Dopo il vaticano secondo quella dell'episcopato è diventata una vexata quaestio in base ad una nuova teologia che lo intende come sacramento. Paolo VI il 18 giugno del 1968 ha promulgato una nuova versione del Pontificale Romano, che per la consacrazione del vescovo recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida» e per il sacerdote: «Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del Presbiterato. Rinnova in loro la effusione del tuo Spirito di santità». Dunque la sostanza del sacramento dell’ordine sacro è rimasta quanto alla materia e forma (vedremo poi la intenzione) nel nuovo Pontificale Romano di Paolo VI.
Di seguito una interessante disquisizione. (Da Tradizione Cattolica (FSSPX) n.2/2021
«Regere Ecclesiam Dei»
Questioni sull’episcopato
Don Gabriele D’Avino
Introduzione
Al fine di ben intendere cosa sia l’episcopato, chi sono e cosa fanno i vescovi, sarà utile qualche breve nozione preliminare che ci riporta alla filosofia perenne; dopo di che, avendo analizzato la costituzione canonica dell’episcopato, si procederà ad un excursus storico sulla sua origine, infine poi ad una trattazione teologica sulla sua precisa natura. Nozioni L’episcopato è, genericamente parlando, una funzione che presuppone una potestà, ed è quindi, nella Chiesa cattolica, un’autorità. Cosa si intende con questi due termini? San Tommaso dice che la potestà equivale alla potenza attiva, cioè la capacità in un soggetto di compiere una determinata azione2 . Ma ancora non basta: si può avere in primo luogo una potenza attiva nell’ordine fisico per produrre un movimento in un composto fisico, come accade al medico che guarisce un ammalato, sul cui corpo egli ha dunque una potestà fisica; come accade ugualmente al costruttore che ha una potestà sui mattoni e sul cemento; in secondo luogo una potenza attiva in senso più lato, morale, per produrre un movimento anch’esso in senso lato, questa volta sulle potenze spirituali dell’uomo, che sono l’intelletto e la volontà: è il caso del maestro che insegna all’alunno, su cui ha una potestà morale in quanto ne guida l’intelligenza; o del comandante dell’esercito sui suoi subordinati per muoverne la volontà. L’autorità, dal verbo latino augere, cioè «aumentare» (designa l’azione di aumentare la perfezione in un soggetto), è la relazione che esiste tra chi è deputato ad aumentare il bene, cioè far raggiungere la perfezione di un determinato soggetto, e il soggetto stesso. Come si vede, dunque, l’autorità presuppone una potestà . Sia detto a margine che il termine, piuttosto moderno, di potere come verbo sostantivato (a nostra conoscenza assente dal lessico tomista), indica l’esercizio di una potestà, e non va con essa confuso. L’uso frequente che oggi se ne fa al posto del termine più preciso di «potestà» è chiaramente ideologico in quanto presuppone l’ipostatizzazione di un’azione, quella politica, sganciata da ogni finalità verso il bene comune, e pertanto costituisce un presupposto liberale, quindi totalitario, del concetto di governo (potere giustificativo del potere, come in Machiavelli4 ). Nella Chiesa esistono due forme di potestà che permettono di compiere la finalità per cui essa fu da Nostro Signore istituita: quella di ordine e quella di giurisdizione. La prima, che è quella di realizzare i sacramenti, si ricollega per analogia5 alla potenza attiva nell’ordine fisico, poiché si agisce sulla materia (es. pane, vino, acqua, olio) per produrre un effetto spirituale nell’anima, cioè la grazia santificante conferita dai sette sacramenti; la seconda è invece quella che si ricollega alla potenza attiva nell’ordine morale per guidare i sudditi, cioè i cristiani, verso la perfezione: governare, istruire e giudicare i fedeli significa infatti condurli al loro fine.
Episcopato secondo il diritto canonico
Il can. 108 §3 CIC 1917 recita: «Di istituzione divina la sacra gerarchia, in ragione dell’ordine, consta di vescovi, presbiteri e ministri; in ragione della giurisdizione, del pontificato supremo e dell’episcopato subordinato; di istituzione ecclesiastica invece vari altri gradi vi si aggiunsero». Dunque, in entrambe le suddivisioni della potestà nella Chiesa troviamo i vescovi: come mai è possibile? Si tratta, in effetti, di due significati realmente distinti del termine «episcopato», che ordinariamente si trovano nella stessa persona, ma che possono per eccezione, come vedremo fra un istante, trovarsi separati. Nel primo caso, il vescovo è tale quanto alla potestà di ordine, per compiere cioè gli atti che gli sono propri in seguito alla consacrazione, appunto, episcopale: amministrare la cresima e l’ordine sacro; nel secondo caso, il vescovo è tale in quanto ha ricevuto dal Sommo Pontefice la missione canonica di reggere una diocesi per governarla, insegnarvi, amministrarvi la giustizia. Di solito, dicevamo, le due distinte potestà sono ricevute in un unico soggetto: si pensi però al caso di un sacerdote eletto vescovo, che entrasse in carica nel governo di una diocesi prima di ricevere la consacrazione episcopale: avrebbe, nel frattempo, la pienezza della sua potestà di governo ma non potrebbe ancora amministrare le cresime o conferire l’ordinazione sacerdotale, benché tale situazione sia assolutamente provvisoria.
L’altro caso, al contrario, è quello dei vescovi cosiddetti titolari, che non sono cioè preposti al governo di nessuna diocesi ma ne sono, ad esempio, ausiliari: essi hanno la potestà di ordine perché consacrati, ma non godono di alcuna giurisdizione (è, questo, il caso dei vescovi della FSSPX, che compiono gli atti propri dell’episcopato quanto all’ordine, ma non possono governare una diocesi essendo sprovvisti di missione canonica e quindi di giurisdizione ordinaria). Per la validità della consacrazione episcopale, e quindi perché la potestà di ordine sia inequivocabilmente posseduta da un soggetto, è necessario e sufficiente il rito stesso, compiuto a sua volta da un altro vescovo; per la liceità è ovviamente necessario il mandato pontificio; affinché un soggetto sia invece realmente vescovo secondo la potestà di giurisdizione, è assolutamente richiesta la missione canonica del papa, senza la quale nessuno gode di giurisdizione ordinaria7 , né alcun altro che il papa regnante può conferirla.
Breve storia dell’episcopato
È noto che il termine greco ἐπίσκοπος all’origine del nostro «vescovo» abbia avuto nell’antichità il significato di «guardiano», «ispettore»; nell’Antico Testamento in particolare indica un ruolo di governo soprattutto spirituale, ma senza designazioni specifiche. Nel Nuovo, invece, il termine andrà a designare più in particolare una funzione di governo e di magistero della Chiesa; ma, si badi bene, sarà vano cercare negli scritti sacri o perfino nelle primissime opere dei Padri apostolici una distinzione netta tra la funzione episcopale e quella puramente presbiterale: infatti, nelle epistole di San Pietro, quelle di San Paolo, negli Atti degli Apostoli ed altri scritti i termini di ἐπίσκοπος e πρεσβύτερoς sono usati indifferentemente. Ciò non vuol dire che le due funzioni fossero confuse, come alcuni hanno creduto nel recente passato8 ; anzi, è dottrina tradizionale che fin dall’inizio della Chiesa esistesse la funzione episcopale con compiti distinti da quella semplicemente presbiterale, ma che in una prima fase i termini venissero usati indistintamente, uno per l’altro, laddove per i singoli nomi o i singoli luoghi fosse ben chiara la differenza tra i due gradi.
In cosa consiste teologicamente l’episcopato
Se quanto al nome esiste una differenza, almeno dal III sec. circa in poi, tra vescovo e prete, che differenza essenziale c’è tra le due funzioni? Vale a dire: cosa aggiunge la funzione episcopale a quella semplicemente sacerdotale, dal punto di vista, s’intende, dell’ordine? È una differenza di istituzione divina o ecclesiastica? E l’episcopato sarebbe dunque un altro sacramento, distinto da quello dell’ordinazione sacerdotale? Domande diverse e di importanza capitale nella questione che ci occupa, anche relativamente ad attuali derive ecclesiologiche della chiesa conciliare. Ma andiamo con ordine.
Il Concilio di Trento, nella sess. XXIII can. 6 minaccia di anatema chiunque neghi che nella Chiesa cattolica esista una gerarchia composta di vescovi, preti e ministri: come abbiamo visto più in alto, il Codice di Diritto canonico riprende precisamente queste parole. Ciò significa che l’episcopato è di istituzione divina, nel senso preciso che Dio direttamente volle che ogni gregge particolare (cioè ogni singola diocesi, ogni singola porzione territoriale della Chiesa) fosse amministrata da un pastore: tale tesi, secondo ciò che riferisce il card. Billot9 , si evince dalle parole di San Paolo agli anziani di Efeso riportate negli Atti degli Apostoli: «Badate al gregge di cui lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi per pascere la Chiesa di Dio»10. Il pastore in questione ha, di conseguenza, la potestà di conferire i sacramenti in ordine alla collazione della grazia santificante al suo gregge. Ma scendendo nel dettaglio, ci si chiede ancora se anche la distinzione tra vescovi e semplici preti sia di istituzione divina o se invece si tratti della stessa potestà in origine (quella episcopale, cioè della pienezza del sacerdozio), conferita dal Cristo agli Apostoli, e che poi la Chiesa abbia (ma fin da quasi subito) sdoppiato aggiungendovi un grado inferiore, con poteri più limitati, che è il grado del presbiterato. Quest’ultima tesi, molto singolare, fu sostenuta in tempi relativamente recenti dal canonico del Gran San Bernardo René Berthod, rettore del Seminario di Écône dal 1970 al 1977, nella sua tesi di dottorato in Teologia all’Università di Friburgo nel 1946 11. Secondo questa tesi, prima di tutto la consacrazione episcopale non aggiunge nulla di sacramentale al sacerdozio, ma solo una pura differenza giurisdizionale con i semplici preti12: in pratica, la differenza tra l’episcopato e il presbiterato esisterebbe sì ma solo in ordine ad una piena potestà sacramentale del primo e in una potestà ristretta del secondo; inoltre tale distinzione, come detto, sarebbe unicamente di diritto ecclesiastico. Questa, tuttavia, non è la tesi comune, quella cioè di tutta la tradizione tomista: la quale sostiene che già dall’inizio il Cristo istituì due gradi del sacerdozio, uno in forma «piena» (l’episcopato) ed uno in forma «ridotta» (il presbiterato), benché all’inizio i nomi rispettivi fossero usati indifferentemente, allorché invece le funzioni si conoscevano come perfettamente distinte. Il vescovo, dunque, possiederebbe secondo questa tesi la pienezza del sacerdozio, in senso stretto e non per mero complemento ecclesiastico. Altra domanda, ben distinta, è se l’episcopato sia un sacramento diverso da quello dell’ordinazione dei preti, se sia cioè un ottavo grado dell’ordine sacerdotale, e se conferisca un carattere proprio. È evidente che per chi sostenesse la tesi del canonico Berthod più sopra citata (distinzione puramente ecclesiastica dei due gradi) la risposta sarebbe già implicita: uno e un solo sacramento dell’ordine, un solo carattere sacerdotale. Per i sostenitori della tesi dell’istituzione divina dei due gradi del sacerdozio, invece, il problema si pone: il Cristo ha istituito due sacramenti, con due caratteri, o uno solo? L’episcopato è quindi un ordine distinto dal presbiterato o no? Ecco la risposta di San Tommaso d’Aquino: «Al termine “ordine” si possono dare due significati: primo, quello di sacramento: e in questo senso ogni ordine è ordinato all’Eucaristia. Poiché dunque il vescovo non ha in ciò un potere superiore a quello sacerdotale, l’episcopato non è un ordine. Secondo, l’ordine può indicare un ufficio relativo a certe funzioni sacre. E in questo senso, avendo il vescovo negli atti gerarchici un potere sul corpo mistico superiore a quello del sacerdote, l’episcopato è un ordine». E ancora: «L’ordine, in quanto sacramento che imprime il carattere, è ordinato direttamente all’eucaristia, nella quale è contenuto Cristo medesimo: poiché il carattere ci rende conformi a Cristo. Sebbene quindi al vescovo venga conferito nell’ordinazione un certo potere spirituale rispetto ad altri sacramenti, tuttavia tale potere non ha natura di carattere. Perciò l’episcopato non è un ordine, considerando l’ordine come sacramento»14. Così il Dottore angelico. E a noi pare che il ragionamento, basato sull’argomento che la potestà d’ordine sia intrinsecamente legata alla potestà concreta sull’eucaristia, concluda ed esaurisca il dibattito teologico: l’episcopato, non aggiungendo niente in più a chi è già sacerdote quanto al potere sul corpo fisico di Cristo, non è un sacramento distinto dal presbiterato. Esso costituisce però la pienezza delle funzioni sacerdotali conferendo, con la relativa consacrazione, la potestà a compiere tutte le funzioni sacre, in particolare quella atta a perpetuare lo stesso sacerdozio, vale a dire conferire il sacramento stesso dell’ordine. E tali potestà, quella cioè di consacrare l’eucaristia da un lato, e la pienezza del sacerdozio cioè la potestà episcopale dall’altro, furono conferite direttamente da Nostro Signore agli Apostoli la sera dell’Ultima Cena, come due potestà già ben distinte, ma inizialmente unite nelle persone degli Apostoli, con missione di perpetuarle nella Chiesa allora nascente.
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1 At, 20, 28.
2 In Sent. IV, dist. 24, q. 1, art. 1, qc 2, ad 3: «Potestas autem proprie nominat potentiam activam cum aliqua paeeminentia».
3 Dobbiamo queste considerazioni alle brillanti analisi di don Jean-Michel Gleize nel suo corso di Ecclesiologia impartito al Seminario di Écône.
4 Si veda la professione di opportunismo ne Il Principe, particolarmente ai capp. 17 e 18.
5 E solo per analogia: strettamente parlando l’azione tramite la quale i sacramenti, agendo sulla relativa materia, producono un effetto, lo producono non sul composto fisico, ma unicamente sull’anima del fedele: l’anima è la parte spirituale dell’uomo ma non tutto il composto; l’uomo non viene trasformato nella sua natura o mosso secondo tutta la sua natura, ma gli viene, con i sacramenti, aggiunta o aumentata solo una qualità soprannaturale nell’anima, la grazia santificante appunto.
6 Si veda il can. 333 CIC 1917.
7 Laddove è possibile invece, ma ciò vale per qualsiasi sacerdote, compiere gli atti relativi alla giurisdizione supplita dalla Chiesa in casi particolari: v. cann. 209, 210 e 882 CIC 1917.
8 La Scuola di Tubinga nell’800 fu tra i maggiori assertori di tale tesi eterodossa. I modernisti come Renan ritenevano che la Chiesa fosse all’origine una democrazia nella quale i titolari delle varie funzioni (presbiteri e vescovi) avessero gradualmente trasferito la loro potestà al papa.
9 De Ecclesia, n° 1073.
10 At 20, 28.
11 Se ne trova un ampio estratto nella rivista Le sel de la terre, n° 29, 1999.
12 Attenzione a non confondere: non si tratta qui della giurisdizione di una diocesi (la potestas iurisdictionis di cui si parlava più sopra) ma solo una giurisdizione particolare per compiere certi atti (la cresima e le sacre ordinazioni) data a chi riceve una consacrazione: il canonico Berthod la chiama, seguendo gli scolastici, potestas gradus
13 Summa Theologiae, Suppl., q. 40, a.5 c.
14 Ibidem, ad 2.
1 At, 20, 28.
2 In Sent. IV, dist. 24, q. 1, art. 1, qc 2, ad 3: «Potestas autem proprie nominat potentiam activam cum aliqua paeeminentia».
3 Dobbiamo queste considerazioni alle brillanti analisi di don Jean-Michel Gleize nel suo corso di Ecclesiologia impartito al Seminario di Écône.
4 Si veda la professione di opportunismo ne Il Principe, particolarmente ai capp. 17 e 18.
5 E solo per analogia: strettamente parlando l’azione tramite la quale i sacramenti, agendo sulla relativa materia, producono un effetto, lo producono non sul composto fisico, ma unicamente sull’anima del fedele: l’anima è la parte spirituale dell’uomo ma non tutto il composto; l’uomo non viene trasformato nella sua natura o mosso secondo tutta la sua natura, ma gli viene, con i sacramenti, aggiunta o aumentata solo una qualità soprannaturale nell’anima, la grazia santificante appunto.
6 Si veda il can. 333 CIC 1917.
7 Laddove è possibile invece, ma ciò vale per qualsiasi sacerdote, compiere gli atti relativi alla giurisdizione supplita dalla Chiesa in casi particolari: v. cann. 209, 210 e 882 CIC 1917.
8 La Scuola di Tubinga nell’800 fu tra i maggiori assertori di tale tesi eterodossa. I modernisti come Renan ritenevano che la Chiesa fosse all’origine una democrazia nella quale i titolari delle varie funzioni (presbiteri e vescovi) avessero gradualmente trasferito la loro potestà al papa.
9 De Ecclesia, n° 1073.
10 At 20, 28.
11 Se ne trova un ampio estratto nella rivista Le sel de la terre, n° 29, 1999.
12 Attenzione a non confondere: non si tratta qui della giurisdizione di una diocesi (la potestas iurisdictionis di cui si parlava più sopra) ma solo una giurisdizione particolare per compiere certi atti (la cresima e le sacre ordinazioni) data a chi riceve una consacrazione: il canonico Berthod la chiama, seguendo gli scolastici, potestas gradus
13 Summa Theologiae, Suppl., q. 40, a.5 c.
14 Ibidem, ad 2.
6 commenti:
Leggendo il NT si evince che Cristo ha seguito un percorso graduale, a tappe,anzi a scala, nel dare Potestá di Ordine agli Apostoli. Prima li chiama ed in un secondo momento li costituisce Apostoli dopo preghiera e digiuno: sono solo 12 mentre i discepoli chiamati sono 70. C' é differenza tra i 2 gruppi. POI agli Apostoli dá Potere di insegnare, esorcizzare, guarire ( e battezzare col Battesimo di penitenza direi). ANCHE ai discepoli dá Potere di insegnare ...NELL' ultima Cena li fa Vescovi ma non hanno ancora tutto il Potere. INFATTI nella prima apparizione da Risorto dá loro Potere di Confessare e giudicare, segno che prima non lo ebbero. POI ancora sulla riva del lago da Risorto dá il Potere a Pietro di governare, pascere. Lo aveva promesso, Pietro era già il capo negli anni di vita pubblica, probabilmente dal tempo della promessa, ma la pienezza del Capo, l' Autorità piena la riceve solo sul lago dopo la Risurrezione. E l'Ordine lo riceve solo all'Ultima Cena e Potere Confessare solo dopo Risurrezione .Quindi una scala di gradi, di Ordine e Giurisdizione. LA Giurisdizione é anticipata sull'Ordine persino o meglio si puó collocare con gli Ordini minori. QUINDI Gesú non dá gli Ordini in una volta sola. INOLTRE si deve tener conto di un fatto : una cosa é avere l'ordine, un'altra é dare l'ordine o la Cresima o le Missioni. IL presbitero ha l'ordine sull' Eucaristia, ma non può dare l'ordine. UN vescovo ha uno e l'altro, ma deve ricevere da Pietro per essere lecito. PIETRO HA una pienezza di Ordine in più,ha un Potere esclusivo. Il Potere si riceve e si trasmette ma in prima istanza viene solo da Dio tramite un Pietro (il che esclude un finto Pietro). .SCALA DI GRADI. Scala gerarchica al cui vertice é Gesù Sommo Pontefice nella vera Chiesa Divina . Umana é inutile. Peró il Potere di insegnare lo esercitano tutti, anche i lefevbriani, illecitamente ma di fatto lo esercitano come quello di amministrare. NON su una diocesi ma su una porzione di popolo. ED anche di giudizio dato che confessano.
Cardinal Sarah: Compito della Chiesa è salvare le anime.
https://www.youtube.com/watch?v=8bPgWQZLscU
Ehhh! Una volta.
Zuppi celebra le nozze tra Cei e Unione Europea
Prof.Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/zuppi-celebra-le-nozze-tra-cei-e-unione-europea
La mia intenzione non e' quella di essere irriverente se mi vien voglia di chiamarlo "Onorevole Zuppi". Dio compia in lui la Sua Volonta'.Amen!
La distinzione tra "potestas" (che guarderebbe al fine) e "potere", che guarderebbe al potere per il potere, non convince del tutto.
Né convince l'equiparazione tra totalitarismo e visione liberale: l'accostamento appare piuttosto azzardato. Forse l'Autore si riferisce ai "liberali" di oggi, la cui visione però non ha nulla a che vedere con quella del liberalismo classico, appartiene a quello che gli anglosassoni chiamano "radicalism". Il wokismo è "radical" assai più che "liberal". anche se spesso viene ascritto al "liberalismo".
NOn direi che Machiavelli si limita a consigliare al Principe (al Politico) una semplice metodologia del potere, per così dire. Del potere per il potere. Il fine del Politico è sempre il bene comune, nel linguaggio di Machiavelli : "conservare lo Stato", per il bene di tutti i cittadini o sudditi, non del solo Principe. A questo fine, M. scrive "Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanza li torni contro, e che sono spente le cagioni che la feciono promettere". Quindi: i trattati che obbligano gli Stati si osservano finché si mantengono le ragioni per le quali furono stipulati (nel diritto internazionale è la clausola implicita del "rebus sic stantibus") e finché l'osservanza non torni a danno dello Stato, che rischierebbe anzi la rovina mantenendola; per esempio, entrando in una guerra difficile e incerta.
Questo non è semplice "opportunismo". È la contraddizione che si verifica tra politica e morale in nome di un bene superiore, rappresentato proprio dalla conservazione del bene comune che è lo Stato, quel particolare Stato.
Se per disgrazia la Nato venisse coinvolta in una guerra con la Russia per colpa della questione ucraina, non si porrebbe per l'Italia il problema di "rompere la fede" ossia di sottrarsi all'obbligo di partecipare in quanto membro della Nato ad una guerra sicuramente rovinosa e apocalittica?
Machiavelli solleva in realtà un problema concreto che va ben al di là del semplice opportunismo.
Di questo si può parlare caso mai nel resto del capitolo 18 ove afferma che il Politico deve saper simulare e dissimulare, data la natura triste degli uomini: "parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso et essere; ma stare in modo edificato con l'animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario". Si tratta comunque di un "opportunismo" sempre giustificato dal fine di conservare lo Stato. Sia Machiavelli che Guicciardini citano come esempi ai loro tempi famosi di sovrano simulatore e ingannatore Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, e papa Alessandro VI Borgia.
Nel cap. 17 parla di crudeltà e pietà e se sia meglio esser amato che temuto, per il Principe.
Conclude che sia meglio esser temuto, senza però arrivare a farsi odiare al popolo. In un altro capitolo, scrive che la miglior fortezza per il Principe è il favore del popolo. Circa la crudeltà afferma che a volte è necessaria per riportare l'ordine e la giustizia in Stati o regioni in preda all'anarchia e alla criminalità. Cita l'esempio del Valentino (figlio di Alessandro VI) che con metodi feroci eliminò le fazioni e i briganti che rendevano la vita impossibile in Romagna, instaurandovi l'ordine e la giustizia. E il popolo era contento.
Politicus
quest'uomo mi ricorda qualcuno, un personaggio della TV di qualche annetto fa.. la vecchiaia a volte porta saggezza, e quest'uomo ne è un esempio lampante
https://www.facebook.com/share/v/19vtsPVw5W/
Il fondatore della Comunita' di Sant'Egidio ha aperto i lavori che si sono svolti nella Capitale.
I laici annunciano il Vangelo per il Giubileo. E' con una chiave tutta particolare che Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, ha aperto i lavori dell'appuntamento alla Basilica di San Bartoloneo all'Isola Tiberina, a Roma. L'iniziativa prende le mosse da un volume, il "Vangelo per il Giubileo 2025", pubblicato dalle Edizioni Archivium, illustrato da trentacinque tavole inedite del maestro Ulisse Sartini, introdotto dal cardinale Gianfranco Ravasi, prefato dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, commentato da Antonio Tarzia, il sacerdote scrittore paolino che insieme a Gabriella Lo Castro ha ideato l’opera il cui primo esemplare è stato recato in dono a Papa Francesco...
https://www.ilmessaggero.it/vaticano/giubileo_2025_vangelo_laici_roma-8718797.html
Appunto, il fondatore della Chiesa Cattolica?
"L’altro caso, al contrario, è quello dei vescovi cosiddetti titolari, che non sono cioè preposti al governo di nessuna diocesi ma ne sono, ad esempio, ausiliari: essi hanno la potestà di ordine perché consacrati, ma non godono di alcuna giurisdizione (è, questo, il caso dei vescovi della FSSPX, che compiono gli atti propri dell’episcopato quanto all’ordine, ma non possono governare una diocesi essendo sprovvisti di missione canonica e quindi di giurisdizione ordinaria)."
Il buon Davino fa un po' di confusione, pro domo sua... I vescovi FSSPX non sono vescovi ausiliari, come dai Lefebvriani affermato. I veri vescovi ausiliari sono infatti ausiliari di un vescovo diocesano, mentre quelli lefebvriani non ausiliano proprio nessuno, se non se stessi, oppure il Superiore generale che non è attualmente un vescovo ma un semplice prete e da cui dipendono come membri della Fraternità (per loro stessa ammissione, vedi risposte lefebvriane ai commenti di non lefebvriani in precedenti articoli pubblicati da Chiesa e post concilio a cui si rimanda).
C'è poi da aggiungere anche che proprio amministrando cresime e sacramento dell'ordine, una certa giurisdizione la esercitano comunque, non essendo essa limitata alla ufficialità del possedere una diocesi canonica, essendo dunque essa esercitata sul complesso della Fraternità, costituitasi negli anni come una vera diocesi, con un popolo di fedeli laici, una gerarchia, religiosi, parrocchie (le famose cappelle), un proprio tribunale per le nullità matrimoniali, eccetera eccetera. E chi nega questa realtà ed evidenza è in una fiction. Oppure in una realtà che ambiguamente non si definisce come Chiesa scismatica ma che ne presenta al contrario e con evidenza tutti i caratteri.
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