Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 14 ottobre 2011

Marco Bongi recensisce il libro di don Cantoni sul Concilio

Pubblico con piacere la recensione di Marco Bongi del libro di don Pietro Cantoni Riforma nella continuità. Riflessioni sul Vaticano II e sull'anti-conciliarismo (Sugarco, Milano 2011).


Il mio precedente intervento, da qualcuno definito "graffiante", intendeva, in un certo senso, commentare la recensione del prof. Introvigne al recente volume pubblicato da don Piero Cantoni a proposito del cosiddetto "anticonciliarismo" di mons. Brunero Gherardini.

Ma non è cosa saggia recensire una recensione senza curarsi di leggere preventivamente il testo di cui si tratta. Così mi sono affrettato ad acquistarlo ed ora, nei limiti delle competenze di un semplice fedele, mi accingo a formulare alcune brevi considerazioni.

Devo ammettere che l'autore si è molto impegnato ed alcune sue considerazioni, seppur non nuove, denotano comunque un autentico e sincero desiderio di servire la Chiesa.

Si tratta, senza dubbio, di convinzioni maturate nei decenni e frutto di un travaglio spirituale che merita rispetto, così come, d'altro canto, forse ancor di più, per l'autorevolezza e la veneranda età del professore, ne meriterebbero le posizioni espresse dal Gherardini.

In verità, leggendo l'introduzione al volume, ero quasi tentato di non proseguire allorchè mi imbattei in espressioni come la seguente:
"Essa (la tradizione) deve continuamente scoprire e riscoprire, che il messaggio, se muta nelle forme, non tradisce ma trasmette sempre la Verità viva e profonda che è Cristo. Questo è il vero discorso da fare" (pag. 8).
Non c'è che dire; un bell'esempio di "declamazione", gherardinamente parlando, non seguita da alcuna dimostrazione. Ma il volume di don Cantoni, grazie a Dio, non si ferma qui. I tentativi di dimostrazione vengono più avanti e vanno, come dicevo, apprezzati per lo sforzo compiuto e per il metodo, tendenzialmente analitico, con cui sono presentate le posizioni contestate e le relative risposte.

Ma, prima di entrare nel merito, il primo capitolo è dedicato ad elencare i documenti magisteriali che, secondo Cantoni, avrebbero anticipato il famoso discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005. Egli sostiene in proposito, portando in verità non moltissimi testi a favore di questa tesi, che la cosiddetta "ermeneutica della continuità" sarebbe stata sempre abbracciata dal Magistero Pontificio, a partire dai primi anni dopo la chiusura del Concilio Vaticano II.

Da semplice fedele però mi chiedo, sinceramente e senza ironia di sorta: ammesso e non concesso che così sia stato... perchè l'Autorità ha lasciato poi impunemente sviluppare tutte le interpretazioni diverse, su questioni tra l'altro così centrali in materia di Fede, senza mai intervenire, per quarant'anni, sul piano disciplinare e canonico?

Come è possibile, in altre parole, che le cosiddette "ermeneutiche della rottura" abbiano potuto divenire maggioritarie e quasi unanimi fra teologi, Vescovi e clero, senza che non sia mai giunta un'azione concreta di condanna, una scomunica, una "sospensione a divinis", un ritiro del mandato di insegnare nelle Università Pontificie, se non, assurdamente, per quei tradizionalisti che esprimevano pubblicamente proprio tale timore?

Come si fa a non ammettere che proprio questa crisi tremenda dell'Autorità nella Chiesa, si sviluppa dopo il Concilio e proprio rifacendosi al "Discorso di Apertura" di Giovanni XXIII dove si ripudiano apertamente le condanne sostituendole con la "medicina della misericordia?".

Che significato può avere allora un Magistero, disperso per altro tra migliaia di documenti interpretabili, più o meno rettamente, in senso opposto, quando tale Magistero risulta completamente scisso dal "munus regendi", dal governo concreto della Chiesa, un mero "flatus vocis" che non ascolta nessuno?

Subito dopo il testo passa a presentare la figura di mons. Brunero Gherardini, elencandone alcune opere e le linee generali della biografia. Ne emergono, ben presto, gli interrogativi espressi, specialmente in questi ultimi anni, circa il rapporto fra i documenti emanati dal Concilio Vaticano II e la perenne Tradizione della Chiesa.

Cantoni ovviamente non evita la spinosa questione della "ragionevolezza" della Fede e, di conseguenza, delle interpretazioni dei testi che la concernono:
"Non voglio dire che non abbia senso indagare in che modo un asserto del Magistero non contraddica la Tradizione o la Scrittura. Questo anzi è uno dei compiti principali del teologo e dell'apologeta. Non bisogna però confondere l'argomento chiarificatore dell'apologeta con il motivo soprannaturale dell'atto di Fede. Non credo perchè ho dimostrato che è credibile ma perchè ho accolto la Grazia della Fede che viene, ultimamente, non dal ragionamento teologico e apologetico, ma dall'ascolto della predicazione della Chiesa che mi propone la parola della Scrittura, mi dice qual'è e che cos'è e la interpreta..." (pag. 24).
L'affermazione, di per sé fondata, lascia però francamente perplessi quando viene inserita in un contesto come quello in cui si enunciano le perplessità di un esimio studioso a proposito della continuità o meno di alcuni documenti rispetto alla Tradizione.

L'autore sembra quasi ammettere implicitamente l'indimostrabilità razionale di tale continuità per rifugiarsi in un presunto irrazionalismo della Grazia santificante. Risultato? E' inutile cercar di dimostrare l'indimostrabile. Bisogna solo ascoltare, obbedire e... turarsi il naso!

Si passa quindi ad esaminare analiticamente, come detto sopra, le principali perplessità teologiche espresse negli ultimi lavori di mons. Brunero Gherardini.

Lascerei certamente la confutazione di tali argomentazioni ad un vero teologo. Io non lo sono e pertanto mi limito ad alcuni spunti puramente di carattere linguistico e comunicativo.

In almeno due casi don Cantoni sembra impostare la propria difesa sulla funzione dell'avverbio "Quodmodo" traducendolo con la locuzione italiana "in qualche modo". Quando cioè un testo conciliare si spinge ad asserzioni potenzialmente pericolose, si introduce l'intercalare "in qualche modo" allo scopo di depotenziare l'effetto dirompente dell'asserzione e consentire, sia pur a fatica, un'interpretazione pienamente ortodossa della proposizione incriminata. Es. Dio, con l'incarnazione, si è unito IN QUALCHE MODO, a tutti gli uomini.

Anche qui però, ammesso e non concesso che ciò sia possibile e corretto, resta inevitabilmente l'impressione di un rattoppo in extremis, un "salvataggio in corner", tale da lasciare aperte tutte le interpretazioni, da quelle più fedeli alla tradizione, a quelle più eterodosse. Cosa significa infatti "in qualche modo", specialmente se inserito in una locuzione definitoria? In qualche modo..., ma... quale modo?

In altri punti invece, credo in modo meno corretto, si accusa indirettamente mons. Gherardini di aver cambiato le proprie posizioni rispetto a testi pubblicati nel 1981 e nel 2000. Che senso hanno queste malevole insinuazioni? Che significato assumono quando, tutti possono constatare, come il medesimo Benedetto XVI abbia compiuto, dal Concilio ad oggi, un lungo e tormentato cammino spirituale che lo ha portato a modificare non poche delle sue idee giovanili? Perchè la "maturazione" è accettata e giudicata positivamente per l'uno e condannata per l'altro?

Ma la parte più interessante, e obiettivamente anche più "funambolica" del volume è senz'altro quella dedicata al problema fondamentale della cosiddetta "Libertà religiosa". Qui, almeno per un fedele laico come sono io, si evidenzia con maggiore chiarezza il procedere faticoso e tortuoso dell'argomentare. Don Piero Cantoni si rende ben conto, a mio parere, della fatica improba che lo aspetta e cerca subito di mettere, in un certo qual senso, le mani avanti nell'analisi della dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae:

"E' chiaro che in tutti i settori, che nel loro insieme formano un solo problema, poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro diverse esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi, fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. (SIC!) E' proprio in questo insieme di continuità e discontinuità, a livelli diversi, che risiede la vera riforma" (pag. 58).

Siamo dunque passati dalla "riforma nella continuità" alla "discontinuità nella continuità". Mi sembra francamente di ascoltare, anche se magari i più giovani non lo ricorderanno, Aldo Moro quando teorizzava le famose "convergenze parallele".

Poco dopo troviamo addirittura un goffo tentativo di "tirare per la giacca" i primi cristiani e la Chiesa dei Martiri:

Questa, sempre secondo l'autore "mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli e con ciò ha respinto chiaramente ogni religione di Stato" (pag. 59).

Ne deduco che i primi cristiani non rifiutavano di adorare l'imperatore perchè non era il vero Dio. Forse piuttosto..., magari lo poteva anche essere, ma loro erano fieramente conciliaristi e non volevano lo Stato confessionale! Siamo davvero fuori da ogni ragionevolezza.

Ma il vero capolavoro di questo capitolo è senz'altro l'acrobatico tentativo di dimostrare come la solenne condanna della libertà religiosa contenuta nell'enciclica "Quanta cura" del beato Pio IX e le affermazioni sul medesimo tema della "Dignitatis Humanae" sarebbero, in realtà, in perfetta continuità l'una con l'altra.

Per raggiungere questo ambizioso risultato l'autore, sulla scia di quanto già affermato da Massimo Introvigne, cerca di distinguere fra il concetto di "diritto" inteso in senso civile, e quello relativo alla sfera personale dei singoli fedeli.

In poche parole: gli stati hanno il diritto, affermato dalla Chiesa, di non riconoscere il vero Dio e le sue leggi ma i singoli cristiani, a livello individuale o associato, avrebbero il diritto-dovere di convertire le persone e anche le nazioni. Anche qui mi sembra francamente di rilevare una notevole contraddizione.

Ma da dove deriverebbe l'esigenza, secondo Cantoni, di riformare la perenne dottrina cattolica in questa materia? Da motivi di opportunità e dal fatto che sono mutate le situazioni storiche rispetto al 1864, data di pubblicazione dell'enciclica "Quanta Cura".

Un solo esempio viene però portato per documentare questa asserita fondamentale e profonda modificazione in meglio delle situazioni: l'emergere, negli U.S.A. di uno stato laico "virtuoso" che non si pone in aperto contrasto rispetto al fenomeno religioso. Qui però stiamo davvero andando ben oltre ai pur legittimi tentativi di addomesticare la storia in senso favorevole alle tesi sostenute nel saggio.

In primo luogo si può agevolmente dimostrare come il modello americano, così virtuoso, in realtà affonda le proprie origini nel XVIII secolo con la cosiddetta Rivoluzione Americana. Nell'ottocento dunque il principio di tolleranza religiosa si era già ampiamente affermato in quel paese. Come mai allora, nel 1864, il beato Pio IX non fece la minima menzione di tanta virtù politica?

Ma se guardiamo al di là dell'orizzonte americano: Cantoni può forse sostenere che l'Unione Sovietica del 1965 era più ben disposta verso la religione rispetto agli Xzar?, che la Francia di Napoleone III, che difendeva il potere temporale dei Papi, era peggiore di quella odierna che ammette divorzio, aborto, unioni di fatto ecc, che la Spagna di Zapatero rispetta maggiormente la Chiesa di quella ufficialmente cattolica del XIX secolo?

Si certo, le condizioni politiche sono profondamente mutate, ma in peggio! E l'Italia del Concordato non era forse incomparabilmente migliore di quella odierna che, guarda caso, proprio pochi anni dopo la "Dignitatis Humanae" introduceva nel suo ordinamento giuridico divorzio, aborto, fecondazione assistita e, prossimamente, dolce morte, matrimonio fra omosessuali e reato di omofobia? Gli effetti benefici dell'agnosticismo statale in campo religioso possono davvero rassicurare l'autorità ecclesiastica che oggi, a differenza dei tempi di Pio IX, ha deciso di incoraggiare questa forma di governo istituendo, a sua garanzia, un vero e proprio diritto civile?
Se dunque la situazione è fortemente peggiorata, anche seguendo l'etica della contingenza storica propugnata dal Cantoni, non sarebbe stato assai più opportuno inasprire i richiami e le condanne invece di aprire alla libertà religiosa?
Mi fermo qui ma francamente non capisco.

Il volume prosegue quindi con altre pagine dedicate alla valutazione della vincolatività dei documenti conciliari. Lascio volentieri anche tali disquisizioni agli esperti.

Al termine della lettura resta comunque l'ammirazione per il grande sforzo compiuto dall'autore per servire una causa che lui, insieme a pochi altri, continua a giudicare assolutamente irrinunciabile. Uno sforzo senza dubbio sincero che però, se dovesse mai dimostrarsi un domani ingiustificato, rischierebbe probabilmente di mettere in forte crisi tutta una corrente del pensiero cattolico che, almeno dal 1981, si sviluppò nella convinzione di incarnare l'ultima istanza "presentabile" del cattolicesimo controrivoluzionario. Ma i disegni di Dio non sono sempre i nostri e nei prossimi anni potrebbero forse concretizzarsi, su questi temi, sorprese da non sottovalutare.
Marco BONGI

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Le voci e le dispute si intrecciano. Purtroppo non per dialogare e sviluppare un discorso comune, ma per fronteggiarsi da versanti contrapposti.

Leggo ora, su Fides Catholica la stroncatura malevola di Melloni all'ultimo libro di Gnocchi Palmaro: La Bella Addormentata (che è, ovviamente, la Chiesa in attesa di risveglio dalle mefitiche nebbie post-conciliari).

L'esito più evidente del V2 è la frattura ormai sotto gli occhi di tutti di due diversi fronti e, purtroppo, di due diverse ecclesiologie: alla faccia della 'continuità'!

stettino ha detto...

Esatto due opposte ecclesiologie et tertium non datur, sarebbe ancor peggio.
Ma qual'è il problema?
Melloni?
Ma se in un suo libor ha scritto che Santa Caterina era anoressica e San Franceso era un pazzo se non sbaglio con manie compulsive tenednti all'auotlesionismo o qualche cosa di simile.
De che stamo a parlà, per fortuna ha stroncato Palmaro!
Mi sarei preoccupato del contrario vuol dire che sto nel torto!
Anche lei Mic ancora vuol dialogare?
Mah!
CVCRCI

Anonimo ha detto...

No, caro Stettino, non sono per il dialogo a tutti i costi.
L'unico dialogo che possono avere i cattolici è il dialogo della Salvezza.
Né tanto meno si può dialogare con uno come Melloni che trasuda ideologia da tutti i pori!

DANTE PASTORELLI ha detto...

Ma chi mai di noi vuol dialogar con Melloni e simil genìa? E per dir cosa? Per dargli corda? Con o senza nodo scorsoio?