Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 9 dicembre 2019

L’identità italiana: non un concetto fascista ma letterario. Siamo “Figli del Duecento”

Quando si parla di identità italiana, i soloni del mainstream sono soliti gridare al “fascismo”. Un modo per creare confusione e relegare le nostre radici culturali a scarto di un generico retroterra nazionalista. Tutto questo ha uno scopo ben preciso: estirpare le sementa identitarie per giungere al globalismo asettico e privo di legittime connotazioni di differenzialità. Il libero mercato senza regole, quello neoliberista e anti-keynesiano, necessita di consumatori depensanti e destrutturati, tanto nelle radici culturali quanto in quelle territoriali, linguistiche e particolari.
Ma noi, il nostro modo di pensare, di scrivere, di amare, di rapportarci con gli altri e di concepire il quotidiano, proviene dalle nostre radici, da quello che siamo stati in passato. Non avremmo avuto Leopardi, ad esempio, se prima non avessimo avuto Dante, così come non sarebbe esistito Verga se prima non avessimo avuto Boccaccio. Ma non è solo questo. Se ancora oggi l’uomo corteggia e ama in un certo modo (si fa per dire!), più o meno galante e “piacione” (consentitemi il termine), lo si deve alla scuola poetica toscana del Dolce Stil Novo di Dante Alighieri, Brunetto Latini, Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia. Se Alda Merini ha scritto Versi così belli sull’Amore, è frutto dell’inconscio ancorato alle nostre radici poetiche di oltre settecento anni fa, che ci portiamo dentro come la più grande eredità che abbiamo.
Noi siamo, in tutto e per tutto, quella roba lì, quella lingua (quindi quel modo di essere) che nacque nel Duecento. Che non nacque in Toscana, intendiamoci, ma in Umbria, con San Francesco d’Assisi prima e Iacopone da Todi poi. E prima dei fiorentini abbiamo avuto il lombardo Uguccione da Lodi (forse cremonese) e il veronese Giacomino da Verona, poeti che scrissero per primi in volgare Veneto. Pochi anni dopo – sempre nel Duecento – arriverà il volgare toscano, che sostanzialmente, dopo ben sette secoli, noi parliamo ancora oggi praticamente allo stesso modo, con gli stessi vocaboli ed espressioni linguistiche. Sembra sia cambiato ben poco da allora.
E se la nostra lingua, in linea di massima, è rimasta praticamente immutata, immutato (o quasi) è rimasto il nostro modo di essere nel quotidiano per i secoli a seguire. Salvo i profondi – ma non profondissimi – mutamenti globali degli ultimi decenni, che tendono ad uniformare sempre più le lingue, il pensiero, il modo di rapportarsi.
Ma non è tanto questo il punto. Rileggete “S’i fossi foco” del poeta senese Cecco Angiolieri. Sembra scritta adesso, non più tardi di ieri. Seppur con qualche distinguo, noi parliamo ancora oggi così. E siamo l’unico popolo ad avere questa caratteristica. Provate a leggere un testo tedesco o francese del XIII secolo. Non sono, neppure lontanamente, le lingue di oggi. Noi invece sì, noi siamo ancora quelli lì, siamo ancora Figli del Duecento.
È questa la nostra identità culturale. Ed è proprio questo che vogliono toglierci. Lo capì Pier Paolo Pasolini, che verso la fine degli Anni Sessanta tuonò contro l’omologazione della società dei consumi, la quale – nel corretto pensiero del poeta e filosofo veneto – tende ad annientare il secolare mondo rurale e le radici identitarie dei popoli, compresa la lingua e quindi il modo di pensare e di rapportarci tra di noi.
Non è un caso se, in poco più di 150 anni di Unità nazionale (dal 1861 in avanti), solo i primi 100 sono stati di grande lustro letterario degno dell’eredità duecentesca: Verga, Carducci, Pascoli, Deledda, Ungaretti, Pirandello, Pasolini, preceduti dal glorioso “trittico” pre-unitario Foscolo, Leopardi e Manzoni. Dopo il 1970 – seppur con qualche degna eccezione come Sciascia, Camilleri, Merini e qualche saggista, filosofo e critico d’arte – abbiamo avuto il più vasto vuoto cosmico. Ovviamente ben sponsorizzato dai soloni del mainstream globalizzato. Ma ripeto: noi siamo, e restiamo, Figli del Duecento.
Siamo nati dai dialetti, quindi è con la loro unicità e particolarità che ancora oggi pensiamo e ci rapportiamo col mondo, anche con quello globalizzato.  Sarà difficile spegnerci quella fiamma. È la nostra identità. (Giuseppe Palma - Fonte

19 commenti:

Anonimo ha detto...

Inoltre bisogna ricordare il ruolo egemone dell'editoria. Quanti autori sono stati cestinati da questo e da quell'editore? Quanti autori furono conosciuti solo dai pochi amici se, per regal concessione, furono pubblicati? Spesso quello che non fece l'editoria, lo fece la distribuzione. E gli autori che non furono del giro sono sconosciuti non solo ai giovani ma, anche ai docenti, agli intellettuali che hanno formato, sformandolo, il gusto di un popolo attraverso le solite tematiche, le solite vite bruciate, la solita contaminazione di ogni singola materia. Speriamo che Dio, Uno e Trino, doni all'Italia generazioni e generazioni di esseri umani incorruttibili, certi che per percorrere a testa alta qualsiasi carriera non bisogna prostituirsi né nell'anima, né nel corpo. Uno degli esempi contemporanei più fulgidi per coerenza personale, professionale, artistica è, a mio parere, John Ronald Reuel Tolkien. Non so se da noi vi sia o vi sia stato, nel passato prossimo, qualche artista che non abbia avuto bisogno, per comprendere la lotta tra il bene ed il male, delle solite esperienze strappa/vita. Non so.

Catholicus ha detto...

Leggendo questo articolo, oltre a ricordarmi l'opera di dante, vero vanto italiano, mi torna in mente quanto letto dopo il concerto di chiusura del tour 2019 di Jovannotti, tenutosi a Lignano Sabbiadoro a fine estate. Ebbene, il cronista scriveva che era stato invitato a cantare anche Toto Cotugno, che disse a Jovannotti di aver intenzione di cantare "Sono un italiano"; eh, no, lo riprese Jovannotti, ora bisogna dire "sono un cittadino del mondo". capito l'antifona? tutti sul libro paga dei mondialisti, globalisti, immigrazionisti, come le sardine sott'odio. Non c'è scampo: il politiccally corect dela dittatura globalista al potere nell'Occidente non ammette eccezioni, il dialogo e la misericordia (inclusi quelli di Bergoglio) sono un paravento per far accettare il regime dittatoriale in modo incruento, se possibile (altrimenti...)

Anonimo ha detto...

Qualche cenno alla Scuola siciliana, a Giacomo da Lentini e compagni, sarebbe stato opportuno.

Viator ha detto...

Il ministro Gualtieri definisce Salvini e Borghi terroristi per l'allarme sul Mes da loro lanciato a difesa dell'Italia. Beh, ma loro sono terroristi quanto lui (con la sua laurea in lettere) è un economista...

Anonimo ha detto...

Gli economisti al servizio straniero affermano che la riforma del salva-stati è importantissima, e poi si affrettano ad aggiungere che l'Italia non ne avrà mai bisogno. Ottimo, ma allora, dice Giacché, che cos'è? Beneficienza?

anonimo verace ha detto...

Ho frequentato un buon liceo classico. Ma, ciononostante, non conosco tutti gli autori citati. Di Jacopone da Todi, ai miei tempi si leggeva solo una poesia. Anni fa ho avuto modo di leggere altre opere di Jacopone in un libretto a lui dedicato dal Messaggero di Padova. Mi ha colpito. Sembra che quella collana oggi non esista più. A mio avviso è un vero danno per coloro che volessero accostarsi a questo grande poeta cristiano senza dover cercare in opere costose. Le assurde leggi del mercato impongono una strana religiosità che accetta le campane tibetane, ma sostanzialmente rifiuta la nostra secolare tradizione.
A proposito di letterati poco conosciuti vorrei ricordarvi Eugenio Corti , la sua opera principale IL CAVALLO ROSSO, ma anche altre sue opere egualmente valide. Curiosamente sembra che Eugenio Corti sia più conosciuto in Francia di quanto non sia in Italia.
Qualche giorno fa parlavate di Nilde jotti. Anche lei compare nel racconto di Corti, nella parte dove si parla dell'Università cattolica di Milano.
A quanto avete scritto vorrei aggiungere che ,se Nilde jotti fosse stata veramente cristiana, non avrebbe accettato di sfasciare una famiglia, una famiglia che, unita aveva provato molte vicissitudini durante la guerra. Quello che i capi del partito hanno fatto passare alla vera moglie Rita Montagnana e al figlio di Togliatti si può leggere in un bel libro, di Massimo Cirri, pubblicato da feltrinelli, dedicato alla dorata prigionia a cui fu condannato il figlio di Togliatti, reo di non essersi integrato nè negli studi, nè nel lavoro al suo rientro in Italia dall'esilio in Unione Sovietica.

Anonimo ha detto...


Le accuse a SAlvini e Meloni di allarmismo inutile sul Salva-Stati

Sono assurde. IL c.d. Salva-Stati è stato duramente criticato da Banca d'Itala,
dal Presidente delle Banche Italiane a nome dell'unione delle Banche Italiane,
da economisti, anche di sinistra, che hanno addirittura rivolto una petizione
a chi di dovere motivando la loro forte preoccuazione.
Insomma: è stato duramente contestato dai tecnici competenti.
Perché continuare allora a diffondere la falsa immagine di politici
supposti incompetenti (Salvini e Meloni) che terrorizzerebbero gli italiani
per motivi solo elettorali?
Chi continua a fare queste critiche dovrebbe invece fare mea culpa e tacere.
O.

mic ha detto...

La Ue ha donato fra il 2014 e il 2017 11 miliardi di euro (che poi, alla fine, sarebbero 22.000 miliardi di lire...) alle Ong, ma rifiuta di dare l'elenco dei beneficiari (mo' lo famo pure noi col bilancio...) né i motivi delle donazioni. La lista dei beneficiari sarà rivelata "non prima del 2021" (mentre la Commissione Ue intima al governo italiano di rispondere alle sue lettere entro 24 ore....)
https://it.insideover.com/politica/pioggia-di-fondi-ue-alle-ong.html

Anonimo ha detto...

Credo che la canea dei media ,volta a criminalizzare gli oppositori del PD-Leu ,riuscirà a raggiungere l' obiettivo di tenere in vita questo governo ridicolo .Ormai in Italia comandano i violenti dei centri sociali,una parte rilevante di magistratura ed i media. Questo blocco di potere volendo può con avvisi di garanzia,violenze di piazza ed inchieste giornalistiche far cadere qualsiasi governo anche se democraticamente eletto.

Anonimo ha detto...


I soloni del mainstream gridano al "fascismo" se si parla di identità italiana...

Identità è diventato termine d'uso. Ma cosa significa veramente? Per una persona,
il documento d'identità è quello che lo identifica per quello che è, veramente quel
determinato individuo. L'identità dei popoli sarebbe allora la qualità o caratteristica
mediante la quale un popolo si distingue da ogni altro? Una sola caratteristica evidentemente non basta. Diciamo che le caratteristiche di un popolo sono di diverso tipo e nel corso del tempo possono mutare. Gli antenati di noi italiani, gli italici, non avevano per esempio le qualità artistiche che contraddistinguono l'identità italiana. In compenso, erano grandi soldati e amministratori, cose che noi, per tante ragioni, non siamo, pur avendo dimostrato qualche talento anche in quel senso (p. e. siamo stati grandi sul mare, ai tempi delle Repubbliche marinare, ma è acqua passata).
Le caratteristiche di un popolo dovrebbero costituirne l'identità in modo unitario? Nei popoli esiste la contraddizione come negli individui, sempre in affanno tra il bene e il male, la retta via e le tentazioni che spingono al peccato?
Sono domande, forse, per i filosofi. Ma perché i conformisti attuali gridano al "fascismo" se si vuole difendere l'identità italiana? Perché il fascismo l'ha effettivamente difesa con la forza contro l'assalto bolscevico, che voleva trasformarci in una succursale moscovita, anticipando quello che è poi successo in Spagna nel 1936; e l'ha difesa con successo però al prezzo di imporre poi al Paese un nazionalismo autoritario e sfegatato, che alla fine ci ha portato al disastro? Allora, per evitare di cadere nel pericoloso nazionalismo dobbiamo rinunciare ad avere una "identità", ad essere una nazione? Regalare l'Alto Adige agli austriaci o meglio lasciare che ce lo portino via, come sembra si siano messi in testa di fare? Lasciarci invadere dall'Afroislam per espiare le "colpe" del colonialismo fascista e non, come dicono i catto-comunisti e le anime pie che lavorano nella Caritas?
In realtà, per il politicamente corretto, l'identità italiana n o n deve esistere, non dobbiamo essere un popolo e avere una storia di cui esser fieri, per tanti aspetti, a cominciare da quello culturale. Dobbiamo essere nient'altro che una "espressione geografica", come diceva Metternich, Cancelliere austriaco del tempo che fu, nostro grande nemico. Anzi, nemmeno quello. Dobbiamo non-essere, lasciarci calpestare e distruggere. Eliminare, attraverso l'azione combinata della corruzione dei costumi, della cultura, della lingua e di un'invasione straniera organizzata su scala planetaria.
Il c.d. "sovranismo" rappresenta tuttavia una non prevista pietra d'inciampo. Speriamo che diventi un macigno, sul quale andranno a sfracellarsi tutti i nemici del popolo italiano.
Policratico

Anonimo ha detto...

Il ministro dell'economia Gualtieri è laureato in lettere con dottorato in scienze storiche. Chi lo ha scelto per punirci? Ridateci Paolo Savona!

mic ha detto...

Siamo figli anche del Rinascimento.

Leonardo, apre a Milano la più grande esposizione permanente al mondo dedicata al genio italiano
https://video.corriere.it/cronaca/leonardo-apre-milano-piu-grande-esposizione-permanente-mondo-dedicata-genio-italiano/ad362fbe-1a9b-11ea-ad77-fa161de046d9

mic ha detto...

Una standing ovation a Policratico

Anonimo ha detto...

Biagio Buonomo:
UN MALE ANTICO: AL SUD L’ITALIANO NON E’ LA PRIMA LINGUA.

Molto si discute sui risultati emersi dalle prove OCSE-PISA cui è stato sottoposto qualche migliaio di studenti italiani.

In particolare ha fatto scandalo l’incapacità palesata dai nostri ragazzi nella comprensione di un testo di media difficoltà. Date una scorsa ai giornali di oggi. Vi leggerete la solita sfilza di paraponzi da prima pagina che se la prendono con la tale riforma o con la talaltra mancata riforma; che inneggiano o spregiano il modello italiano inglese, americano, francese, islandese o lettone. Quando poi il discorso non si perde nelle miserie della polemica politica

Ora: chiunque bazzichi una scuola superiore, sa benissimo che gli allievi che arrivano da elementari e medie sanno leggere e scrivere molto peggio di venti anni fa. E che dunque, quanto a qualità della formazione, i licei si sono ridotti a scuole medie e le università – in particolare ma non solo quelle umanistiche - a licei.

Questo è il frutto avvelenato della sistematica dissoluzione del modello immaginato quasi cento anni fa da Giovanni Gentile. Che si fondava sulla selezione e sul merito. E sull’assunto che la cultura – giacché il povero Gentile credeva che a scuola si facesse cultura e non si assegnassero test a riposta chiusa o che il professore fosse un distributore di voti – non è per tutti. Ma per chi ha voglia e capacità di eccellere.

Il punto è che il modello gentiliano non è stato sostituto da nulla non dico di pari ma almeno di simile coerenza. È stato solo azzoppato, scombinato, ridotto a una nave alla deriva. Che sopravvive a sé stessa in lungo, penoso naufragio.

Ciò detto – ma approfondirò il discorso in un’altra circostanza – se guardiamo bene ai risultati OCSE-PISA, ci rendiamo conto che nel Nord e nel Centro, la media italiana è uguale o superiore a quella europea. Al Sud è invece nettamente inferiore. Quindi non è solo una faccenda di sistema ma è il segno di un problema assai più profondo e drammaticamente ovvio: al Sud l’italiano è ancora e in gran parte sostituito dal dialetto. Nei paesi come nelle città. Appena usciti non di scuola ma di classe, i ragazzi comunicano tra loro in dialetto e così – in larga misura - fanno a casa con i genitori. E dunque quando devono mettere insieme una frase in italiano, la pensano prima in dialetto e poi la “traducono” – male – in italiano. Quando poi la leggono in italiano, semplicemente non la capiscono, perché quella lingua è estranea alla loro quotidianità, se si escludono le cinque ore di scuola.

Molto si potrebbe fare con la lettura, certo. Ma anche qui i numeri hanno una loro brutale significatività. A Milano e nella sua provincia si legge più che in tutto il Sud. E il discorso potrebbe finire qui. Anzi: finisce qui. Perché il resto sarebbero solo chiacchiere consolatorie.

Pietro (NON del Cammino) ha detto...

Molto interessante e vero.
Ma il concetto di Italia, che nulla toglie a quanto detto dal post, inizia al tempo della romanizzazione dell'Italia, tanto che la vittoria su Cartagine fu una vittoria comune di romani e italici.
Del resto Roma era sortà già come una confederazione di popoli e politicamente era lungimirante.
L'estenzione della cittadinanza romana fu una conseguenza.
Purtroppo ci vole la guerra sosciale. Una strana guerra in cui i vincitori concessero subito ciò che volevano gli italici (cosà che servì a far rimanere neutrali soprattutto gli etruschi e gli umbri) e i vinti ottennero ciò che volevano.
Una guerra in cui Roma manifestò un istinto politico mai più raggiunto da nessuna nazione, e a cui solo l'Inghilterrà potè avvicinarsi.
Per questo l'impero di Roma è stato il più lungo della storia, condizionando come nessuna nazione lo sviluppo della storia dell'Europa e del mondo intero

Anonimo ha detto...

Abbiamo finito coll'essere grandi terminata l'epoca del Rinascimento che tutti in Europa hanno copiato e mai capito fino in fondo, e poi i powers that be di allora hanno cominciato a governarci, più o meno male, fino alla I GM, dove invece di pretendere, dato che avevamo vinto, la parte istriana, ci siamo fatti dare il Tirolo che tuttora ci costa un botto, ci disprezza, però ai dindini/oni mai rinuncerà, io userei con loro il metodo Tito-Dalmati, ma non vedo schiene dritte per farlo,per la scuola lascerei perdere, è stata distrutta dai'formidabili' rivoluzionari del '68 e dai rimasugli putrescenti di quello tsunami, poi con tutti quei migranti 'disperatamente in fuga da guerre' che mai impareranno la lingua perché nun gliene può fregà de meno, cosa sperare ormai? Salvini non riuscirà a diventare un buon politico e/o statista perché mai lo permetteranno, nonostante terremoti e devastazioni climatiche le roccaforti rosse terranno.......preghiamo per noi, l'Italia tutta e anche per Salvini, se non altro per far rabbia alla sciagurata classe pretesca che ci ritroviamo.W l'Italia (di De Gregori, una canzone bellissima e profonda, da meditarci su).

Anonimo ha detto...


"invece di prendere la parte istriana, ci siamo fatti dare il Tirolo che tuttora ci costa un botto..."

Le rivendicazioni italiane nella Igm miravano a raggiungere i confini naturali cioè tutto l'arco alpino ancora in mano allo straniero, sino a Trieste e tutta o in parte l'Istria, più la Dalmazia sett. Non c'era l'idea di distruggere l'impero asburgico ma di prendersi il nostro e di ritagliarsi delle basi sulla costa dalmata, data l'indefendibilità della nostra piatta ed esposta costa adriatica. Per questo motivo anche il nostro interesse per Valona, in Albania.
In termini strategici, il Brennero è per noi un confine irrinunciabile: la pianura padana si difende sulle Alpi, occorre controllare tutta la valle dell'Adige. La penetrazione tedesca plurisecolare (bavarese e/o austriaca) non si è certo fermata a nord di Trento, ad Ala. Si è spinta sino al Mincio, che, per il pangermanesimo, doveva essere il confine del mondo germanico con quello italiano. Quindi: Bolzano e Trento, città tedesche, per i pangermanisti. E ancor più Trieste.
Bisogna però considerare come erano i rapporti di forza nel 15-18 ossia cosa le grandi potenze fossero disposte a concederci. Francia, UK e Russia zarista si trovavano in forte difficoltà nel '15, avevano bisogno di alleati e quindi dovettero accettare richieste nostre che consideravano eccessive (vedi sopra). I Francesi, in particolare, non volevano che l'Italia avesse Trieste, per non rafforzarsi troppo come potenza, dicevano. Di Fiume non si parlò, il problema emerse verso la fine della guerra, quando la maggioranza italiana di Fiume, mentre l'impero andava in fumo, votò per l'annessione all'Italia: non volevano esser governati dai serbo-croati, agli italiani sempre ostili.
Ma sul confine orientale le grandi potenze non vollero concederci nulla di più di quanto stabilito a Londra nel 15, anche grazie all'opposizone feroce di Wilson alle nostre richieste. (Gli USA erano potenza "associata" alla guerra dell'Intesa, non "alleata", mantenendo riserve sugli scopi di guerra). Qui nacque il mito della "vittoria mutilata" (D'Annunzio), un'esagerazione, non priva però del tutto di un riferimento al vero, in questo senso: avevamo o no dato un contributo di sangue e militare essenziale alla vittoria alleata? E allora perché si premiavano contro di noi i nostri nemici di ieri (sloveni e croati) i quali, se avessero vinto, avrebbero certamente dato un bel colpo di piccone agli imperi britannico e francese? Ma gli alleati di ieri negavano in malafede il nostro valido contributo alla vittoria comune. E lo negano ancor oggi e lo nega anche oggi, con l'alibi di reagire alla troppa retorica patriottarda del passato e per ignoranza della storia, un'opinione pubblica italiana rincitrullita dai falsi miti del pacifismo e del volemose bene universale, diventata in maggioranza insensibile all idea della Patria e dello Stato.
H.

Anonimo ha detto...


Alla formazione dell'Identità di un popolo concorrono anche le imprese guerresche.

Non importa se si perde, importa aver combattuto e con onore.
Da noi una tradizione militare sembra impossibile. Si vogliono ricordare
solo le sconfitte, le vittorie, che pur ci sono state, vengono lasciate
cadere nell'oblio. Esattamente il contrario di quello che fanno gli altri
popoli, i quali cercano di mettere la sordina alle sconfitte per ricordare
soprattutto le vittorie.
L'identità nazionale non è quindi solo un prodotto culturale, cosa che pur
ha la sua fondamentale importanza, soprattutto per un Paese come il nostro.
Oltre alla prosa quotidiana degli usi e costumi condivisi, oltre alla poesia
rappresentata dal sentimento religioso cioè da una fede comune, ci deve
esser posto anche per l'epica, rappresentata appunto dalle guerre e dalle
battaglie, nelle quali si sublima lo spirito di sacrificio e del dovere.
L'antifascismo prima, l'umanitarismo a sfondo panteistico praticato dalla Chiesa poi,
la decadenza generale dei costumi, ci hanno fatto disprezzare in blocco il nostro
passato per poi alla fine cancellarlo del tutto, per poi farci diventare un popolo
senza storia, che deve anche s p a r i r e come popolo, annichilirsi di fronte
alla natura da restaurare e alla massa avanzante dei popoli del terzo mondo, che ci
stanno invadendo addirittura invitati.
Il tutto, per la gioia di una élite transnazionale corrottissima, tranne i casi individuali.

Anonimo ha detto...

Alle elementari la storia italiana mi fu presentata come un succedersi di eroi ed eroi, anche il programma di italiano era pieno di quelle poesie piene di amor patrio imparate a memoria, così continuò anche alle medie. Delle superiori non ho grandi ricordi che mi presero il cuore. La storia che studiavo da bambina tutti gli adulti la conoscevano esatta come la conoscevo io e meglio ancora, gli stessi nomi di battesimo di molti adulti richiamavano gli eventi desiderati, attesi, raggiunti o le persone grandemente amate e rispettate, Eugenio, Eugenia, Vittoria, Vittorio, anche Italia era nome di donna molto usato, così anche noi bambini crescendo capivamo attraverso quei nomi l'amore di intere famiglie per la Patria, per la Chiesa, per non dire dei nomi Maria e Giuseppe o Salvatore o Giovanni, ad ogni bambino veniva assegnato il nome del Santo più amato, anche i nomi latini erano molto diffusi, questi nomi di solito erano assegnati da famiglie che prendevano una posizione davanti alle vicende del presente sempre un po' scarse e si riallacciavano alla Roma del diritto e del buon governo che da esso fu reso tale per tutti i popoli del Mediterraneo e dell'Europa. In breve quei nomi di battesimo rendevano vivi la fede, il sacrificio, la storia, le speranze, le attese, gli esempi eroici di un popolo che non aveva dimenticato il valore, la vitalità delle sue radici, della sua pianta, dei suoi fiori, dei suoi frutti, di questo si era grati a Dio, Uno e Trino ed orgogliosi davanti agli altri per essere quello che siamo stati e siamo e saremo.