Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 30 settembre 2011

Lettera dei sacerdoti romani sul Card. Vicario

Visto che su Messa in Latino e altri blog, anche esteri, si commenta molto questa lettera, mi decido a pubblicarla, perché chi è interessato possa rendersi conto del contenuto al di là delle critiche e, soprattutto, notare l'estrema serietà e correttezza usata nell'espressione delle difficoltà rappresentate. Posso confermare, per esperienza personale, il degrado della pastorale diocesana - anche a causa della progressiva inesorabile neocatecumenizzazione delle parrocchie - con effetti di grande disagio e sofferenza per i fedeli.


Santità,
Questa è una lettera aperta non una lettera anonima di quelle che circolano in Curia in queste settimane. Il contenuto è condiviso dalla grande maggioranza dei sacerdoti di Roma, la sua Diocesi.

Abbiamo conosciuto l'amabilità del Cardinale Ugo Poletti e in seguito l'intelligenza del Cardinale Camillo Ruini. Oggi siamo naufraghi dell'una e dell'altra.

Con quale criterio ci avete mandato l'attuale Cardinale Vicario? All'annuncio della sua nomina, nonostante le pessime notizie ricevute dal clero di Napoli e di Albano, eravamo ben disposti. Dopo tre anni ci permetta di esprimerle il nostro sfogo sincero e doveroso. Siamo molto amareggiati ma non rassegnati. La recente morte di crepacuore di un giovane sacerdote ci ha convinti a esporle alcuni fatti, tra i tanti, che sono ormai l'agire quotidiano del Cardinale Vicario.
  1. L'autoritarismo del Cardinale Vallini è impressionante. Solo come esempio, nel presentare ai capi ufficio del Vicariato il nuovo Segretario Generale ha detto con piglio militare: "Per quanto riguarda il Segretario Generale, non è più come in passato; adesso chi governa sono
    solo io." Nel presentare il nuovo Rettore del Seminario Maggiore ha detto: "Mi rendo conto che Don Concetto è un po' debole come Rettore, ma alle spalle ci sono io che intervengo." Nell'uno e nell'altro caso i due tra i più stretti collaboratori sono stati esautorati e delegittimati davanti a tutto il clero. Il Segretario Generale non ha alcuna autorità ed è impaurito di ogni azione che compie per le imprevedibili reazioni coleriche del Vicario; si può immaginare cosa sarà per il seminario.

  2. Un capitolo estremamente doloroso è quello delle vocazioni. In questi tre anni il seminario si è completamente svuotato per la sua testardaggine di accogliere solo i nativi di Roma, privando la diocesi della sua vocazione universale. A Roma infatti giungono tanti giovani da ogni parte d'Italia per gli studi universitari; è naturale che maturino vocazioni sacerdotali, ma il Cardinale Vallini non ne vuole sapere. Come se non bastasse ha mandato via da Roma tutti i sacerdoti non incardinati, anche quelli che erano stati inviati con il pieno consenso dei loro vescovi.
    Bravi sacerdoti dediti alla pastorale e agli studi, con il solo difetto di non essere di Roma. Il loro contributo veniva dato nelle parrocchie, negli ospedali e nelle cappellanie. Oggi la Diocesi si ritrova molto più povera di preti e senza vocazioni. Con questo suo criterio dovrebbero lasciare Roma i tre quarti dei sacerdoti, tutti i vescovi ausiliari e, se permette, lo stesso Cardinale Vicario. Nel 2010 sono entrati in seminario solo tre seminaristi e lo stesso avverrà quest'anno. Per il futuro, non sarà certamente un sacerdote del Cammino neocatecumenale a risolvere i problemi vocazionali.

  3. Se questi sono i criteri per le vocazioni perché dovremmo avere come Vicegerente un suo amico intimo che viene da Napoli? Il Cardinale non manca di strategie quando vuole. Per Monsignor lannone ha telefonato a tutti i vescovi del Lazio perché presentassero al Nunzio il nome del suo beniamino per il trasferimento da vescovo ausiliare di Napoli alla diocesi di Sora. Adesso lo vuole come Vicegerente. La fama di Mons. lannone ormai è giunta anche a noi. E' a totale digiuno della conoscenza di Roma e del clero romano. E' una brutta copia di Vallini: stesso autoritarismo e stessa ossessione per il sesso. Ci domandiamo se Roma è diventata una provincia di Napoli.

  4. Dopo tre anni la Diocesi non sa ancora dove andare. Potevamo capire che il primo anno era dedicato alla revisione ma adesso manca completamente un progetto pastorale di largo respiro per orientare il lavoro delle parrocchie e il nostro impegno di sacerdoti. Il Cardinale Vallini però non è all'altezza. Manca di spessore intellettuale e culturale per elaborare un progetto pastorale; inoltre, non ha nemmeno l'umiltà per riconoscere il suo limite e affidarsi a collaboratori in grado di farlo. Da alcuni atteggiamenti purtroppo sembra riservare un'invidia viscerale nei confronti di sacerdoti ben preparati che erano stati destinati a incarichi accademici o di impegno culturale.
    L'emarginazione di Don Marco Frisina è soltanto l'esempio più eclatante.

  5. Un altro capitolo doloroso è il rapporto con noi sacerdoti. Ci eravamo illusi di un giorno della settimana a nostra disposizione per essere ricevuti senza appuntamento. Oggi abbiamo perfino paura di avvicinarci a quell'ufficio. Siamo visti tutti con sospetto, giudicati e rimproverati senza poterci difendere e ricattati con la minaccia di lasciarci senza stipendio. Su ognuno di noi grava l'ipoteca messa dai suoi due fidatissimi consiglieri che non ci conoscono. E' risaputo quante volte ormai le urla del Vicario oltrepassano il suo ufficio quando riceve qualche povero confratello anche tra i più anziani. I suoi scatti d'ira sono sempre più frequenti, salta perfino sulla poltrona e giunge addirittura ad avere la bava alla bocca per la violenza delle reazioni. E' ossessionato dal sospetto di omosessualità come se i rari casi accaduti in diocesi devono compromettere la rettitudine dell'intero presbiterio. Potrà sembrare incredibile, ma quando entra nelle parrocchie per la prima volta e
    incontra i sacerdoti e il consiglio pastorale le sue uniche espressioni sono quelle del rimprovero, del sospetto e della minaccia. Molti sacerdoti sono stati umiliati con trasferimenti immotivati e repentini senza alcuna giustificazione. Ormai diversi tra di noi per sfuggire alle sue intemperanze hanno scelto di incardinarsi altrove e alcuni pensano seriamente di farlo nel prossimo futuro. Altri non trovando in lui la dovuta paternità hanno abbandonato il sacerdozio. Comportamenti degni di un maresciallo dei carabinieri non di un vescovo.

  6. Ci aspettavamo un Vicario sincero e riscontriamo l'ipocrisia e la falsità dei suoi comportamenti dietro un sorriso degno delle iene. Quando ti prende la mano per stringerla sul petto, tipico delle suore, allora è il segno che vuole una confidenza su qualcuno, vera forma di spionaggio, e per questo dobbiamo stare attenti a non compromettere i confratelli. Abbiamo imparato ben presto che quanto il Vicario ti dice davanti raramente corrisponde a ciò che pensa e dice alle spalle. Un comportamento dagli effetti devastanti nel rapporto tra noi e lui e tra tutto il clero. Prevale il clima di sospetto su tutto e su tutti che rende la diocesi un luogo infelice dove non ci fidiamo più di nessuno e siamo costretti al silenzio.

  7. Questo clima si riflette anche tra i vescovi ausiliari. Il terrore è tale che non è consentita alcuna critica anche quando motivata. Manca il confronto e il dialogo soprattutto nella nomina dei parroci e nei trasferimenti. Siamo lasciati soli a noi stessi. Succede perfino che i vescovi ausiliari ci consigliano di non parlare e di non contrastare il Vicario per evitare le sue imprevedibili e talvolta violente relazioni.

  8. Data la sua ossessione molti di noi si domandano cosa faccia di nuovo a Roma Monsignor Brandolini, nominato dal Cardinale Vallini Vicario capitolare di San Giovanni. Santità, Lei ricorderà Mons. Brandolini perché dalle pagine di La Repubblica ha espresso il suo profondo disappunto nei suoi confronti per il Motu proprio Summorum Pontificum che lui vedeva come un attacco frontale all'opera riformatrice del suo maestro e mentore Mons. Bugnini. Però Mons. Brandolini ha favorito in tutti i modi la nomina di Mons. lannone a suo successore a Sora e adesso è uomo di fiducia del Vicario. Per questo il Cardinale Vallini non sente e non vede quanto succede con lo stuolo di giovani accoliti della Basilica. Le voci corrono veloci ma se toccano Mons. Brandolini si fermano alla soglia dell'ufficio del Vicario.
Santità, Sappiamo che non accadrà nulla. Noi continueremo ad impegnarci nel nostro lavoro pastorale. Roma ha una lunga storia e saprà superare anche questo disastro. Noi però siamo moralmente obbligati a farlo sapere. Ci permetta di dirle che non meritiamo questo momento di terrore, di sfiducia e di decadenza.

I Sacerdoti di Roma

mercoledì 28 settembre 2011

Intervista a Mons. Brunero Gherardini. Risposta a don Cantoni tra teologia e amarezza

Ringrazio Dante Pastorelli per questa preziosa intervista ad uno dei nostri più autorevoli Maestri. Tanto più importante quanto più è nota l'estrema riservatezza con la quale Mons. Gherardini si è sempre sottratto ad ogni disputa.
Davvero lieta di poter dare il mio contributo da questa Agorà.

Da quando nel 2009 apparve il primo libro sul Vaticano II (Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice), in cui Mons. Brunero Gherardini iniziava una disamina attenta e puntuale dei documenti conciliari, fra larga messe di consensi anche ad altissimo livello, s’è levata qualche rara voce critica, legittima certo, ma per lo più alquanto superficiale e ripetitiva. Né diversa accoglienza ha ricevuto il successivo Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011.

In questi due approfonditi studi i nodi cruciali del Vaticano II vengon al pettine e non basta a contrastar l’analisi del grande Maestro biascicar ad ogni pie’ sospinto il mantra: il Papa sostiene che c’è continuità tra il Vaticano II e l’intero Magistero che lo precede, e quindi la continuità c’è.

Il proceder del Concilio nel solco della Tradizione va dimostrato. Se non si vuole dimostrar con argomentazioni se non esaustive almeno credibili, si dogmatizzi in modo inequivocabile l’ultima assise ecumenica o almeno una parte dei suoi documenti o capitoli d’essi, dato il loro diverso valore magisteriale da inquadrar sempre nel livello “più modesto”, pastorale, su cui dall’alto s’è voluto por quest’importante evento ecclesiale.

Non è mia intenzione polemizzar con nessuno in questa sede, poiché già a certe critiche ho risposto sul mio bollettino “Una Voce dicentes”, Gennaio-Aprile 2011.

Ma molto di recente un’altra voce s’è aggiunta alla sparuta ma sgomitante schiera dei contestatori. Mi son fatto coraggio, allora, e mi son rivolto all’antico Maestro che m’onora della sua amicizia, chiedendogli di risponder finalmente almeno a qualcuno di questi dissenzienti - soprattutto all’ultimo che, sapevo, con le sue pagine gli avrebbe procurato amarezza -, pur conoscendo la sua ritrosia, il disagio che gl’impediscon di scender nell’agone di vacue dispute. E con mia viva sorpresa m’ha rilasciato un’ampia ed accorata intervista destinata al mio sopra citato bollettino, ma che, ne sento il dovere, volentieri affido in anticipo a qualche blog.

Assieme all’affetto di sempre, a don Brunero il mio più profondo ringraziamento, nell’attesa del terzo testo sul tema Vaticano II. E che Maria Santissima, tanto da lui venerata ed amata, lo sostenga e lo illumini nella santa battaglia in difesa della vera Fede e dell’unica Chiesa di Cristo.
Dante Pastorelli


D – Caro don Brunero, in questi giorni, come saprà, il Suo nome è oggetto d’un attacco pesantissimo da parte d’un prete che si dichiara Suo ex-alunno. Non gli risponde?

R – Per le rime, no. Anzi, se si trattasse solo della mia persona, manterrei ancor il silenzio che in tutta la mia vita ho mantenuto. Questa volta, tuttavia, ho intenzione di farmi sentire in qualche modo, se pur con molta riluttanza. Non scriverò direttamente una risposta articolata sulle singole tematiche ed accuse, ma complessiva, breve e sostanziale. Ho già in mente dove e come inserirla, al solo scopo di fornire opportuni chiarimenti e quella che mi offri, nonostante la mia idiosincrasia al genere Intervista, è un’occasione d’oro. Non risponderò per le rime, perché rifuggo dall’uso del vetriolo che m’è stato scaraventato in faccia. E vorrei aggiungere che la mia risposta, così come tutta la mia analisi del Vaticano II, parte da quel gesto rivoluzionario che il 13 ottobre del 1962 dette al Concilio un orientamento prima imprevisto. Son convinto che chi non parte di lì non può esser in grado di capirci qualcosa.


D – Se accetta di rispondere, comunque lo faccia, mi par di capire che c’è rimasto male.
R – Certamente non bene, specie perché si tratta d’un attacco portato contro di me da un mio ex alunno, come hai ricordato. Incontro spesso qualcuno che fu alla mia scuola. Son tanti: laici, suore, preti, vescovi e perfino qualche cardinale. Ogni volta è una gioia reciproca ed a me non fa certamente dispiacere sentirmi dire: quando devo parlare sulla Chiesa, prendo in mano i suoi manuali e gli appunti delle sue lezioni. Recentemente un parroco di Roma, rivolto a me dall’altare, ha detto: si tremava un po’ dinanzi al suo rigore, ma non la ringrazieremo mai abbastanza per quello che ci ha dato. L’uscita di don Piero Cantoni, l’alunno di cui mi parli, e dal quale mi sarei aspettato ben altro che vetriolo in faccia, ha rotto l’incantesimo.

D - Se non son indiscreto: c’è qualche motivo per dire che da lui non se l’aspettava?
R – Ce n’è più d’uno e mi trovo un po’ a disagio nel metterli in vetrina. Si tratta soprattutto d’uno stato d’animo. Quando si presentò al Laterano, proveniva da Écone e bastava questo, allora più di oggi, a provocare non poca diffidenza. Seppi da lui le difficoltà che incontrava nella diocesi nella quale si sarebbe incardinato. Aveva il volto triste; non lo vidi mai sorridere. Con lui c’era un suo collega austriaco, egli pure atteggiato a perenne tristezza e, come lui, proveniente da Écone. Mi guardai bene dal fare un sola domanda sui motivi del loro abbandono del ben noto Seminario lefebvriano: fossero transfughi o espulsi, non cambiava le carte in tavola: due esseri umani da aiutare. Così feci, con tutt’i miei limiti, ma con sincerità. Ricordo d’averli portati pure a pranzo insieme. Quanto a Cantoni, anche dopo l’adempimento accademico, lo rivedevo quando ritornava a Roma, m’interessavo alla sua vicenda, mi compiacevo nel costatare il graduale assestarsi della sua situazione. Ho tra i miei ricordi che fu parroco, insegnante e responsabile del Seminario interregionale, fondatore d’un’opera mariana, e varie altre cose. Lo rividi una decina d’anni or sono in un comune del pisano (Fauglia) per un incontro mariano: fu una gioia enorme passare qualche ora insieme, ascoltarlo, ma soprattutto costatare il seguito che riscuoteva da parte di numerosi giovani, di sacerdoti, del Vescovo presente. Tutto confermava il mio giudizio di persona d’altissima intelligenza ed ottima preparazione teologica, lodevolmente impegnata nel servizio ecclesiale. Quando incominciò a mandarmi richieste d’aiuto per la sua opera mariana, sia pur con la consapevolezza della mosca che tira il calcio che può, non me lo feci ripetere. Ora capisci da te perché “non me l’aspettavo”.

D – Certo che capisco. Ma voglio immaginare che non ci sia stato un ribaltamento di posizioni improvviso ed imprevisto. Possibile che non abbia mai intuito qualche discrepanza, qualche riserva, qualche eccezione?
R – Mai, perché mai me ne aveva manifestato neanche un piccolo sintomo. In ultim’analisi, però, non è questo il punto. Dante, di cui tu porti il nome e che conosci molto meglio di me per la tua specializzazione letteraria, direbbe: “…e ’l modo ancor m’offende” (I, 5, 102). I precedenti ai quali ho fatto un sommario riferimento avrebbero consigliato a chiunque, prima di prender la clava in mano e scagliarmela addosso, di sentirmi, di chieder chiarimenti, di contestarmi, riservando un eventuale attacco a dopo che le mie risposte non l’avessero soddisfatto. Ha fatto esattamente il contrario. Contraddetto, peraltro, dal suo collega austriaco che, all’oscuro di tutto, poco prima che la bomba esplodesse, mi scrisse: “E’ un grande onore l’essere stato suo discepolo”.

D – Che si senta offeso dal modo è comprensibile, ma immagino che abbia anche qualche cosa da eccepire nel merito.
R – Sì, e non poco. Se dovessi risponder puntualmente a tutto quanto mi vien rimproverato sia attraverso labussolaquotidiana ed altri siti, sia soprattutto con un intero volume scritto nel modo dottorale e definitorio del “so io ogni cosa e zitti tutti”, dovrei venir meno all’impegno assunto con una pubblicazione che uscirà a marzo 2012 per i tipi di Lindau, nella quale dichiaro che quello è il mio ultimo intervento sul Vaticano II: quanto, infatti, dovevo e volevo dire, l’ho detto; ho avuto riscontri sulla serietà della mia iniziativa da varie e non poche parti; ciò mi basta. Risponderò, dunque, soprattutto per chiarire l’equivoco nel quale don Cantoni è caduto e nel quale potrebbero cader i suoi lettori. Contrapponendo alcuni miei giudizi di oggi ad altri di ieri, o viceversa, egli dimostra la mia doppiezza e la mia contraddittorietà. E’, questa, una conclusione estremamente superficiale; ma potrebb’esser pure estremamente cattiva.

Ogni persona umana, infatti, è in un ininterrotto processo di maturazione. Ho detto altrove che solo le cariatidi non s’evolvono. Ieri ero quello che sono oggi e che sarò domani, ma non allo stesso modo né allo stesso livello di maturazione. Quello che oggi percepisco restava in ombra, o forse era del tutto inavvertito, ieri. E’ avvenuto in me quello che avviene in tutti: è maturata l’età, si son avvicendati impegni e responsabilità che lascian il segno, l’esperienza tocca oggi livelli ieri nemmeno intuiti. Nessuna meraviglia se il giudizio d’ieri non collima, o in parte o in tutto, con quello d’oggi; l’importante è che quello d’oggi indichi i motivi per cui non ripete quello d’ieri. E’ importante, cioè, la fondazione. Dalla quale si potrà sempre dissentire, sempre però riconoscendo la serietà del procedimento fondativo. E’ superficiale il critico che non ne tien conto, ma è cattivo quello che ne fa la premessa per giustificare la conclusione con cui m’addita alla pubblica esecrazione: è un doppiogiochista, è in contraddizione con se stesso. E detta così, sarebbe quasi una carezza, la realtà essendo ben altra.

Oltre alla maturazione, c’è una ragione anche più determinante che non sfiora nemmeno l’anticamera del mio accusatore: da una parte, la “missio canonica” per la quale ero “mandato” ad insegnare la dottrina della Chiesa, non le mie idee; dall’altra, la necessità di non turbare la coscienza della personalità “in fieri” d’ogni mio discepolo. Ebbi la mia bella crisi, che superai solo perché un eminentissimo personaggio e il mio direttore spirituale mi dissero di non abbandonar il mio posto, ma di continuare l’insegnamento con opportune precisazioni, se del caso, tratte dall’ininterrotta Tradizione della Chiesa su quei punti che mi fossero apparsi meritevoli di precisazioni siffatte. E tutt’i miei alunni sanno quanti puntini sulle “i” ho messo: sul “subsistit in” che, invece di condannare come non pochi facevano, giustificai sul piano metafisico; sulla collegialità dei vescovi, ricondotta nell’alveo del primato petrino mentre tutti ne facevano un organo di governo accanto ed analogo a quello del Papa; sull’ecumenismo per strapparlo all’alea del dialogo fine a se stesso e ricondurlo nella sfera dell’ “Unam sanctam”, e così via dicendo.

D – Quindi, Lei afferma che la Sua posizione critica nei confronti del Vaticano II non è di data recente.
R – Sicuramente. Pur non essendo ufficialmente un “perito”, seguivo giornalmente i lavori conciliari come uomo di fiducia (insieme con un collega dell’allora Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi, Mons. R. Pozzi) di S. E. Mons. D. Staffa e gl’interrogativi s’affacciavano e crescevano durante gli stessi lavori conciliari. Posso rivelare a questo riguardo che, qualche tempo dopo, un’alta personalità dell’allora sant’Uffizio e pochi anni dopo il suo successore, oltretutto mio conterraneo, mi convocarono per chiedermi se fosse vero che criticassi il Vaticano II. Al primo risposi che insegnavo ciò ch’egli stesso aveva insegnato a me; al secondo ed al suo invito alla prudenza per non compromettere il mio domani, risposi che dovevo risponder al presente della mia coscienza e che l’unico mio domani era quello di Dio. E già allora sostenevo ciò che ho sostenuto oggi: che il Vaticano II è un autentico e legittimo Concilio ecumenico, il più grande dei 20 che l’han preceduto, con un suo magistero supremo e solenne, ancorché non dogmatico, ma pastorale, e con non pochi interrogativi sulla sua continuità con la Tradizione di sempre.

D – Ma, tutto sommato, di che cosa viene oggi accusato?
R – Un po’ di tutto, dalla disinformazione alla contraddittorietà, dal non aver capito il Concilio alla volontaria manomissione del suo insegnamento, e di questo passo s’arriva fino alla conclusione del “formalmente eretico”.

Mi si dice che ignoro le ripetute asserzioni conciliari di continuità con la grande Tradizione ecclesiale; non è vero, ho detto soltanto che altro è una declamazione ed altro una dimostrazione. E questa, fin ad oggi, è mancata. Mi s’accusa di non conoscere, o non riconoscere, la Tradizione/soggetto, là dove ho solo rilevato, con i grandi storici del dogma e della Tradizione stessa, che questo è solo uno sviluppo della teologia moderna e che, comunque, la Tradizione soggettiva resta costitutivamente legata a quella oggettiva, dalla quale non può allontanarsi né d’un apice né d’un iota; può solo approfondire illustrare precisare senza apporti sostanziali e solo nella linea d’uno sviluppo omogeneo. Si dice equivoca, per questo, la mia posizione sul Magistero vivente della Chiesa, come se ad impedirne la capacità e possibilità d’intervento oltre il limite d’una novità omogenea fossi io e non Gv 14,26 e 16,13-14, nonché il cap. IV dell’ “Æterrni Patris” del Vaticano I. Si ha anzi il coraggio d’appellarsi al Lerinense e al beato Newman la cui dottrina sul progresso dogmatico è quella appena accennata. Si prendon poi, uno ad uno, i testi conciliari che ho criticamente analizzato per negarne la mia interpretazione, con ragionamenti che non stanno né in cielo né in terra. P. es., il famoso GS 22/c (“con l’incarnazione il Figlio di Dio s’unì in certo modo ad ogni uomo”) non dichiarerebbe, sia pur “quodammodo”, il Figlio di Dio unito ad ogni persona, ma alla natura umana d’ogni persona: bel modo di svicolare da una difficoltà, come se il testo non dicesse “cum omni homine” e non chiudesse in tal modo lo spazio ad interpretazioni di comodo: “ogni uomo” è ogni persona umana, il supposito, il soggetto, non la sua natura. Mi si dà sulla voce anche per le mie analisi di DH: chissà se, leggendo domani il libro che ho prima annunciato, nel quale dimostro la non corrispondenza di non poche citazioni bibliche ai testi di DH e di NÆ, ch’esse dovrebbero suffragare, non si ricreda anche un don Cantoni.

Non dico nulla sul giudizio, almeno implicito, ch’egli dà della mia produzione scientifica, di cui sembra degnare d’una qualche considerazione solo quella d’indole ecumenica, perché dovrei parlare di me e non della mia posizione dinanzi al Vaticano II, ch’è invece il vero tema. Può darsi, inoltre, che abbia ragione il mio oppositore a definire involuta, oscura ed ambigua la mia scrittura; perché dovrei preoccuparmene più di tanto, dal momento che son infinitamente più numerosi coloro che mi lodano del contrario? A proposito di lode, non mi son mai lodato d’appartenere alla gloriosa Scuola Romana, come dichiara don Cantoni, pur essendo grato a chi in essa mi riconosce. No, su me in quanto me, “ne verbum quidem”.

Aggiungo un’osservazione. Nella storia il “conciliarismo” è conosciuto come l’eresia che sottomette il Papa al Concilio ecumenico; nel sottotitolo del libro che mi tartassa, Cantoni scrive: “riflessioni sul Vaticano II e sull’anticonciliarismo”, ovviamente pensando a me come “anticonciliarista”. Stando all’accennato significato storico della parola “conciliarismo”, son fiero d’essere “anticonciliarista”.

D – Caro don Brunero, mi pare che un quadro come quello che ha descritto meriti molto più d’una semplice intervista. E’ proprio dell’avviso di non volerci rimetter le mani sopra?
R – Sì, caro Dante. Spero che altri portino avanti il discorso iniziato. Gl’indizi non mancano. Son già in cantiere due congressi per il cinquantenario del Vaticano II: l’uno, nel 2012 per celebrar i cinquant’anni dall’inizio e l’altro per il 2015 per i cinquant’anni dalla fine. Chissà che non sia l’occasione buona per rimetter in sesto una situazione che, sotto l’azione della famigerata volgata, s’è ammalata d’elefantiasi, fin a fare del Vaticano II o l’unico Concilio della Chiesa, o la sintesi del magistero ecclesiale di tutti gli altri. Io ho fiducia. Se è vero, come sembra, che già si comincia a concedere d’interpretare “con libertà” qualche dichiarazione conciliare, vuol dire che siamo sulla strada buona e ne ringrazio il buon Dio. Così come ringrazio te, per la tua intervista.

D – No, sono io che ringrazio Lei per avermela concessa.

martedì 27 settembre 2011

Mondanizzazione, rischio per la fede. E le eresie?

Su Libero di oggi, Antonio Socci torna sulla ipotesi delle dimissioni del Papa - già smentite e peraltro non prevedibili - e ne fonda la possibilità, oltre che sulle dichiarazioni a suo tempo rilasciate da Benedetto XVI per il Libro "Luce del mondo", sulla sua stanchezza che sarebbe dimostrata da diverse considerazioni, molte delle quali centrate sulla secolarizzazione e sulla "mondanizzazione" della Chiesa - che non possiamo ignorare sia resa ancora più accentuata da certe istanze conciliari - particolarmente riconoscibile in Germania, ma presente ovunque sia pure a livelli diversi. [qui il testo integrale]

Le parole, gli argomenti e le esortazioni del Papa, tratti dal Discorso ai laici cattolici impegnati tenuto domenica 25 settembre alla Konzerthaus di Friburgo, sono forti e chiare e devono diventare nostro nutrimento e nostra forza. E tuttavia questa insistenza sulla mondanizzazione, purtroppo reale e pesantemente nefasta, secondo me è parziale perché esiste nella Chiesa un problema, se non altrettanto ben più grave e non meno deleterio della mondanizzazione: quello degli errori non corretti e delle eresie che continuano a proliferare.

Il discorso del Papa è complesso e ricco di spunti di riflessione e di esortazioni ad una autentica conversione. Non voglio essere riduttiva nel soffermarmi solo sul punto che ho estratto. Ma ci sono sottolineature basilari dalle quali non si può prescindere per ritrovare una rotta non del tutto seguita dalla nostra Chiesa post-conciliare.

Denuncia il Papa:
A causa delle pretese e dei condizionamenti del mondo la testimonianza viene ripetutamente offuscata”.
Non si può non aggiungere: e l'offuscamento della Verità, senza la quale ogni testimonianza è falsata, a causa della nuova evangelizzazione contenente insegnamenti e prassi diversi della Rivelazione Apostolica?

La Chiesa, dice il Papa:
per compiere la sua missione” e “per corrispondere al suo vero compito, deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi dalla mondanità del mondo. Con ciò essa segue le parole di Gesù… In un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore”.
Certo, la lettura in positivo e in chiave purificatoria di certi sfrondamenti determinati da circostanze storiche è reale e istruttiva anche per l'oggi. Ma resta, ineludibile, il fatto che per corrispondere al suo vero compito Chiesa non può rinunciare al suo Munus dogmatico che, oltre a viverla e testimoniarla, annuncia insegna e spiega la Verità e ne mostra la ragionevolezza e la Bellezza. Ed essa può e deve farlo attraverso autentici Maestri (Munus docendi) e Pastori (Munus regendi) che sono anche Santificatori (Munus sanctificandi), forgiati dall'Adorazione e dalla celebrazione del Santo Sacrificio. Se non si parte o riparte da qui...

E la "riforma della riforma"? E' a un punto fermo o non vale per i politici?

I due recenti viaggi del Papa in Spagna, lo scorso agosto, e quello appena concluso in Germania, ci mostrano due immagini emblematiche che danno da pensare. Sembra che i politici possano essere 'dispensati' rispetto alla Riforma della Riforma, della quale peraltro non si vedono applicazioni diffuse, dato che sono pochissimi i sacerdoti ed i vescovi che seguono l'esempio del Papa nella ri-sacralizzazione della Liturgia.

La prima mostra la regina Sofia di Spagna ricevere la comunione sulla mano da parte del Papa, tra l'altro in piedi piuttosto scompostamente sopra l'inginocchiatoio posto davanti a lei. (ripresa da Rorate Caeli)

La seconda mostra il Presidente del Parlamento tedesco Norbert Lammert che, a differenza di tutti gli altri, riceve dal Papa la comunione sulla mano. (da un video su Rorate Caeli)

Non stupisce tanto l'atteggiamento dei due, che rispecchia quello della maggioranza dei fedeli, purtroppo assuefatti a quello che ad occhi e cuori più sensibili e attenti rischia di diventare uno scarso rispetto per il Signore presente nelle Sacre Specie, risentendo della banalizzazione introdotta dal rinnovamento liturgico di Paolo VI. Ciò che stupisce è che il Papa abbia assecondato i due piuttosto che, esercitando la sua autorevolezza, non abbia loro porto in bocca l'ostia consacrata, come è solito fare in tutte le sue celebrazioni. Forse sarebbe stato un esempio molto più efficace per tutti e molto più eloquente di tante parole e di anni di esempio di nuovi più consoni comportamenti liturgici.

In certi casi non si tratta di "imporre", ma di stabilire regole univoche che hanno un loro senso. Non possiamo che registrare con rammarico quel che in fondo appare come l'applicazione dell' et-et conciliare, che ha eliminato un aut-aut, indispensabile quando sono in gioco i fondamenti della fede, ricordando che rigore non è rigorismo (che può nascondere un'abitudine vuota di sostanza). Il rigore indica e promuove rispetto e sottomissione, che rientrano nella sfera del primo dei doni dello Spirito Santo: il Timor di Dio. E sappiamo che questo timore non esprime paura, ma un atteggiamento interiore (e quindi anche esteriore) di rispetto grande e riconoscimento della Trascendenza e della Gloria del Signore. E, invece, sembra continui ad imperare la banalizzazione che purtroppo non può che generare indifferenza. Del resto i frutti sono sotto gli occhi di tutti.

lunedì 26 settembre 2011

Due proposte: e come le vede il Superiore della Fraternità di S. Pio X

Mi limito a riportare la notizia, continuando a pregare e invitando tutti alla preghiera. Secondo me non dice nulla di nuovo: le due sponde curiali e il loro diverso e contraddittorio atteggiamento e conseguenti comportamenti, erano già emersi in una recente intervista di Mons. Fellay. E' logico che una decisione della portata di quella che la Fraternità è chiamata a prendere richieda tutta la prudenza del caso.

Ieri, a Ruffec (Dipartimento Indre, Centre, Francia), Mons. Fellay ha ricevuto i primi voti di una delle Suore della Fraternità. Alla fine della sua omelia, egli ha affrontato il dibattito in corso con Roma.
Se nulla, o quasi nulla, è stato detto, è perché le cose sono più complesse di quanto non possa sembrare.

Roma ha presentato due proposte per la Fraternità San Pio X. Una dottrinale, l'altra canonica. Né l'una, né l'altra sono chiare. Questi due testi sono modificabili, possono essere riscritti, lasciandone preservata la sostanza. Il problema è trovare che cosa è la sostanza. Ci sono molte domande, ma non molte risposte.

Roma muove un passo verso la Fraternità. Questa deve esaminarlo seriamente. I testi stanno per essere oggetto di uno studio molto attento. La Fraternità non firmerà un testo che non è chiaro. Non farà nulla che possa diminuire la sua fede o lo spirito della sua fede. E non si farà una mossa se non si è certi delle buone intenzioni al riguardo. E, a seconda dei diversi prelati di curia che vengono interrogati, si possono ottenere risposte diverse.

Si tratta di una fase decisiva che, qualunque sia il suo esito, non resterà senza conseguenze.
[Fonte: Fecit-Forum, autore: Austremoine]
da: http://rorate-caeli.blogspot.com/2011/09/two-proposals-and-how-sspx-superior.html

Note su Benedetto XVI, Erfurt e Lutero

Abbiamo assistito ad un evento particolarissimo. Cinque secoli dopo il pellegrinaggio di Lutero a Roma, Roma va da Lutero nella persona del Papa tedesco che, si dice, desiderava terminare la sua vita come monaco e si è ritrovato invece Papa.

Abbiamo visto il Papa camminare nel chiostro in cui Lutero ha meditato, entrare nella sala capitolare dove è risuonata la sua voce, pregare nella chiesa dove fu ordinato sacerdote, ha celebrato la messa, ha confessato... e parlare ai suoi seguaci di oggi, ai quali egli chiede di ritrovare la loro fedeltà ai fondamenti di Lutero, cioè la fedeltà al protestantesimo delle origini. E la chiave del discorso, in quel particolare luogo di incontro in cui Lutero ha vissuto, ha lottato con se stesso, con i suoi scrupoli, con l'amore di Dio, è Lutero come uomo di fede, che viveva con grande angoscia a livello personale il problema della salvezza dell'anima, che lui ancora si poneva...

Si deve arguire che è a questa inquietudine interiore a cui il Papa si richiama e la sua attenzione è centrata sulla grande domanda: «Come posso avere un Dio misericordioso?» che attraversava il cuore di Lutero ed era sullo sfondo di tutte le sue ricerche teologiche nonché della sua lotta interiore, una lotta con Dio, in relazione con Lui.

E però il Papa riapre il problema del peccato e della grazia: un problema, che fu il punto di innesto della riforma e ne costituì il DNA finché non si impose la teologia liberale tedesca del XIX secolo, ma che il protestantesimo nato da Lutero sembra aver messo da parte. E' interessante seguire un tratto di questo passaggio:
«"Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi, infatti, si oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. [...] No, il male non è un’inezia. Esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita. La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda, non accademica, ma concreta. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero.»
Dobbiamo perciò riconoscere che il Lutero che il Papa ama è colui che con Gesù non era indifferente, ma coltivava un suo appassionato personale rapporto.
«Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita.»
In quest'altro passaggio, però, lo stesso Papa che ha apprezzato la spiritualità cristocentrica di Lutero, certamente ribalta la diluizione della Divinità di Cristo presente nell'umanesimo protestante:
«E poi è importante: Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo
E dunque Joseph Ratzinger indulge a suggestioni luterane? Non possiamo affermare una cosa simile, ma egli dimostra di condividere ciò che fu al cuore della inquietudine e della lotta interiore di Lutero, certo non delle sue conclusioni: se il Papa sottolinea alcune affinità nel prendere sul serio la gravità del peccato e la debolezza dell'uomo, di certo non condivide con Lutero l'assoluta incapacità dell'uomo di rispondere all'amore di Dio.

L'affinità vien fuori dal fondamento Agostiniano e Paolino in comune. E' normale quindi che il Papa, nelle pieghe esplicite del suo discorso, riconduca i protestanti verso la spiritualità che Lutero ha attinto dai due grandi maestri; il che, tuttavia, non può non essere in contrapposizione all'ideologia che Dio è tanto Misericordioso da salvare tutti gli uomini senza necessità della loro conversione. Infatti non possiamo dimenticare che la salvezza, per Lutero, richiede semplicemente una fede fiduciale, col noto fraintendimento sulle "opere della fede" di San Paolo: quelle che il Signore rende possibili da compiere ad ogni credente, perché le 'iscrive' in ogni cuore redento con la sua Grazia e che quindi si inverano nella vita. Son proprio quelle che per i protestanti risultano, invece, impossibili da compiere: basta la fede ed è Gesù che 'copre' il nostro peccato. Questa, insieme alla questione liturgica (cena e non sacrificio), è la grande frattura che tuttora separa il cattolicesimo dal luteranesimo. Non sono cose di poco conto, perché radicalmente diverse ne risultano l'antropologia e, quindi, la storia che si scrive in base a ciò in cui si crede.

Il Papa ha poi evocato la secolarizzazione e la tentazione che essa rappresenta per i cristiani perché spinge a mitigare il messaggio per renderlo appetibile agli uomini del nostro tempo:
«non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi».
Alla fin fine è proprio questo il punctum dolens del protestantesimo moderno, ma anche della Chiesa post-conciliare, del resto: l'adattamento al mondo. Giusto un anno fa, il Papa aveva detto agli Anglicani di non cedere all'inclusivismo, quella ideologia che pretende che i cristiani accolgano le scelte e le opinioni della moderna società.
«Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4), e quella verità è nient’altro che Gesù Cristo, l’eterno Figlio del Padre, che ha riconciliato tutte le cose mediante la potenza della sua croce [...] Fedeli alla volontà del Signore, espressa in questo versetto della Prima Lettera di san Paolo a Timoteo, riconosciamo che la Chiesa è chiamata ad essere inclusiva, ma mai a scapito della verità cristiana. Qui si colloca il dilemma che sta davanti a tutti coloro che sono genuinamente impegnati nel cammino ecumenico» (Discorso al Lambeth Palace del 17 settembre 2010)
Una domanda, drammatica, si impone: nella nostra Chiesa, oggi, l'inclusivismo è davvero improntato a scelte mai a scapito della verità?

Tornando ad Erfurt, credo che il Papa per essere diplomatico e rispettoso alla fine rischi di diventare equivoco. In ogni caso penso abbia voluto sottolineare un fondamento comune perché, in tempi di secolarizzazione e prodromi di caos, il sempre più diluito protestantesimo conservi ancora quei 'germi' di verità che possono aiutare ad evitare il peggio.

Il problema vero è venuto fuori quando, nel concreto, si chiedeva di favorire la communicatio in sacris (poter fare la comunione nelle rispettive celebrazioni liturgiche) per le coppie miste, che non condividono la stessa liturgia e quindi non condividono la stessa fede, al di là del denominatore e delle origini comuni: una mensa rispetto ad un Altare fa di certo la differenza. A quel punto le differenze restano e allora si può collaborare nel sociale; ma la sfera del sacro è purtroppo lacerata...

Comunque quel denominatore comune che il Papa mette sempre in campo, con non sufficienti espliciti 'distinguo', rischia di allinearci al protestantesimo liberale, che tanto ha influenzato e influenza la società occidentale, riducendo il cristianesimo ad una sorta di umanitarismo filantropico-buonistico, che lascia sullo sfondo, ma molto sullo sfondo, la forza dirompente e tutta la potenza morale e spirituale che viene da Cristo Signore.

Anche la disattenzione alla Liturgia, che non appartiene al Papa ma al resto della Chiesa, va proprio in questo senso. Del resto non è proprio la Liturgia la fonte e il culmine della nostra fede?

domenica 25 settembre 2011

Erfurt: il Papa incontra l'ultimo sacerdote sopravvissuto a Dachau e a Friburgo: contesta le contestazioni

Due semplici flash rispetto alle intense giornate del viaggio del Papa in Germania. Del resto cercherò di fare con calma una sintesi meditata cogliendo gli spunti più significativi.

Al termine della messa celebrata ad Erfurt, il Papa ha incontrato il novantottenne monsignor Hermann Scheipers, che è l'ultimo sacerdote sopravvissuto al campo di sterminio di Dachau. Ne ha dato notizia l'Osservatore Romano, precisando che "il Papa si è intrattenuto alcuni momenti con l' anziano prete portato nella Domplatz sulla sua sedia a rotelle".

Il lager di Dachau era considerato il "campo dei preti": tra il 1933 e il 1945 vi furono imprigionati 2.700 religiosi cattolici, più di mille dei quali persero la vita. Tanto che dopo il 1940 fu creato un "blocco per preti".

In proposito il sacerdote e ex prigioniero Scheipers ricorda: "Il fatto di vivere insieme tra preti era un gran bene. Potevamo farci forza e incoraggiarci a vicenda. Quando non eravamo stremati potevamo discutere, spiegare i testi e meditare. Recitavamo il Rosario. La fonte migliore per raccogliere le nostre forze spirituali era la cappella in cui ogni giorno, prima del lavoro verso le tre e mezzo del mattino, potevamo celebrare la messa e la domenica talvolta anche dilungarci in bellissime celebrazioni". © Copyright (AGI)
[Altro che il trito e tristo slogan «Meno messe, più messa», divenuto oggi tragica realtà, il cui “costo spirituale” è indicibile].

Friburgo, 24 settembre
Il Papa contesta le richieste di riforma della Chiesa che emergono da gruppi di cattolici nel mondo tedesco. Benedetto XVI, in particolare, usa l'arma dell'ironia per prendere le distanze dall'associazione di base 'Noi siamo Chiesa' (Wir sind Kirche) nata in Austria sulla scia di un noto caso di pedofilia che coinvolse negli anni scorsi il cardinale di Vienna Herman Groer.

«Quando diciamo 'Noi siamo Chiesa' è vero», ha detto il Papa in un discorso ai seminaristi incontrati a Friburgo. «Noi lo siamo, non lo è chiunque. Ma il 'Noi' è lungi dall'essere quel gruppo che lo sostiene. Il 'Noi' è l'intera comunità dei credenti, oggi e in tutti i luoghi e tempi. E io dico sempre: Nella comunità dei credenti, sì, ci sono per così dire le richieste delle legittime maggioranze, ma non ci può mai essere una maggioranza contro gli Apostoli, contro i Santi. In questo caso si tratta di una falsa maggioranza». «Noi siamo Chiesa: Siamolo, siamolo proprio per il fatto che ci apriamo e andiamo al di là di noi stessi per stare con gli altri», in Cristo, Capo del Corpo Mistico che, inseparabilmente unito a Lui, è la Chiesa...

Oltre a 'Noi siamo Chiesa', sappiamo cosa si muove in Germania. Secondo Benedetto XVI, del resto, «in Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture - si è chiesto - vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede in un Dio vivente?». «Sinceramente dobbiamo però dire che c'è un'eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito». Per il Papa, «la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede». «Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede - egli ha scandito con chiarezza - tutta la riforma strutturale resterà inefficace».

Mons. Fellay incontra i Superiori della FSSPX ad Albano

Come è stato annunciato nell’intervista accordata a DICI il 14 settembre 2011, al termine dell’incontro con il card. William Levada, mons. Bernard Fellay consulterà i responsabili della Fraternità San Pio X circa il Preambolo Dottrinale che gli è stato consegnato dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. I superiori della Fraternità San Pio X si riuniranno a porte chiuse presso la sede del distretto italiano, ad Albano Laziale, il 7 e 8 ottobre 2011. (DICI, 23/09/11)

Li accompagnamo con la nostra preghiera.

Qualche notizia:
La casa di Albano, vicino Roma, è sorta nel 1974 ed è Sede del Distretto d’Italia dal 1987. È una grande casa, ideale per la predicazione degli esercizi di S. Ignazio; essa accoglie spesso dei pellegrini da tutto il mondo che vengono per visitare la Città eterna; inoltre ogni due anni i seminaristi vi trascorrono tre settimane consacrate alla visita e allo studio di Roma, secondo il desiderio di Monsignor Lefebvre.

Quattro sacerdoti fanno il ministero ogni domenica a Roma, Velletri e Vigne di Narni, due volte al mese a Firenze e Napoli, e perfino in Puglia, Calabria e Sicilia ogni mese, mentre la casa è tenuta da 4 suore e due fratelli.

Fraternità San Pio X - Via Trilussa, 45 - I-00041 Albano Laziale (RM)
Tel. [39] 06.930.68.16 - Fax [39] 06.930.58.48 - E-mail: albano@sanpiox.it

sabato 24 settembre 2011

Incontro interreligioso e rappresentanza ritenuta inappropriata da parte del vescovo.

Leggo oggi su Perepiscopus, l'Osservatorio dei vescovi francesi, la notizia sottoriportata. Forse non meriterebbe particolare risalto se, con l'aria che tira -e non solo in Francia- il vescovo di Montauban non apparisse quasi una mosca bianca.
Mons. Ginoux si è recentemente distinto con adamantina chiarezza per la difesa della vita in occasione di un disegno di legge a favore dell'eutanasia e nel mettere in guardia dalle derive innescate dalla introduzione nei manuali scolastici della teoria del genere, che insiste sulla costruzione culturale e sociale dell'identità sessuale.

Un Vescovo, che col suo no forte, anche se dai più considerato politicamente scorretto, ha riaffermato le priorità e la vera identità della Chiesa cattolica e di un suo Pastore.

La città di Montauban organizza, domenica 25 settembre h. 15-17, un incontro interreligioso, « Montauban speranza ». E Mons. Bernard Ginoux, vescovo di Montauban, ha annunciato che non parteciperà all'incontro. Si tratta della terza edizione di « Montauban speranza », una iniziativa lanciata dalla città fin dal 2006, e ripetuta nel 2007. Ad ogni edizione, il vescovo aveva rappresentato la comunità cattolica.

Mons. Ginoux «non vuol dare grande amplificazione alla manifestazione», si attribuisce al vescovo. I cattolici saranno comunque rappresentati dall'abbé Jean-Michel Poirier, parroco della cattedrale di Montauban.

In un messaggio inviato al sindaco di Montauban, Brigitte Barèges, il vescovo ha dichiarato che l'incontro del 2011 « tradirebbe l'intuizione » del 2006. Effettivamente, l'aumento del numero dei rappresentanti invitati ha oscurato la sua rappresentatività [cattolica] alla manifestazione.

Egli ha sottolineato la molteplicità delle confessioni protestanti-riformate, evangeliche, battiste e pentecostali, denunciando nello stesso tempo un'attenzione sproporzionata alle religioni non cristiane da parte del comune. Infine il vescovo ha qualificato l'incontro come una «strumentalizzazione politica».

Che il Signore benedica e protegga questo vescovo!

giovedì 22 settembre 2011

Il Papa al Bundestag. Sconcerto e delusione.

Nel suo discorso al Bundestag, di rara levatura intellettuale, il Papa ha nominato Salomone, Origene e la resistenza, Gerusalemme Atene e Roma, l'Illuminismo, la dignità umana citando la Carta dei diritti dell'uomo; senza specificare però che la dignità non è fondata sull'uomo in se stesso, ma sul fatto che l'uomo è "ordinato a Dio in Cristo".

I valori illuministi e positivisti sono i soli fondamenti presi in considerazione dai politici atei e non è neppure detto che tutti gli ascoltatori lo fossero; ma chi parlava era il Papa e tra tante alate parole, non è apparsa mai una volta la Parola: Cristo. Se ha citato ben a proposito la sapienza di Salomone la filosofia greca e il diritto Romano e di certo sulla cultura europea Roma ha influito anche come Sede del primato petrino, qualcosa di cattolico il Papa lo poteva dire... sì, ha citato Paolo e la Lettera ai Romani in riferimento alla Legge trovata anche dai pagani nella ragione e nella natura; ma nemmeno il minimo accenno che non è la legge che salva, ma Qualcun Altro! Non credo che nel Vangelo non si possa trovare, sulla Giustizia e sul Diritto, qualcosa almeno alla pari con la citazione di Salomone; «ben più di Salomone c'è qui!» dice il Signore (Luca, 11, 31).

Richiamarsi al "diritto naturale" equivale a quando gli ebrei parlano ai goyim - che siamo anche noi - e richiamano loro i principi noachidi perché noi non abbiamo neppure la Torah, che per loro è Luce prima che Legge... Ma è normale che il Vicario di Cristo in terra non abbia nemmeno sfiorato il fatto che ci sia molto di più, attraverso qualche brano incisivo di quella Parola che è Luce per la mente e il cuore di ogni uomo venuto in questo mondo? E hai visto mai che qualche cuore di pietra si potesse fondere magari un po'?

Mi soffermo su alcuni elementi del discorso:

Constatazione del dato:
La ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose dal mondo vasto di Dio.
Domanda circa la soluzione:
Ma come lo si realizza? Come troviamo l’ingresso nella vastità, nell’insieme? Come può la ragione ritrovare la sua grandezza senza scivolare nell’irrazionale? Come può la natura apparire nuovamente nella sua vera profondità, nelle sue esigenze e con le sue indicazioni?
Risposta:
L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli ascolta la natura, la rispetta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana.[...]
È veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione creativa, un Creator Spiritus?
Drammatico realistico affresco sulla ragione positivista, poi bellissime parole e edificanti osservazioni. Nella "ragione oggettiva" potremmo vedere il Logos e quindi in questa frase si configura, anche se non è esplicitato, un senso trinitario. Ma siamo fermi al Dio Creatore, non c'è traccia dell'Incarnazione del Dio Salvatore che si è fatto uomo per redimere la natura, ferita. Anche di questa ferita sembra non ci sia traccia... E' una sorta di linguaggio mimetico nei riguardi dei non credenti, ai quali è rivolto un discorso privo della potenza spirituale e morale del Cattolicesimo.

Sembra si voglia entrare in dialogo a tutti i costi, accettando un denominatore comune al ribasso, mentre alla Chiesa è chiesto tutt’altro: mostrare la Verità, annunciarla, insegnarla, spiegarla, dimostrarne la ragionevolezza e anche la Bellezza.

La scristianizzazione diffusa porta a ritenere - ma sarà proprio così? - che le orecchie e il cuore degli uomini del nostro tempo siano chiusi agli insegnamenti che traiamo dal Discorso della Montagna: la Nuova Legge data su un monte dove il Signore conduce i Suoi, a differenza di Mosè che dal monte, luogo della presenza di Dio, porta al popolo la legge. Questa chiusura renderebbe difficoltoso spezzare il pane 'saporoso' di questa Parola che ci risuona forte e chiara: «se la vostra giustizia non sorpasserà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 5,1). E tuttavia se ne potrebbe almeno ricordare la traduzione di san Tommaso, e cioè che giustizia è sempre in primo luogo tendere al bene comune e va promossa da chi ha il dovere di averne cura; il che non implica soltanto la necessità di mantenere l'ordine e far valere il diritto, ma avere attenzione per la persona e, soprattutto, che c'è Qualcuno che ce lo rende possibile.

Sembra addirittura diventato impossibile pronunciare l'Annuncio della salvezza, perché è un linguaggio che il mondo non conosce; ma poi va a finire che non lo riconosceremo più neanche noi.

Credo possa essere interessante, per chi volesse allargare lo sguardo, consultare i precedenti:
[Ratisbona, 2006] - [Ankara, 2006] - [Auschwitz, 2006] - [Austria, 2007] - [Les Bernardins 2008] - [Amman, 2009] - [Palestina, 2009] - [Gerusalemme, 2009] - [Tel Aviv, 2009] - [Praga, 2009] - [Nicosia, 2010] - [Westmister Hall, 2010]

mercoledì 21 settembre 2011

Gli atti del Convegno sul Vaticano II del dicembre 2010. Per un'ermeneutica del Vaticano II alla luce della Tradizione della Chiesa.

E' uscito il volume della Casa Mariana Editrice, che pubblica gli atti del Convegno tenuto a Roma nel dicembre 2010 dal titolo: Concilio Ecumenico Vaticano II. Un concilio pastorale. Analisi storico-filosofico-teologica.

L'evento, organizzato dai Francescani dell'Immacolata [vedi, già consultabili, molti testi interessanti riportati nella colonna a sinistra del Blog], per la ricchezza profondità ed autorevolezza degli intervenuti e relativi interventi, ha segnato un discrimine nel mondo cattolico tra un dibattito sui temi conciliari pressocché sommerso ed un susseguirsi di ulteriori reazioni (si pensi, ad esempio, alla corrispondenza-dibattito tra P. Cavalcoli e p. Lanzetta, ai numerosi testi di Gherardini, De Mattei, Radaelli), approfondimenti e studi, puntualmente registrati da questo Blog, che ancora non hanno certamente terminato di prodursi.

Credo che i frutti maggiori debbano ancora venire. Forse non vi è neppure estranea la nuova posizione del Vaticano che sembra aver abbandonato la visuale del Concilio come nuovo super-dogma infallibile e indiscutibile; il che potrebbe spianare la strada alla regolarizzazione canonica della Fraternità di S. Pio X.

Noi siamo qui a registrare e condividere quanto si muove nella nostra Chiesa in direzione dell'auspicato ripareggiamento della verità di cui ha parlato anche Romano Amerio.

Riproduco la scritta riportata dalla IV di copertina.

Il Concilio Vaticano II fu il 21° concilio ecumenico della Chiesa cattolica. Giovanni XXIII nel discorso di apertura dell’11 ottobre 1962, Gaudet Mater Ecclesia, designò la natura e il fine dell’Assise richiamandosi alla pastoralità: non definire nuove dottrine, né emettere nuove condanne di errori ma dire la dottrina di sempre all’uomo contemporaneo. Il lemma “pastorale” diede così una “nuova” forma al Concilio, che comunque non poté esimersi dal tema dello sviluppo dogmatico: lo si volle e infatti fu perseguito con le Costituzioni dogmatiche. La pastoralità conciliare lasciata però in una sorta di ondeggiamento generale, si prestò ad essere fraintensa. Non trovò una strada univoca nella sua esecuzione e nella seguente interpretazione dei teologi. Le buone intenzioni e gli auspici di papa Roncalli dovettero fare i conti con un Concilio che nel suo interno fremeva per un cambiamento significativo. Cosa significa allora che il Vaticano II fu un concilio pastorale? “L’ermeneutica della continuità e della riforma” necessita un approccio previo e teologico-fondamentale, che metta in luce il taglio conciliare alquanto sui generis del Vaticano II?

Il presente volume raccoglie gli atti del convegno di studi sul Concilio Vaticano II, organizzato dai Francescani dell’Immacolata a Roma dal 16 al 18 dicembre 2010, il quale si prefiggeva di lumeggiare il connotato “pastorale” del Vaticano II, con una lettura simbiotica storico-filosofico-teologica. Una corretta ermeneutica del dato conciliare non può prescindere da un corretto a priori che è il mistero della Chiesa nel suo sviluppo storico secondo il canone della Traditio.


Per chi fosse interessato, dal blog http://catholicafides.blogspot.com/ si può procedere all'acquisto on line.

martedì 20 settembre 2011

Comitato Internazionale per il 1° Centenario
della nascita di Cornelio Fabro
Sede della Presidenza: Casina Pio IV
(00120) Città del Vaticano
Segreteria: Via Mazzarino, 16 (00184) Roma
Tel. +39 - 069766752 (lun-sab dalle 9,00 alle 12,00)
Cell. 3403649154 / 3461001877 www.centenariofabro.org - info@centenariofabro.org



Padre Cornelio Fabro
IL PENSATORE, L’UOMO, IL SACERDOTE
nel centenario della nascita, l’attualità del pensiero
Talmassons - Flumignano (UD)

Sabato 24 settembre ore 20.30 - Auditorium polifunzionale di Talmassons
Renato Pilutti presenta
PADRE CORNELIO FABRO, FLUMIGNANO E IL FRIULI
radici storiche familiari e paesane di un grande filosofo del Novecento
curato da Roberto Tirelli
Accompagnamento musicale: Cello Ensamble - Voce Solista: Isabella Comand, mezzosoprano

Domenica 25 settembre
Commemorazione del Concittadino
ore 10.30 - Parrocchia di Flumignano
S. Messa celebrata da Sua Ecc.za mons. Andrea Bruno Mazzocato
Benedizione del Cippo Commemorativo
Inaugurazione Mostra Fotografica
Al termine seguirà momento conviviale organizzato dalla Parrocchia di Flumignano

Più informazioni nel website: www.centenariofabro.org

Chi è interessato può scaricare la locandina

domenica 18 settembre 2011

Simposio Mariologico sull'Assunzione di Maria perché Corredentrice

Si è tenuto a Frigento, dal 13 al 15 settembre, un Convegno organizzato dai Francescani dell’Immacolata sull’Assunzione di Maria al cielo, dal titolo: Assunta in cielo perché corredentrice sulla terra.
Con l’indirizzo di saluto di Sua Em.za il Card. Leo Raymond Burke (Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica), hanno preso il via i lavori di una tre giorni di studio, volta a studiare il dogma dell’Assunzione di Maria, nel 60° anniversario della definizione dogmatica, fatta dal ven. Pio XII il 1° novembre 1950. Il Card. Burke ha introdotto i lavori con un intervento teologico-dogmatico, in cui illustrava il fondamento corredenzionista della missione materna di Maria, così bene spiegato dai Sommi Pontefice S. Pio X, nell’Ad diem illum, e Benedetto XV, nell’Inter sodalicia.

Nel recente magistero pontificio si illumina la profonda unione di Maria con il suo Figlio divino: rinunciò ai suoi diritti materni a favore dell’immolazione del Figlio. Perciò, ben a ragione diceva Benedetto XV, Maria con Cristo ha redento il genere umano. L’uomo ha meritato la vita eterna in virtù della grazia di Cristo. Maria, in modo singolare, ha meritato anche la glorificazione anticipata del suo corpo. «Questa questione – diceva il Card. Burke –, sarà esaminata dagli illustri professori di questo convegno».

La prima conferenza è stata tenuta da Mons. Brunero Gherardini, dal titolo Assunta in cielo perché corredentrice sulla terra. Riflessione sul fondamento del dogma cattolico.

In primis, Gherardini ha precisato che è opportuno distinguere mediazione da corredenzione. La corredenzione è la singolare unione di Maria con Cristo sulla terra e termina con la missione terrena di Maria: indica consociazione, unione sponsale. La mediazione, invece, è il collegamento tra due estremi, il cielo e la terra, il Figlio e gli uomini. Essa non termina con il pellegrinaggio terreno, ma si prolunga anche in cielo, con la sua intercessione celeste. Il fondamento dell’Assunzione è la Corredenzione di Maria, in quanto corredenzione consociativa, che richiama la consors, la consociata, la socia del Redentore. In questa linea si collocano Pio IX, Leone XIII e Pio XII.

Gherardini vede nella maternità divina di Maria, in quanto primo principio della mariologia (principio di analogia che unisce in unità e armonia tutte le verità mariane), il fondamento ultimo di ogni prerogativa mariana, sicché Maria Madre di Dio è la Corredentrice assunta in cielo o si potrebbe dire anche che l’Assunta è la Madre di Dio associata pienamente al Figlio. Per Gherardini «Maria è una dilatazione del Figlio, un prolungamento del Figlio». Tutto quanto è in Cristo si riversa in Maria: ecco la ragione ultima della sua Assunzione.

Aggiungo che ognuna delle verità mariane professate dalla Chiesa è ben distinta dall'azione unica, umano-divina, compiuta da Cristo Signore. È a Lui solo infatti, il Verbo incarnato, che appartiene tutta la pienezza della divinità.

Chi è interessato, può trovare gli approfondimenti su Fides Catholica.

giovedì 15 settembre 2011

Intervista di Mons. Fellay dopo l'incontro.

Il sito ufficiale della Fraternità già da ieri pubblica l'intervista rilasciata da mons. Fellay subito dopo l'incontro con le autorità vaticane. E' la conclusione interessante a quanto detto fin qui e, credo che offra spiragli di speranza. Intanto par di capire che il Comunicato ufficiale che abbiamo pubblicato è un Comunicato congiunto; il che cambia di molto la lettura degli eventi che si stanno susseguendo. Inoltre sembra di poter dedurre che il Preambolo non contenga singoli punti ritenuti imprescindibili; questo comporta che non ci siano preclusioni a poter discutere del Concilio. Ne consegue che tutte le riserve sullo stesso potrebbero essere mantenute.

Spero di non sbagliarmi, ma la sostanza mi sembra evidente: l'accordo proposto è sul metodo, che è la soluzione più agevole. Quanto ai contenuti, la Grazia di cui la Fraternità è portatrice spianerà la strada a tutto il resto se riuscirà canonicamente ad entrare a far parte della vita ecclesiale. Continuiamo a sperare e pregare.


Come si è svolto quest’incontro?

Il colloquio è stato di una grande cortesia e di un’altrettanto grande franchezza, poiché per lealtà la Fraternità San Pio X si rifiuta di eludere i problemi che permangono. D’altronde, è in questo spirito che si sono svolti i colloqui teologici degli ultimi due anni.

Quando, il 15 agosto scorso, ho detto che noi siamo d’accordo sul fatto che non siamo d’accordo sul Concilio Vaticano II, ho anche tenuto a precisare che quando si tratta di dogmi, come quello della SS. Trinità, siamo evidentemente d’accordo quando lo si richiama nel Vaticano II. Una frase non dev’essere mai isolata dal suo contesto. I nostri colloqui teologici hanno avuto il gran merito di approfondire seriamente e di chiarire tutti questi problemi dottrinali.

Il comunicato ufficiale comune del Vaticano e della Fraternità annuncia che Le è stato consegnato un documento dottrinale e che Le è stata proposta una soluzione canonica. Può darci qualche precisazione?

Questo documento si intitola Preambolo Dottrinale è ci è stato consegnato per uno studio approfondito. Per questo è confidenziale e comprenderà che non le posso dire di più. Tuttavia il termine “preambolo” indica bene che la sua accettazione costituisce una condizione previa rispetto a qualunque riconoscimento canonico della Fraternità San Pio X da parte della Santa Sede.

A proposito di questo Preambolo Dottrinale, senza toccare ciò che ha carattere confidenziale, può confermarci se, come annunciato dalla stampa, in esso è presente una distinzione tra ciò che è la Fede – alla quale la Fraternità aderisce pienamente - e ciò che, derivando da un Concilio pastorale, come ha voluto essere lo stesso Vaticano II, potrà essere sottoposto ad una critica, senza rimettere in questione la Fede?

Questa nuova distinzione non è stata annunciata solo dalla stampa, io l’ho personalmente ascoltata da fonti diverse. Già nel 2005, il Card. Castrillon Hoyos, dopo che gli avevo esposto per cinque ore tutte le obiezioni che la Fraternità formulava contro il Vaticano II, mi diceva: «Non posso dire che sono d’accordo con tutto ciò che Lei ha detto, ma ciò che ha detto fa sì che voi non siete fuori dalla Chiesa. Scriva dunque al Papa perché vi tolga la scomunica».

Oggi, devo obiettivamente riconoscere che nel Preambolo Dottrinale non si trova una distinzione netta fra il dominio dogmatico intangibile e il dominio pastorale soggetto a discussione. La sola cosa che posso dichiarare, perché figura nel comunicato stampa, è che questo Preambolo contiene «alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica, necessari per garantire la fedeltà al Magistero della Chiesa e il “sentire cum Ecclesia”, lasciando nel medesimo tempo alla legittima discussione lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del Magistero successivo». Niente di più, niente di meno.

Circa lo statuto canonico che sarebbe stato proposto alla Fraternità San Pio X, a condizione che aderisca al Preambolo Dottrinale, è esatto che si è parlato di prelatura invece che di ordinariato?

Come lei giustamente ricorda, questo statuto canonico è condizionato, la sua modalità esatta non può essere considerata che successivamente e rimane ancora oggetto di discussione.

Quando pensa di poter dare la vostra risposta alla proposta del Preambolo Dottrinale?
Il tempo necessario per studiare questo documento e consultare i principali responsabili della Fraternità San Pio X, perché su questa materia così importante mi sono impegnato con i miei confratelli di non prendere alcuna decisione senza prima averli consultati.

Ma posso assicurare che la nostra decisione sarà presa per il bene della Chiesa e delle anime. La nostra crociata del Rosario, che proseguirà ancora per diversi mesi, deve intensificarsi, per permetterci di ottenere, per intercessione di Maria, Madre della Chiesa, le grazie di luce e di forza di cui abbiamo bisogno più che mai.
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[Fonte: http://www.dici.org/actualites/entretien-avec-mgr-bernard-fellay-apres-sa-rencontre-avec-le-cardinal-william-levada/ ]

mercoledì 14 settembre 2011

Aggiornamento quasi in diretta. Comunicato Vaticano

Il 14 settembre 2011 si sono incontrati nella sede della Congregazione per la Dottrina della Fede Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale William Levada, Prefetto della medesima Congregazione e Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Sua Eccellenza Mons. Luis Ladaria, S.I., Segretario della medesima Congregazione, Monsignore Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, con Sua Eccellenza Mons. Bernard Fellay, Superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X, ed i Reverendi Niklaus Pfluger e Alain-Marc Nély, rispettivamente primo e secondo Assistente generale della medesima.

In seguito alla supplica indirizzata dal Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale san Pio X il 15 dicembre 2008 a Sua Santità Papa Benedetto XVI, il Santo Padre aveva deciso di rimettere la scomunica ai quattro Vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre, e, nel medesimo tempo, di aprire dei colloqui dottrinali con detta Fraternità, al fine di chiarire i problemi di ordine dottrinale e giungere al superamento della frattura esistente.

In ottemperanza alle disposizioni del Santo Padre, una commissione mista di studio, composta da esperti della Fraternità Sacerdotale San Pio X e da esperti della Congregazione per la Dottrina della Fede, si è riunita in otto incontri, che si sono svolti a Roma tra il mese di ottobre 2009 e il mese di aprile 2011. Questi colloqui, che avevano l’obiettivo di esporre e approfondire le difficoltà dottrinali essenziali sui temi controversi, hanno raggiunto lo scopo di chiarire le rispettive posizioni e relative motivazioni.

Anche tenendo conto delle preoccupazioni e delle istanze presentate dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X in ordine alla custodia dell’integrità della fede cattolica di fronte all’ermeneutica della rottura del Concilio Vaticano II rispetto alla Tradizione, di cui ha fatto menzione Papa Benedetto XVI nel Discorso alla Curia Romana (22-XII-2005), la Congregazione per la Dottrina della Fede ritiene come base fondamentale per il conseguimento della piena riconciliazione con la Sede Apostolica l’accettazione del testo del Preambolo Dottrinale che è stato consegnato durante l’incontro del 14 settembre 2011. Tale Preambolo enuncia alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica, necessari per garantire la fedeltà al Magistero della Chiesa e il "sentire cum Ecclesia", lasciando nel medesimo tempo alla legittima discussione lo studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del Magistero successivo.

Nella stessa riunione, sono stati proposti alcuni elementi di una soluzione canonica per la Fraternità sacerdotale San Pio X, a seguito dell’eventuale e auspicata riconciliazione.


Ora resta da vedere cosa dice il "preambolo" di cui si parla nel comunicato sopra riportato e cosa ne pensa la Fraternità.

Il 14 settembre 2011 e la carta bollata

Tra qualche ora -o forse giorni- sapremo (ora resta da vedere cosa dice il "preambolo" di cui si parla nel comunicato sopra riportato e cosa ne pensa la Fraternità). Mi ero immersa nel silenzio di un'attesa orante. Quindi potrebbe sembrar strano pubblicare questi pensieri ricevuti da Inter Multiplices Una Vox. Ma lo faccio anche per esorcizzare la solita anticipazione di parte di Tornielli, apparsa su Vatican Insider di ieri, intrisa di sottolineature in negativo sommariamente imprecise, in sintonia con quegli elementi di Curia decisamente progressisti di cui è il portavoce e che lo portarono ad anticipare ex abrupto anche i famosi cinque punti delle condizioni-capestro che dicevano tutto e niente, ma che sembravano mettere un'ipoteca sulla delicata risoluzione del problema. Sta di fatto che allora Mons. Fellay scrisse qualche parola al Papa, e l’ultimatum non fu più all’ordine del giorno. Ma non si può dire che tutto andasse bene... e infatti siamo ancora qui ad assistere ad un increscioso tiro alla fune tra simpatizzanti ed avversari dichiarati o subdoli: ne incontriamo abitualmente molti anche su Messa in Latino [vedi interessante riflessione di Enrico]. Speriamo di poter presto inserire tutto questo tra i ricordi sgradevoli o comunque tra le impegnative battaglie per affermare la Verità. E continuiamo ad attendere e a pregare...


Riflessioni sull'incontro tra il Cardinale Levada e Mons. Fellay
di Belvecchio

Curiosa questa data.
Quattro anni fa il Papa la scelse per l’entrata in vigore del suo Motu Proprio Summorum Pontificum, col quale, inaspettatamente, non solo liberalizzò l’uso del Messale tradizionale, ma dichiarò formalmente che esso non era mai stato abrogato.
Ovviamente, dopo la pubblicazione di questo Motu Proprio, vi furono molti commenti sulla valenza di quest’ultima dichiarazione ufficiale della Chiesa, poiché, fino ad allora sembrava proprio che il Messale tradizionale fosse stato abrogato e il suo uso fosse interdetto, salvo apposite deroghe o concessioni o indulti di vario tipo.
E invece no, il Papa Benedetto XVI scrisse nero su bianco, su un documento ufficiale, che non era vero niente, che si era equivocato, che anche il suo predecessore aveva equivocato, prima concedendo un indulto e poi invitando alla generosità e alla disponibilità i vescovi circa la celebrazione della Messa di sempre della Chiesa… che non era mai stata abrogata!

Il Papa Benedetto XVI non ha scritto: “abbiamo scherzato”… no, ha scritto “non è stato mai abrogato”, traendo tutte le conseguenze del caso, compreso il libero uso di tutti i libri liturgici tradizionali.

Dicevamo inaspettatamente, ma bisogna anche dire inopinatamente, poiché 40 anni di post-concilio ci avevano abituati a considerare la riforma liturgica, non solo irreversibile, ma sacrosanta. Evidentemente ci sbagliavamo.
Tutto sbagliato, tutto da rifare. Fino alla ventilata “riforma della riforma” e alla nascita dei sedicenti “movimenti liturgici benedettiani” che, sotto varie forme e con sfumature diverse, mirano al ripristino della liturgia tradizionale riveduta e corretta secondo la logica benedettiana, appunto, dell’ermeneutica della riforma nella continuità.

Tutto questo scombussolamento è ancora in fase di effervescenza, mentre parallelamente è in atto un dibattito sullo spirito del Concilio e sul vero significato dei suoi documenti, riforma liturgica compresa, che gli ottimisti chiamano rigoglioso.
E tutto questo ha una data d’inizio, una data ufficiale, una data significativa: 14 settembre, festa della Esaltazione della Santa Croce.

È un caso che la Santa Sede abbia scelto questa data per convocare ufficialmente il Superiore della Fraternità San Pio X e i suoi due Assistenti, per discutere proprio di tutta questa complessa materia?

Intendiamoci, ce lo chiediamo solamente, non insinuiamo nulla. Semplicemente constatiamo e ci interroghiamo.… E speriamo che il far questo a qualcuno non appaia come un reato di lesa maestà.

Ma interrogandoci è inevitabile che ci vengano in mente delle risposte e che dal nostro intimo affiorino speranze e timori. Forse non è molto razionale, forse non è scientifico… ma di certo è cattolico.
Vuoi vedere che il Signore ci metterà anche stavolta del suo e questo 14 settembre 2011 ci riserverà un’altra sorpresa? Un altro Motu Proprio? Un’altra decisione unilaterale del Papa? Con la quale egli porrà fine a quarant’anni di ingiuste censure nei confronti della Fraternità San Pio X?
Un atto unilaterale, com’è giusto che sia nelle cose di Chiesa. Un atto del Supremo Magistero che sancisce, motu proprio, che le cose stanno così e così. Punto e basta.

E l’accordo?
Ma quale accordo! La Chiesa che fa accordi con un pezzo della Chiesa. Una contraddizione, Una impossibilità.
La Chiesa decide, la Chiesa stabilisce. E se la Fraternità San Pio X è eretica, la Chiesa la scomunica, se è scismatica, la scomunica… se invece non è eretica e non è scismatica, la Chiesa non fa altro che dire che è cattolica.
E se è cattolica, come lo è, la Fraternità San Pio X è lì, già bell’è pronta, con la sua struttura ecclesiastica, nata ufficialmente nella Chiesa e dalla Chiesa, con i suoi vescovi, con i suoi sacerdoti, con i suoi frati, con le sue suore, con i suoi monaci, con le sue monache, con i suoi fedeli, con le sue famiglie cattoliche, con le sue scuole cattoliche, con la sua vita cattolica.
È lì, è lì da quarant’anni, nonostante tutto, è lì a ricordare che la fedeltà alla Fede della Chiesa è un cemento e un lievito che accresce, che fortifica e che vince ogni deviazione e ogni avversità.
Basta il semplice buon senso: la Fraternità è lì, chiunque può riconoscerlo… e a maggior ragione la sua Santa Madre Chiesa.

E il Diritto Canonico?
Incredibile! Il Diritto Canonico! Ma basta cercare tra i suoi articoli e si troveranno cento modi per compilare un atto giuridico tale da sancire semplicemente la realtà. La Fraternità è lì e continua a rimanere lì, nonostante le possibili interminabili diatribe giuridiche e nonostante le volontà e le intenzioni di questo o di quello… e continuerà a rimanere lì nonostante la carta bollata.

E i vescovi?
Che domande! I vescovi sono semplicemente la Chiesa!
Non vengono dalla luna. Non sono un corpo a sé. Non sono un corpo estraneo, non sono i sindacalisti della Chiesa addetti alla (s)concertazione (!?).
I vescovi sono la Chiesa, e se la Chiesa stabilisce che la Fraternità è lì, ed è lì così com’è, i vescovi parleranno come parla la Chiesa.
I pregiudizi, le prevenzioni, le insofferenze, le male volontà… tutta roba umana, troppo umana. Tutta roba che non fa onore a un vescovo. E quand’anche il troppo umano rumoreggiasse, si agitasse, manovrasse, premesse… quale novità! È da 40 anni che questo accade ovunque e comunque nella quasi indifferenza generale e perfino con certi plausi… perché dovrebbe preoccupare solo adesso che si tratta della Fraternità?
D’altronde, che la Fraternità con i suoi vescovi, i suoi sacerdoti, i suoi religiosi e i suoi fedeli, meriti il motu proprio risolutivo del Papa è proprio perché da 40 anni non fa altro che perseverare nella Fede cattolica nonostante tutto questo, nonostante censure ed accuse… nonostante i vescovi… essa, grazie a Dio, è fornita degli anticorpi necessari per rintuzzare ogni attacco.

E il Concilio?
Già… il Concilio!
Il Concilio Vaticano II è quella cosa che tutti sanno dov’è e nessuno sa cos’è.
Già Paolo VI confessava che non ci capiva più niente… e con Giovanni Paolo II i documenti esplicativi si sono sprecati… mentre il card. Ratzinger andava scrivendo che la crisi della Chiesa partiva proprio dal Concilio con la sua riforma liturgica.
E Benedetto XVI, dopo 40 anni, ci spiega che il Concilio non l’ha capito nessuno, che bisogna reinterpretarlo.
È questo il Concilio di cui tutti si riempiono la bocca, avanzando la pretesa che la Fraternità debba prima di tutto riconoscerlo.
Incredibile! È da 40 anni che la Fraternità riconosce perfettamente il Concilio e lo riconosce con attenzione, con cognizione di causa, e nel riconoscerlo così bene, lo descrive e ne parla per quello che è, anticipando i timori di Paolo VI, le precisazioni di Giovanni Paolo II e le istanze interpretative di Benedetto XVI.
Se c’è qualcuno che in questi 40 anni ha avuto il coraggio di parlare del Concilio con chiarezza, con precisione, con in vista principalmente il bene della Chiesa e delle anime: questa è la Fraternità San Pio X.
Cosa mai dovrà riconoscere la Fraternità? … più di quanto abbia già riconosciuto in quasi piena assonanza con i fedeli, con tanti sacerdoti, vescovi e cardinali e con un gran numero di teologi seri?

Questa del riconoscimento del Concilio è una “sola”, come dicono a Roma: si dice “riconoscere il Concilio” e si intende dire “condividere tutte le storture di questi 40 anni”. Si dice “accettare il Concilio” e si intende dire “accettare che la crisi della Chiesa si incancrenisca”.
Questo non può farlo una Congregazione religiosa come la Fraternità, semplicemente perché si vieta di farlo qualsiasi fedele autenticamente cattolico. Sarebbe come darsi una martellata sulle ginocchia o prenotare un posto riservato nella nona delle malebolge.

E i colloqui?
Questi famosi colloqui, che qualche purista cattolico vorrebbe far rientrare in una diatriba sul sesso degli angeli, non sono altro che la logica conseguenza di 40 anni di deviazioni e di equivoci: era indispensabile mettere i puntini sulle i… cosa doveva accadere di più?
Certuni speravano che la Fraternità si convertisse al credo conciliare, certi altri pretendevano che la Santa Sede, ascoltati i teologi della Fraternità, dichiarasse nullo il Concilio, scomunicasse i due papi precedenti… e magari “andasse a Canossa”… a Ecône!
Roba da matti! Certa gente vive davvero fuori dal mondo!
I colloqui servivano solo a parlare finalmente di ciò di cui non s’è mai potuto parlare… servivano a far crollare un tabù.
Vero è che di queste cose se ne parla, anche seriamente, da anni, ma è soprattutto vero che mai se n’è parlato a Roma, nella sede della Congregazione per la Dottrina della Fede… in maniera formale, con tanto di protocollo. Mai! Checché ne dicano certi amici che non smettono di difendere la Tradizione cattolica… ma a patto di trovarsi con le spalle coperte dalle carte bollate romane. Perché sembra che, per loro, difendere la Tradizione cattolica a proprio rischio e pericolo non sia molto cattolico.
Certuni di essi dicono che, in forza delle loro carte bollate, in questi ultimi dieci anni hanno parlato dei problemi sollevati dal Concilio, ma… se lo hanno fatto… tutto è accaduto nel più rigoroso segreto, perché non se ne sa proprio niente.
Solo con i colloqui fra Roma e la Fraternità è esploso il dibattito pubblico sul Concilio, e basterebbe solo questo per considerare positivamente i colloqui e ringraziare la Fraternità.

Poi ci sono di quelli che speravano che dai colloqui uscisse una Fraternità che sprezzatamente condannasse Roma come eretica e dichiarasse di ritirarsi sull’Aventino. Sono quelli che da anni cercano di togliere alla Fraternità il primato morale della resistenza cattolica, soprattutto perché nati nella Fraternità e come tutti i figli saputelli credono di saperne molto più dei loro padri. Senza contare che l’umana natura porta l’uomo a sentirsi e a volersi il primo della classe e a sperare di diventare importante agli occhi dei più.
Una vecchia storia, che andrà avanti fino a quando ci sarà il mondo. Anche qui tutto umano… troppo umano.

E poi ci sono ancora quelli che pensavano, non si sa bene perché, che questi colloqui avrebbero fissato dei punti fermi e che finalmente tutti avremmo saputo che l’ecumenismo è sì una cosa non cattolica, ma in fondo in fondo è pur sempre una cosa praticata da cattolici; che la libertà religiosa è veramente figlia dell’agnosticismo, ma in fondo in fondo è pur sempre ben vista in Vaticano; e avanti così.
Questi sono i più delusi di tutti, perché si son dovuti arrendere di fronte all’evidenza che la Fraternità è andata a Roma a parlare della dottrina cattolica con dei cattolici che pensano che questa dottrina venga sì da Dio, ma l’uomo fa anche la sua bella parte, perché l’uomo è l’unica creatura che Dio ha avuto per se stessa... potrebbe un uomo così non concorrere alla formazione della dottrina, come ha fatto il Vaticano II?
Suvvia… siamo seri… la dottrina si evolve con l’uomo… non è mica una mummia imbalsamata!
E la loro delusione è tanto più grande per quanto è risultato chiaro che una è la tradizionale dottrina cattolica predicata dalla Chiesa per bocca della Fraternità e altra è la moderna dottrina cattolica praticata a Roma da tanti cattolici in buona fede, ma male informati.

Comunque si voglia girare la frittata, la realtà è che la Fraternità è lì, e da lì ha mosso le cose in modo tale da far sì che si ripristinasse la liturgia cattolica, di cui oggi stanno beneficiando tutti…
e che da lì ha parlato in modo tale da far sì che tutti si appassionassero alla problematica del significato vero dei documenti conciliari e postconciliari, tutti: i buoni e i cattivi, quelli in buona fede e pure quelli in male fede.
Che da lì ha posto al centro dell’attenzione del mondo cattolico il bisogno di fare chiarezza sulla vita della Chiesa nel postconcilio e sulla necessità di correggere le tante deviazioni pastorali e dottrinali praticate da vescovi, cardinali e papi. Ed è esattamente questa Fraternità che Roma ha già riconosciuto come valida interlocutrice per affrontare questi problemi, ed è quella stessa Fraternità che Roma dovrebbe coerentemente riconoscere formalmente che esiste … se necessario con tanto di carta bollata.

Questo della carta bollata è un problema della Santa Sede, è il Vaticano che, giustamente, parla con gli atti ufficiali, e questi atti ufficiali li compie solo il Vaticano stesso.
Lo faccia allora: sancisca che la Fraternità è lì, che esiste da 40 anni, che da 40 anni fa il proprio dovere cattolico, lo sancisca e basta, non solo non serve niente, tranne qualche ufficiale di Curia che batta a macchina un foglio, ma il suo atto costitutivo la Fraternità ce l’ha già… ed è a Roma…basta tirarlo fuori dal cassetto in cui lo fece improvvidamente cacciare Paolo VI.

Ma questa è una supposizione, una supposizione basata sulla speranza, ma una supposizione.

Compirà il Vaticano questo passo?
Vorrà davvero porre fine a 40 anni di lacerazioni?
Riuscirà pacificamente a chiamare cattolici i cattolici ed eretici gli eretici?
Opererà questa svolta decisiva verso il riordino di una Chiesa che è come una barca che fa acqua da tutte le parti?

Dio lo voglia!
14 settembre 2011
[Fonte: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV202_Il_14-sett-2011_e_la_carta_bollata.html]