Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 26 ottobre 2011

Bernard Dumont. Rottura, riforma, rinnovamento

Per gentile concessione del Prof. Bernard Dumont, Direttore della Rivista di riflessione politica e religiosa Catholica, pubblichiamo il suo Editoriale dell'ultimo numero della stessa. Trovo non solo stimolante, ma soprattutto utile e opportuna questa circolarità di comunicazione che allarga oltre i reciproci confini nazionali le riflessioni e gli apporti di idee e di pensiero. D'altronde la Chiesa è universale e quanto si muove in essa non può e non deve rimanere circoscritto agli ambiti nazionali o locali. Il testo che abbiamo l'opportunità di consultare è denso di osservazioni che aprono nuovi usci di comprensione e piste di approfondimento. Vi scorgo diverse chiavi di lettura che potranno darci la possibilità di procedere non solo nell'analisi, ma anche nel confronto, coinvolgendo, se possibile, altri interlocutori di livello. Per ora mi limito al testo, osservando che esso è già una prima importante risposta alla domanda che avevamo lasciato in sospeso sulla libertà di religione.


Rottura, riforma, rinnovamento
Nella sua enciclica Fides et Ratio (14 settembre 1998). Giovanni Paolo II aveva affrontato una serie di problemi filosofici, sia di ordine generale di fronte ad una società piombata nella confusione, sia in rapporto alla situazione contemporanea della Chiesa. Un passaggio (n.87) s’allacciava ad un punto di metodo che acquisisce un particolare rilievo oggi, in relazione all’ampiezza assunta dalla discussione degli ultimi anni sulla interpretazione dell’evento conciliare ed alla questione di sapere in cosa questo avrebbe costituito rottura in rapporto al passato, in cosa esso sarebbe rimasto in continuità. Questo passaggio merita di essere riportato nella sua integralità. E’ situato in una sezione del capitolo VII dell’enciclica, che vuol determinare alcuni «compiti attuali », e si sofferma rapidamente su due tendenze giudicate dannose per l’attività filosofica di cui la teologia ha bisogno: l’eclettismo e lo storicismo. La prima citata e vista sotto la visuale delle invenzioni del linguaggio, inutili e origini di fraintendimenti; la seconda è trattata un po’ più in dettaglio e presentata come un caso particolare di questo abuso.
« L'eclettismo è un errore di metodo, ma potrebbe anche nascondere in sé le tesi proprie dello storicismo. Per comprendere in maniera corretta una dottrina del passato, è necessario che questa sia inserita nel suo contesto storico e culturale. La tesi fondamentale dello storicismo, invece, consiste nello stabilire la verità di una filosofia sulla base della sua adeguatezza rispetto ad un determinato periodo e ad un determinato compito storico. In questo modo, almeno implicitamente, si nega la validità perenne del vero. Ciò che era vero in un'epoca, sostiene lo storicista, può non esserlo più in un'altra. La storia del pensiero, insomma, diventa per lui poco più di un reperto archeologico a cui attingere per evidenziare posizioni del passato ormai in gran parte superate e prive di significato per il presente. Si deve considerare, al contrario, che anche se la formulazione è in certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l'errore in esse espressi si possono in ogni caso riconoscere e valutare come tali, nonostante la distanza spazio-temporale.
Nella riflessione teologica, lo storicismo tende a presentarsi per lo più sotto una forma di «modernismo». Con la giusta preoccupazione di rendere il discorso teologico attuale e assimilabile per il contemporaneo, ci si avvale soltanto degli asserti e del gergo filosofico più recenti, trascurando le istanze critiche che, alla luce della tradizione, si dovrebbero eventualmente sollevare. Questa forma di modernismo, per il fatto di scambiare l'attualità per la verità, si rivela incapace di soddisfare le esigenze di verità a cui la teologia è chiamata a dare risposta. »
Questo passaggio riguarda il metodo di ragionamento e le verità filosofiche, ma, nella misura in cui la teologia è una riflessione in ordine al dato della Rivelazione che segue le stesse esigenze logiche, ne risulta più vasta la portata. Esso include l’evoluzione dei dogmi, situata specialmente nello sviluppo omogeneo «nella linea sua propria, all’interno dello stesso dogma, con lo stesso significato, con la stessa comprensione » [1] – Vaticano I, costituzione de Fide -, e l’eterogeneità dei campi culturali, conseguenza del soggettivismo moderno recuperata in teologia dal modernismo.
Da ciò Fides et Ratio riprende soprattutto il rifiuto della tradizione in nome della pluralità dei « linguaggi » spazio-temporali, ma comporta anche, lo si è già visto, una incriminazione tanto lapidaria quanto essenziale: lo storicismo (modernista) « confonde l’attualità con la verità ».
* * *
Questi due aspetti sono al cuore dell’interpretazione del Vaticano II. E’ su di essi che si è concentrato il discorso del 22 dicembre 2005, e più precisamente intorno al tema che, da solo, riassume il problema d’insieme: la dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae, che ha cercato di dare un fondamento dottrinale alla garanzia della libertà di religione nel diritto positivo degli Stati, così facendo allontanandosi da enunciati magisteriali di senso opposto.
Una prima difficoltà è stata osservata fin dalla fine del Concilio dall’allora consigliere (peritus) del cardinal Frings, arcivescovo di Colonia: Joseph Ratzinger. Essa è riportata durante un resoconto da lui redatto sulla quarta sessione (1965), riprodotto nel diario recentemente edito in francese (Mon Concile Vatican II. Enjeux et perspectives, Artège, Perpignan, mars 2011). Il testo della dichiarazione era stato anticipato da un primo dibattito in occasione della sessione precedente, riguardo alla quale Joseph Ratzinger aveva espresso una riserva, probabilmente ravvisando l’influenza esercitata dal gesuita John Courtney Murray : « Infatti, è il modello americano che traspare attraverso la dottrina della presunta indipendenza del diritto naturale dalla storia.
Invece di concepire una ideale costruzione di cooperazione tra Stato e Chiesa, sarebbe stato meglio contentarsi di mettere avanti la dottrina di non-violenza del Vangelo, con tutte le sue conseguenze di sbarazzarsi del fatale errore di S. Tommaso che crede di dover correggere il vangelo su questo punto dicendo che in una società cristiana chiusa, non si ha bisogno di ricorrere ai tribunali ma che si deve, con pieno diritto, estirpare la zizzania e uccidere i peccatori “in modo lodevole e salutare” » (loc. cit., p. 170). (S. Tommaso si interessava della sorte eventualmente da riservare ai « mali », cioè ai criminali, in nome del bene comune, e non ai « peccatores »: la lettura della domanda 64 della IIa IIae risultava qui abbastanza precipitosa.)
In seguito Joseph Ratzinger osserverà che la difficoltà di trovare un fondamento teologico (nella Scrittura o nella Tradizione) alla libertà civile delle religioni rimarrebbe, e di conseguenza egli collocava il problema della continuità a partire dal momento in cui ci si contentava di affermare, senza nulla di più, che la Dichiarazione « non porta alcun pregiudizio alla dottrina tradizionale cattolica sul dovere dell’uomo e della associazioni verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo.» (DH 1, 3). Il teologo sottolineava lo scoglio : « Il termine del dovere delle comunità nei confronti della Chiesa rimane discutibile : la dichiarazione conciliare in realtà offre del nuovo ed in maniera altra da quella che si può trovare nelle dichiarazioni di Pio IX o di Pio XII ». In modo tale che l’affermazione posta all’inizio della Dichiarazione, inserita per eliminare a priori le perplessità, non è che « un fiore di iniziale retorica che si sarebbe potuto meglio lasciar da parte […] nient’altro che semplice caduta di stile. » (ibid., p. 216).
Ecco cosa permette di meglio comprendere, malgrado la distanza e le evoluzioni legate alla maturazione intellettuale, la problematica formulata da Benedetto XVI nel 2005. Si è determinato un cambiamento di direzione nel campo considerato (libertà di religione) come in alcuni altri, e se ciò presenta una difficoltà dal punto di vista della continuità – nel senso dinamico di una delucidazione sempre più precisa del dato rivelato – resta da sollevare la sola ragione che possa permettere di accettarlo, cioè il cambiamento d’epoca, un cambiamento talmente netto che autorizza a togliere la sua ragion d’essere al mantenimento di una dottrina anteriormente sostenuta ma che non conserva più alcun legame con la nuova realtà.
Una chiarificazione del genere costituisce un passo considerevole, liberatore, in confronto con la sovrabbondanza di scritti che si sforzano di dimostrare l’assenza della rottura, la pretesa evidenza di una continuità sotto l’apparenza di discontinuità, ecc, che hanno caratterizzato i decenni precedenti e tuttora sostenuti qua e là. Questa volta il problema è posto in maniera netta. La « riforma » alla quale allude Benedetto XVI è definita come un « insieme di continuità e di discontinuità a livelli diversi». Per « livelli » bisogna intendere una certa gradualità dal punto di vista della durata della validità, immediatamente spiegata: « le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare ». Il concetto di riforma così precisato suggerisce due piste di riflessione, l’una di metodo, l’altra di fatto.
* * *
La distinzione tra « decisioni di fondo » e « forme » a prima vista sembrerebbe non riguardare che la modalità di espressione di uno stesso principio. D’altronde il termine usato è quello di «decisione », che è un po’ ambiguo, perché non potrebbe riguardare che le disposizioni disciplinari (ad esempio il Non possumus, il Riallineamento[2]…) ; ma il contesto conduce a comprendere che si tratta di giudizi dottrinali (« applicazione ») espressi in maniera elaborata, come ad esempio la serie delle encicliche contro il modernismo di Leone XIII Diuturnum illud (1881), Humanum genus (1884), Immortale Dei (1885), Libertas praestantissimum (1888).
Prima della seconda sessione conciliare, cioè molto recentemente, questa maniera di distinguere sostanza e applicazione, per lo meno nel senso che qui sembra ipotizzato, non era né evidente né usuale. Ci si atteneva all’idea che i principi costanti potessero essere richiamati con insistenza nelle epoche durante le quali li si dimenticava o li si violava sfrontatamente. Come in ogni giudizio pratico, i principi erano applicati ad una situazione determinata con l’insistenza o la discrezione richieste a seconda dei casi, ciò che costituiva propriamente parlando la « forma ». Ma dopo la seconda sessione conciliare non sembra si tratti della stessa cosa. Benedetto XVI nota che la distinzione tra « decisioni di fondo » e « forme » è « un fatto che a un primo approccio può facilmente sfuggire » ; egli aggiunge anche che richiede uno sforzo di apprendimento: « […] dovevamo apprendere più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardo ai fatti contingenti […] dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti […]. Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l’aspetto durevole […] invece le forme concrete non sono così permanenti […]». Dal punto di vista metodologico si tratta dunque di una innovazione consistente non soltanto nel distinguere, come sempre in precedenza, principi e applicazioni prudenziali, ma in più nello scindere gli enunciati dottrinali essi stessi in principi « di fondo », intangibili, e forme concrete, delle quali rimane da comprendere la portata esatta. Notiamo che la terminologia usata è prettamente giuridica, dato indubbiamente non fortuito.
Sembra che si possa comprendere, per analogia, la ripartizione qui operata come un atto amministrativo o legislativo di declassamento: essendo in contraddizione con una situazione nuova, una parte della dottrina anteriormente esposta è considerata come ormai non operante o contro-producente e si vede dunque declassata, passando dal rango dei principi a quello delle forme o formulazioni legate ad una data epoca.
Il discorso di dicembre 2005 porta l’esempio della libertà di religione: condannata quando era «considerata come espressione dell'incapacità dell'uomo di trovare la verità », lodata dal concilio perché considerata « necessità derivante dalla convivenza umana » dal momento in cui uno «Stato moderno, concedeva un posto a cittadini di varie religioni ed ideologie, comportandosi verso queste religioni in modo imparziale assumendo semplicemente la responsabilità per una convivenza ordinata e tollerante tra i cittadini e per la loro libertà di esercitare la propria religione ». La differenziazione oltrepassa quella di un’accentuazione particolare, l’argomento nuovo non venendo a completare il precedente, ma rendendolo caduco. Non c’è qui dunque una parziale espressione di storicismo, nella misura in cui l’enunciazione dottrinale in rapporto con le circostanze nuove o presunte tali è sottratta alla regola dello sviluppo omogeneo dal fatto della sua collocazione nella categoria delle « forme » ?
Si potrebbe prendere un altro esempio, del resto legato al precedente, quello della dottrina del Cristo-Re, esposta in maniera approfondita da Pio XI in Quas Primas (1925). Un lunga argomentazione teologica vi sviluppa le ragioni per cui l’intero corpo sociale ha il dovere oggettivo di rendere culto pubblico al Cristo Redentore. Si può immaginare – per pura ipotesi – che in un dato contesto, sia preferibile non insistervi e ciò per ragioni prudenziali; è concepibile ricostruire tale dottrina in modo che essa non appaia più « minacciosa » nei confronti della cultura dominante anticristiana, e scegliere di amputarla dei suoi aspetti socio-politici (l’obbligatorietà del diritto del culto pubblico nei confronti del Redentore) per non conservarne ormai che il suo senso spirituale ed escatologico?
E tuttavia mai prima del Vaticano II fu presa in considerazione una tale possibilità, né, soprattutto, abbinandola ad un giudizio di perenzione storica. Nell’ottica fattuale, e salvo errori, il metodo apparso in occasione del Concilio è dunque inedito. Le ragioni del suo emergere in quest’epoca precisa dovrebbero esser oggetto di una ricerca, che permettesse di paragonare alcuni modi di ragionare paralleli su terreni teologici, quali la metodologia dell’ecumenismo, i nuovi concetti di Tradizione, il potenziale di sviluppo delle nozioni di « pastoralità » e di « ricezione/accettazione », il rapporto tra teologia e prassi, ecc.
* * *
Accanto alla questione di metodo sussiste una questione di fatto.
Il cambiamento evocato da Benedetto XVI corrisponde a due fasi distinte dell’ordine politico moderno, che giustifica da parte della Chiesa un rigetto in un primo tempo, approvazione in un secondo.
Che ne è delle trasformazioni interne della modernità? Certamente, l’inveramento politico, rapido e violento, dei principi formulati ai tempi dei Lumi ha fatto nascere – col forcipe – una nuova società, retta secondo la logica della filosofia così elaborata, in antagonismo formale con i principi cristiani dai quali ambiva liberare l’umanità. Questa interrelazione tra filosofia e realtà è fondamentale nel caso della modernità, che si sviluppa nei tempi come un processo di realizzazione della filosofia generale che la definisce. Portato avanti dagli uomini, questo processo urta contro alcune resistenze da parte delle società che esso raggiunge, docili o restie a seconda dei tempi e dei luoghi.
Esso incontra anche l’ostacolo delle contraddizioni che porta in seno (universalismo/differenzialismo, sovranità dell’individuo/uguaglianza…), che nel tempo portano alla sua autodistruzione; infine, non dimentichiamolo, esso entra nel mistero della divina provvidenza, della quale compie per un tempo i disegni. Tutto ciò spiega che, contrariamente al mito progressista, il processo può seguire un ritmo caotico prima di dover un giorno scomparire.
Il discorso del 2005 non pretende che la modernità – intesa come « liberalismo radicale », al quale avevano risposto le « condanne severe e radicali », esse pure, di Pio IX – avrebbe cessato di esistere in quanto filosofia-mondo. Esso considera piuttosto che sotto l’effetto delle circostanze il processo moderno ha diversificato le sue modalità (specialmente con l’esempio del modello americano distinto dal giacobinismo), e che l’implicazione politica di cattolici nelle istituzioni democratiche ha eliminato certe incomprensioni ed accresciuto l’idea di una possibile cooperazione là dove in precedenza era ipotizzabile unicamente la contrapposizione. Il cambiamento qualitativo avrebbe dunque preso principalmente l’aspetto d’uno spirito nuovo, di un passaggio dallo stato di guerra ad una reciproca apertura.
Questa evoluzione coincide con quella dominante nel momento del concilio, caratterizzata da un ottimismo volontarista, d’altronde ben in sintonia con le realtà del momento. Successivamente è divenuto più difficile concepire i fatti dalla stessa angolazione, mentre il rifiuto di Cristo da ogni sorta di forze politiche, ideologiche, economiche e religiose ha assunto una considerevole ampiezza.
Sotto questo profilo, l’interpretazione data da Benedetto XVI nel 2005 appare assai inattuale. La sola traccia di buoni rapporti ai quali essa allude senza nominarla – la laicità positiva – non è per ora che un progetto, se non un qualcosa che si stanno raccontando alla quale in fondo non credono. E’ quindi lecito ritenere che il proposito di Benedetto XVI era più prescrittivo che descrittivo, come una sorta di arringa per un alleggerimento pratico delle tensioni in una prospettiva del male minore.
Potrebbe essere immaginata una tregua nell’ipotesi in cui le circostanze indebolissero il sistema dominante o ad esso diventasse utile praticare la politica della mano tesa verso la Chiesa, fino al momento in cui fosse esso stesso a riprendere il suo corso normale. Tali furono le fasi dell’Ordine morale conosciute nel XIX secolo, o ancora la « NEP religiosa » nell’URSS agli inizi dello stalinismo.
D’altra parte, la modernità, dopo aver confuso ogni forma, oggi è pervenuta alla sua fase tardiva del suo compimento, e offre le due figure, contraddittorie soltanto in apparenza, ipermodernità dalle illimitate ambizioni e postmodernità decadente e antiumanista, senza che l’una o l’altra abbandonino per niente una stessa logica iniziale di esclusione di Dio. Tutt’al più si possono notare piccole e talvolta utili differenze, benché a certi sguardi il paragone finale dia l’impressione d’un gioco a somma zero: l’homo sovieticus, prodotto dalla violenza poliziesca del regime comunista, non ha il suo paio nell’homo occidentalis decerebrato di società ritenute più libere ma dagli effetti antropologici similari?
In ogni caso l’ora presente è piuttosto un ritorno verso un conflitto aperto, il che ci riconduce sotto diversi aspetti alla situazione alla quale aveva voluto rispondere il Syllabo. Sarà dunque possibile considerare, al fine di rispondere a questa regressione, una nuova operazione, di riclassificazione questa volta, della « forma » conciliare essa stessa affetta d’obsolescenza? Si può dubitare dell’ipotesi, tanto più che, nell’esempio dato sulla libertà di religione, Benedetto XVI indicava che se il Vaticano II aveva riconosciuto e fatto suo, con Dignitatis humanae, un principio essenziale dello Stato moderno, il Concilio aveva nello stesso tempo «ripreso rinnovandolo il patrimonio più profondo della Chiesa».
Fare il cammino inverso a causa di nuove manifestazioni strutturali di ostilità politica difficilmente sfuggirebbe all’incriminazione di opportunismo, il che rende l’ipotesi impensabile senza una profonda revisione del metodo d’insieme, ben al di là del tema dei « quattro valori non negoziabili ». Bisognerebbe quindi trovare una via d’uscita. Benché il concetto di riforma sia più preciso rispetto a quello di aggiornamento (rinnovamento), non sarebbe più giusto ridare onore a quello di restaurazione, nel senso d’altronde usato al momento del Concilio riguardo alla liturgia?
La connotazione di questo ultimo termine è molto negativa nel mondo ereditato dai Lumi, poiché suscita tutti i fantasmi del ritorno all’ancien régime, della « reazione », ecc. Il latino instauratio, che esso traduce, rende senza dubbio molto meglio l’idea di riabilitazione o di ripristino. Nella vita cristiana esso evoca soprattutto i frutti della riconciliazione con Dio dopo il peccato confessato; o ancora la riscoperta del senso o della bellezza originaria delle dottrine e delle prassi la cui coscienza si è attutita nel corso del tempo. Questo modo di concepire un rinnovamento sganciato dalla costrizione di doversi giustificare di fronte al mondo permetterebbe un approccio essenzialmente positivo, col risultato di non più operare selezioni nella sacra dottrina in funzione dell’accettazione o del rigetto da parte della cultura dominante, ma a cercare tutto ciò che può e deve essere riabilitato dopo mezzo secolo di disordini.
Bernard Dumont
[Editoriale del n.113/Autunno 2011 della Rivista francese di riflessione politica e religiosa Catholica - Traduzione per Chiesa e post Concilio a cura di Maria Guarini]
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1. Vincenzo da Lerino: Crescat igitur... et multum vehementer proficiat... sed in suo dimtaxat genere, in eodem silicet dogmate, eodem sensu eademque sententia : il progredire della sua comprensione, pertanto, è organico accrescimento dell’identico, immune da ogni alterazione - ndR
2. Sostanzialmente il Ralliement: il riallineamento) contemplava la proposta dell'accettazione della costituzione repubblicana nella convinzione che fosse venuto il momento per i cattolici francesi di rinunciare alla possibile restaurazione di una Monarchia cristiana e sancì il riavvicinamento tra la Francia e la Santa Sede. Lo prevede Au milieu des sollicitudes (In mezzo alle sollecitudini) è un'enciclica scritta in francese da Leone XIII nel 1892, con la quale, riprendendo tematiche già espresse nella Nobilissima Gallorum Gens del 1884, si proponeva un riavvicinamento dei cattolici francesi alla Repubblica. - ndR

26 commenti:

Roberto Martelli ha detto...

" .... invece di abbozzare una costruzione ideale di collaborazione tra Chiesa e Stato (in maiuscolo nel testo n.d.r.), ci si dovrebbe piuttosto accontentare di mettere in evidenza il rifiuto della violenza da parte del Vangelo, con tutte le sue conseguenze, e di eliminare il fatale errore di s. Tommaso ( s in minuscolo nel testo n.d.r.), il quale credette di dover correggere il Vangelo fino al punto che nella chiusa società cristiana non vi sia necessario attendere il giudizio, ma di propria autorità si possa estirpare la zizzania ed uccidere "lodevolmente e salutarmente" i peccatori. (S.Th, II-II. q. 64, a. 3 c. e ad I)" ( J Ratzinger, Problemi e risultati del concilio Vaticano II; Brescia: 1967; p. 48)

Il Ratzinger correttore di S. Tommaso e negatore della regalità sociale di Cristo è più o meno credibile di Benedetto XVI trascinato ad Assisi contro la sua volontà?

" .... non è ancora stata trovata quella forma di realizzazione del primato ( e di formulazione della dottrina del primato) che possa far apparire chiaro ad es. alle Chiese d'oriente che una unione con Roma non è sottomissione ad una monarchia papale, ma ristabilimento della comunione con la sede di Pietro, che fraternamente tiene la presidenza nella molteplice unità delle Chiese di Dio, che non conoscono una sovranità di tipo mondano, ma -per dirla con la costituzione sulla Chiesa - hanno comunione nel vincolo dell'unità, della carità e della pace."( J. Ratzinger, ibidem; p. 53)

Il Ratzinger desideroso di presiedere nell'unità è più o meno credibile di Benedetto XVI fedele custode della Dominus Iesus?

Quale credibilità ha una lettera personale del Sommo Pontefice, promotore della Babele III di Assisi, ad uno sconosciuto pastore luterano nel quale ci viene raccontata la sua personale contrarietà alla celebrazione venticinquennale di un gesto immaginato, voluto e caparbiemente perseguito dal "venerato predecessore" che egli stesso si è premurato di affrettatamente beatificare?

Anonimo ha detto...

A proposito di Ratzinger e S. Tommaso, l'articolo pubblicato aggiunge alla prima citazione del commento precedente:

"S. Tommaso si interessava della sorte eventualmente da riservare ai « mali », cioè ai criminali, in nome del bene comune, e non ai « peccatores »: la lettura della questione 64 della IIa IIae risultava qui abbastanza precipitosa."

Si tira in ballo anche l'evento-Assisi tuttora da verificare ma, come minimo generatore di ambiguità.

Siamo sommersi dalle contraddizioni...

Icabod ha detto...

" Per « livelli » bisogna intendere una certa gradualità dal punto di vista della durata della validità, immediatamente spiegata: « le decisioni di fondo possono restare valide, mentre le forme della loro applicazione a contesti nuovi possono cambiare. »"

in che modo è rimasta valida la decisione di fondo Tradizionale nel campo della libertà religiosa?

DANTE PASTORELLI ha detto...

Quante domande induce a porsi questo articolo! Problemi troppo vasti e profondi per me. Li affronti chi ne abbia la capacità.
Io noto soltanto il mare dell'ambiguità in cui veleggia certa teologia.

Anonimo ha detto...

in che modo è rimasta valida la decisione di fondo Tradizionale nel campo della libertà religiosa?

In nessun modo.

Per il resto, dopo aver fatto 2+2, mi associo a Dante

Anonimo ha detto...

Afferma la Fides et Ratio
"Si deve considerare, al contrario, che anche se la formulazione è in certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l'errore in esse espressi si possono in ogni caso riconoscere e valutare come tali, nonostante la distanza spazio-temporale."

così è appunto per la libertà di religione.
Esiste il I comandamento: "non avrai altro Dio al di fuori di me", un Dio che si è rivelato e ha operato nel mondo il mistero della Redenzione nella Persona del Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo. Egli è venuto perché la Salvezza fosse annunciata e portata a tutte le genti e, per questo, ha istituito la Sua Chiesa.
Se la Sua Chiesa oggi afferma che altre religioni costituiscono vie di salvezza, sia pure attribuendo ad una cristologia implicita i frammenti di verità che esse contengono (peraltro impropriamente perché i Padri parlavano di logoi spermatikoi a proposito delle filosofie e non delle religioni), dobbiamo pensare che l'Annuncio è diventato inutile?
Nella prassi non è abolito, ma piuttosto enfatizzato e, purtroppo, soprattutto affidato anche a falsi profeti e cattivi maestri...

Quanto agli ebrei, la CEI ha dichiarato - senza peraltro aver titolo a farlo a nome di tutta la Chiesa, prerogativa che appartiene soltanto al Papa - :
"Non c’è, nel modo più assoluto, alcun cambiamento nell’atteggiamento che la Chiesa Cattolica ha sviluppato verso gli Ebrei, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II. A tale riguardo la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei"

Oggi, staremo a vedere se ci sarà un annuncio esplicito che l'unica Via di Salvezza è Cristo e che dove Lui non Regna non ci può essere vera Pace, ma soltanto un generico umanesimo che può avere intuizioni e realizzazioni positive, ma esse mancano della Soprannaturalità teandrica che solo da Cristo può provenire e inverarsi nel mondo proprio e soltanto attraverso la Sua Chiesa.

Essa nel Mistero, ha certamente confini meno angusti di quelli che possono esserci noti, ma ha anche una identità precisa nella quale non è previsto di entrare in dialogo con l'errore né tanto meno di accoglierlo nel suo seno, applicando un 'inclusivismo' insensato, con l'intento (illusorio) di purificarlo: Cristo ha incarnato la nostra natura umana, ma non il peccato e non è entrato in dialogo col mondo ma è morto in Croce per liberare il mondo dal peccato e dalla morte. E ha dimostrato che non ci può essere alcuna intesa tra Lui e Belial. Cristo ci insegna a riconoscere e rifiutare l'errore e non ad entrarci in dialogo.

Se la situazione socio-culturale e politica può richiedere che entrino in dialogo le culture, visto che il dialogo tra fedi non può esistere, la Sede di Pietro dovrebbe dare gli orientamenti e le direttive in questo senso e non partecipare a eventi densi di grande ambiguità soprattutto per effetto di chi poi ne diffonde anche artatamente un significato estraibile da ciò che appare...
La persona del Vicario di Cristo non può e non deve confondersi con altri e così confondere soprattutto i piccoli.

Ciò premesso, e come già detto altrove, non resta che attendere e vedere cosa succederà e, tuttavia, già quell'allinearci a "Pellegrini della Verità", non è il nostro posto. Infatti, pur non essendo 'possessori', ma Adoratori della Verità, che abbiamo già trovato (o ci ha trovati) e che custodiamo difendiamo e diffondiamo come il Bene supremo che ci è dato, cresciamo come persone proprio nel 'conoscerLa' sempre più attraverso la Fedeltà.
Parlo di 'conoscenza' in senso biblico= rapporto intimo, profondo, costante, fedele, sponsale...

Anonimo ha detto...

Ci sarà forse oggi chi ricorderà a Julia Kristeva, che leggerà un discorso luciferino, in cui si proclamerà la superiorità del "viver come bruti", rispetto ad ogni fede religiosa o anche solo ideale, che il suo modo di pensare, ne fa la candidata perfetta per l'inferno?
Dopo che il primo Assisi tolse ogni vera ragione (che non sia in primis filantropico-sociale) all'opera missionaria, dando un enorme argomento in mano ai non cristiani, adesso si riconosce, quanto meno per via implicita/surrettizia/presuntiva (certamente è ciò che il mondo capirà) dignità all'ateismo.

DANTE PASTORELLI ha detto...

Nessuna opera attiva di conversione.
Certo, nessuno li vuol metter alla ruota, gli ebrei, come i buddisti, gl'induisti, i protestanti, gli animisti ecc. .Ma per la CEI - Conferenza di vescovi veri o presunti non so più stando al loro agire e alle oro dichiarazioni - - è opera attiva anche la preghiera.
Dunque, non preghiamo per la loro salvezza! Chissà, dovremmo forse chiedier a Dio che li mandi all'inferno? Scommetto che la CEI approverebbe. Tanto l'inferno, se c'è, è vuoto. Chissà cosa ci dkiranno mai dall'aldilà prima o poi.

perplesso ha detto...

Ho letto il discorso del Papa.
"Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna."

Subito dopo parla della Croce di Cristo, ma in questo modo non accomuna anche le Crociate alle odierne violenze fondamentaliste, che hanno di sicuro tutt'altra matrice?

perplesso ha detto...

qui il discorso:
http://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2011/10/il-papa-la-critica-della-religione.html

piùcheperplesso ha detto...

anche i gesti, le azioni hanno un peso, soprattutto in questa nostra civiltà dell'immagine frutto del mondo mediatico.

I discorsi del Papa chi se li ricorda? Forse chi lo segue più da vicino; ma alla gente comune resta "impresso" quello che ha fatto.

Anonimo ha detto...

"... da dove sapete quale sia la vera natura della religione? La vostra pretesa non deriva forse dal fatto che tra voi la forza della religione si è spenta? Ed altri obietteranno: ma esiste veramente una natura comune della religione, che si esprime in tutte le religioni ed è pertanto valida per tutte? Queste domande le dobbiamo affrontare se vogliamo contrastare in modo realistico e credibile il ricorso alla violenza per motivi religiosi...."


Il Papa non risponde direttamente. Tuttavia l'esortazione successiva rivolta alle "religioni" di purificarsi dalle tendenze violente suggerisce che la sua risposta a questa domanda è affermativa. O no?

Ovvio che il "senso religioso" è comune a tutti gli uomini e che esso si esprime in modi diversi.
Ma chi è depositario della Verità rivelata non deve forse sottolineare la differenza (senza volorizzare le differenze): e cioè l'Unica ragione che fa del Cristianesimo l'unica Fede portatrice del Regno perché è portatrice del Suo Signore!

E' vero che anche noi abbiamo sempre bisogno di purificazione e di riorientare e rinnovare continuamente la nostra fedeltà; ma se non è Cristo che purifica, chi potrà eliminare la violenza in qualunque religione o ambito essa si manifesti?

DANTE PASTORELLI ha detto...

Ma che senso ha, per un cattolico, un'idolatrìa, un buddismo, un induismo, un islamismo, un ebraismo purificati?
Purificati dai semi della violenza?
Ma se la purificazione avviene tramite Cristo, i rappresentanti di queste false religioni, da chi la riceveranno se non credono in Cristo ed allo scopo non Lo invocano? E come può avvenire tale purificazione se per la conversione di eretici, scismatici e infedeli non dobbiamo pregare?
O l'esclusione dalle nostre anche pubbliche preghiere riguarda solo gli Ebrei che si salvan comunque mentre i seguaci di altre religioni no?
Che confusione, quando non si ha più il vero senso della missione assegnata da Cristo.
Ma siamo agl'inizi. Non voglio esprimer giudizi prima della conclusione dell'evento palingenetico, oltre quello sulla visibile confusione.

giovanna ha detto...

Ci si poteva aspettare realisticamente molto di più? Non so. Se ascoltassero l’invito alla non violenza, alla purificazione in questo senso, che attiene per sé all’uomo religioso, sarebbe già una gran cosa. Ma va bè, non insisto, so che non siete d’accordo.

Volevo però dire che, nonostante la grande attenzione all’evento Assisi, è passata in sordina, ingiustamente a mio avviso, questa riflessione di papa Benedetto in vista della giornata di oggi. Che mi sembra sia di ben altro spessore, e racconta la Pace in altro modo.

DANTE PASTORELLI ha detto...

La pace ben venga, Giovanna, su questo siamo tutti d'accordo. Il problema è diverso.
Mi chiedo se un invito a pregar per la pace false divinità sia foriero di vera pace e mansuetudine. In fondo anche i radicali sono non violenti. A parole: vedi aborto. In ogni uomo è impressa la morale divino-naturale, che di per sé dovrebbe comportar la non violenza. Purtroppo questa c'è ugualmente e si manifesta in modo terribile. E allora? 300 rappresentanti di culti per lo più pagani posson con le loro preci crear un mondo pacifico? Io non lo credo. Invece credo che invitar a pregar i falsi dèi significa radicar di più nell'errore gl'infedeli. Anche se, al limite, quest'incontri servissero davvero a crear pace, a cosa serve questa pace puramente terrena se poi non si salvan le anime?
La missione della Chiesa non è di carattere politico: alle positive realizzazioni politiche può pervenire tramite la missionarietà, l'opera di reductio ad UNUM DEUM, ch'è la base della morale sociale, della dottrina sociale della Chiesa.

sacris solemnis ha detto...

...ma se non è Cristo che purifica, chi potrà eliminare la violenza in qualunque religione o ambito essa si manifesti?

Appunto!

DANTE PASTORELLI ha detto...

Ho letto i 12 punti per edificare la pace: amore per il prossimo, perdono reciproco, dialogo, ecc. ecc. Non ho letto il nome di Cristo come unica fonte d'ogni pace in nessuno dei punti pubblicati. Speriamo che sia colpa del riassunto riportato dal blog Amici di Papa Ratzinger.

metaraf ha detto...

---- Original Message -----
From: christusrex@libero.it
Sent: Thursday, October 27, 2011 5:50 PM
Subject: COMUNICATO STAMPA: ASSISI III E' APOSTASIA, LA PEGGIOR OFFESA A GESU' E MARIA !
Come preannunciato, una delegazione di militanti del Circolo Cattolico Christus Rex ha espresso la sua pubblica protesta contro il congresso delle religioni e delle sètte convocato ad Assisi da Benedetto XVI. Si è sostenuto uno striscione di 5 metri per rispondere ai promotori di questo abominio, che in realtà sono “Pellegrini verso la menzogna, pellegrini verso la rovina”:ASSISI III E’ APOSTASIA, LA PEGGIOR OFFESA A GESU’ E MARIA!
Alle spalle dei fedeli la chiesa di Santa Maria degli Angeli di Assisi, ove, nel corso della mattinata, Benedetto XVI ha reiterato lo scandalo dell’incontro interreligioso, demonolatrico e sincretista, nel venticinquesimo anniversario della prima profanazione della Basilica, del grave peccato contro il Primo Comandamento e contro il Magistero Perrenne di Santa Madre Chiesa compiuti da Giovanni Paolo II. E’ giunta la comunicazione secondo cui le esequie del pilota Marco Simoncelli, tragicamente scomparso, hanno completamente surclassato, sulle televisioni nazionali, le immagini dell’apostasia di questa triste giornata. Poco interesse da parte della gente, anche ad Assisi, dal momento che la grande piazza di fronte a Santa Maria degli Angeli era per metà deserta. Nei prossimi giorni seguirà un filmato, a documentazione del raduno interreligioso, realizzato dalla Domus M. Lefebvre.
A benedire lo striscione, in cotta, stola e aspersorio (come da fotografia) c’è don Floriano Abrahamowicz , titolare della Domus Marcel Lefebvre. In fotografia si possono notare, tra gli altri, il Responsabile del Circolo Christus Rex Andrea Dal Canton, il Portavoce Matteo Castagna, l’Addetto Stampa Prof. Franco Damiani, il Prof. Antonio Diano.
Oltre alla pubblica protesta, il Circolo Cattolico Christus Rex ha voluto riparare allo scandalo di Assisi III recitando il Santo Rosario, continuando a sostenere lo striscione ed aggiungendo il labaro del movimento con l’immagine di Cristo Re. Di quest’atto è stato realizzato un Video, in cui il portavoce Matteo Castagna illustra l’iniziativa e intervista don Abrahamowicz e il Prof. Damiani: http://gloria.tv/?media=209171
Don Floriano è ancora a Santa Maria degli Angeli ed all’uscita dell’ufficio stampa allestito per l’occasione ha rilasciato alcune interviste. Ha avuto modo di distribuire copie delle vignette attualizzate su Assisi III, già pubblicate in questo sito, al post http://www.agerecontra.it/public/press/?p=13896.

giovanna ha detto...

Ecco, appunto, a proposito di non violenza...
Le ho viste le vignette: per quelle non serve una preghiera di riparazione?
Trovo intollerabile, anti evangelico, violento, offensivo oltre ogni dire questo agire da falchi agguerritissimi di certezze assolute, senza neppure l'ombra di un piccolo dubbio. Di certezze io ne ho solo una ed è inconciliabile con questa robaccia.

DANTE PASTORELLI ha detto...

Le Messe di riparazione si fanno per motivi seri. Non mi sembra che le vignette siano cose serie, specie se benedette da un ex-S. Pio X che non credo meriti tanta attenzione.

giovanna ha detto...

Dice Dante

300 rappresentanti di culti per lo più pagani posson con le loro preci crear un mondo pacifico? Io non lo credo. Invece credo che invitar a pregar i falsi dèi significa radicar di più nell'errore gl'infedeli

Neppure io lo credo. E neppure il Papa. Nel suo discorso non li invita a pregare, ma piuttosto a riconoscere ciascuno le proprie responsabilità sulla sconfitta della convivenza pacifica che la storia registra. Li invita a farsi pellegrini della verità, diciamo così. Cercatori di Dio, ‘quello vero’.

Chiariamo: anche per me questa giornata è sbagliata, era da evitare, è solo un problema in più, un nodo in più in una matassa già ingarbugliata. S’è detto e ridetto. Tuttavia, a me sembra,papa Benedetto ha cercato di ridurre il danno per quanto in suo potere. E non so non vedere la sua fatica crocifissa da tutti o quasi, e in essa una speciale autorevolezza che lo rende per me molto più credibile di tutto lo strepito e lo stracciamento di vesti dei vari super cattolici. I quali avrebbero consigliato volentieri persino Gesù Cristo ad attorcigliar cordicelle e sbattere fuori dal tempio i mercanti ad ogni piè sospinto. E invece Lui è un Re che cavalca un asino preso in prestito.

DANTE PASTORELLI ha detto...

In tutte le salse leggo "Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace". Si doveva solo cercar un punto in comune per promuover la pace tra persone con esperienze diverse senza preghiera? Cosa c'entra allora Assisi, cosa c'entra la tomba di S. Francesco? Cosa c'entra il festeggiamento del 25° del primo disgraziato convegno? Un palacongressi sarebbe stato sufficiente.
Ma lasciamo perdere.
Non capisco come una giornata sbagliata, da evitare e che ingarbuglia i problemi possa esser considerata inevitabile. Un Papa necessitato? Da chi, da che cosa?
Per ridurre i danni? Ma chi, senza il suo consenso, avrebbe potuto a nome della Chiesa indire una simile giornata? Nella posizione di Papa condizionato non riesco, per quanto mi sforzi, a veder autorevolezza di sorta.
Io non mi straccio le vesti, non grido: osservo, penso, soffro. Tutto qui. Quest'evento non sarebbe stato in sé motivo di unione tra i cattolici, si sapeva in partenza. E non mi sembra lo sia stato. Spero di potermi ricredere. Pace fuori e divisioni dentro?
Non mi riconosco, Giovanna, nel profilo dei super cattolici che attorciglian cordicelle ecc. Cristo ha usato le funi una volta, ma la lingua l'ha usata molto più spesso, con parole taglienti e condanne senza scampo. Ed anche con un solo esempio ha indicato la via da seguire ai suoi Apostoli.
Se il Tempio è profanato in continuazione, in continuazione è necessario rovesciar i tavoli e far pulizia. In caso contrario la lordura morale arriverà sino al cielo.

giovanna ha detto...

Non mi riconosco, Giovanna, nel profilo dei super cattolici che attorciglian cordicelle
Non mi riferivo a te,Dante,ci mancherebbe, ma a quel link sugli striscioni e vignette postato più su, che sono espressioni esagitate di un estremismo radicale fin troppo diffuso che non fa bene a nessuno, a mio avviso, e tanto meno alla Verità che pretende di difendere. La santità, la fedeltà severa al Vangelo passa forse per quelle vie? Dell’accusa violenta e senza scampo, che distrugge senza costruire alcunché? Credo e anche spero di no.

Ma va bene, dimentichiamo in archivio la giornata di Assisi. E spero tanto che altri, che tutti lo facciano per il bene della Chiesa.

DANTE PASTORELLI ha detto...

Non ho letto né gli striscioni né guardato le vignette. E' sufficiente il tono con cui sono state presentate.
Non conosco le persone in quel post indicate, se non due ma soltanto per quanto ho letto di loro.
In momenti delicati come quello che stiamo vivendo, occorre aver occhio chiaro ed affetto puro. Il sangue agli occhi e le urla a niente approdano, anzi determinano altre lacerazioni. Ciò che ci fa soffrire in questa Chiesa possiamo esprimerlo in modo più pacato e non per questo meno incisivo. In certi proclami più che la virtù della speranza vedo la disperazione. Gutta cavat lapidem; la tempesta travolge e distrugge.

Anonimo ha detto...

In momenti delicati come quello che stiamo vivendo, occorre aver occhio chiaro ed affetto puro. Il sangue agli occhi e le urla a niente approdano, anzi determinano altre lacerazioni. Ciò che ci fa soffrire in questa Chiesa possiamo esprimerlo in modo più pacato e non per questo meno incisivo. In certi proclami più che la virtù della speranza vedo la disperazione. Gutta cavat lapidem; la tempesta travolge e distrugge.

Lo riprendo con grande condivisione.

DANTE PASTORELLI ha detto...

Senza niente rinnegare di quanto ho pensato, detto e scritto in passato ed in questi giorni su Assisi e sugl'inutili e pericolosissimi raduni falsamente ecumenici, prendo atto che si è voluto non pregare insieme. L'aspetto comunitario della preghiera ci è stato risparmiato.
Le chiese e gli altari non sono stati profanati. Speriamo che sia il primo passo per chiudere definitivamente le triste pagine di questo inglorioso libro.