Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 8 ottobre 2024

L’eredità duratura di mons. R. H. Benson: una breve risposta al professor Eamon Duffy

Riprendo da Radio Spada un eccellente articolo di Luca Fumagalli.

L’eredità duratura di mons. R. H. Benson: una breve risposta al professor Eamon Duffy

Poco più di un mese e mezzo fa, precisamente il 15 agosto, il «Tablet», settimanale del cattolicesimo britannico di marca progressista, ha pubblicato un articolo intitolato The scourge of the Modernists (“il flagello dei modernisti”, recuperabile qui: https://www.thetablet.co.uk/features/2/24719/the-scourge-of-the-modernists-). Tratto da una conferenza di Eamon Duffy, il pezzo è dedicato a mons. R. H. Benson e a quello che oggi è probabilmente il suo romanzo più celebrato, ossia Il Padrone del mondo, dato alle stampe per la prima volta nel 1907.

Per farla breve, nel libro si racconta di un ipotetico futuro in cui la fede è quasi del tutto scomparsa, sostituita dal laicismo, e la pace globale è garantita dall’abilità e dal carisma di un politico straordinario, Julian Felsenburgh, le cui origini rimangono avvolte nel mistero. Tuttavia non passa molto tempo prima che quest’ultimo autorizzi la sistematica persecuzione dei cristiani, dimostrando di essere nientemeno che l’Anticristo. L’unico che gli si oppone è un umile sacerdote, Percy Franklin, ritrovatosi a guidare l’ultima comunità sopravvissuta.

Duffy, professore emerito di Storia del cristianesimo presso l’Università di Cambridge ed ex presidente del Magdalen College, accusa Il Padrone del mondo di essere «l’incarnazione di un cattolicesimo chiuso e soffocante che non ha alcuna fiducia nella democrazia, nella scienza e nella teologia accademica, e che insiste sull’uniformità e la sottomissione». La sua tesi è che il libro si faccia promotore di una concezione della Chiesa ormai superata, legata a doppio filo alla figura di San Pio X e alla sua aspra lotta nei confronti del modernismo: «Al pari di tutti gli altri romanzi di Benson, esso rappresenta un’ecclesiologia autoritaria e clericalista, e consacra una visione megalomaniaca del papato». «Tra gli altri effetti», continua il professore, «il papato è portato a favorire i regimi politici autoritari e reazionari e a scoraggiare le aspirazioni secolari a riformare la società».

Per Duffy la Chiesa che emerge dalle pagine de Il Padrone del mondo sarebbe dunque un’Ecclesia Militans che non ha più nulla a che spartire con il cattolicesimo attuale, il cui spirito di apertura e di confronto è figlio del Concilio Vaticano II e di documenti quali Gaudium et Spes. Ne consegue che una narrativa simile a quella di Benson oggi risulta obsoleta se non addirittura deleteria.

Per quanto riguarda l’ecclesiologia del monsignore, ciò che Duffy sostiene è sostanzialmente vero (al di là dei toni forzati e delle esagerazioni funamboliche). L’ottimo gesuita Martindale, primo biografo di Benson, era arrivato persino a notare una netta somiglianza tra l’aspetto di Percy Franklin, così come viene descritto nel romanzo, e quello di San Pio X. Ne Il Padrone del mondo, poi, l’eresia modernista viene menzionata esplicitamente come una delle cause che ha spinto svariati ecclesiastici e intellettuali a lasciare la Chiesa, smaniosi di stare al passo con i tempi; inoltre, più in generale, viene narrata una disfida senza quartiere tra Bene e Male che non conosce attitudini dialoganti o compromessi.

Né va dimenticato un semplice dato biografico, vale a dire che la parabola da cattolico di Benson – conversione dall’anglicanesimo, ordinazione sacerdotale e impegno apologetico – si compì quasi tutta sotto il pontificato di Papa Sarto, il quale, per inciso, volle nominarlo ciambellano papale anche in virtù del suo impegno per la buona battaglia. E, ammesso e non concesso, come sostiene Duffy, che il monsignore ricevette un’educazione in seminario lacunosa, che la sua attività di narratore e predicatore puntava più a sollecitare l’emozione che la ragione, e, in ultimo, che la sua passione per le storie di fantasmi e l’occulto può lasciare perplessi, ciò non toglie nulla alla sincerità della sua adesione alla linea promossa da San Pio X, cosa che non possono fare nemmeno una storia personale abbastanza travagliata, alcune amicizie che a taluni possono sembrare sembrare poco raccomandabili o una famiglia non proprio irreprensibile (particolari su cui Duffy indugia nell’articolo con malcelata malizia, ma che al limite possono mettere in discussione la moralità del monsignore o di chi gli stava intorno, non la sua posizione teologica o la produzione letteraria).

Del resto, quanto ha scritto è lì a dimostrarlo, e non a caso la lista degli estimatori dei suoi lavori è piuttosto lunga e certamente non comprende solo “reazionari”.

Tornando alla questione ecclesiologica, pure l’ermeneutica della discontinuità evocata da Duffy non fa una piega. Che con il Concilio Vaticano II ci sia stata una rottura verticale rispetto al passato anche Radio Spada lo sostiene da tempo, ma, a differenza del professore, noi non ne siamo affatto contenti e ne prendiamo atto con sofferenza, tanto che l’obiettivo su cui si fonda il nostro progetto (blog e casa editrice) è proprio quello di combattere il neomodernismo dilagante, promuovendo la messa romana ovvero “vetus ordo” e la sana dottrina di sempre. E quando Duffy chiude il pezzo credendo di fare della facile ironia – «Nei termini impiegati da Pio X e Benson, ora siamo tutti modernisti» – non si rende conto di stare sottolineando quella che per noi è semplicemente un’ovvietà.

Comunque, al netto di quanto espresso sino ad ora, il passo falso più grossolano che il professore compie, e che finisce per creare un cortocircuito nel suo stesso ragionamento, è quello di ignorare totalmente il punto centrale de Il Padrone del mondo, l’aspetto che, tra le altre cose, può rendere il romanzo gradito a Ratzinger, a Bergoglio e a molti altri che non nutrono alcuna simpatia per l’antimodernismo di Papa Sarto.

Difatti, ciò che ha spinto Benson a mettere mano al suo bestseller è stato innanzitutto il desiderio di mostrare al lettore, nella forma di una narrazione che sfocia nella satira, i pericoli connessi al cosiddetto “umanitarismo”, il nuovo pensiero unico dominante, che altro non è se non il peccato per eccellenza, quello che fu anche dei Progenitori: la pretesa dell’uomo di sostituirsi a Dio. Il «Non servirò» del demonio è dunque il motto del mondo distopico immaginato da Benson e, come ricorda il filosofo Augusto Del Noce – che ebbe a lodare la forza profetica del romanzo – «la secolarizzazione cerca la propria giustificazione ultima nel porsi come strumento, unico strumento, di liberazione e di emancipazione umana da ogni forma di alienazione e di servitù».

Il legame con l’oggi emerge nel momento in cui l’autore individua quale male della modernità non tanto specifiche ideologie quanto questa sorta di religione spuria, senza Dio, che fa appello a istanze tipiche del cattolicesimo per svuotarle dall’interno, pervertendole nel significato: come la tolleranza religiosa si tramuta in laicismo, anche la carità diventa una solidarietà generica e senz’anima. É un sovvertimento progressivo, lento e silenzioso, teso a ridurre tutto a un livello meramente umano. («L’umanitarismo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sta per divenire esso stesso una religione, una religione però antisoprannaturale: è panteismo. Sotto l’influenza della massoneria sta perfezionando il suo rituale e ha anch’esso un suo credo: l’uomo è Dio»). Ben presto pure la sua patina pacifista si sgretola per lasciare posto all’intolleranza e alla violenza.

Il mondo tracciato da Benson obbedisce a una filosofia agnostica per cui l’inconoscibilità del divino apre le porte al relativismo morale. Il nuovo umanesimo, questa volta corrotto, è quindi l’esaltazione luciferina dell’egoismo, dell’elevazione dell’uomo a re e giudice di se stesso. Tale ribaltamento valoriale è esemplificato in uno dei brani più inquietanti del libro, in occasione di un drammatico incidente, quando ai moribondi non si è in grado di fornire altra consolazione che l’eutanasia di stato.

Allo stesso modo la pace universale è l’esito di un’obnubilazione collettiva, di un diffuso disinteresse verso qualsiasi ricerca di senso e significato; nel momento in cui i personaggi si confrontano seriamente con le aspirazioni del loro animo, scoprono un vuoto così incolmabile da rendere desiderabile persino la morte. Uccidere Dio, in altre parole, ha significato il suicidio collettivo.

È per tutto questo che Il Padrone del mondo è destinato ad essere perennemente attuale, perché parla del cuore dell’uomo e delle tentazioni terribili che lo attraversano, sempre le stesse sin dall’alba dei tempi. Ed ecco spiegato il presupposto del suo clamoroso successo e il motivo per cui è riuscito a vincere la stima di una schiera di lettori cha hanno saputo apprezzarne le infinite sfumature. La questione ecclesiologica sollevata da Duffy, sebbene importante, rimane pertanto in secondo piano ed è tutto sommato trascurabile rispetto a quello che è il cuore del libro (sarà invece approfondita dal monsignore nel romanzo L’alba di tutto, pubblicato nel 1911, per certi versi una versione speculare de Il Padrone del mondo). Il non accorgersene porta fatalmente a fraintendimenti clamorosi che finiscono per fare una grave torto a un simile capolavoro dell’apologetica cattolica.
Luca Fumagalli, 6 ottobre 2024

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Agli Italiani....
Padre Jozo Zovko

"Veramente voi più di altre nazioni avete distrutto la famiglia. Anche altre ma voi di più. Avete perso le abitudini cristiane. Natale e altre feste sono folclore… Molte vostre famiglie sono divorziate. Molti convivono. Voi senza prezzo avete venduto la fede, il matrimonio, la famiglia, capite? Voi avete preso molto dai pagani.
Molti di voi non vanno in chiesa più. Non sentono il bisogno di sposarsi come cristiani, di pregare insieme, di leggere la Bibbia come parola del Signore"

M.Angheran ha detto...

Padre Jozo , certo..
Tutto fa brodo , vero Mic?

Anonimo ha detto...

Fuori tema: ritorno dopo molto in questi lidi virtuali a leggere vecchi post e mi viene da condividere una riflessione:

Lontani sembrano (per fortuna) i tempi in cui i cattolici della Tradizione cascavano nella trappola dei Giuliani Ferrara e simili, che cercavano di guadagnar quelli alla causa neoconservatrice americana, gabellata per Guerra Santa e/o Scontro di Civiltà. Bravi, me ne compiaccio.

mic ha detto...

Personalmente non ho un'esperienza positiva di padre Jozo. Quando ho tempo la condividerò...
Non è che tutto fa brodo. Semplicemente quelle parole segnalate mi sono parse corrispondenti alla realtà.

Anonimo ha detto...

Don Luigi Maria Epicopo

La storia di Marta e Maria è l’eterna storia del conflitto che molto spesso abita la nostra vita: cos’è più importante fare o essere? In realtà c’è bisogno di entrambe le cose, ma il rischio che corre Marta è quella di rimanere in ostaggio semplicemente delle cose da fare perdendosi forse la cosa più importante: chi sono veramente? Che senso ha quello che faccio? Maria seduta ai piedi di Gesù non rappresenta una perditempo così come dice Marta. Solo quando si ha chiaro qual è il motivo per cui la vita vale la pena allora ha senso vivere e fare le cose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». Oggi il Vangelo sembra suggerisci che dobbiamo avere il coraggio di farci questa domanda: chi sono veramente? Qual è il motivo per cui faccio le cose? Ho chiaro qual è la parte migliore che non mi sarà tolta? Vivere una vita spirituale non significa dire delle preghiere per convincere Dio a farci avere una vita più fortunata. Vivere una vita spirituale significa imparare come Maria a metterci in ascolto di Gesù affinché egli possa farci avere sempre chiaro qual è l’essenziale per cui vale la pena vivere. Chi ha chiaro il motivo per cui vivere può allora vivere tutto, anche le cose più difficili, anche le cose più faticose. Non si tratta quindi di avere fortuna, si tratta di avere un motivo. È questa è la parte migliore che Maria si è scelta e che non le sarà tolta.

Tra il dire e il fare ha detto...

Il rispetto per la vecchiaia occupava un posto d'onore nell'educazione spartana. In un'occasione, durante i giochi olimpici a cui partecipavano varie nazioni della Grecia, si presentò un anziano che iniziò a percorrere le gradinate, piene di persone, cercando dove sedersi.

Nessuno gli fece spazio fino a quando non arrivò dove si trovavano gli spartani, che, vedendolo, si alzarono immediatamente. Ne seguì un applauso generale e il vecchio, commosso, esclamò: —Tutti i greci conoscono la virtù, ma solo gli spartani la praticano.