Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 26 luglio 2024

Mons. Strickland: I cattolici hanno il dovere di "smascherare il tradimento" dei prelati che "portano le anime all'inferno".

Nella nostra traduzione da LifeSitenews l'ennesima esortazione pastorale di Mons. Strickland. Qui l'indice dei precedenti.

Mons. Strickland: I cattolici hanno il dovere di "smascherare il tradimento" 
dei prelati che "portano le anime all'inferno".

Il vescovo emerito Joseph Strickland ha ampliato le osservazioni, fatte questa srttimana dal diacono Nick Donnelly su X, sul dovere di smascherare il clero eretico che "uccide le anime e le manda all'inferno". Strickland è il noto ex vescovo di Tyler, in Texas. Dopo il sua brusca rimozione da parte di Papa Francesco all'inizio di quest'anno, Sua Eccellenza ha raddoppiato, sia on line che di persona, la difesa del retto insegnamento cattolico. 
Gli scorsi lunedì e martedì Strickland ha condiviso due messaggi di Donnelly. 
Donnelly, che vive nel Regno Unito, rimprovera spesso su X Papa Francesco e i prelati liberali che promuovono la sua agenda di sinistra. 
Anche l'arcivescovo Carlo Maria Vigano condivide spesso i contenuti di Donnelly sul proprio account X.
Strickland dice a chi lo segue che Donnelly "dice la verità" quando afferma che è più scandaloso non denunciare la corruzione nella Chiesa che denunciare. Ha affermato: "Il silenzio dei pastori di fronte al male e gli sforzi per coprire la verità invece di ripristinarla sono di scandalo per i fedeli".

Dante e la sua mente inquisitiva

Nella nostra traduzione da Via mediaevalis un interessante articolo sul mistero della fede nell'unione tra cuore e mente, oltre i dati sensoriali, valida in ogni tempo, riconoscibile nel viaggio spirituale di Dante. Precedenti qui - qui - qui - qui - quiqui.

Dante e la sua mente inquisitiva
La Divina Commedia affronta una questione che, nella nostra cultura, è ancora più urgente di quanto non lo fosse nella cultura medievale: perché crediamo in cose che non possiamo vedere?
Dopo due post sulla spiritualità in lingua inglese e nordeuropea nell’alto e nel tardo Medioevo, è tempo di spostarsi a sud. Più precisamente, in Toscana, dove Dante Alighieri ha composto una delle opere letterarie più famose e venerate della storia.

La Divina Commedia è un capolavoro di una genialità così straordinaria che sembra confermare le parole di elogio che Amleto ha pronunciato in lode della natura umana:
Che opera d’arte è l’uomo! Quanto è nobile la sua ragione! Quanto infinito è nelle sue facoltà! Nella sua forma e nei suoi movimenti, quanto è espressivo e ammirevole! In azione, sembra un angelo! Nella sua perspicacia, quanto è simile a un dio!
Strofa dopo strofa, canto dopo canto, Dante canta un viaggio spirituale che fonde poesia, narrativa, psicologia e filosofia in una visione cosmica e avvincente dell’esperienza umana. Estremamente artistica e allo stesso tempo acutamente intellettuale, la Divina Commedia ci trasporta a rari momenti di risonante unione tra cuore e mente. Leggerla significa vedere l’ampiezza e la profondità della bellezza che è alla portata dell’uomo; studiarla è il lavoro di una vita.

La società moderna ha diffuso vari cliché sulla religione nel Medioevo, secondo i quali fede cieca e superstizione erano la norma, i dubbiosi erano perseguitati, i dissenzienti venivano bruciati sul rogo, Galileo fu imprigionato per aver creduto nella scienza (in realtà ciò avvenne durante il Rinascimento), e così via. Tali idee sono un miscuglio confuso di verità, malintesi e distorsioni, che non ho intenzione di chiarire. Voglio, tuttavia, condividere ciò che Dante ha da insegnarci sul mistero della fede e, più specificamente, sulla fede in ciò che non possiamo vedere o toccare.

Gli esseri umani si fidano per natura e istintivamente delle loro percezioni sensoriali. Ciò che si trova al di fuori del regno sensoriale è più sfuggente, e anche dopo migliaia di anni di storia in cui religioni di ogni tipo sono state una componente strutturale chiave della società umana, non è sempre facile aver fede. L’“esame” di Dante sulla fede all’interno della Divina Commedia ci mostra che la cultura medievale poteva essere molto sensibile alle domande e ai dubbi che oggi sono visti come tratti distintivi della spiritualità moderna.

L’esame avviene nel Paradiso, canto 24. Dante è in cielo e dialoga con San Pietro, che chiede al poeta in modo piuttosto intimidatorio: “Parla, buon cristiano, fatti conoscere chiaramente: / che cos’è la fede?”. Una domanda curiosa da porre a un uomo che ha già viaggiato attraverso l’Inferno, il Purgatorio e parte del Paradiso celeste, con i suoi cinque sensi immersi in realtà soprannaturali nascoste a tutti gli altri. Ma è proprio questo il punto: ha visto tante cose da quando è disceso con Virgilio negli inferi, ma come può sapere che sono reali? E se fosse tutto un sogno? E se si trovasse tutto nella sua immaginazione? E ovviamente si trova tutto nella sua immaginazione: Dante sta scrivendo una poesia, non una cronaca di eventi reali. Dove finisce la sua poesia — o la poesia personale di fede di chiunque altro — e dove inizia la realtà spirituale?

L'esame del canto 24 è alquanto paradossale. La discussione sulla fede è formale, quasi legalistica, e si ispira allo stile della filosofia scolastica. Dante utilizza un vocabolario specializzato — silogizzar (“formare o usare un sillogismo”) e silogismo (“sillogismo”) — per creare un’aria di distaccata razionalità, e dichiara di essersi preparato a questo interrogatorio “armandosi di tutto il mio ragionamento”. Eppure sa, come hanno saputo tanti altri credenti, che la fede non si può mai ridurre alla ragione! Sa che quando sorgono dubbi e paure, l’argomentazione razionale è spesso come la pioggia che cade da un tetto: semplicemente non riesce a penetrare in quell’alcova segreta della natura umana in cui dimora la nostra afflitta spiritualità.

Il carattere formale della discussione funge anche da contrappunto alla gravità inquietante delle questioni in gioco. Sotto la superficie di questo scambio accademico tra Dante e San Pietro ci sono domande che scuotono le fondamenta del mondo medievale: come può un essere umano sapere con certezza che Dio esiste? Che l’anima esiste? Che la dottrina cristiana è davvero la via della salvezza? Che la Bibbia è veramente la parola di Dio?

Il ragionamento di Dante è generalmente valido ma non convince e, quasi per accentuarne l’inadeguatezza, San Pietro lo accusa addirittura di commettere un errore logico! Il problema inizia quando Dante difende l’autorità della Bibbia adducendo miracoli biblici:
La prova che ’l ver mi dischiude,
son l’opere seguite, a che natura
non scalda ferro mai né batte incude.
San Pietro lo mette subito in guardia sul suo ragionamento circolare:
Dì, chi t’assicura
che quell’opere fosser? Quel medesmo
che vuol provarsi, non altri, il ti giura.
Dante si riprende dopo questo passo falso, ma la sua argomentazione logica non sembra mai essere la forza vitale di questo canto. Ciò che di lui apprezzo è soprattutto il suo spirito di indagine. Chiaramente un cristiano impegnato, Dante — come la cultura medievale che lo circondava e lo formava — non aveva paura di porre domande difficili sul mondo che si trovava oltre il suo orizzonte sensoriale. E non aveva paura di porre domande difficili su se stesso.

La mente inquisitiva di Dante ci mostra un antidoto alle credenze che diventano stantie o meccaniche. T. S. Eliot diceva che “la parola chiave per Dante” era, soprattutto, amore.
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna.
(Paradiso, Canto 33)
Come molti altri elementi della Divina Commedia, le domande che mettono alla prova la fede di Dante sono un preludio a un amore più grande. Tali domande non implicano che tutta la fede sia arbitraria o personale, ma implicano che anche la fede dogmatica o pubblica dovrebbe essere profondamente personale. E non sono un invito a dubbi tetri o a uno scetticismo corrosivo; Dante non aveva la minima intenzione di rinnegare alcuna dottrina essenziale della sua religione. Dovrebbero invece portare unità al sé esteriore e al sé interiore. Dovrebbero essere un percorso verso la completezza e il rinnovamento del cuore.

Dante ci dà un’immagine di questa totalità mentre il canto 24 si avvia verso la sua conclusione; il suo tono cambia — diventa più spirituale, meno accademico — e la sua magnifica poesia guida i nostri pensieri verso la luce di Dio e la luce interiore:
Io credo in uno Dio
solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
non moto, con amore e con disio.

Quest’è ’l principio, quest’è la favilla
che si dilata in fiamma poi vivace,
e come stella in cielo in me scintilla.
Robert Keim, 24 luglio 2024

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
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giovedì 25 luglio 2024

Le opere di Dio non nascono tra gli applausi

Le opere di Dio non nascono tra gli applausi

Le opere di Dio non sono capite dagli uomini, non nascono tra gli applausi, come diceva Sant’Alfonso Maria de Liguori.
Sono spessissimo intese come assurdità illogiche e inutili da parte di chi non ha alcuna dimestichezza con il soprannaturale.
Questo ci fa comprendere che i vocati a queste imprese si trovano spesso senza aiuti, ma non indietreggiano, non si sfiduciano.
Essi sanno che se è opera divina essa si realizzerà proprio nelle difficoltà e nell’assordante disinteresse degli amici, o presunti tali. La pace regna nel vocato a realizzare il progetto di bene a motivo del fatto che chi lo deve compiere sa che non è opera Sua, ma un seme del cielo seminato nel proprio cuore dal Signore.
Se fosse propria volontà sarebbe facile desistere e mollare perché l’”io” non si appaga negli struggimenti inerenti ai molti fallimenti che la prova comporta.
Essendo volontà superiore si resiste fino alla fine, fine che poi coincide con la nascita di una meraviglia che risulterà essere una benedizione per tutti. RB

Perché il modernismo “cattolico” non sopporta il Diritto

Qui l'indice degli articoli sulla Società distopica, conseguenza delle variazioni e distorsioni della Fede nella temperie odierna.
Perché il modernismo “cattolico” non sopporta il Diritto

Perché il modernismo e il neomodernismo (purtroppo imperante oggi nella Chiesa) non sopportano il Diritto Naturale?
Stat Crux dum volvitur orbis
La spiegazione è molto semplice. Perché riconoscere tale Diritto significa riconoscere Dio come Logos, ovvero come Colui che nella sua natura è primariamente Verità e poi Amore. Primariamente, non nel senso ontologico né cronologico, ma logico.
Il Dio Logos ha impresso nel creato la sua natura ordinata e questo e ciò che si chiama Legge Eterna. Il modernismo, antico e nuovo, rifiuta tutto questo al fine di relativizzare il Dogma, cioè la Verità.
La Verità è immutabile se Dio è Verità. Se invece è solo Volontà, è un altro discorso.

Qui si inserisce il tema della "dislocazione della divina Monotriade" illustrato da Romano Amerio, che riprendo di seguito. [Vedi anche: Quando l'azione, l'amore e la volontà prendono il sopravvento sull'idea, sul pensiero, sulla verità, sulla conoscenza qui. Unica nota stonata l'accostamento a don Milani nella presentazione su L'Osservatore Romano.]

Il fatto è che quando l’uomo riconosce il primato alla verità, il Lògos, essa attira e costringe a sé l’amore, la volontà e la libertà; richiede di conformarsi alla sua luce. Via obbligante, ma certo non obbligata, dal momento che l'uomo può scegliere lucidamente di aderire a essa come di dissentire, è nondimeno una strada su misura per gli umili; per chi sa credere come un bambino.
Uno dei problemi-concause della crisi attraversata nella Chiesa del nostro tempo, che Romano Amerio aveva già inquadrato con drammatica e purtroppo silenziata chiarezza. Quello che egli chiama "dislocazione della divina Monotriade". E spiega:
«Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto procede dal pensato. Se si nega la precessione del pensato al vissuto, della verità alla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade; allo stesso modo separare l’amore, la carità, dalla verità non è cattolico».
«Al fondo del problema moderno – scrive Amerio – c’è il Filioque, perché chi nega il Filioque concede il primato, indiscreto e assoluto, all’amore: l’amore non ha limiti, non ha remore; qualunque azione tu faccia “con amore”, quell’azione è buona».
In fondo lo riconosciamo nell'agire e nel 'sentire' che precedono il conoscere, da cui invece dovrebbero scaturire. Il prevalere della prassi con esclusione della ragione: prassi a-teoretica, senza alcun approfondimento e spiegazione, divenuta ormai lo stile apparentemente irreformabile dei pastori a partire dal Trono più alto, che non appare più un Trono... ma paradossalmente lo diventa quando si tratta di introdurre cambiamenti rivoluzionari che stiamo subendo come fatti compiuti e che vanno oltre il nostro sensus fidei cattolico.
Coraggio, riappropriamoci della Verità che ci salva ci nutre ci sostiene e ci dà tutto il resto, in attesa di un suo ineludibile ripareggiamento, sempre per usare un termine di Romano Amerio...
Stat Crux dum volvitur orbis!

Raymond Leo Card. Burke / Omelia di una Messa Votiva al Cuore Immacolato di Maria

Nella nostra traduzione dal sito del Card. Burke qui l'emozionante omelia da lui pronunciata lo scorso 13 luglio, presso l'Apostolato Mondiale di Fatima ad Asbury, nel New Jersey, nella quale ha invitato i cattolici a prepararsi alla possibilità del martirio per essere rimasti fedeli a Cristo, ricordando la necessità di sacrificarsi per la conversione dei peccatori secondo il messaggio di Nostra Signora di Fatima.

Omelia di una Messa Votiva al Cuore Immacolato di Maria

Messa Votiva al Cuore Immacolato di Maria
World Apostolate of Fatima U.S.A. - Our Lady’s Blue Army
Asbury, New Jersey

13 luglio 2024
Is 61, 9-11
1 Sam 2, 1. 4-5. 6-7. 8abcd
Lk 2, 41-51
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
È per me motivo di gioia profonda tornare ancora una volta in questo luogo santo della Vergine Madre di Dio sotto il titolo di Nostra Signora di Fatima e offrire la Santa Messa per le intenzioni di tutti coloro che sono venuti oggi in pellegrinaggio e di tutti coloro che hanno chiesto di essere ricordati qui nella preghiera, anche se non possono venire in pellegrinaggio. Ringrazio il Signor David Carollo, Direttore Esecutivo del World Apostolate of Fatima USA, per l’invito a celebrare la Santa Messa oggi. Allo stesso tempo, esprimo, a nome di tutti noi, la più profonda gratitudine per il suo eccellente e fedele servizio di Apostolato. Ringrazio anche il personale, i volontari, i benefattori e tutti coloro che stanno rendendo possibile il nostro pellegrinaggio oggi. Sono altresì profondamente grato al Rev.do James F. Checchio, Vescovo di Metuchen, per la sua calorosa accoglienza nella Diocesi.

mercoledì 24 luglio 2024

Panis angelicus fit panis hominum

Sine glossa. Da assaporare.
Panis angelicus fit panis hominum

Era un caldo giorno di giugno di qualche anno fa, ne scrivo per obbedienza al mio direttore spirituale. Quanto sto per raccontare ha a che fare con il mondo trascendente, con le realtà invisibili. Userò le precise parole che ho udito quel benedetto giorno perché mi fu chiesto di scriverle e mi fu anche concessa la memoria per rammentarle. Mi trovavo in una chiesa nella quale, sull’altare maggiore, il Santissimo Sacramento era esposto, in un bellissimo ostensorio d’oro, per molte ore tutti giorni.
Mentre contemplavo il primo mistero gaudioso del rosario udii una voce uscire dall’ostia e farsi suono e parola nel vestibolo della mia costernata anima.

“Sono il tuo Gesù.
Sia tu benedetto per le visite che mi fai nei luoghi in cui io dimoro sacramentato”.
Mi guardai attorno turbato, ma nessuno dei presenti, un anziano signore e una suora asiatica, sembrarono aver sentito la voce maschile che mi parlava.
“Non temere. Sono Io. Solo tu puoi ascoltare... ti voglio rivelare che cosa accade in un’anima quando essa accoglie il Suo Dio nella Santa Comunione. Desidero che tu lo sappia con precisione per meglio e più rapidamente crescere nel Mio amore.
Non potendo amarvi più di quanto v’amo ho inventato il miracolo insuperabile per farvi meglio comprendere e sperimentare fin dove possa spingersi il bene che vi voglio.

Echi dalla Liturgia: lo spazio ristretto, l'angustia di chi si ostina nel peccato

Sull'appena trascorsa IX Domenica dopo Pentecoste (qui) abbiamo già meditato con p. Zuhlsdorf (qui), per coglierne i frutti nell'ottava in cui ci troviamo. Ringrazio il lettore che ha segnalato le riflessioni che seguono di Peter Kwasniewski, che ho tradotto dall'originale trovato su Facebook. E approfitto per aggiungere le immagini dei testi a cui si riferisce. 

Echi dalla Liturgia: lo spazio ristretto,  l'angustia di chi si ostina nel peccato

Quanto ci sarebbe da dire sui canti di oggi per la IX domenica dopo Pentecoste!
Ecco un dettaglio affascinante.
Normalmente, i canti presentano melodie di ampio respiro. Occasionalmente se ne troverà uno con una portata molto limitata. Ma non si presentano quasi mai canti *molti* canti di quel tipo in un’unica Messa.
Oggi è diverso.
L’Introito e l’Offertorio presentano entrambi melodie con solo 6 note; l’Alleluia ha solo 5 note.
 
Il Vangelo è la profezia della distruzione di Gerusalemme. Si noti cosa predice il Signore: “Poiché verranno su di te giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte...”

martedì 23 luglio 2024

Bergoglio salva la messa in latino, ma continua la faida tra "falchi" e "colombe"

Andrea Grillo lo aveva detto [qui risposta Alcuin Reid] e si sapeva che non fossero chiacchiere. Ora anche i giornali lo riportano. Dall'articolo de Il Giornale ripreso di seguito la conferma di gruppi di pressione in Vaticano che agiscono sul Papa per l'abolizione definitiva della Messa dei secoli che, secondo quanto autorevolmente decretò San Pio V, non si può nè modificare nella struttura nè a maggior ragione abolire. Ci sono prelati che in odio alla Verità vogliono spingere il Papa a rendere ulteriormente restrittivo un atto che non solo rappresenta sconfessione e disprezzo dell'opera del suo predecessore Benedetto XVI, ma aumenterebbe lo scalpore già ampiamente diffuso e conseguenti reazioni dei fedeli legati alla Messa antica, assestando un ulteriore colpo a questo Pontificato ed il rischio se non la certezza di aprire nuove e dolorose divisioni nella Chiesa. Qui l'indice dei precedenti

Bergoglio salva la messa in latino, 
ma continua la faida tra "falchi" e "colombe"

Pericolo scampato, almeno per il momento. I cosiddetti tradizionalisti hanno tirato un sospiro di sollievo alla mezzanotte e un minuto di mercoledì scorso, quando hanno avuto la certezza che la Santa Sede non avrebbe pubblicato il documento con cui vietare drasticamente le celebrazioni in rito antico. Il 16 luglio, infatti, veniva considerato il giorno X per l'uscita delle nuove restrizioni alla cosiddetta messa in latino. Non un giorno a caso: esattamente tre anni prima Francesco aveva firmato Traditionis custodes, il motu proprio che ha abrogato la liberalizzazione concessa nel 2007 da Benedetto XVI con Summorum Pontificum.

Diebus Saltem Dominicis — Nona domenica dopo Pentecoste: Gesù piange

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la consueta meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente qui.

Diebus Saltem Dominicis —
Nona domenica dopo Pentecoste: Gesù piange

Padre John Zuhlsdorf

Il commentatore del XX secolo Pius Parsch osserva ne L’anno di grazia della Chiesa che le domeniche dopo la Pentecoste si possono dividere in tre gruppi. Il primo gruppo sottolinea le guarigioni miracolose del Signore che puntano, in definitiva, alla salvezza delle anime. Il secondo, dalla settima alla quattordicesima domenica, mette in risalto il regno di Dio contrapposto al regno del mondo. Il terzo, dal 15 alla fine dell’anno liturgico, sottolinea la Parusia, la Seconda Venuta. Parsch ricorda che esistono anche altri approcci, come ad esempio la divisione secondo le virtù teologali. Davvero il tesoro del sacro culto della Santa Chiesa contiene una ricchezza inesauribile.

Questa domenica, la nona dopo Pentecoste, abbiamo di fronte a noi l’immagine sorprendente del Signore che piange. Mentre si avvicinava la Pasqua, Gesù rimase qualche tempo a Betania, a circa un’ora da Gerusalemme, con Maria, Marta e Lazzaro, che poche settimane prima aveva risuscitato dal sepolcro. In quella prima Domenica delle Palme, mentre si recava a Gerusalemme, Egli pianse mentre osservava la città e il suo Tempio dall’altra parte della valle, sapendo già quale “inferno” li avrebbe visitati di lì a pochi anni.

lunedì 22 luglio 2024

Abendland: note sulla civiltà del tramonto

Interessante, da condividere. Qui indice precedenti.
Abendland: note sulla civiltà del tramonto

“Possiamo già dirci occidentali nel senso rivelato dal nostro passaggio attraverso la notte del mondo?”. Così Martin Heidegger si interrogava sulla natura dell’Abendland, cioè della terra del tramonto, ovvero dell’Occidente. Occidente: un termine tanto usato e abusato quanto vasto e denso nella sua poliedricità semantica, storica e filologica. Ma forse anche qualcosa di più di questo, intendendolo dal singolare punto di vista della prospettiva filosofica, come quella heideggeriana appunto, che a differenza di altre prospettive non ne monodimensionalizza la struttura, anzi la arricchisce, la approfondisce, donandole appunto profondità, cioè quello spessore umano, intellettuale, sostanziale che l’Occidente sembra aver perduto o quanto meno dimenticato. L’Occidente, infatti, sembra aver smarrito la propria strada, la consapevolezza intorno alla propria vocazione, la stessa capacità di pensare alla propria natura, così impegnato a produrre beni di consumo e di lusso, così concentrato a perfezionare i ritrovati della tecnica e della tecnologia, così immerso nel raggiungimento di sempre nuovi traguardi di crescita economica e industriale. L’Occidente ha smesso di pensare, perché ha cessato di essere e ha cessato di essere perché ha smesso di pensare.