Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 30 maggio 2025

Tomismo per tutti. Prefazione al libro di Roberto Marchesini

Pubblichiamo per gentile concessione dell’Editore, la Prefazione di Stefano Fontana al libro di Roberto Marchesini appena uscito: “Tomismo per tutti. Breve e semplice corso sulla filosofia di san Tommaso, Sugarco, Milano 2025, pp. 112, euro 14.00

Tomismo per tutti.
Prefazione al libro di Roberto Marchesini


Sempre nei momenti di crisi e di confusione intellettuale e spirituale qualcuno si sente di dover tornare a san Tommaso d’Aquino e a riproporne il pensiero e il metodo. Lo hanno fatto G. K. Chesterton, Padre Cornelio Fabro, monsignor Antonio Livi. Qui lo fa Roberto Marchesini. Tutti costoro hanno scritto delle Introduzioni a San Tommaso, il cui scopo era sia di precisazione teoretica sia anche di divulgazione. Per tutti si trattava e si tratta di aprire la strada delle menti a riprendere in mano i testi dell’Aquinate o i libri che parlano del suo pensiero in modo corretto. Si sa, infatti, che nella modernità, con inizio dalla Scuola di Lovanio e continuando poi con la Nouvelle theologie fino alle operazioni di Karl Rahner e di Johann Baptist Metz, il pensiero di Tommaso è stato stravolto per adattarlo al criticismo moderno e renderlo compatibile con Kant, Hegel e Heidegger. É un aspetto, questo, che merita attenzione. La nuova teologia cattolica non provvide ad escludere semplicemente il realismo metafisico di San Tommaso, a metterlo da parte e a farlo dimenticare, ma si impegnò per ripensarlo, cercando di mostrare (senza successo) che la svolta della filosofia moderna era stata in qualche modo già anticipata da san Tommaso stesso. L’obiettivo era di dimostrare che la svolta della nuova teologia improntata al principio di immanenza non era una svolta ma una continuità, e questo rendeva quella svolta ancora più pericolosa, perché, così travestita, era mano avvertibile. Contemporaneamente si è portata avanti un’altra operazione culturale, impegnandosi a rileggere non solo san Tommaso ma anche alcuni dei suoi più autorevoli interpreti e anche in questo caso lo scopo era di adeguare san Tommaso ai principi della filosofia moderna o, se vogliamo, di indicare che i principi della filosofia moderna avevano la loro origine nel pensiero di san Tommaso. Perfino grandi tomisti come Cornelio Fabro o Étienne Gilson vennero reinterpretati come se avessero aperto il tomismo alle nuove esigenze della modernità filosofica nel campo della libertà e della coscienza, nonostante le forzature che questa operazione comportava. Per fortuna, come dicevo all’inizio, periodicamente c’è invece chi ripropone san Tommaso nella sua originalità che, come sappiamo, si fonda filosoficamente, sul primato dell’essere inteso come atto e quindi “perfezione di ogni perfezione”. Per fortuna, ripeto, che periodicamente qualcuno si incarica anche di ripresentare san Tommaso in modo divulgativo e questo è un aspetto che merita una ulteriore osservazione.

Gli uomini del nostro tempo, e specialmente i giovani, vivono nel concreto della loro vita i principi della modernità filosofica anche senza aver mai studiato filosofia. Quei principi, infatti, sono diventati aria e prassi, vengono imposti dal clima che si respira e dalle convinzioni diffuse, oppure dai comportamenti indotti dall’opinione pubblica e dal potere. Per fare un solo esempio: l’idea che tutti, in fondo, vediamo le cose attraverso un nostro paio di occhiali, è una posizione filosofica molto diffusa. Si ritiene che non si dia un accesso neutro e oggettivo alla realtà, ma che la conoscenza dei fatti e delle cose avvenga sempre a partire da precomprensioni e da precognizioni, come sosteneva Heidegger. Questa idea ritiene anche che ognuno di noi appartenga ad un contesto storico, ad una situazione esistenziale e che ogni sua comprensione della realtà si porti dietro questo contesto e questa situazione, non solo condizionandola ma anche determinandola. L’ermeneutica filosofica di Hans Georg Gadamer, che è uno dei derivati più recenti e più diffusi del principio di immanenza della modernità, è il nuovo credo filosofico di oggi, assimilato anche da chi non ha mai letto una pagina di Gadamer. Il realismo del buon senso, le conoscenze del senso comune proprie di ogni uomo oggi vengono contestate come imposizioni autoritarie, mentre la conoscenza umana si svolgerebbe passando da interpretazioni a interpretazioni, sempre condizionate, relative, passeggere. Questa riduzione della persona a tempo che passa e che tutto porta via con sé, ossia al suo contesto storico sempre in cambiamento e alla successione dei momenti della sua esistenza, è alla base dell’angoscia del nostro tempo. Essa viene insegnata dalle cattedre ma soprattutto viene vissuta nella vita quotidiana. Un mondo siffatto è un mondo privo di speranza. Tornare a san Tommaso e presentare i punti principali del suo pensiero è assolutamente necessario ed è bene che venga fatto anche in modo divulgativo, contrastando così sul campo gli errori moderni che, come ho cercato di dire, non sono solo teorie accademiche ma stili di vita.

Riprendere san Tommaso solleva l’animo, allieta l’intelligenza, dona speranza. Sapere che al principio non c’è alcun dubbio scettico o agnostico ma una certezza, la certezza di conoscere immediatamente l’essere che fin dall’inizio nutre quindi il nostro intelletto, vuol dire uscire dalla prigione della nostra coscienza e poter attingere ad una verità che è tale perché non è solo nostra ma di tutti. Che la verità renda liberi è vero anche dal punto di vista filosofico ed è per questo che poi siamo avvinti da questa informazione anche sul piano della fede. Se noi rimanessimo prigionieri dentro le nostre rappresentazioni dovremmo abbandonare l’idea di una verità che ci renda liberi: interpretazioni e opinioni hanno troppo di nostro per essere fonte di liberazione, nessuno infatti si dà quello che non ha e l’individuo non può liberarsi da solo, deve venire liberato. Sapere che si dà un ordine naturale finalistico, come san Tommaso ci insegna, non quindi causato da dietro ma attratto da davanti, un sapere non caotico ma ordinato secondo i principi di partecipazione, causalità e analogicità, sapere che i molteplici fini cui le cose tendono fanno capo ad un Fine ultimo che li rende possibili, tutto questo conforta l’animo umano oltre a soddisfare l’intelligenza. Sapere che l’essere rivela una Vocazione ci libera dallo smarrimento nella successione degli istanti della vita, perché l’uomo che pure vive nel tempo, non si riduce a tempo. - Fonte
(Foto: Trionfo di san Tommaso, di Benozzo Gozzoli, (cropped), wikipedia)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Un solo commento: Il Padre Fabro critica sì il principio di immanenza, per esempio nel suo testo sull'ateismo moderno. Allo stesso tempo però (e questo è un aspetto importante della sua ricerca) ritiene in buona parte valida la critica di Heidegger alla metafisica. Quest'ultima sarebbe infatti (in buona parte) segnata da un carattere essenzialistico, che finirebbe per ridurre Dio semplicemente ad un super-ente. Se siamo onesti va detto che questa critica fabriana include anche autori neotimistici come Garrigou-Lagrange. Per Fabro S. Tommaso stesso non va tuttavia incluso in questa critica proprio in virtù della sua concezione dell'essere (non in atto) ma come atto. La stessa cosa non si può dire invece di buona parte della sua scuola. Per Fabro, dunque, la filosofia moderna svolge un ruolo importante (una sorta di felix culpa), perchè ci permette di cogliere l'autentico significato dell'essere come atto tomistico.
Roberto

Anonimo ha detto...

In ultimo, si può e si deve dire che la verità che ci rende veramente liberi e ci sostiene in ogni momento del nostro percorso terreno, quella verità che dà speranza, è Cristo risorto e che ci indica la via. Poi la filosofia ha la sua importanza, ma l'unica certezza è che se Cristo non fosse risorto, tutto sarebbe vano. Le costruzioni filosofiche sono importanti nella misura in cui sono impalcature che possono aiutare a salire verso l'alto, ma anche a precipitare negli abissi del nulla.
¥¥¥

Anonimo ha detto...

La critica alla metafisica di un pensatore votato all'imanentismo radicale come Heidegger va presa con molta cautela. Per Heidegger, l'Essere non è creato ma "si dà" (es gibt); la sostanza dell'uomo è la sua stessa esistenza; ciò di cui è fatto l'ente è l'ente stesso.
Heidegger ha attaccato a fondo il concetto della "sostanza", derivato appunto dalla metafisica classica. Come a dire: l'esistenzialismo filosofico ha contribuito alla demolizione del concetto della sostanza messa in atto anche dal pensiero dei fisici e filosofi della scienza seguaci della Nuova Fisica, quella di impronta "relativistica". Come notava il Cassirer, si è sostituita la "sostanza" con la "funzione" (dove la funzione diventa la "funzione d'onda" elettromagnetica, espressa in calcoli ed equazioni, che tuttavia rinviano al Caso quale artefice dell'ordine incredibile che vediamo nella natura).
La critica allo "essenzialismo" ha condotto all'irrazionalismo più completo.
P.

Anonimo ha detto...

Alcune osservazioni sul commento sopra.
È chiaro che Fabro non è un heideggeriano in senso stretto del termine. Anzi, per Fabro Heidegger è in un certo modo vittima dell’essenzialismo di cui è stato critico.
Cosa va inteso con questo termine “essenzialismo”? Si può dire (in relazione a S. Tommaso) l’idea secondo cui l’essere sarebbe da intendere come l’attualizzazione di un’essenza. Se si vuole, l’esistere di un’essenza.
Questa idea di essere (ridotto ad esistenza) non corrisponde secondo Fabro all’autentica tesi tomistica dell’Essere come atto. Essa tende infatti a leggere l’essere a partire dall’essenza e conseguentemente a bloccarlo e limitarlo. In questo senso viene meno l’autentica natura trascendentale dell’essere stesso.
Il commento sopra è affetto da questa tendenza.
Innanzi tutto una precisazione. Sopra si scrive: “Per Heidegger, l'Essere non è creato ma "si dà”” Faccio notare che per San Tommaso quando “l’essere è propriamente se stesso”, quando l’essere è completamente atto (ipsum esse subsistens) non è creato, ma divino.
Dio dà l’essere, ma questo significa che da l’essere sostanziale. L’essere derivato, limitato e “bloccato” da un’essenza.
Qui veniamo al secondo punto: Per Tommaso il termine sostanza può essere applicato a Dio in maniera solo impropria. Perché? Perché la sostanza è sì l’essere sussistente, ma l’essere sussistente di un ente che ha una determinata essenza. In breve: La sostanza è la categoria della sussistenza nell’ambito del finito.
Cito S. Tommaso: “Ad primum ergo dicendum quod substantiae nomen non significat hoc solum quod est per se esse, quia hoc quod est esse, non potest per se esse genus, ut ostensum est. Sed significat essentiam cui competit sic esse, idest per se esse, quod tamen esse non est ipsa eius essentia. Et sic patet quod Deus non est in genere substantiae.“
È carattere tipico della prima modernità quello di intendere la sostanza come un termine che si lascia attribuire propriamente a Dio. Questa la concezione in Cartesio prima e, poi, in maniera più radicale in Spinoza. Perché questo? Perché, si potrebbe dire con Fabro, il vero senso dell’essere come atto è andato completamente perduto.

Roberto


Anonimo ha detto...

Ho letto solo ora i commenti dell'anonimo che si firma "Roberto", e lo ringrazio per la chiarezza e lucidità veramente non comuni. A me, modesto dilettante di filosofia, parrebbe di dover essere pienamente d'accordo con lui. Sperando che gli càpitino sott'occhio queste mie righe, gli chiedo ora: quando, dove, come il Garrigou-Lagrange professò (se la professò) la concezione da Lei e dal Fabro, secondo me a ragione, criticata come "essenzialista"? Il Fabro e il Garrigou-Lagrange ebbero mai occasione di dialogare su questo punto fondamentale? Grazie ancóra.

Anonimo ha detto...

Il sostanzialismo essenzialista viene dedotto dal P. Garrigou-Lagrange per evitare da un lato la scilla parmenidea (vi è solo l'essere uno immobile) e la cariddi eraclitea (la realtà è eterno divenire infinitamente frammentato). La prima posizione favorisce il logos e nega l'esperienza. La seconda toglie all'esperienza il suo carattere logico. L'idea di sostanza (e dunque l'essenza) è una sorta di sintesi di queste du esigenze fondamentali. Parmenide va temperato da Eraclito ed Eraclito da Parmenide. Alla fine questo conduce ad una visione della realtà per cui avremmo da un lato la pura sostanza divina completamente in atto e dall'altro l'ambito delle sostanze in divenire (atto e potenza). Dio sarebbe dunque un ambito speciale della realtà. Un superente appunto (una sostanza nel senso pieno del termine). Questo mi sambra essere il risultato finale.

Si noti inoltre che il sostanzialismo è in fondo l'ossatura fondamentale della concezione del senso comune. La posizione che intende la filosofia come un'esplicitazione e sistematizzazione del punto di vista del senso comune è, dunque, in ultima analsi un sostanzialismo.
Interessante, in questo senso (come sottolineava peraltro anche Mons. Livi) che Padre Fabro non può essere annoverato tra i filosofi del senso comune. Non nel senso che si tratti di negare il valore della realtà come ci si presenta, ma nel senso che la vera giustificazione di quest'ultima avviene tramite una radicale messa in discussione del punto di vista del senso comune.
I testi del Padre Garrigou-Lagrange che possono, a mio parere essere utili, sono da un lato l'opera su senso comune e il primo volume deidcato a Dio ed alla sua natura.

Roberto

Italo ardito ha detto...

La ringrazio ancora davvero molto per questa Sua risposta, chiara e stimolante come gli altri Suoi commenti. Ho amato il Fabro come filosofo e il Garrigou-Lagrange piuttosto come teologo (in particolare la sua difesa del tomismo in materia di grazia e predestinazione), e soffro un po' (forse è puerile, non so) a vederli in contrasto. Chissà che non sia possibile conciliarli in qualche modo... Mi chiedevo anche: i due ebbero mai modo di dialogare tra loro?