Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 31 ottobre 2022

Sulla recente Lettera di Benedetto XVI agli studenti statunitensi

Una efficace puntualizzazione dell'Arciv. C.M. Viganò sulla Lettera indirizzata agli studenti statunitensi [qui], con la quale  il pontefice emerito ha ricordato il suo lavoro ecclesiologico e le novità portate dal Concilio Vaticano II. Qui l'indice degli interventi precedenti e correlati.

De hoc Mundo

La “secolarizzazione” dell’autorità
come premessa alla libertà religiosa e al dialogo ecumenico teorizzato dal Vaticano II

Regnum meum non est de hoc mundo.
Jo 18, 36

I. Premessa

LA FERITA INFERTA DAL CONCILIO VATICANO II al corpo ecclesiale e – di conseguenza – all’intero corpo sociale è tutt’altro che sanata dopo sessant’anni, e va anzi incancrenendosi con gravissimi danni sotto gli occhi di tutti. I toni entusiastici e autocelebrativi con cui il Sinedrio bergogliano inneggia al Concilio non possono cancellare la rovina che esso ha portato alla Chiesa e alle anime.

In un mio precedente commento sull’autoreferenzialità della “chiesa conciliare” (qui) ho evidenziato alcuni aspetti cruciali di questa crisi di identità, ai quali si è recentemente aggiunto un elemento che ritengo fondamentale nella comprensione dell’indole eversiva del Concilio: mi riferisco alla lettera che Benedetto XVI ha inviato al Rettore dell’Università Francescana di Steubenville (qui)  il 7 Ottobre scorso. Ho voluto affrontare più approfonditamente questo tema: esaminare il testo di Ratzinger è indispensabile per identificare le premesse ideologiche e le modalità di compimento pratico della rivoluzione inaugurata dal Vaticano II sul fronte dottrinale, morale, liturgico e disciplinare della Chiesa Cattolica.

II. La rivoluzione permanente

Ho usato di proposito l’espressione “rivoluzione inaugurata dal Vaticano II” perché mi pare ormai evidente che gli intollerabili eccessi cui indulge Jorge Mario Bergoglio da quasi dieci anni non sono che la coerente applicazione in ambito ecclesiale del principio di rivoluzione permanente teorizzato in ambito sociale da Marx, Engels e Trockij. L’idea di “rivoluzione permanente” nasce dalla constatazione degli ideologi del Bolscevismo che il proletariato non era poi così entusiasta dei metodi comunisti e che, se si voleva diffondere la lotta di classe nel mondo, occorreva forzarla d’autorità e renderla irreversibile: perché solo nella Rivoluzione si compie il χάος che muove l’azione eversiva contro l’ordine sociale.

Analogo modo di procedere è stato fatto proprio dalla chiesa bergogliana: siccome la rivoluzione conciliare non viene accolta con entusiasmo dal “proletariato cattolico”, il Comitato Centrale di Santa Marta ricorre a quella che Lenin chiama «trascrescenza della rivoluzione», estendendo la mentalità del Vaticano II anche in quegli ambiti dottrinali a cui inizialmente nessuno dei suoi fautori avrebbe mai osato metter mano.

Di qui il Sinodo della Sinodalità [vedi e anche qui], ossia l’instaurazione di una sorta di “Concilio permanente”, anzi di «aggiornamento permanente» (qui) che si faccia promotore di presunte istanze della base – il corrispondente ecclesiale del “proletariato” – quali il diaconato femminile e l’«inclusione radicale» di divorziati, concubinari, poligami, coppie omosessuali con figli adottati e aderenti al movimento LGBTQ (qui). Si noterà che queste richieste, tutte totalmente irricevibili sotto un profilo dottrinale e morale fedele al Magistero, non costituiscono un quadro spontaneo e veritiero di ciò che Clero e fedeli domandano dalla suprema Autorità della Chiesa, ma la finzione fraudolenta della propaganda bergogliana, giunta a ricorrere a vere e proprie falsificazioni imposte d’autorità da Bergoglio, sulla falsariga delle manovre già sperimentate al precedente Sinodo sulla Famiglia che partorì il monstrum ereticale chiamato Amoris lætitia [vedi].

E anche in questo caso la realtà viene mistificata per adeguarla a forza al proprio pensiero distopico, all’idea presuntuosa di avere una soluzione migliore di quella che la saggezza millenaria della Chiesa o la volontà del suo Fondatore hanno voluto disporre. Siamo alla manipolazione di massa applicata in campo ecclesiale, alle tecniche dei peggiori regimi totalitari oggi adottate tanto dall’élite globalista con la farsa pandemica e la transizione ecologica, quanto dalla setta bergogliana alleata e sostenitrice dell’Agenda 2030 della Fondazione Rockefeller.

III. La sintesi ratzingeriana di popolo di Dio e Corpo Mistico

La Lettera del 7 Ottobre espone quanto Benedetto XVI aveva già enunciato nel discorso al Parlamento federale tedesco il 22 Settembre 2011 (qui). La prima formulazione della critica all’agostinismo medievale1 è costituita però dalla dissertazione Popolo e Casa di Dio nella dottrina agostiniana della Chiesa, tenuta a Parigi nel lontano 1954 in occasione del Congresso agostiniano (qui).
Richiamando un’idea sviluppata dalla scuola di Harnack2, Ratzinger afferma:
«le due Civitates non indicavano alcun organismo societario, ma piuttosto la rappresentazione delle due forze fondamentali della credenza e dell’incredulità nella storia. […] La Civitas Dei non è semplicemente identica all’istituzione della Chiesa. In questo senso, l’Agostino medievale commise un errore fatale, che oggi, fortunatamente, è stato definitivamente superato».
Il tema trattato dalla dissertazione e accennato velocemente dalla lettera è quello della dottrina ecclesiologica del Corpo Mistico, esauritasi secondo l’autore con l’Enciclica Mystici Corporis di Pio XII. Negli ultimi anni Cinquanta e con la malattia del Pontefice si ripropone la rerum novarum cupiditas3 dei teologi progressisti, per i quali la dimensione soprannaturale della Chiesa era troppo spirituale e andava quindi sostituita con la più seducente locuzione agostiniana di «popolo di Dio», facilmente interpretabile sia in chiave ecumenica per la sua inclusione del popolo ebraico dell’Antica Legge, sia in chiave democratica per i possibili sviluppi sociologici e politici. Ovviamente questa impostazione ideologica rivela il retroterra modernista, perfettamente coerente con il pensiero di Harnack e del suo allievo.
Non sfuggirà che questo tema del venticinquenne Ratzinger giungerà ad essere trattato anche al Concilio, e non stupisce quindi l’orgoglio con cui il Papa Emerito richiama appunto dei temi che sono stati determinanti nella sua formazione teologica e nella sua carriera ecclesiastica e che si trovano messi in pratica dal Successore.

L’impostazione filosofica di Joseph Ratzinger è essenzialmente hegeliana, quindi intrisa di «idealismo assoluto»4, seguendo lo schema di “tesi-antitesi-sintesi”. In questo caso, tra la tesi cattolica del Corpo Mistico e l’antitesi progressista del popolo di Dio, il Vaticano II e il postconcilio avrebbero finito per accogliere la sintesi teorizzata appunto nella dissertazione del 1954: «la Chiesa è popolo di Dio esistente come corpo di Cristo», in cui Cristo si dà al fedele come Corpo e lo trasforma nel proprio Corpo.

Una tesi ardita, a ben vedere, che rischia di confondere la differenza sostanziale tra Corpo di Cristo veramente presente nella Sua interezza nelle Specie Eucaristiche e Corpo di Cristo realizzato misticamente dall’unione delle membra vive della Chiesa con il suo Capo divino. Questa confusione avrebbe poi consentito a non pochi teologi progressisti o del tutto eretici di ammiccare ai Protestanti grazie alla formulazione imprecisa di “Corpo di Cristo”. Avrebbe parimenti dato l’occasione a Francesco di appropriarsi delle ardite metafore pauperistico-eucaristiche di Raniero Cantalamessa, che definisce i poveri «vero Corpo di Cristo», la cui «presenza reale» si realizzerebbe tra coloro che accogliendo loro accolgono Lui [vedi].

IV. Civitas Dei e civitas diaboli

Il problema che si pone è complesso e articolato: esso consta di due aspetti, uno ad intra, relativo a ciò che la “chiesa conciliare” è e vuole essere; l’altro ad extra, relativo al suo ruolo nel mondo e ai rapporti con le altre religioni. L’aspetto ad intra tocca la natura dell’istituzione, cercando di decostruirla in chiave democratica e sinodale col falso pretesto di una ritrovata «più ampia dimensione spirituale» a detrimento del dogma; l’aspetto ad extra implica un’impostazione “ecumenica” del mondo, il dialogo con le sette e le false religioni, la rinuncia all’evangelizzazione dei popoli e la sua sostituzione con un messaggio ecologico e filantropico senza dogmi e senza morale.

L’errore dell’«Agostino medievale», secondo l’Emerito, consisterebbe nell’aver voluto identificare la Civitas Dei con la Chiesa visibile, mentre è evidente che quella valga da modello per la Christianitas, ossia quella società transnazionale in cui le leggi e gli ordinamenti realizzano gli auspici del Salmista: Beatus populus, cujus Dominus Deus ejus (Ps 143, 15).

La dottrina ci insegna che proprio a causa della sua dimensione terrena la Chiesa militante è ad un tempo santa come la Gerusalemme celeste e peccatrice nelle sue membra, infallibile nel suo Magistero e fallibile nei suoi Ministri. E non è nemmeno vero che Sant’Agostino o i suoi commentatori medievali abbiano indicato nello Stato la civitas diaboli; al contrario gli hanno riconosciuto un ruolo provvidenziale nell’economia della salvezza e la necessità che l’autorità civile sia conforme non solo alla Legge naturale, ma anche al Magistero cattolico.

Se vi è una civitas diaboli riconoscibile per la sua ontologica malvagità, essa va identificata nel Nuovo Ordine Mondiale e in tutte quelle organizzazioni, altrettanto transnazionali, che operano per l’instaurazione della sinarchia globalista. Non fa eccezione la setta bergogliana, che non a caso è alleata e sostenitrice di questi criminali eversori.

V. La critica ratzingeriana all’agostinismo medievale

Un altro gravissimo errore teologico che adultera la vera natura della Chiesa risiede nelle basi essenzialmente laiciste dell’ecclesiologia conciliare, che cercano di adattare la realtà oggettiva al proprio schema ideologico in continua mutazione.

Uso il termine “laicista” perché mi pare evidente che questa visione sia totalmente priva di uno sguardo soprannaturale: quello sguardo totalizzante che sa vedere le realtà terrene sub specie æternitatis non per mera speculazione intellettuale, ma perché è animato dalle Virtù teologali. Nei vaniloqui di questi intellettuali emerge sconsolante una mancanza di passione, di viscere, di sangue: è tutto teorico, tutto costituito per vanificare asetticamente la Redenzione e cancellare l’ordo christianus, appropriandosi dei metodi orwelliani della cancel culture.

Questo errore, insinuato nei testi del Vaticano II e in particolare in Dignitatis humanæ per la libertà religiosa e in Nostra ætate per i rapporti con le religioni non cristiane e l’ebraismo, pone la “chiesa conciliare” in deliberata discontinuità con la Chiesa Cattolica, «per la prima volta», secondo le parole di Benedetto XVI. Il quale afferma:
«Si trattava della libertà di scegliere e di praticare la religione, come anche della libertà di cambiarla, in quanto diritti fondamentali di libertà dell’uomo. Proprio in forza delle sue più profonde ragioni, una tale concezione non poteva essere estranea alla fede cristiana, che era entrata nel mondo con la pretesa che lo Stato non potesse decidere della verità e non potesse esigere nessun tipo di culto. La fede cristiana rivendicava la libertà per la convinzione religiosa e per la sua pratica nel culto, senza con questo violare il diritto dello Stato nel suo proprio ordinamento: i cristiani pregavano per l’imperatore, ma non lo adoravano. Da questo punto di vista si può affermare che il cristianesimo, con la sua nascita, ha portato nel mondo il principio della libertà di religione».5
L’equivoco si basa sul duplice significato che viene attribuito alla locuzione “libertà di religione”: nel senso cattolico essa indica la libertà del battezzato di professare pubblicamente e senza ostacoli da parte dello Stato la vera Fede; in quello modernista si riferisce alla libertà astratta di qualsiasi credente di vedersi riconoscere lo stesso diritto e le stesse libertà da parte dello Stato.

Un altro equivoco si ha quando si considera indifferentemente lo Stato che riconosca particolari diritti e privilegi alla Chiesa, rispetto allo Stato che professi una falsa religione o si dichiari “laico” e vieti la professione della vera Religione o la equipari a qualsiasi culto. La Chiesa ha sempre cercato, nel corso dei secoli, di contemperare prudentemente i propri diritti con le diverse situazioni di Nazioni in cui il Cattolicesimo non era tollerato o veniva perseguitato: provocare dei governanti anticattolici alla persecuzione dei propri fedeli sarebbe un atto sconsiderato o imprudente. Nondimeno, il fatto che la Chiesa possa chiedere tolleranza per sé e per i propri fedeli in situazioni di minoranza numerica non implica che pari diritti valgano per altre realtà in cui la Chiesa veda riconosciuto il proprio ruolo istituzionale da uno Stato che si professa ufficialmente cattolico.

Eppure, in nome della “libertà di religione” teorizzata dal Vaticano II, è stata la Gerarchia stessa a chiedere che Nazioni come la Spagna o l’Italia rinunciassero a riconoscerla Religione di Stato, modificando i Concordati e abrogando i privilegi che secoli di Cattolicesimo le avevano riconosciuto a livello giuridico. In quest’ottica, è quindi improprio affermare che «il cristianesimo, con la sua nascita, ha portato nel mondo il principio della libertà di religione», anzi per questa sua diversità ha dovuto affrontare la persecuzione e il martirio dei propri fedeli. I primi Cristiani non chiedevano di ammettere la Santissima Trinità nel Pantheon, ma di esser lasciati liberi di professare il proprio monoteismo che tanto stupiva i Romani. E questa “libertà di religione” essi la rivendicavano per sé, non certo per i pagani, che viceversa cercavano (con successo) di convertire alla vera Fede.

Sembra che ci si dimentichi che la Chiesa è titolare di diritti che le derivano direttamente da Dio, e che spetta allo Stato riconoscerglieli e tutelarli non per una questione meramente quantitativa, ma perché la Religione cattolica è oggettivamente vera e socialmente indispensabile al perseguimento del bene comune. A tal proposito giova citare Leone XIII:
«Se ai mali del mondo v’è un rimedio, questi non può essere altro che il ritorno alla vita e ai costumi cristiani. È un solenne principio questo, che per riformare una società in decadenza, è necessario riportarla ai principi che le hanno dato l’essere, la perfezione di ogni società è riposta nello sforzo di arrivare al suo scopo: in modo che il principio generatore dei moti e delle azioni sociali sia il medesimo che ha generato l’associazione. Quindi deviare dallo scopo primitivo è corruzione; tornare ad esso è salvezza».6
Il fatto che lo Stato possa negare il riconoscimento di questi diritti è accidentale e la Chiesa può anche decidere di non imporsi; ma non spetta a lei rivendicare diritti per chi semina l’errore, col solo scopo di ingraziarselo o di dar prova di uno zelo ecumenico che è totalmente estraneo alla sua missione.

VI. La falsificazione della realtà per rendere vera un’idea falsa

A ben vedere, il pensiero tradizionale è molto più attento al ruolo delle persone che rivestono incarichi istituzionali – Papi, Re, prelati e governanti, fedeli e sudditi – che non al concetto astratto dell’istituzione. Perché il Signore è morto per salvare le nostre anime, non degli enti giuridici; e perché la Chiesa ha il compito di convertire tutte le genti, ivi compresi i reggitori delle Nazioni, in modo che anche il ruolo che essi ricoprono sia vivificato dalla Grazia e possa contribuire al maggior bene del popolo che governano.

Questo fantomatico «Agostino medievale» non commise alcun errore, né nell’additare il paradigma soprannaturale cui le Autorità terrene – tanto spirituali quanto temporali – devono conformarsi, né nel teorizzare la subordinazione del potere civile a quello religioso, entrambi sottomessi a quello di Dio.

L’errore fatale è stato commesso piuttosto sul fronte fortemente ideologizzato del neomodernismo ecclesiastico e del progressismo politico, i cui seguaci cercano di attribuire senza alcun fondamento all’agostinismo politico una formulazione dottrinale secondo loro non corrispondente al messaggio dei primi secoli. Sant’Agostino non ha mai sostenuto che l’autorità dello Stato sia in qualche modo svincolata dalla vera Religione. Afferma invece il Vescovo di Ippona:
«Noi [consideriamo felici gli imperatori cristiani] se esercitano il potere con giustizia, se in mezzo agli encomi degli adulatori e agli inchini servili dei cortigiani non s’insuperbiscono e se si ricordano di essere uomini; se pongono il potere al servizio della maestà di Dio per estendere il suo culto; se temono amano e onorano Dio; se amano di più il suo regno in cui non temono di avere rivali; se sono ponderati nell’applicazione della pena e inclini all’indulgenza; se usano la pena soltanto per l’esigenza di amministrare e difendere lo stato e non per sfogare gli odi delle rivalità; se usano l’indulgenza non per lasciare impunita la violazione della legge ma nella speranza della correzione; se compensano una decisione severa che spesso sono costretti a prendere con la mitezza della compassione e con la munificenza; se in essi la lussuria è tanto più contenuta quante maggiori possibilità ha di essere incontrollata; se preferiscono dominare più le brutte passioni che molti popoli e se si comportano così non per la brama di una futile gloria ma per amore della felicità eterna; se non trascurano di offrire al vero Dio il sacrificio dell’umiltà, della clemenza e della preghiera per i propri peccati. Degli imperatori cristiani con tali doti noi affermiamo che sono felici frattanto nella speranza e che in seguito lo saranno di fatto, quando si avvererà l’oggetto della nostra attesa».7
Non è infatti possibile che una società costituita da persone che singolarmente hanno il dovere morale di riconoscere la Rivelazione divina e di obbedire ai Comandamenti di Dio e all’autorità della Chiesa, si sottragga al medesimo dovere. Come non è vero che la presenza di altre religioni, numericamente rilevanti a prescindere dall’aberrazione delle dottrine che insegnano, possa legittimare un atteggiamento di rassegnata presa d’atto dell’emarginazione dell’unica vera Religione, soprattutto quando tale perdita di consenso e di appoggio da parte dello Stato e della società è dovuta principalmente all’abdicazione della Gerarchia cattolica sulla base delle deviazioni conciliari.

VII. La sacralità dell’autorità contro le derive totalitarie
 
La formulazione di Sant’Agostino – che non si esaurisce nel De Civitate Dei ma trova ampia precisazione ortodossa nell’intero corpus dei suoi scritti – va letta in coerenza con la Sacra Scrittura e con il Magistero cattolico, eredi peraltro della visione vicaria dell’autorità civile che fu propria dello stesso popolo di Israele, i cui Re erano rappresentanti dell’autorità di Dio, al pari dei Monarchi cristiani, ad iniziare da Bisanzio.

La sacralità dell’autorità civile, ereditata dalla civiltà greco-romana, era talmente radicata nel mondo cristiano da assumere anche connotazioni cerimoniali proprie dell’Ordine sacro: pensiamo all’unzione con il Crisma, o alle vesti liturgiche dell’Imperatore d’Oriente e degli Zar di Russia, al rituale dell’incoronazione dell’Imperatore del Sacro Romano Impero e alle funzioni prelatizie del Doge di Venezia. Ma anche nell’Italia dei Comuni, apparentemente presentati come più “laici” rispetto alle Monarchie, il concetto della bene ordinata respublica fu sviluppato nel Medioevo in coerenza con la Fede ed esemplificato da Ambrogio Lorenzetti negli affreschi dell’Allegoria del Buon Governo del Palazzo Pubblico di Siena.

Separare artificialmente l’armonia e la complementarietà gerarchica tra autorità spirituale e autorità temporale fu un’operazione sciagurata che creò la premessa, ogniqualvolta venne realizzata, della tirannide o dell’anarchia. Il motivo è sin troppo evidente: Cristo è Re tanto della Chiesa quanto delle Nazioni, perché ogni autorità viene da Dio (Rom 13, 1). Negare che i governanti abbiano il dovere di sottomettersi alla Signoria di Cristo è un errore gravissimo, perché senza la Legge morale lo Stato può imporre la propria volontà prescindendo dalla volontà di Dio, e quindi sovvertendo il κόσμος divino della Civitas Dei per sostituirvi l’arbitrio e il χάος infernale della civitas diaboli.

E qui capiamo come l’una e l’altra civitas costituiscano un modello cui tendere e non una realtà attuata, senza astruse “spiritualizzazioni” né rozzi “realismi”. Capiamo anche come dietro queste speculazioni meramente intellettuali si celi quell’impostazione idealista di matrice hegeliana, che nasce dalla volontà di creare una realtà fittizia da contrapporre a quella voluta da Dio, anzi di imporre un’alternativa prometeica alla Passione del Salvatore, la quale scandalizza proprio per la Croce redentrice e per il fatto che, nell’economia della Redenzione, la croce è trono regale: regnavit a ligno Deus. Credere che il mondo possa non essere cristiano e fare a meno di Dio sopravvivendo a se stesso è una chimera infernale e blasfema.

VIII. La secolarizzazione dell’autorità ecclesiastica
 
D’altra parte, chi voleva dare una patina teologica alla laicità dello Stato come necessaria conseguenza della “libertà di religione” teorizzata per i singoli, doveva necessariamente negare le premesse dottrinali della Scrittura, dei Padri e del Magistero, appellandosi ad una presunta corruzione del vero messaggio cristiano ad opera dei pensatori medievali. Come si vede, la deviazione dottrinale si basa sempre sulla menzogna, sulla falsificazione storica e sull’ignoranza degli interlocutori ai quali si vogliono imporre i propri errori.

Le conseguenze sono devastanti e sotto gli occhi di tutti: se una societas perfecta non è tenuta a riconoscere come proprio Sovrano il Signore, ciò deve valere necessariamente anche per la Chiesa terrena, la cui Gerarchia può quindi decidere di esercitare la propria autorità per mantenere semplicemente il potere e non nei ben definiti confini stabiliti dal suo divino Fondatore. Non è un caso che il postconcilio abbia fatto di tutto per cancellare la dottrina della Regalità di Cristo, manomettendo a tal scopo anche i testi liturgici della festa istituita da Pio XI nel 1925 con l’Enciclica Quas primas.

Ratzinger parla di «mia ecclesiologia», affermando che né la Chiesa può dirsi Civitas Dei, né può presumere di considerare ancora attuale la dottrina che Pio XII definì nell’Enciclica Mystici Corporis del 1943. Scrive l’Emerito: «Ma la completa spiritualizzazione del concetto di Chiesa, da parte sua, manca del realismo della fede e delle sue istituzioni nel mondo. Così, nel Vaticano II la questione della Chiesa nel mondo è diventata finalmente il vero problema centrale». Così centrale, da modificare la dottrina cattolica pur di apparire à la page, dialogante, inclusiva, filantropica. Ma fu proprio la perdita del proprio ruolo di Domina gentium a condurre la “chiesa conciliare” ad una posizione rinunciataria, marginale, di irrilevanza sociale: è il pretium sanguinis di cui essa si è macchiata tradendo il mandato di Cristo e lasciandosi inquinare dalle idee del mondo. E se la Chiesa fino a Pio XII aveva come modello la Civitas Dei e si considerava Corpo Mistico di Cristo, pur nella debolezza dei suoi membri, pare che in questi ultimi decenni il modello cui si ispirano i fautori del Vaticano II sia piuttosto quello della civitas diaboli, a giudicare dal supporto che la Santa Sede presta all’ideologia globalista, ai deliri neomalthusiani della green economy, del transumanesimo [vedi] e di tutto il repertorio gender e LGBTQ.
Carlo Maria Viganò Arcivescovo
30 Ottobre 2022
Domini Nostri Jesu Christi Regis
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1. Con agostinismo medievale si intende lo sviluppo del pensiero agostiniano, in particolare quello relativo alle implicazioni politiche e sociali della dottrina sulla Civitas Dei e sulla civitas diaboli, che secondo i novatori avrebbe falsato il pensiero originario di Sant’Agostino, esasperandone ad esempio la visione teocratica del potere, tanto civile quanto ecclesiastico. Inutile dire che questa critica è pretestuosa e si basa su vere e proprie falsificazioni storiche: l’idea che ogni potestà origini da Dio era già ben chiara al Vescovo di Ippona e la sua esplicitazione nell’agostinismo politico medievale è perfettamente coerente con Tradizione.
2. Adolf von Harnack (1851-1930), teologo protestante e storico delle religioni tedesco. Le caratteristiche fondamentali della teologia di Harnack erano la pretesa di un’assoluta libertà nello studio della storia della Chiesa e del Nuovo Testamento; la sua sfiducia nella teologia speculativa, sia ortodossa che liberale, nonché il suo interesse per un Cristianesimo pratico che impregnasse il modo di vita e non si riducesse a mero sistema teologico. Harnack rigettava la storicità del Vangelo di Giovanni (giudicato troppo enfatico sulla divinità di Nostro Signore), preferendo ad esso i Vangeli sinottici. Rifiutava parimenti la possibilità dei miracoli. La sua religiosità critica della tradizione è permeata da molti ideali sociali, come esposto in un suo saggio del 1907. Per Harnack, la missione di un cristiano nel secolo è innanzitutto il servizio alla Comunità. Non sfuggano le influenze dell’idealismo hegeliano: la costruzione di una teoria astratta sulla base di principi modernisti deve negare a priori la divinità di Cristo, i miracoli, le profezie e tutto ciò che non conferma la propria tesi. Questo inficia ogni seria ricerca scientifica, filosofica e teologica, riducendola a propaganda.
3. Sallustio, Bellum Catilinæ, 48 Rerum novarum cupiditas Catilinæ animum incendebat. Catilina ardeva dal desiderio di una rivoluzione [letteralmente: dalla smania di novità].
4. L’idealismo hegeliano segna l’abbandono della logica aristotelica (detta logica di non-contraddizione), in favore di una nuova logica cosiddetta sostanziale. L’essere non è più staticamente opposto al non-essere, ma viene fatto coincidere con quest’ultimo trapassando nel divenire. L’idealismo hegeliano, che risolve tutte le contraddizioni della realtà nella Ragione assoluta avrà un esito immanentistico, riconoscendo in se stesso, e non più in un principio trascendente, la meta e il traguardo ultimo della Filosofia.
5. Joseph Ratzinger, Opera omnia, volume VII/1, Gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, Libreria Editrice Vaticana, 2016, Prefazione (Castel Gandolfo, 2 agosto 2012).
6. Rerum novarum, 22
7. De Civitate Dei, V, 24

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Consiglio la lettura del CAPITOLO PRIMO - Le tre città impegnate nella storia, tratto del bellissimo libro di padre R. Th. Calmel O.P. TEOLOGIA DELLA STORIA.
http://www.documentacatholicaomnia.eu/03d/sine-data,_Calmel._R_Th,_Teologia_Della_Storia,_IT.pdf

tralcio ha detto...

Mai come oggi è necessario mirare al vero obiettivo proposto da Dio all'anima umana: la requie dalla contesa nella pace di Cristo, per Cristo, con Cristo e in Cristo; la pace che viene da Nostro Signore, che è il centro della storia e il Re dell'universo, non dal mondo.

La pace del mondo è frutto di compromessi o di accordi sottoscritti dopo conflitti armati.
E' una pace spesso ipocrita, ipocritamente disarmata o ipocritamente vera. Certo, uno può chiamare pace anche un sopruso sancito per legge o la rinuncia a farsi carico del diritto.

In Gesù questo non c'è e la porta -strettissima- in fondo alla sua via è la croce.
Gesù si consegna secondo la volontà del Padre. Lo fa per redimerci dalla schiavitù.
C'è un principe cattivo nel mondo, che schiavizza con il peccato. Il Bene però non ci sta.
Beati quelli le cui vesti sono bagnate dal sangue dell'Agnello. E' l'epilogo di Apocalisse.
"... avranno parte all'albero della vita e potranno entrare per le porte nella città".
Capitolo 22 di Apocalisse: per i redenti si rende disponibile l'albero della vita!

La città è Gerusalemme. La città dove Abramo disse: "sul monte il Signore provvede".
C'è un Dio provvidente, per chi ha il timor di Dio (JERU). E ne discende la pace (SALEM).
Una pace che sancisce l'abbandono in Dio, nell'antica e nella nuova alleanza.
Nell'antica, percependo l'essenza di Dio, creatore di tutto, eterno e trascendente.
Nella nuova l'essere Padre, Figlio e Spirito Santo, volontà di Bene nel segno di croce.

Per essere figli di Dio e figli della pace bisogna essere pronti ad un abbandono totale.
Non lascia alcun margine di successo al male, anche quando -storicamente- esso prevale.
Gesù Cristo, il centro della storia, alla croce si consegna e dalla croce trionfa.

Per giungere alla pace che non ha più bisogno di contese servono verità, umiltà e carità.
Bisogna abbandonare l'esterno per entrare nel sancta sanctorum del mistero di Dio.
Bisogna essere come chi contempla tutto il mistero, presso il propiziatorio/hilasterion.
Lì cade il sangue dell'Agnello Immolato e lì prorompe tutta la luce possibile di Dio.

Quella è la méta dell'anima purificata, che con il cuore puro vede Dio come desiderava.
Un cuore che ha rinunciato ad ogni durezza, perchè è la pace ciò che cerca e vuole.
Una pace che rende giustizia a Dio (espiazione) e Gli rende gloria e lode (gioia piena).
Una pace che è finalmente pienezza non minacciata dalle alterne vicende del secolo.

La Chiesa del Vaticano II è una chiesa secolarizzata, che ha perso di vista il Cielo.
Ha desideri terreni e per non escludere nessuno in terra, ha smesso di desiderare l'Oltre.
La pace della Gerusalemme terrena fa a pugni con la via stretta della croce.
Il sangue dell'Agnello è così imbarazzante che la porta stretta è stata allargata.
La via che porta al Calvario è così sconveniente, da nasconderne la necessità e il segno.
Invece la pace, quella che San Francesco invocava e ricevette stigmatizzato, è quella lì.
La Chiesa è sposa se Cristo è al centro della storia: in periferia ci va tutto il resto.

tralcio ha detto...

Concludo il ragionamento.

Nella lettera ai Galati (4,3-5) troviamo scritto: ... eravamo schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la PIENEZZA DEL TEMPO, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.

Nella lettera agli Ebrei (9,23-26) troviamo scritto: Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi. Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui... ALLA PIENEZZA DEI TEMPI per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.

Cristo è il centro della storia. La Chiesa è la sua sposa.
La Chiesa può essere centrale alla storia SOLO SE è fedelmente sposa.
Salva SOLO SE introduce l'umanità al passaggio per la porta stretta della croce.
Da lì, lavate le vesti nel sangue dell'Agnello, si può aver parte all'albero della vita.
Ne avevamo perduto l'accesso dopo il peccato originale. La Chiesa oggi ne parla ancora?

Ora, dalla PIENEZZA DEI TEMPI, ci avviamo alla FINE DEI TEMPI. Gesù ce l'ha detto.
Tutta la vicenda storica gira attorno a questi fatti. Maràn athà!

Non veniamo dal caso e non siamo proiettati nel nulla.
Anche se non fossero veramente seimila, la Bibbia descrive un percorso di seimila anni di storia (sei giorni per Dio): dalla creazione dell'uomo al peccato originale, al diluvio, a Babele, ad Abramo con la prima alleanza (circa 2000 anni). Poi la schiavitù in Egitto, l'esodo, la legge, la terra, i re, Salomone e il tempio, prima di idolatrare (altri 1000).
E di lì la divisione dei regni, i profeti l'invasione, l'esilio, il ritorno: nella "pienezza dei tempi" (storicamente c'era Erode, sai che roba...) ecco il Verbo che si fa carne. La luce del mondo, l'Agnello Immolato. Erano passati altri 1000 anni.
Adesso ne sono passati altri 2000 circa. Sta per arrivare il "terzo giorno" dopo i primi 4.
Non importa se gli anni non sono seimila per il C14 e i paleoantropologi.
Storicamente però da Abramo in poi sono veramente circa 4000. E 2000 dalla PIENEZZA.
Adesso siamo vicino alla FINE: che non è banalmente la fine del mondo.
Ma, per fede e secondo la Parola di Verità, la RICAPITOLAZIONE DI OGNI COSA IN CRISTO.

Come ci arriviamo? Desiderando CHI e che cosa? Con quale pulizia previa? quale cuore?
Il fine della Chiesa sposa riposa nella contemplazione di questa luce o in qualche sinodo?
Tutto discende da Cristo (per mezzo di lui tutto è stato creato) e si ricapitola in Cristo.
Allora si realizzerà la città di Dio, la città della pace. Nel segno della croce: con i segni dei chiodi, con il sangue dell'Agnello. Bisogna passare di lì, dalla porta stretta.
Il resto è solo un'illusione, una mistificazione, un confidare più nell'uomo che in Dio.

Chi ne ha solo paura (o schifo), può desiderare la pace che viene da lì?
Provo veramente stupore per la luce sfolgorante di questa Sapienza, o ne provo orrore?
Se non mi pento dei peccati e non mi dolgo della poca pace nel cuore, ammiro Gesù in croce?
Prego veramente di essere capace di essere in comunione con Lui, dietro Lui, sulla sua via?

Anonimo ha detto...

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2022/10/31/la-squadra-di-francesco-al-comando-della-chiesa-tutta-di-gesuiti/

Pio ha detto...

Ottimo intervento di Mons. Viganò che fa luce elegantemente sulle impostazioni dottrinali, che alcuni, in primis il prof. Enrico M. Radaelli, ritengono ereticali, del Papa Emerito.
L'idealismo hegeliano ne è il tratto dominante, inconciliabile con la dottrina cattolica bimillenaria.
Non si capirebbe l'involuzione della dottrina cattolica senza entrare nell'enigma Ratzinger.

Anonimo ha detto...


Giuste critiche alla zoppa teologia dell'Emerito.
Sul suo "hegelismo" sarei tuttavia cauto.
Il discorso di Ratzinger non sembra avere nessuna autentica base filosofica, nei classici voglio dire.
Dipendeva da autori come Buber, il teorico del dialogo, un pensatore ebreo sui generis, e da teologi eterodossi come de Lubac, Teilhard de Chardin, Rahner almeno in parte.
Non basta tirar fuori un supposto schemino tipo tesi-antitesi-sintesi per fare di un intellettuale un discepolo di Hegel.
Filosoficamente, la nouvelle théologie, alla quale Ratzinger appartiene, si è ispirata ad autori come Blondel, come Heidegger. Per il passato, ad autori come Schleiermacher, che ha elaborato la visione della filosofia come "ermeneutica".

Anonimo ha detto...

Non capisco con quale coerenza e con quale autorità Ratzinger si sia permesso di criticare il Magistero di Pio XII.
Ma perché non si limita a dire che la sua fede non è quella cattolica?
Perché deve sempre fare danni?
Non dimentichiamoci mai che si sta parlando di un modernista che ha criticato persino la Sacra Scrittura.
È, a proposito di modernisti finti conservatori, che dire di Cavalcoli che, pur di dar ragione a Bergoglio, arriva a dire che si sono sbagliati gli evangelisti e che Bergoglio, grazie al metodo storico-critico, ha ragione a correggerli?
In pratica il suo "ragionamento" (ricavato di numerosi suoi articoli) si può riassumere così:
1) DIO HA ISPIRATO GLI AGIOGRAFI.
2) GLI AGIGRAFI (compresi gli evangelisti) HANNO A VOLTE COMPRESO MALE LE SUE ISPIRAZIONI E HANNO SCRITTO QUALCOSA DI IMPRECISO.
3) LA CHIESA E I PAPI HANNO CONSEGUENTEMENTE INSEGNATO L'ERRORE PER DUE MILLENNI.
4) BERGOGLIO HA FINALMENTE CORRETTO SIA LORO CHE GLI EVANGELISTI.
5) IL MAGISTERO PUÒ DIRE QUELLO CHE VUOLE, SENZA RISPETTARE SCRITTURA, TRADIZIONE e MAGISTERO PRECEDENTE (se ciò che dice è una novità significa che era era contenuto nella Rivelazione ma IMPLICITAMENTE ; se contraddice la Sacra Scrittura l'errore è degli agiografi, se contraddice il DOGMA, la Chiesa fino ad oggi aveva maleinterpretato i suoi stessi dogmi).
6) L'UNICO PAPA INFALLIBILE È SEMPRE E SOLO L'ULTIMO.
7) NON È MAI LECITO COMPARARE IL MAGISTERO DEL PAPA REGNANTE CON QUELLO DEI PAPI PRECEDENTI PERCHÈ CIÒ SAREBBE DA MODERNISTI.
Credo che sia meglio calare un velo pietoso su Ratzinger, Cavalcoli e su tutti coloro che preferiscono i sofismi (o la papolatria) alle verità di fede.

Anonimo ha detto...

Non papolatria, ma bergogliatria papale. Però paragonare Ratzinger a Cavalcoli proprio non si può sentire.

Anonimo ha detto...

Viganò semba ricalcare come il guenonismo il fatto che la regalitas promani dal sacerdozio. L'unzione di David e ciò che potè in quanto Re di Giuda ed Israele attestano invece il contrario ( d'altronde fu unto da Samuele di Efraim ) in quanto Giuda è il primogenito dopo i peccati di Ruben e gli atti omicidi di Levi e Simeone.
La giurisdizione ecclesiastica , certo in prospettiva ultra mondana, è del tutto teantropica e quindi giá da sè spirituale ma anche territorial-temporale ponendo la Chiesa certo come Civitas Dei in mezzo agli umani ma dunque anche come del tutto parallela alle genti e le organizzazioni loro proprie. D'altronde se un battezzato governa il problema non è affatto il riconoscimento dell'una ed unica religione cristiana poiché tale cosa è un presupposto implicito cosicché non ha alcun senso contrappore uno stato od una famiglia alla Chiesa se essi sono giá in forza della Fedeparte della Chiesa.
Inoltre tralasciando gli stati nazione di qualsivoglia modalitá come anche l'impero germanico, in realtá ulteriormente il monarca dovrebbe essere un chierico come sempre fu.
Dire poi che la potestá viene da DIO è una falsa legittimazione giacché anche il potere di Satana è permesso da DIO a nostra prova, e contraddirebbe il fatto che il secolo è nelle sue mani come attesta nostro Signore, fermo restando che gli stati cristiani hanno reso la Fede cultura e consuetudine e non adesione radicale alla salvezza del Vangelo, il che a ben vedere potrebbe anche essere peggio del vivere nella degenerazione o nella persecuzione, cosa che anche gli stati cristiani hanno compiuto d'altronde
Pietro e Paolo non pretesero il cambiamento sociale e l'adeguamento dei costumi alla Via cristiana, ma in nome delle parabole del Teantropo sul sale e la luce del mondo imposero che si fosse fulgidi esempi di virtù e non si avesse alcuno stampo sedizioso.

Daouda

Anonimo ha detto...

Daouda,
Se come lei erroneamente afferma l'autorità non venisse da Dio non ci sarebbe alcun motivo per obbedirle.
La sua visione dell'autorità e degli stati cristiani è più protestante che cattolica.
Il fatto che la potestà provenga da Dio è una verità di fede e non la legittima più del dovuto anzi: ci permette di disobbedire alle leggi ingiuste in quanto la Potestà non ha alcun diritto di opporsi a ciò che la legittima.
Un politico abortista (od omosessualista o nazista) è un esempio di virtù? Si può pretendere da lui che non legiferi contro il diritto naturale?
Si è tenuti ad obbedire ad una legge umana che comanda un'azione peccaminosa o che ne proibisce una virtuosa?
E che mi dice di coloro che, contravvenendo alla legge umana nascosero gli ebrei durante la persecuzione nazista?
E dei medici che si rifiutano di praticare aborti negli stati in cui non è consentita l'obiezione di coscienza?
E del processo di Norimberga?
Il processo di Norimberga ha addirittura giudicato e condannato: secondo lei aveva il diritto di punire società e costumi contrari alla "Via cristiana"?
E CHI dovrebbe decidere quali criteri devono essere seguiti per poter definire una legge come ingiusta?
Un'ultima cosa: lei ha citato Pietro e Paolo, ma entrambi (Paolo esplicitamente e Pietro implicitamente) hanno affermato che l'autorità proviene da Dio.

Anonimo ha detto...

Dicevo falsa giustificazione non che il potere non venga dall'Alto poiché anche Satana fino ai regni atei o pseudocristiani del passato fino ai regni ai cattivi re di Israele ( tolti dopo Salomone Giosia ed Ezechia ) sono stati permessi da DIO.
Cosa che appunto Paolo e Pietro avevano capito bene essendo il principato romano adoratore dei demoni, infanticida, propagatore di invertiti sessuali, perso nel vezzo e nella vanitá.
Non mi pare che le colonne della Chiesa si siano messe a fare petizioni, controinformazioni, votazioni, conferenze, manifestazioni, denunce o cosa.
Ed hanno convertito l'impero romano col sangue e l'esempio, fervidi nella preghiera.
Invece di perdere tempo coi satanassi guardiamo a quanto siamo squallidi noi che non riusciamo a convertire neanche un parente...

Daouda

Anonimo ha detto...

Ogni autoritá viene da DIO certo, sia che sia maligna o non lo sia. Scrivevo solo che tal constatazione non legittima nulla giust'appunto perché nessuno direbbe che uno stato, una famiglia, una corporazione siano da rigettare o vadano rinnegate e combattute perché potrebbero essere perverse.
Il cristiano dei primi tempi convertì con lo Spirito senza fare manifestazioni, votazioni, petizioni, denuce, controinformazioni, conferenze, rivolte o cos'altro, tutte di moda oggi in una societá che non abbiamo saputo mantenere a pur minimi livelli di cristianitá ma ci si é ritorta contro.
Evidentemente conviene esaminarci sulla nostra poca Fede che non può partire dalle distorsioni del CVII che semmai fu un sugello di un processo che è stato inesorabile a ben vedere.

Daouda

Gederson Falcometa ha detto...

Una cosa è chiara: la Chiesa conciliare non se identifica nè con la Chiesa di Cristo, nè con la Cattolica e nè con la Civitas Dei. Se identifica con il proprio mondo moderno.