Non dobbiamo odiare nessuno, ma non dobbiamo neppure essere ingenui. E se i cristiani non riescono più a distinguere la differenza tra la fede cattolica — che libera — e l’Islam politico — che controlla — allora il problema è molto più grande.

Scrivo tutto questo come donna cattolica, come pakistana che ha conosciuto l’altra faccia della medaglia, e come italiana d’adozione che ama profondamente questo Paese. Non parlo per paura: parlo per esperienza. E proprio per questo oggi sento il dovere di dirlo, con chiarezza, rispetto e coraggio.

* * *
Situazione del Pakistan
Negli ultimi giorni ho parlato con diversi giovani adulti della nostra comunità cristiana. Come sapete, il mio impegno per sostenere l’educazione dei nostri bambini e aiutare i nostri giovani a costruirsi un futuro migliore è una parte fondamentale del mio lavoro. E proprio ascoltando loro, ancora una volta, mi sono ritrovata davanti a una realtà che in Pakistan conosciamo tutti fin troppo bene. Molti di questi ragazzi hanno studiato, si sono impegnati, hanno fatto sacrifici. Eppure, quando cercano lavoro, si scontrano sempre con lo stesso ostacolo: la loro identità cristiana. La scena è sempre la stessa. Al termine del colloquio, dopo tutte le domande tecniche, arriva quella finale: “Di quale religione sei?” Quando rispondono “Cristiano”, il tono cambia. “Ti faremo sapere.” È una frase di cortesia che, da noi, significa semplicemente: “Non ti richiameremo.”

La cosa non mi sorprende più. Ho 38 anni e ricordo benissimo di aver vissuto la stessa identica esperienza quando avevo vent’anni e cercavo il mio primo lavoro. Andavo ai colloqui preparata, piena di speranza, convinta che contassero le competenze. Invece, anche allora, la mia fede diventava un problema. Durante un colloquio per insegnante d’inglese mi chiesero: “Cosa dice la Bibbia se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia?” Risposi: “Porgere l’altra guancia. Ma cosa c’entra con un colloquio per insegnare inglese?” Risero. “C’entra eccome.” Era chiaro che non stavano valutando la mia capacità di insegnare, ma se la mia identità religiosa fosse “accettabile”.

Sono passati quasi vent’anni, e i nostri giovani vivono ancora le stesse dinamiche. Nonostante l’istruzione, nonostante i progressi, la discriminazione rimane un muro invisibile che blocca intere generazioni. È un meccanismo silenzioso ma concreto, che costringe la nostra comunità a rimanere indietro, senza possibilità di competere alla pari, quando non subisce persecuzioni, anche cruente [qui - qui - qui]. 

Condivido tutto questo non per suscitare compassione, ma per far capire a chi vive altrove come stanno realmente le cose in Paesi come il Pakistan. Molti non immaginano nemmeno quanto sia un privilegio crescere in società dove la religione non è un criterio per accedere al lavoro, dove nessuno ti chiede quale fede professi prima di valutare le tue capacità. Da noi non è così. Da noi, la fede cristiana diventa la ragione per cui una vita può essere limitata, frenata, respinta.

Questa è la realtà che viviamo qui. Una realtà scomoda, spesso ignorata, ma che continua a segnare il futuro di migliaia di giovani cristiani. E non la racconto per chiedere pietà, né per presentare la nostra comunità come vittima: la racconto perché il silenzio protegge solo chi discrimina, mai chi subisce. Chi vive in Paesi dove la religione non determina il valore di una persona spesso non immagina cosa significhi crescere sapendo che il tuo cognome, la tua fede, la tua identità possono decidere se avrai un’opportunità o no. Per molti è un concetto lontano; per noi è la quotidianità.

E tuttavia, nonostante tutto questo, continuiamo ad andare avanti. Continuiamo a studiare, a formare, a sostenere i nostri giovani. Continuiamo a bussare a porte che spesso non si aprono, ma non smettiamo di farlo. Perché la nostra comunità non si arrende. Perché i nostri giovani meritano un futuro costruito sul merito, non sulla religione. Perché nessun sistema, per quanto ingiusto, potrà spegnere il desiderio di dignità e libertà che portiamo dentro.

E un giorno, ne sono certa, la nostra perseveranza sarà più forte della discriminazione che abbiamo dovuto subire. Un giorno, le storie dei nostri giovani non saranno più esempi di ingiustizia, ma testimonianze di una comunità che ha avuto il coraggio di resistere, di rialzarsi e di cambiare la propria storia. Fino ad allora, continueremo a dire la verità. Senza paura. Perché è così che si apre la strada a un domani diverso. 
Zarish Imelda Neno

Latino: “ne quid nimis”, origine e significato dell’espressione

Origine e significato dell'espressione usata ancora oggi, in latino, "ne quid nimis". E le implicazioni sotto varie angolature. Un esempio di λόγοι σπερματικοί/Semina Verbi, i “semi di verità” che i Padri attribuivano alle filosofie i “semi di verità”, anche se l’espressione risulta coniata da Giustino, nel valorizzare la ricerca filosofica e morale dell’uomo: «Tutto ciò che rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è frutto di ricerca e speculazione, grazie ad una parte di Logos. Ma poiché non conobbero il Logos nella sua interezza, che è Cristo, spesso si sono anche contraddetti» (Seconda apologia, X, 2-3). Qui l'indice degli articoli sulla Latina lingua.

Latino: “ne quid nimis”, origine e significato dell’espressione

L’espressione in latino «ne quid nimis», è una delle massime più celebri dell’antichità e racchiude un intero modo di interpretare l’esistenza. Letteralmente significa: «nulla di troppo», «non eccedere in nulla», oppure «che non ci sia mai troppo». A prima vista potrebbe sembrare una semplice esortazione alla moderazione, ma il suo significato si rivela molto più ricco se lo si osserva nel contesto culturale, filosofico e morale da cui proviene.

La frase è di origine greca, prima ancora che latina: si trova infatti nel tempio di Apollo a Delfi, insieme ad altre celebri sentenze quali medèn ágan (“niente in eccesso”). Quando nel mondo romano venne tradotta come «ne quid nimis», essa mantenne intatto il proprio valore precettivo, diventando una delle massime fondamentali della saggezza stoica e della misura classica.

domenica 23 novembre 2025

L'ultima domenica dopo Pentecoste si collega con la prima domenica di Avvento

Peter Kwasniewski sottolinea un aspetto importante della Messa antiquior odierna:
Oggi, il rito romano* celebra l'ultima domenica dopo la Pentecoste, con il Vangelo di Matteo 24 sulla spaventosa fine del mondo. È una Messa piena di consolazione, speranza, avvertimento e trionfo, perfettamente adatta al suo posto alla chiusura dell'anno liturgico, che è come un microcosmo della storia della Chiesa.

Eppure, come si addice a un ciclo ricorrente, l'ultima domenica dopo Pentecoste si collega con la prima domenica di Avvento in molti modi meravigliosi. I Vangeli sono molto simili, entrambi riguardano la Parousia. Il canto dell'Offertorio "De profundis" è molto simile nella modalità e nella melodia all'Offertorio di domenica prossima "Ad te levavi", poiché infatti siamo nel profondo, guardando in alto, gridando a Dio di venire a salvarci.

Nelle parole della postcomunione: "Concedici, ti supplichiamo, o Signore, con questo sacramento che abbiamo ricevuto, affinché tutto ciò che è corrotto nelle nostre anime sia ripristinato dal dono del suo potere guaritore. Attraverso nostro Signore... " Di anno in anno rinnoviamo la fede e la speranza in Cristo Salvatore del mondo (cfr la Lettera).

Dom Johner definisce l'antifona della Comunione "Amen dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite quia accipiétis, et fiet" l'"ultima parola" della Chiesa per riflettere alla fine del suo anno: "Amen vi dico: qualunque cosa chiederete quando pregate, credete che lo riceverete e vi sarà fatto". Amen, infatti. Maranatha. Vieni, Signore Gesù.

(*Non sto parlando qui del rito moderno di Paolo VI. )