Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 31 ottobre 2010

Cura d'anime “Straordinaria”, legata alla Forma Straordinaria del Rito Romano

Ripropongo un documento già presentato un anno fa, ma ancora di immutata attualità.
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Sia Benedetto il Signore e il Santo Padre, Benedetto XVI, per aver fatto riemergere dal lungo oblìo La Santa e Divina Liturgia nel Rito Romano Tridentino. Sono tre anni che, grazie al Motu proprio Summorum Pontificum, in alcune chiese aumentano anime di ogni età che, conoscendolo e partecipandovi, rendono a Dio il culto perfetto. Naturalmente l'interesse e la partecipazione vengono favorite dalla presenza di un gruppo stabile e, quindi della celebrazione costante. È sintomatico il fatto che questo interesse è stato determinato, anche al di là dei gruppi preesistenti, proprio dall'opportunità di conoscere e partecipare all'Antico Rito, per alcuni ritrovato con gioia per altri scoperto come si scopre un tesoro, grazie alla sua liberalizzazione piena.

L'attuale situazione fa registrare in molte diocesi l'assenza di celebrazioni, non per mancanza di gruppi stabili e di sacerdoti che celebrino il Rito di Sempre, ma per la totale chiusura di vescovi, parroci o superiori di Ordini religiosi che negano l'uso dell'Altare a fedeli assetati e pastori disponibili. Tutto ciò, oltre a falsare, nel consuntivo da trarre, l'effettiva richiesta dei fedeli, rende inoperante il fluire della Grazia che consentirebbe anche a molte altre persone di avvicinarsi con gioia e frutti spirituali al Rito stesso, in virtù di una maggiore presenza (possibile nelle risorse, ma non nella loro negata operatività) di celebrazioni anche nella Forma Straordinaria. Infatti, lasciare - come viene suggerito - la promozione della stessa all’iniziativa dei singoli, che sistematicamente trovano ostacoli insormontabili negli assoluti divieti frapposti, di fatto significa permettere sì una cosa Santa, ma non promuoverla in alcun modo.

Rappresentiamo quindi la sentita necessità che venga paternamente disposta, accanto al Rito Ordinario, una celebrazione domenicale in Vetus Ordo almeno in ogni diocesi, nella località che risulti più ricettiva, mentre, a Roma Caput mundi, che ne vengano estese le celebrazioni domenicali presso le quattro Basiliche e quella di S. Croce in Gerusalemme; il che risponderebbe al vivo desiderio di molti fedeli, ai quali non mancherebbero di aggiungersene altri come l'esperienza dimostra, nonché alla necessità intrinseca, ontologica, sostanziale del Rito Gregoriano, di essere esso Fiamma viva e perenne in atto, e non solo a parole, per quanto possano essere auguste. La presenza della Parrocchia personale di S. Trinità dei Pellegrini è una benedizione, ma essa -pur ben frequentata- non è facilmente raggiungibile da tanti, giovani e anziani, che popolano una città estesa e dal traffico intenso come Roma.

Inoltre, poiché non è possibile amare ciò che non si conosce, e anche per consentire una frequentazione sempre più consapevole e partecipata, è necessario promuovere il Rito Gregoriano anche attraverso iniziative mirate, quali Conferenze e momenti formativi a cura dei gruppi stessi e dei loro Sacerdoti o presso le stesse strutture in cui avvengono le celebrazioni, che attualmente risentono di una presenza spesso strettamente limitata al momento della celebrazione stessa, senza nessun altro 'spazio' di incontro e/o di formazione o anche presso altre strutture individuabili nella Diocesi: Seminari, Facoltà Teologiche, Corsi per catechisti, ecc. Altrimenti come si può pensare di eliminare, sia pure gradualmente, il presente iato generazionale, che non è soltanto un fatto culturale o Liturgico, ma anche Catechetico?

Per questo occorre parlare dell’Antico Rito: c’è infatti una mistagogia propedeutica a quella celebrativa; il che certamente renderebbe possibile anche rimuovere molti pesanti (e solo attuali) pregiudizi.

C’è inoltre un falso problema: quello del latino visto come ostacolo. Il discorso appare pretestuoso, intanto perché alcuni giovani ancora lo studiano, mentre è indubbio che chi non ha dimestichezza con i testi delle sublimi intraducibili parti della veneranda Vetus Latina, la acquista –e abbastanza rapidamente– strada facendo, con la frequentazione, anche perché i messali danno la duplice versione latino-italiano a fianco. Del resto potrebbero supplire alla carenza attuale i momenti ‘formativi’ di cui accennato sopra. Inoltre basterebbe spiegare che nel Missale Romanum il titolo “Infra Actionem” è sovrapposto al Communicantes del Canone: tra l’azione. Il Canone quindi è una preghiera attuata più che recitata. L’azione a cui si riferisce è ovviamente il sacrificio e poiché la Santa Messa è la attualizzazione hinc et nunc del Sacrificio della Croce, in questo senso la comprensione delle parole e della lingua che il sacerdote usa è secondaria: si può partecipare all’offerta del sacrificio benissimo senza sentire o capire le parole. Basta sapere che cosa accade all’altare. Crea sgomento quindi sentire persone, anche Suore, affermare ad esempio: “a quella Messa non ho capito niente”. Viene da domandarsi: ma sanno che cosa è la Messa? Un esempio banale ma calzante: chi assiste ad una partita di calcio non ha bisogno di parole per partecipare... Qualche volta le parole diventano un ostacolo più che un aiuto.

I nostri genitori sapevano che quando il sacerdote si inchina sopra l’ostia e sopra il calice alla consacrazione, recita le parole del Signore – e non altro – e il miracolo si compie. Non pensavano che fosse necessario udire le parole - che d’altra parte sono divine e basta siano sussurrate, per non banalizzarne la sacralità grande e solenne - perché esse abbiano effetto. È un cedimento alla moderna mentalità positivista il credere che una cosa esiste o ha efficacia solo quando la si vede, si ode, ecc. Il sacerdote recita il Canone silenziosamente, sia per rispetto a Dio, perché anche se agisce “in persona Christi” è sempre indegno di tanto onore e potere, sia per lasciare spazio alla fede dei presenti, che in questo modo non sono distratti né dal tono della voce, né dalla lingua, né da qualsiasi altro difetto umano, e possono essere immersi nell’Adorazione, unico atteggiamento possibile e aperto alla “trasformazione” transutanziante operata dal Signore in un momento così alto e davvero "terribile". La comprensione, come pure la partecipazione - che non è actuosa solo quando implica un 'ruolo' da assolvere o un 'fare' materiale - crescono con l'immersione nel mistero e quindi la sempre ulteriore conoscenza del Signore e assimilazione della sua Grazia, sempre più a Lui 'configurati'.

In genere le difficoltà sembrano accamparle i liturgisti che aborrono il latino per partito preso. Piuttosto, perché non reintrodurlo nei seminari e nelle facoltà pontificie, in quelle in cui ancora non ci fosse? Velle est posse.

È molto sofferta, da parte di noi tutti, la realtà di trovarci rinchiusi in un ghetto, senza spirargli di comunicazione, mentre nella Chiesa, sia come Corpo Mistico di Cristo che come Popolo di Dio, dovrebbe trovarsi la pienezza della comunione perché essa è icona della SS. Trinità, 'Luogo' di comunione e comunicazioni infinite vive e vitalizzanti, come dovrebbero essere le nostre comunità, piccole o grandi che siano. Crediamo che sia la qualità e non il numero a fare la differenza, che poi è la Presenza Reale nella Liturgia e nella Vita del Signore Nato Morto Risorto e Asceso al cielo, nonché del Suo Spirito ‘inviato’ alla Chiesa nella Pentecoste, per noi e per la nostra Salvezza e per quella dei molti che Lo accolgono “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv, Prologo 12-13).

Ci coglie, doloroso, un interrogativo: come mai, nella Chiesa, vengono ‘mandati’ a evangelizzare gruppi di ogni genere, mentre quelli legati al Vetus Ordo vengono soffocati persino sul nascere?
Maria Guarini

lunedì 18 ottobre 2010

Scrutiamo alcuni dati della Riforma liturgica post conciliare: il “mysterium fidei” del canone romano

Alcune considerazioni sulle modifiche alla formula di Consacrazione e sulla introduzione di nuove preghiere Eucaristiche, partendo da una citazione tratta dal libro di Annibale Bugnini: La Riforma Liturgica, C.L.V. Ed. Liturgiche, 1997, pp.447-448 :

«Questi cambiamenti sono dovuti essenzialmente a ragioni di completezza e di chiarezza pastorale. La cosa si spiegava così:
  1. nella Scrittura non vi è un’unica formula, ma ve ne sono quattro...
  2. Nella liturgia bisogna dunque o scegliere uno di questi testi a preferenza degli altri, o fare delle formule composte. …
  3. La formula del canone romano per la consacrazione del pane (Hoc est corpus meum), accettata anche dal canone ambrosiano del giovedì santo:… È per se stessa notevolmente incompleta dal punto di vista della teologia della messa.
  4. L’aggiunta “Mysterium fidei” nella formula del canone romano per la consacrazione del vino: non è biblica, si trova solo nel canone romano, è di origine e di significato incerti…»
Non dimentichiamo che il canone romano risale alla tradizione orale di S.Pietro che certamente trasmette le parole da lui stesso udite dal Signore. Il Canone è il centro della Messa, intesa come un Sacrificio.
Secondo il Concilio di Trento, esso risale alla tradizione degli Apostoli ed era sostanzialmente già completo ai tempi di Gregorio Magno (anno 600). La Chiesa Romana non aveva mai avuto altri Canoni. Il passo stesso del “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione è un’antica tradizione che Innocenzo III testimonia esplicitamente in una risposta data all’Arcivescovo di Lione. Anche san Tommaso d’Aquino dedica un articolo della sua Summa Teologica alla stessa giustificazione del “mysterium fidei”. Ed il Concilio di Firenze confermò esplicitamente il “mysterium fidei” nella formula della Consacrazione.

La Mediator Dei afferma e conferma che il Sacrificio di Cristo è uno ed unico ed appartiene a Lui solo. E non è un caso che le parole "mysterium fidei" siano pronunciate al momento della Consacrazione del Calice e quindi del Sangue della Nuova ed eterna Alleanza; il Signore ci comanda di fare haec (questo) in sua memoria fino alla fine dei tempi. Anche le parole "mysterium fidei" appartengono a Cristo, che suggella così la sua Azione espiatrice e redentrice e qui non ci resta che adorare e accogliere.  Nella Messa riformata, invece, esse vengono messe in bocca all’assemblea sotto forma di annuncio, che tronca in maniera brusca la profonda compenetrazione con quanto accade sull’Altare.

Praticamente il “mysterium fidei” è stata eliminata dalla formula della Consacrazione e posto subito dopo di essa per suscitare l’acclamazione dei fedeli. Così facendo si evidenzia il nuovo stile 'narrativo' piuttosto che 'attuativo' della Consacrazione che è particolare Actio Christi, come lo è del resto tutta la celebrazione, che ora è diventata azione dell'assemblea.

Far seguire l'espressione da una frase presa o elaborata da san Paolo, frase di significato escatologico, invocante la venuta finale del Signore sposta il mistero della fede dal momento del sacrificio redentivo di Cristo al momento della sua sua venuta, implicitamente dalla Croce alla Resurrezione poiché il Cristo che si attende per la nostra liberazione finale è quello Glorioso, Risorto, non certo il Cristo sofferente che ci procura la salvezza con la sua perfetta obbedienza alla Volontà del Padre.
In tal modo, senza alterare il Canone in modo da poter far gridare all'invalidità della Messa Nuova, sono riusciti a cambiare il significato della Messa. Che infatti viene intesa, anche in documenti ufficiali locali, quale “celebrazione della Risurrezione del Signore”. Perciò, essendo la Resurrezione motivo di gioia, la Messa tende a diventare un banchetto gioioso avvicinandosi da questo lato al “banchetto di lode” dei Protestanti. E alla gioia della Resurrezione, del Cristo che ci avrebbe già redenti tutti con la Croce, non posson forse partecipare tutti, tutte le sette, le religioni? Da qui, il fondamento per le Messe interconfessionali e con tutte le altre religioni.

Questa trasformazione è stata resa possibile anche da altri mutamenti, introdotti sempre in modo sfumato, come il ruolo più ampio attribuito all'assemblea dei fedeli nella celebrazione della Messa. Mentre prima era chiaro (Pio XII) che i fedeli offrivano il sacrificio solamente in voto, spiritualmente, senza sovrapporsi all'azione dell'officiante, che rinnovava in modo incruento quanto avvenuto sul Calvario; ora invece l'assemblea sembra avere un ruolo più ampio, sotto “la presidenza del sacerdote”. La frase di san Pietro, “ora siete popolo di Dio”, perché tratti dalle tenebre del paganesimo, conferente un titolo d'onore ai cristiani, viene intesa malamente come se istituisse un sacerdozio dei fedeli, da porre sullo stesso piano di quello del vero sacerdote. Tutto ciò è fatto capire in modo ambiguo ma non per questo meno reale.

Ricorda Romano Amerio in Iota unum:
“ ...È d’altronde significativo che nel Messale antico tutte le parole commemorative e operative del canone stiano sotto la rubrica infra actionem.”. Ed Lindau 2009, pag. 538)
Non dimentichiamo poi che nella Messa uso Antiquior il canone viene letto in silenzio e non ad alta voce, proprio per dare la giusta solennità e sottolineare la grandezza del Sacrificio divino e indurre atteggiamento di silenzio, di sacralità, di raccoglimento e di compartecipazione dinanzi ad esso...
Ora, anche uno che non sia teologo e liturgista, riguardo ai quattro punti citati, dei quali Bugnini parla con asettico tecnicismo e con pressapochismo facilmente smontabile, si pone alcune importanti domande:
  1. se nella scrittura vi sono quattro formule, allora la chiesa avrebbe sempre sbagliato a proporre soltanto il canone
  2. perché mai "bisogna scegliere" nuovamente se esistono venti secoli di "scelte" già fatte con chiarezza? Qualsiasi decisione ragionevole non può prescindere da tutto ciò che la Chiesa ha sempre celebrato e professato.
  3. la liturgia della Chiesa sarebbe sempre stata "notevolmente incompleta"? La Chiesa avrebbe sempre sbagliato? Il cosiddetto "punto di vista della teologia della messa" contraddice la storia liturgica della Chiesa?
  4. se l'origine e il significato di qualche parola fossero "incerti" per qualunque motivo, allora perché la Chiesa non li ha mai cambiati?
Per decine di secoli la Chiesa ha messo mano alla liturgia con estrema delicatezza e assoluto timore, cambiando il minimo indispensabile e solo sulla base di diffusissime sante devozioni (ad esempio: le preghiere ai piedi dell'altare, il Prologo di Giovanni dopo la benedizione...) al punto che da papa Damaso fino alla riforma liturgica non si registra nessun cambiamento "strutturale".

Purtroppo è così che nascono i fautori delle messe "animate" da tanti segni, gesti, balli, cartelloni, intrattenimenti, spettacolini, estrosità, è così che la santa Messa anziché elevare le anime al Signore finisce per essere un'autocelebrazione dell'assemblea... Per lo stesso motivo anche il Messale approvato da Paolo VI (la "forma ordinaria" della Messa) è stato tradito e umiliato: la Messa viene ovunque celebrata con abusi ed approssimazioni, confondendo la partecipazione col protagonismo e la spiritualità con la quantità di parole dette e di gesti fatti. In barba alle raccomandazioni della Sacrosanctum Concilium. [vedi anche]

Mi sembra molto appropriata come conclusione, quest'altra citazione da Romano Amerio:
La nuova liturgia è dunque psicologistica anziché ontologica, soggettiva anziché oggettiva, non esprime il trascendente mistero ma i sentimenti con cui i fedeli lo percepiscono, è antropologica e non teologica. Il proprio del culto è di stimolare il senso del divino anziché di porgere all’uomo il divino: perciò l’assemblea vale più dell’eucarestia e il popolo di Dio prevale al sacerdote.
Questa variazione ne produce una seconda, teorizzata colla dottrina della creatività liturgica. Il popolo di Dio riversa la propria cultura e il proprio genio nei riti, e il sacerdote esprime sé stesso nella celebrazione. L’oggettività della liturgia, che è un adombramento dell’Oggetto assoluto, deve cedere al valore del soggetto umano che vuole esprimersi. SC, 21 distingue la parte mutabile della liturgia dalla parte immutabile senza però definire quale quest’ultima sia. Se si mutano persino le parole della consacrazione, non si vede invero dove possa collocarsi l’immutabilità. Evidentemente la parte mutabile dei riti si mutò di fatto sempre nel corso dei secoli cristiani, ma cautamente, modicamente, sapientemente.
La riforma avrebbe dunque trovato certamente molte parti antiquate e dissone nei tempi, che meritavano il cangiamento. Cito, per esempio, il calendario delle Quattro Tempora, inapplicabile ormai per una Chiesa dilatata a paesi che conoscono solo due stagioni, o le preghiere «pro Christianissimo Imperatore» nell’officio in Parasceve. Così si doveva certissimamente espungere (e fu espunto) il giuramento, che nel rito della consacrazione il nuovo vescovo doveva prestare, di non ammazzare e non cospirare ad ammazzare il Papa. Tuttavia altro è mutare i riti per accomodarli a condizioni obiettive manifestamente mutate e altro è invece stabilire per massima che i riti si debbano acconciliare alla psicologia, al costume, al genio delle nazioni e persino degli individui.
Il principio della creatività consegue al falso supposto che la liturgia debba esprimere i sentimenti dei fedeli e sia una loro produzione: essa esprime invece la realtà del mistero ed è una azione del Cristo. Vi è qui un’implicita risoluzione della liturgia in poetica.
La creatività che non è principio nemmeno in estetica, giacché al fondo delle invenzioni dell’arte vi è qualcosa di increato, anzi di increabile, è licenziata e promossa dalla nuova liturgia. Innanzi tutto non vi sono quasi più norme imperative e in moltissimi punti viene al celebrante proposta una pluralità di parole o di atti tra cui scegliere ad libitum. Non sono più possibili infrazioni perché il creare esclude condizioni e limiti. Questa opzionalità fa che ciascun celebrante ritocchi, aggiunga, ometta creando le forme più consentanee alla propria personalità, come se si trattasse di esprimere sé stesso anziché di adorare, di dar forma al mistero anziché di conformarsi al mistero. (R.Amerio - Iota Unum, Ed. Lindau 2009, pag. 561-562)

martedì 12 ottobre 2010

Sinodo Medio Oriente: Benedetto XVI, “Il sangue dei martiri trasforma il mondo”

Il “sangue dei martiri trasforma il mondo” allora come oggi e questa trasformazione “si realizza in modi sempre nuovi, anche in questo momento, in cui Cristo, l'unico Figlio di Dio, deve nascere per il mondo con la caduta degli dei, con il dolore, il martirio dei testimoni”. Lo ha detto ieri Benedetto XVI nella sua meditazione, a braccio, in apertura della prima giornata di lavori del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente.

“Pensiamo – ha detto il Papa - alle grandi potenze della storia di oggi, pensiamo ai capitali anonimi che schiavizzano l'uomo, che non sono più cosa dell’uomo, ma sono un potere anonimo al quale servono gli uomini, dal quale sono tormentati gli uomini e perfino trucidati. Sono un potere distruttivo, che minaccia il mondo”.

Il Papa ha poi puntato l’indice contro “il potere delle ideologie terroristiche”. “Apparentemente in nome di Dio viene fatta violenza, ma non è Dio: sono false divinità, che devono essere smascherate, che non sono Dio. E poi la droga, questo potere che, come una bestia vorace, stende le sue mani su tutte le parti della terra e distrugge: è una divinità, ma una divinità falsa, che deve cadere. O anche il modo di vivere propagato dall'opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via”. Queste ideologie che dominano, ha proseguito il Pontefice, “sono divinità. E nel dolore dei santi, nel dolore dei credenti, della Madre Chiesa della quale noi siamo parte, devono cadere” perché si compia quanto scrive san Paolo nelle le Lettere ai Colossesi e agli Efesini: le dominazioni, i poteri cadono e diventano sudditi dell'unico Signore Gesù Cristo”. «Altrimenti vacillano le fondamenta della terra». Lo vediamo anche oggi con i cambiamenti climatici. «Vacillano le fondamenta esteriori – ammonisce – perché vacillano le fondamenta interiori, le fondamenta morali e religiose, la fede dalla quale segue il retto modo di vivere».

Il Papa ricorda che oltre alla testimonianza vi è la «comunione» tra le diverse chiese cristiane cattoliche con tradizioni, spiritualità, liturgie e discipline diverse (oltre a quella latina, vi sono la Chiesa Copta, quella Sira, Greco-Melchita, Maronita, Caldea e Armena), indicandole come una grande ricchezza da conservare per tutta la Chiesa universale.

Purtroppo viviamo un tempo in cui tanti "dei" sono tuttora in piedi non solo nel mondo, che è il loro regno, ma anche all'interno della Chiesa. Pensiamo:
  • all'oscuramento delle verità fondanti la Fede Apostolica;
  • al generalizzato idolo del carrierismo;
  • alla schiavitù dalle ideologie dominanti;
  • al ‘sociale’ messo al primo posto invece del vero culto a Dio che è la primaria funzione della Chiesa e dal quale la storia personale e collettiva si innerva di Vita che anima sane e costruttive relazioni;
  • alla banalizzazione del sacro;
  • all’asservimento ad una teologia che non ha al centro Cristo, ma l’uomo e inficia di “opinioni” la verità cattolica
Ricordiamo che i "martiri" non sono solo coloro che versano sangue, che è 'seme' di credenti, ma anche coloro che sono 'testimoni', con tutta la loro vita, offerta e vissuta nella fede, nella realtà in cui il Signore li ha posti, coloro che amano la Verità e la custodiscono con cuore sincero, coloro che soffrono l'agonia della Chiesa e di questo nostro tempo nelle cui tenebre continua a brillare la luce di Cristo che nessuna tenebra potrà mai avvincere. Ricordiamo che al centro delle vicende umane sta l'incarnazione di Cristo, presentata dal Papa attraverso la maternità di Maria che venne proclamata "madre di Dio" (theotòkos) dal concilio efesino, con un titolo rimasto carissimo alla devozione popolare dei cristiani orientali, le cui tradizioni rischiano inquinamenti pesanti attraverso una "nuova evangelizzazione" talmente nuova da essere "altra", forgiando generazioni di "diversamente-cattolici". Ricordiamo che il Regno è già qui, è in mezzo a noi e con noi:
...
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato. (
dal Prologo di Giovanni)

lunedì 11 ottobre 2010

Il problema della "communicatio in sacris" è ora all'interno della Chiesa?


Il problema dell’intercomunione è un problema di estrema gravità e può costituire una deviazione dal retto metodo ecumenico, presentarsi come un vero trabocchetto per molti cattolici in buona fede ed offrire una nuova testimonianza dello sviamento di teologi dalla teologia.

[...] L'unità non si farà mai sulle mezze parole, sui concetti detti a metà, sulle aperture ed interpretazioni volontarie. Se questa qualcuno la chiamasse unità, o non saprebbe quello che dice, o mentirebbe sapendo di mentire.

[...] Un falso approccio ecumenico è inficiato di relativismo sul piano dogmatico; è il tema che oggi è trattato eufemisticamente con il termine di pluralismo. Nella sostanza della dottrina accettata come rivelata o certa dalla Chiesa Cattolica non può esistere pluralismo. Questo suppone il relativismo, il quale porta logicamente al disfacimento di tutto; non dunque unità, ma distruzione. E' forse l'unità un'opera di distruzione?

Il pluralismo sta nei gusti, negli aspetti, nelle simpatie, negli onesti adattamenti al linguaggio delle culture - salva veritate -, mai nella sostanza della verità e degli stessi fatti. Sta nelle cose umane, che «Dio ha lasciato alle dispute degli uomini», ma non certo nelle cose, che stabilmente ha definito Lui per il tempo e per l'eternità.
[Brano tratto da un editoriale del Cardinale Giuseppe Siri, pubblicato su “Renovatio”, IX - 1974]

Durante la celebrazione conclusiva della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, tenutasi il 25 gennaio 2001 nella basilica di San Paolo a Roma insieme a 23 delegazioni ecumeniche di ortodossi, anglicani e riformati, Giovanni Paolo II così si è pronunciato: “Non si possono e non si debbono sminuire le differenze tuttora esistenti tra noi. Il vero impegno ecumenico non ricerca compromessi e non fa concessioni per quanto attiene la Verità... Le questioni ancora aperte non devono essere sentite come un ostacolo al dialogo, ma come un invito al confronto franco e caritatevole. Ritorna la domanda: Quanta est nobis via? Non ci è dato saperlo, ma ci anima la speranza di essere guidati dalla presenza del Risorto, capace di sorprese sempre nuove. Dobbiamo vivere nel concreto la comunione che, quantunque non piena, già esiste tra noi... Il dialogo della carità, tuttavia, non sarebbe sincero senza il dialogo della verità. Il superamento delle nostre differenze comporta una seria ricerca teologica. Non possiamo scavalcare le differenze; non possiamo modificare il deposito della fede. Ma possiamo cercare di approfondire la dottrina della Chiesa alla luce della S. Scrittura e dei Padri, e spiegarla in modo che essa sia comprensibile oggi”. [Suona un po' strana questa affermazione: sembrerebbe che la dottrina nella Chiesa, come spiegata da sempre, non sia abbastanza comprensibile. Approfondimenti teologici sono sempre poissibili e auspicabili, ma non mi sembra possa essere chiamata in causa in alcun modo la comprensione!]

Il 22 febbraio 2001 Giovanni Paolo II ha scritto una lettera ai nove cardinali tedeschi per chiedere loro un particolare impegno nel contrastare "abusi" presenti nelle chiese di Germania, che causano abbandoni e disorientamenti. Uno degli abusi lamentati riguarda proprio l'ecumenismo e l'intercomunione: “Un ecumenismo che lasci più o meno da parte la questione della verità - scrive il Papa - porta solo a successi di facciata
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il problema della "Communicatio in sacris" oggi si pone anche all'interno della stessa Chiesa nei confronti di un movimento che adotta un rito sincretistico e prassi anomale, nonché di deviazioni moderniste ormai dilaganti. Tuttavia, "nella Chiesa c'è posto per tutti"; per la Tradizione, però, così purtroppo non è in troppe diocesi...

Appello di un lettore da condividere e far nostro

Ricevo e pubblico questo appello, che spero arrivi al cuore di molti e attraverso questi, al cuore del Signore. Invochiamo anche l'intercessione della Vergine Maria, la nostra Madre Santa e Benedetta

"Persevera in ciò che ti è stato insegnato" (Habacuc III,18)
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10 Ottobre 2010 a.D., San Francesco Borgia S.J. XX Domenica dopo Pentecoste e compleanno di mia moglie

CHIEDIAMO LA GRAZIA DI RICORDARE SEMPRE CHE LA CARITA' COPRE INNUMEREVOLI PECCATI E, QUINDI, DI NON PERDERE OCCASIONE PER COMPIERE LE OPERE DI MISERICORDIA, tanto corporali, quanto, principalmente, SPIRITUALI.

E tra tali opere, c'è anche quella di pregare DIO per i vivi e per i morti. Ed è questo che vi voglio chiedere.

In primo luogo, preghiamo per un defunto, congiunto di una cara amica, che è morto ieri, ed anche per la sua congiunta, che si trova in una grande necessità spirituale.

Inoltre, vorrei chiedervi di pregare per una signora anziana, moribonda per cancro. Pregate per Lei, soprattutto per un motivo ed un'intenzione particolare.

Vedete, il Vaticano II, si presenta come Concilio "pastorale", ma proprio sulla pastoralità, ha dato forse i frutti peggiori. Molta gente è rimasta scandalizzata da ciò che è successo dopo. In primis, ma non solo, la riforma liturgica. I più o si sono adegauti, o non si sono resi ben conto di nulla.

Quelli con maggiore sensibilità soprannaturale hanno scelto di "soffrire in silenzio" o hanno cercato di salvare il salvabile. Pochi si sono realmente opposti. Molta gente ha perso letteralmente la fede (ed una che ci andò vicino, è stata mia madre). Alcuni di costoro, sono approdati ad altri lidi ecclesiastici (tra costoro, anche due suore, con le quali sono stato in corrispondenza, che dopo quasi mezzo secolo di vita religiosa, sono divenute prima neocat., poi protestanti). Altri, si trovarono costretti (o tali si sentirono) a creare una loro particolare forma di fede cattolica, "fai da te", priva o quasi di ogni pratica liturgica. Anime deboli? Forse, ma il Signore non ci ha creati tutti eroi o tutti teologi. Ci *VUOLE* tutti santi, ma ognuno nel suo ordine, grado e posto.

Ebbene, la signora di cui vi sto parlando, è una di questa anime deboli (o forse più forti di tante altre). Dal 1970, non ha più compiuto alcun atto di culto cattolico pubblico/esterno. In primo luogo, NON SI è PIù CONFESSATA! Tutta la sua famiglia, profondamente religiosa, è stata colpita male dal "nuovo corso", però, gli altri, sono tra coloro che hanno cercato di "salvare il salvabile". In particolare, uno dei fratelli, che è diventato prete greco-cattolico. Pregate affinché DIO faccia *ALMENO* un miracolo. O la guarigione (almeno un sensibile e duraturo miglioramento) o che il fratello prete orientale giunga in tempo al suo capezzale per confessarla.

DIO ci benedica
vostro
uomochenonfUMAI

sabato 9 ottobre 2010

Cosa si 'muove' nella nostra Chiesa?

L’Agenzia di stampa ufficiale della Fraternità San Pio X, DICI, ha pubblicato nei giorni scorsi un'intervista con il rev. Niklaus Pfluger, primo assistente della FSSPX.

Ne estraggo un brano significativo, per coglierne e svilupparne le implicazioni, che hanno il loro peso, provenendo dal "comando" della Fraternità. Proseguirò poi la riflessione, che trae spunto anche dalle successive parole di Mons Fellay, pure riportate di seguito.

Entrambi i link rimandano ai rispettivi testi integrali, per chi avesse interesse ad approfondire
[...]
- Alcuni hanno accusato la FSSPX di lavorare per un compromesso. Vede ragioni per tali paure?
Quelli sono timori senza fondamento. Sono principalmente le accuse da parte di persone esterne alla Fraternità, che credono di poter giudicare questioni interne della stessa. Sono paure che non testimoniano uno spirito di fede. Gli autori di tali insinuazioni – di solito vicini a idee sedevacantiste – semplicemente non vogliono ammettere che qualcosa è cambiato.
Oppure semplicemente hanno un'idea sbagliata di come superare questa terribile crisi di fede. Essi pensano che la chiesa moderna ritornerà ad essere nuovamente cattolica in un solo giorno; è l'illusione che uno si addormenti da modernista e si risvegli cattolico. Se fosse così facile! Un ritorno all'ortodossia, una vera riforma, è un percorso lungo e arduo. Ci sono voluti decenni prima che i decreti di riforma del Concilio di Trento fossero applicati in qualche modo. Le regioni che si erano volte all'arianesimo sia in Occidente che in Oriente solo lentamente e gradualmente divennero nuovamente cattoliche.
La FSSPX non fa compromessi. Mons. Fellay non ha alcun piano segreto, strategia o politica per quanto riguarda la Fede nel trattare con Roma. Dobbiamo rispondere a una situazione nuova. Dobbiamo dire a questa "Chiesa conciliare": "Stop! Non è possibile continuare in questo modo. C'è un grosso problema nella Chiesa. Il Concilio è la ragione di questa apostasia e non la soluzione alla crisi." Alcuni vogliono ritirarsi in una sorta di ghetto, pensando di poter aspettare fino a quando la crisi sia finita. Questa non è una posizione cattolica; è piuttosto una debolezza della Fede. La luce deve essere posta su un lucernario e non deve essere nascosta sotto un moggio, dice il Signore nel discorso della montagna.
In realtà è solo una piccola minoranza di sacerdoti e fedeli che ha paura. La grande maggioranza ha fiducia nella direzione della FSSPX e nel Superiore Generale. Ai primi di luglio abbiamo avuto un incontro per diversi giorni tra tutti i superiori della FSSPX a Ecône. Dobbiamo ringraziare Dio per l'unità profonda della FSSPX in tutte le questioni essenziali. Questo non è facile in questi momenti tempestosi.

E' interessante rapportare queste dichiarazioni con quelle ancor più recenti di Mons Fellay. Ora è lo stesso Superiore Generale della Fraternità San Pio X a parlare, in un'intervista rilasciata al sito ufficiale del distretto francese della FSSPX, La Porte Latine, dalla quel stralcio i due brani che seguono:
[...]
- Da queste discussioni, bisogna attendersi una ferma condanna del Concilio da parte di Roma, oppure bisognerà alla fine accettarlo senza renitenze? Come immaginare l'uscita da una simile crisi magisteriale?
Mi sembra che, se una condanna del Concilio interverrà un giorno, non sarà domani. Emerge molto chiaramente la volontà di porre rimedio alla situazione attuale. Sullo stato della Chiesa, particolarmente grave, le nostre valutazioni [della FSSPX e di Roma] collimano in molti punti, sia sulla dottrina che sulla morale e sulla disciplina. Tuttavia, la tendenza dominante a Roma è sempre quella di scagionare il Concilio: non si vuole risalire fino al Concilio, si cercano altre cause, ma assolutamente mai il Concilio! Vista la psicologia ambientale, sembrerebbe più facile oltrepassarlo semplicemente ricordando l'insegnamento irrefragabile della Chiesa, lasciando per più tardi la condanna diretta. Io credo che, nel contesto attuale, una condanna sarebbe semplicemente non compresa.
- In un recente libro, Vaticano II, un discorso da fare, un teologo romano, mons. Gherardini, redige una constatazione piuttosto allarmante della Chiesa. Lascia intendere che una lettura del Concilio nella continuità della Tradizione non è così scontata e lancia un appello solenne al Papa affinché sia effettuato un grande lavoro di chiarimento magisteriale. Come dobbiamo accogliere questo libro?
Non bisogna prenderlo come un testo proveniente da noi o destinato a noi. No, si rivolge ai cattolici dall'altra parte e alla gerarchia in carica. Considerato da questo punto di vista, questo libro è di grande importanza perché introduce una messa in questione del Concilio così come viene recepito. Infrange un tabù. Quando lo facciamo noi, scateniamo nei nostri interlocutori un riflesso difensivo che blocca qualsiasi discussione. Ma quando il colpo parte dalle loro fila, rimette molte cose in questione. Vorrei concludere che questo libro è oggettivamente importante e che potrebbe essere una di quelle scintille suscettibili di appiccare un grande fuoco.
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Questa riflessione è incentrata sul punto focale della situazione: il timore collegato al rischio di compromessi che dovesse adombrarsi per normalizzare la situazione canonica della Fraternità. Del primo brano, riprendo due punti, formulando alcune considerazioni:
  1. si attribuisce a persone esterne alla Fraternità timori che in realtà credo –e mi pare fisiologico– siano ben presenti all’interno della stessa, come pure in tutti i fedeli cattolici che guardano ad essa con fiducia e rispettosa attenzione, riconoscendovi insegnamenti e gesti incontaminati della Chiesa di Sempre. Infatti così si esprime il rev. Pfluger: "Quelli sono timori senza fondamento. Sono principalmente le accuse da parte di persone esterne alla Fraternità, che credono di poter giudicare questioni interne della stessa. Sono paure che non testimoniano uno spirito di fede. Gli autori di tali insinuazioni – di solito vicini a idee sedevacantiste – semplicemente non vogliamo ammettere che qualcosa è cambiato."Mi preme esprimere un po’ di rammarico a questo riguardo, se le parole dovessero in qualche modo riferisi a Mons. Gherardini, perché nessuno più di lui è lontano da posizioni sedevacantiste. Queste parole, infatti, vengono pronunciate a pochi giorni di distanza dalla sua Lettera, pubblicata anche da noi, sul futuro della Fraternità, del quale un cattolico fervente ed autorevole come lui, ha pieno titolo di preoccuparsi ed anche occuparsi. E’ ciò che del resto facciamo anche noi, nel nostro piccolo, per il solo fatto che ci sta a cuore quanto accade nella e alla Chiesa, sperando negli sviluppi positivi della seria crisi nella quale ci stiamo dibattendo.

    Anzi, ogni fedele amante della Tradizione, e quindi anche la stessa Fraternità, ha molto da attingere dagli studi appassionati e competenti che Mons. Gherardini non ha fatto mancare sul Concilio con due opere di rilievo:
  • la prima, più divulgativa ma molto accuratamente documentata: Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare accompagnato da queste ‘sapienti’ parole del vescovo di Albenga Mons. Oliveri: “ Il filo conduttore di tutti i Suoi scritti è sempre quello che mette in logico e - direi - ferreo collegamento Verità rivelata e verità meditata dall'umano intelletto illuminato dalla fede, sostenuto dalla Teologia dei Padri della Chiesa, sistematizzata dalla grande Teologia scolastica, tramandatasi per secoli; sorretto dall'Insegnamento del Magistero della Chiesa, che mai può essere in contraddizione con se stesso, che solo può avere uno sviluppo così omogeneo da non dire mai "nova", ma tutt’al più "nove" (secondo la terminologia del "Commonitorium" di San Vincenzo di Lerino).” [vedi anche]
  • la seconda, più profonda e meditata, oltre che documentata: “Quod et tradidi vobis”. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa”. Non è un testo divulgativo, ma denso e completo di fonti e riferimenti, destinato agli studiosi, ai quali spetta il compito di approfondire e formulare orientamenti e possibili soluzioni in ordine ai problemi che il cosiddetto spirito-conciliare ha introdotto nella Chiesa, divenendo una delle principali concause della crisi epocale che la Chiesa sta attraversando e noi in essa.
  1. Mi sembrerebbe del tutto normale, al di là dei dialoghi ufficiali tuttora in corso, una osmosi tra Fraternità e Tradizione, di fatto esistente perché la sappiamo certa a livello spirituale, che dovrebbe essere fruttuoso per tutti incrementare. Invece le pastoie canoniche lo impediscono ufficialmente, soprattutto da parte di chi si nutre dell’ ecclesially correct. Purtroppo lo impedisce anche l’atteggiamento di chiusura, se non di disprezzo, rifiuto, ghettizzazione, riservato dai vescovi anche agli ambiti Tradizionalisti all’interno della Chiesa. Tuttavia è un’osmosi che non viene negata anche nella ricerca di relazioni ed apporti reciproci dalla buona volontà di chi ama il vero dialogo, quello possibile nella Fede, e che la Chiesa conciliare normalmente privilegia con le altre confessioni cristiane - una volta eretiche ora divenute “Chiese sorelle” al pari di quella Ortodossa – o addirittura con altre fedi (quando un vero dialogo tra fedi è impossibile, trattandosi di identità non omologabili, mentre solo gli ambiti culturali e alcuni comportamenti pragmatici possono essere oggetto di condivisione ed intese comuni).

    Siamo invece costretti a vivere dei paradossi incredibili: veniamo fatti oggetto della stessa diffidente intransigenza nei confronti di chi ha avuto l’unico demerito di preservare la Tradizione, mentre non possumus, per il sensus fidei cattolico di cui siamo nutriti e che professiamo, avere una vera ‘communicatio in sacris’ con realtà che sono canonicamente ‘dentro’ la Chiesa. Basti pensare al sincretistico rito del cammino neocatecumenale ed alle sue anomale prassi nonché ad abusi liturgici e derive dottrinali di altro tipo; mentre ciò ovviamente non si verifica con la Fraternità.
  1. Questa affermazione del rev Pfluger mi trova perfettamente in sintonia: ”C'è un grosso problema nella Chiesa. Il Concilio è la ragione di questa apostasia e non la soluzione alla crisi. Alcuni vogliono ritirarsi in una sorta di ghetto, pensando di poter aspettare fino a quando la crisi sia finita. Questa non è una posizione cattolica; è piuttosto una debolezza della Fede. La luce deve essere posta su un lucernario e non deve essere nascosta sotto un moggio, dice il Signore nel discorso della montagna”.Quel che resta da stabilire, e che non è ininfluente, è quale prezzo eventualmente ci sia da pagare per non rimanere sotto il moggio. Preghiamo e speriamo ardentemente che si possa trovare una soluzione canonica senza condizioni-capestro, ineludibile oltre che indilazionabile, per il bene di questa generazione e di quelle che verranno
  1. Quanto alle affermazioni di Mons. Fellay, appaiono chiare, realiste ed equilibrate. Tuttavia mi permetto una piccola osservazione su queste sue parole, riferite al primo libro di Mons. Gherardini sul quale poi egli esprime un giudizio estremamente positivo: “Non bisogna prenderlo come un testo proveniente da noi o destinato a noi. No, si rivolge ai cattolici dall'altra parte e alla gerarchia in carica.

    Che il testo sia destinato soprattutto alla Gerarchia in carica è un fatto, dal momento che esso contiene anche una Supplica al Santo Padre perché dirima veritativamente con l’Autorità che gli è propria, le ambiguità più controverse ormai da più parti sottolineate. Trovo che comunque, al di là dell’intenzione dell’Autore, i contenuti interessino e riguardino tutti noi che ci riconosciamo cattolici.

    Mi stupisce quindi questa suddivisione di ‘fronti’, anche se è vero che ormai nella Chiesa coesistono teologie ed ecclesiologie diverse. Penso tuttavia che dovremmo acquisire una maggiore consapevolezza che tutti coloro che si riconoscono autenticamente ‘cattolici’ fanno parte della stessa Tradizione Apostolica e soprattutto il ‘distinguo’ mi sembra ingeneroso nei confronti di Mons. Gherardini, che ha dedicato alla Fraternità un capitolo come questo nel suo ultimo libro [vedi]…

domenica 3 ottobre 2010

Dimensione pneumatologica dell'Eucaristia nel confronto dei Messali: 1962 e 1970-2002

Non ho potuto far a meno di soffermarmi su uno scritto del blog di padre Matias Augé: Lo Spirito Santo e l'Eucaristia nei Messali del 1962 e del 1970-2002. Ho constatato uno dei tanti aspetti della vera e propria 'mutazione genetica' operata dalla Chiesa conciliare, che viene veicolata e purtroppo è ormai entrata nella pratica quotidiana attraverso l'uso di affascinanti parole e dotte citazioni, che risultano accattivanti e convincenti; ma non per chi non può accogliere Annunci "altri", perché già vive il 'cuore pulsante' della propria Fede e riesce a cogliere e ad identificare il senso delle 'variazioni' che la stanno contaminando.
La dimensione pneumatologica dell’Eucaristia è strettamente connessa a quella di memoriale, come ricorda molto bene il CCC, al n. 1099: “Specialmente nell’Eucaristia […], la liturgia è Memoriale del mistero della salvezza. Lo Spirito Santo è la memoria viva della Chiesa”. E’ nota la difficoltà di individuare nel canone romano una vera e propria epiclesi in cui si chiede l’intervento dello Spirito affinché avvenga la santificazione o consacrazione del pane e del vino. Il testo del Quam oblationem (“Santifica, o Dio) viene generalmente considerato come la prima epiclesi [invocazione allo Spirito - ndR] del canone romano. Si tratta di un testo però che ha subito una lunga evoluzione, e che nelle sue origini non era nato per questo scopo[1]. Le nuove preghiere eucaristiche del Messale Romano 1970-2002 hanno invece due epiclesi. Per quanto concerne l’eucologia minore dei due Messali ci limitiamo ad esaminare il contesto della parola Spiritus, riferita alla terza Persona della SSma Trinità. Il termine appare frequentemente nell’eucologia dei due Messali, anche se in proporzione notevolmente diversa: 105 volte nel Messale 1962, e ben 260 volte nel Messale 1970-2002. Il contesto eucaristico del termine Spiritus è riscontrabile praticamente in una sola orazione del Messale 1962, la postcommunio della feria III dell’ottava di Pentecoste, in cui si chiede che lo Spirito renda fruttuosa la nostra partecipazione ai divini sacramenti: Mentes nostras, quaesumus, Domine, Spiritus Sanctus divinis reparet sacramentis... La formula proviene dall’antica raccolta del Veronese come orazione sulle offerte, dove al posto della forma verbale reparet, è scritto praeparet[2]. Con quest’ultima dicitura viene ripresa dal Messale 1970-2002 come orazione sulle offerte della messa mattutina del sabato dopo la domenica VII di Pasqua. Il significato quindi in questi ultimi due casi è diverso: si chiede che lo Spirito venga e “disponga i nostri cuori a celebrare degnamente i santi misteri”. Nell’eucologia del Messale 1970-2002, lo Spirito è menzionato in altri contesti eucaristici, di notevole interesse teologico. Così, l’orazione sulle offerte della IV Domenica di Avvento si esprime in termini chiaramente epicletici: Altari duo, Domine, superposita munera Spiritus ille sanctificet, qui beatae Mariae viscera sua virtute replevit. “Accogli, o Dio, i doni che presentiamo all’altare, e consacrali con il tuo Spirito, che ha riempito con la sua potenza il grembo della Vergine Maria”. Si tratta di un testo nuovo, proveniente dal Sacramentario Bergomense[3]. L’orazione sulle offerte della Messa vespertina nella Vigilia della Domenica di Pentecoste, ha un contenuto simile. Qui però si chiede che lo Spirito scenda sui doni e susciti nella Chiesa la carità ardente. Il testo, che è nuovo con elementi che provengono dal Veronese[4], si configura quindi come una specie di epiclesi di comunione: Praesentia munera, quaesumus, Domine, Spiritus tui benedictione perfunde, ut per ipsa Ecclesiae tuae ea dilectio tribuatur, per quam salutaris mysterii toto mundo veritas enitescat. La carità è il frutto dell’Eucaristia. Di non minor interesse è l’orazione sulle offerte della Messa del giorno della Domenica di Pentecoste. Il testo, che proviene dal Bergomense[5], recita: Praesta, quaesumus, Domine, ut, secundum promissionem Filii tui, Spiritus Sanctus huius nobis sacrificii copiosius revelet arcanum. Si fa riferimento a Gv 14,26; 16,13, dove Gesù promette lo Spirito che insegnerà ogni cosa ai discepoli. Un’altra preghiera, di nuova composizione, l’orazione dopo la comunione della festa dei santi Cirillo e Metodio, afferma che “nell’unico pane e nell’unico Spirito”, siamo stati fatti commensali ed eredi del banchetto eterno. Dalle poche testimonianze sopra riportate si desume la ricchezza pneumatologico / eucaristica che il Messale 1970-2002 sviluppa attorno alla parola Spiritus.
Non è difficile identificare in questo scritto una classica controreplica all'obiezione che chi ama la Tradizione fa al Novus Ordo di aver impoverito il rito della messa. I novatori tentano di contrattaccare adducendo due argomenti: il primo è che nel NO sono state aumentate le letture (il che è vero; ma riguardo all'enfasi sulla 'mensa della Parola' occorrerà un thread a parte), il secondo è appunto quello che nel canone della messa è stata introdotta l'epiclesi, ovvero l'invocazione allo Spirito Santo, che nel canone romano non si trova esplicitamente (implicitamente sì, ma non è necessario dilungarsi su questo).

Quel che essi sminuiscono o addirittura "dimenticano", è il fatto che le preghiere dell'offertorio nel Vetus Ordo sovrabbondano di invocazioni allo Spirito Santo e alla Trinità, mentre nell'offertorio del Novus Ordo non solo non c'è traccia dello Spirito Santo ma neanche di Gesù Cristo, perché l'offertorio del NO ("Benedetto sei tu Signore" ecc.) è in realtà una preghiera ebraica trasportata lì di peso e si fa sulle offerte e non sull'Offerta: l'Hostia pura, Santa, immacolata, che è il Pane santo della vita eterna. Esso è diventato la benedizione (proprio nel senso della berakàh ebraica) delle "offerte del popolo santo", che non sono più l'"Offerta": l'Hostia pura santa e immacolata. NON ce ne può essere un'altra, altrimenti non è più autentico culto a Dio reso non dall'Assemblea soltanto, ma dall'unico Sacerdote, il Signore Gesù, nel quale l'Assemblea è unita e dalla cui pienezza riceve grazia su grazia...

Tuttavia la considerazione basilare, che annichilisce ogni ulteriore panegirico sulla dimensione pneumatologica del'Eucaristia nel NO è la semplice considerazione che non è l'invocazione dell'Assemblea allo Spirito Santo che transustanzia il Pane nel Corpo di Cristo e il Vino nel Sangue Suo; ma sono le Parole della Consacrazione che il Signore ci ha consegnato e che il Sacerdote pronuncia in persona Christi. E quelle Parole realizzano ciò che significano perché sono pronunciate dal Verbo Incarnato, Colui "per mezzo del quale tutte le cose sono state create", Colui nel quale sono consustanzialmente Presenti il Padre e lo Spirito Santo. Di cos'altro c'è bisogno?

Purtroppo l'antropocentrismo che ha portato all'esaltazione dell'Assemblea al posto del Sommo Sacerdote Santificatore, ha perduto completamente il senso della Soprannaturalità dell'evento che si "attua" nel Rito che, se è Actio Christi e anche della Chiesa in quanto suo Mistico Corpo, viene snaturato quando questa si sostituisce e non si 'incorpora' a Cristo. Una cosa è aggiornare i riti a mutazioni oggettive intervenute nel tempo rispetto ad alcune espressioni liturgiche; altra cosa è stabilire il principio - e metterlo in atto attraverso una creatività senza più canoni (cioè ordine e misura) - che il rito debba essere adeguato alla psicologia, alle mode, al "genio delle nazioni e perfino degli individui", sulla base di due errati presupposti sulla liturgia:
  • che essa debba essere immediatamente comprensibile: invece le sue insondabili ricchezze - purtroppo oggi in larga parte abbandonate in quanto misconosciute, espungendo il Sacro ed il Soprannaturale - precedono e oltrepassano la persona, che entra nel mistero e lo accoglie e se ne lascia trasformare gradualmente nel corso di un'intera vita di fedeltà
  • che debba esprimere i sentimenti dei fedeli e sia una loro produzione: essa esprime invece la realtà del mistero ed è una azione di Cristo.
Ed ecco la "liturgia" trasformata in "poetica" dal greco poiesis, sostantivo dell'azione di poiein che ha il significato di 'fare', 'creare'. Azione dell'uomo che si fa dio...

Per non parlare di quello che già Pio XII nella Mediator Dei chiamava "insano archeologismo liturgico", consistente nell'andare a pescare ed introdurre antiche formule in una Liturgia, consegnataci intatta, almeno nella sua 'forma' strutturalmente significativa, dalla fede di generazioni di credenti. Basta ricordare che già nel IV secolo Papa Damaso non volle 'toccare' la Vetus latina, che è un gioiello di linguaggio sacro e denso del mistero e delle meraviglie che il Signore È e fa per noi. L'unico cambiamento che introdusse, fu sui testi delle letture, per le quali utilizzò la Vulgata appena tradotta da S. Girolamo.

Quando si parla di riforma di un rito secolare portatore di una fede integra e autentica, non si può pensare a cambiamenti che ne snaturano il significato, come è avvenuto; ma ad ‘aggiornamenti’ adeguati: tipo aggiungere le celebrazioni dei nuovi santi e nuovi prefazi, introdurre il volgare per le letture... Altro, invece, non è contaminazione o discontinuità?

venerdì 1 ottobre 2010

La FSSPX celebrerà nella Cattedrale di Lisieux. Finalmente un segno di accoglienza della Tradizione nella Chiesa di Francia!

Pubblico con gioia questa notizia tratta da Perepiscopus, perché la ritengo un segnale di feconda apertura, foriero di ulteriori passi positivi, in una Chiesa purtroppo finora ostinatamente ostile alla Tradizione. Auguriamoci che sia solo un inizio A.M.D.G.

Mons. Boulanger accoglie la Fraternità di San Pio X

Come ogni anno, la Fraternità sacerdotale San Pio X organizza un pellegrinaggio a Lisieux, sulle orme di Santa Teresa del Bambino Gesù e del Santo Volto.

Di solito, questo evento terminava con una messa celebrata all'aperto. Quest'anno, e per la prima volta, la Fraternità ha avuto l'autorizzazione a celebrare la messa nella Cattedrale Saint-Pierre a Lisieux, sabato 2 ottobre alle 16,00.

Mons. Jean-Claude Boulanger si differenzia in tal modo dal suo predecessore, e anche dal clero locale, abitualmente ostile. Egli segue così le raccomandazioni di Benedetto XVI, che aveva detto ai vescovi che "nessuno è di troppo nella Chiesa". Egli adotta lo stesso atteggiamento di benevola accoglienza del suo confratello di Tarbes-Loordes, che autorizza la celebrazione nella basilica sotterranea di Lourdes in occasione del pellegrinaggio della Fraternità in ottobre.

E' il caso di sottolineare che Mons. Boulanger, non soltanto permette questa celebrazione, ma l'autorizza per di più nella sua cattedrale! E' con gesti simili a questo che la riconciliazione potrà aver luogo.
[Tradotto dal francese. Fonte: http://www.perepiscopus.org/diocses/mgr-boulanger-accueille-la-fraternite-saint-pie-x]