Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 30 giugno 2012

Memorandum. Oggi inizia la Novena allo Spirito Santo fino all'8 luglio

Ricordo, per chi vuole partecipare in unione di preghiera, la Novena allo Spirito Santo, da oggi all'8 luglio prossimo, annunciata qui

Pietro de Marco. Liturgia e nuova traduzione della Bibbia. Problemi di recezione.

Lo scritto che pubblico - ritenendolo importante per il nostro percorso di approfondimento e di consapevolezza sulle derive postconciliari - è tratto dal Blog Settimo cielo di Sandro Magister, che così ne titola la presentazione: Troppo amore e poca grazia nella Bibbia tradotta dalla CEI. Ne riprendo l'essenziale:
La discussione sulle traduzioni del messale latino nelle lingue correnti, intrecciata a quella della Bibbia, si è particolarmente animata, in vari paesi, dopo la lettera scritta lo scorso aprile da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi a proposito delle parole della consacrazione del calice, con il papa decisamente a favore del letterale “per molti” invece del “per tutti” adottato da molte versioni postconciliari.
La nuova versione italiana del messale è in questo momento sotto l’esame della congregazione vaticana per il culto divino.
Intanto, però, è in vigore da cinque anni in Italia una nuova traduzione della Bibbia che è già all’opera nelle letture, nei salmi responsoriali e negli altri testi biblici della messa.
Ed è contro questa versione che De Marco avanza serie obiezioni.

Liturgia e nuova traduzione della Bibbia.
Problemi di recezione
  1. Ignoro se sia comunemente noto, tra i fedeli, che da quasi cinque anni usiamo nel culto e in ogni pubblico evento o documento ecclesiale una nuova versione italiana ufficiale della Bibbia, il cui iter di approvazione era terminato il 21 settembre 2007, per essere affidata, per dire così, dalla CEI alla comunità italiana il successivo 4 ottobre. Chi abbia la ventura o decida occasionalmente di seguire la messa ordinaria, in italiano, con un messale non aggiornato viene sorpreso nel vivo dell’azione liturgica (che è sanzione della “lex credendi” e preghiera efficace secondo la “lex orandi”) dalle novità di traduzione.

    Se una ricerca, non difficile, evidenziasse che il fedele comune non sa di leggere un nuovo testo (non della Bibbia ma della sua traduzione: è ovvio, però gli andrebbe chiarito), dovremmo imputarlo ad una inadeguata “transizione” dal vecchio al nuovo nella pastorale ordinaria, parrocchiale anzitutto.

    Non solo. È anche mancato, credo, uno strumento agile, essenziale ma anche sostanzioso, che facilitasse i parroci, quelli non dotati in proprio di attenzione e cultura esegetica, nell’individuare i luoghi dell’Antico Testamento (nella liturgia specialmente i salmi) e del Nuovo, significativamente toccati dal lungo lavoro di revisione, e darne conto ai catechisti, ai lettori, ai fedeli. “Per incidens”, lo scadere del primo quinquennio (4 ottobre 2012) potrebbe favorire un rilancio di attenzione e un consuntivo degli effetti del nuovo testo.

    So che dal moderno pastoralismo si argomenterà che nel vissuto liturgico tutto si fonde, e che la lettera di ciò che si ascolta o pronuncia – da supporre benefica comunque perché detta “più fedele agli originali” – è meno importante dell’atto partecipativo. Ma una visione meno ottimistica e non pragmatistica (molto liturgismo ha una visione tecnicamente pragmatistica, non misterica, del rito) opporrà che oggi è così esile l’attenzione prestata alla “lex credendi”, cioè ai significati di fede di ciò che nella messa si proclama o si ascolta proclamare per assentirvi, che qualsiasi cosa ci venga detta o fatta dire “va bene”, purtroppo. L’abitudine di alcune parrocchie, e di ambienti non parrocchiali, a riplasmare la liturgia per conto proprio, a infiorettare e interpolare od omettere, a intercalare commenti occasionali o soggettivi, non fa che liquidificare il delicato organismo della “lex orandi” nella sua natura di continua confessione di fede, in sé non alterabile.

    La questione del “per molti” o “per tutti” nella formula della consacrazione, che implica la responsabilità non di parroci o gruppi poco controllabili, ma di episcopati e di organi centrali, è solo un vertice di questo procedere senza un corrispettivo didattico, come evitando l’onere e il rischio di una spiegazione, cui invece è tenuta l’innovazione legittima e autorevole, proprio in quanto tale.

    Non parlo di giustificazioni; la “ecclesia docens” non deve “giustificare” presso nessuno atti che discendono dalla sua sollecitudine per la fede, avendo l’autorità e la garanzia dello Spirito per esercitarla. Diversamente il parroco o la piccola comunità, che non sono “ecclesia docens”. È però necessario, come conseguenza dell’atto legittimo, un momento didattico che trasformi la forma nuova in assenso, avvertito e ragionato, alla ricchezza delle “duae leges”.

    Ora, nell’ambito della vita liturgica e della sua pastorale, l’impressione di chi ha vissuto, da adulto e in maniera dottrinalmente vigile, gli ultimi quarant’anni è che i “riformatori” quanto più erano decisi tanto più abbiano proceduto per fatti compiuti, rispetto alla maggioranza dei fedeli e del clero. Per non innescare lungaggini e controversie, ma sovente anche per evitare la delicatezza teologica di alcune “spiegazioni”.

    Per di più l’argomento storico-liturgico, spesso invocato nel variare e abolire, non convince, anzitutto perché la liturgia cresce, come la Tradizione, attorno a un nucleo inalterabile e generatore. E nessuna “abolizione” di aggiunte e innovazioni, anch’esse secolari, è dunque buona a priori. Neppure nel restauro artistico o architettonico si procede più con questo criterio, nonostante l’originale abbia sicuramente valore in sé e per sé. La liturgia vivente non è un’opera d’arte dell’antichità cristiana. Sembra invece che questa sia la “communis opinio” dei liturgisti.
    Ma ci si deve opporre all’archeologismo liturgico, come a quello esegetico, per una ragione più pungente: ogni “ritorno alle origini” è potentemente ideologico; intende colpire qualcosa o molto del nostro presente e affermare qualcos’altro al suo posto. Finché non si dichiara cosa si vuole “colpire”, cosa sostituire e perché, con forti ragioni teologiche valide per se stesse, e con responsabilità ecclesiale, ogni operazione “archeologica” indurrà, sempre più, nella Chiesa, sospetti di arbitrio e di illegittimità sull’intelligencija che ne è protagonista. Coloro che celebrano la “comunità” e la “democrazia” nella Chiesa si dimostrano spesso autoritari, secondo una costante propria delle avanguardie che i politologi conoscono bene. Senonché la lunga e ormai stagnante stagione postconciliare dell’assorbimento acritico o passivo di scelte teo-ideo-logiche, proposte o imposte “in nome del Concilio”, è finita.

  2. S’intende che esiste una scienza liturgistica maggiore e minore; esistono trattati, saggi, riviste e una mole di strumenti divulgativi e didattici; ma erano letti specialmente trenta o quaranta anni fa. Le ultime generazioni adulte di laici e preti vivono una cultura liturgica data per scontata, sotto il segno di una significatività partecipativa così marginale rispetto alla fede (alla “fides quae”, alla dottrina di fede) che tutto passa ed entra in circolo, da parole nuove nelle letture a novità nell’impalcatura dell’”ordo missae” (con preghiere che di fatto scompaiono: vedi il caso del “Confiteor”).

    E per fortuna non si sono toccate ulteriormente le preghiere liturgiche classiche (le antifone, le collette, i grandi prefazi ecc.), che dicono ancora chiaramente quello che si tenta di non far più dire alla Scrittura. Ma, quando tutto passa, niente o quasi di ciò che cambia viene recepito dai fedeli per ciò che, veramente, l’innovazione legittima intende significare o ottenere. Ora, questa mancata recezione nel comune fedele può anche esser stata provvidenziale; sia detto brutalmente, pensando agli eccessi dell’attuazione della riforma liturgica: meno convinzioni azzardate e discutibili in giro. Ma non può durare così; tutto va ripreso saldamente in mano da Roma.

    Un esempio. Nel seguire il rito della messa della Santissima Trinità col mio vecchio messale quotidiano (Ed. San Paolo, 1994) sono stato colpito, ancora una volta, dalle varianti nei brani scritturistici. La questione delle varianti mi aveva appassionato fin dalla pubblicazione del nuovo Lezionario. Il salmo responsoriale (dal salmo 33, nella Vulgata 32) contiene dati interessanti, purché si colgano: per due volte al precedente “grazia” è sostituito “amore”: “chi spera nel tuo amore” (v. 18); “su di noi sia il tuo amore” (v. 22). Le traduzioni prevalenti dell’ebraico “hesed” sono state nei secoli “misericordia” (”mercy” nella Bibbia di re Giacomo, sull’autorità della Vulgata; non molto diversamente Lutero, che ha “Güte”, benevolenza). Appare “Gnade”, grazia, nelle versioni tedesche di Ottocdento e Novecento (e “gratuité” in una diffusa Bibbia protestante francese, quella del Martin). “Gratia” viene adottato dalla revisione latina della Vulgata (ilNovum Psalterium del 1946; solo per il v. 18) e passa nella prima traduzione ufficiale CEI. Castellino (1955) preferiva “pietà”. Trovo “amour” nella versione Tournay e Schwab, rivista con la collaborazione di Gelineau e Chifflot (Les Psaumes, 1955), per la “Sainte Bible” in volumetti separati detta poi “Bibbia di Gerusalemme”. Così anche nelle versioni non francesi di questa diffusa traduzione. Compare “love” nella autorevole “New English Bible with Apocrypha”, Oxford, 1970. In un suo classico lavoro del 1949 Asensio sentiva in “hesed” la nota ultima di “amor tierno y benéfico”, ma anche un significato costante di “sostegno” cui affidarsi. Dahood vi sottolineava la consistenza del “rampart”, del terrapieno o muro di cinta. Il prezioso volume di accompagnamento alla nuova versione ufficiale CEI (”La Sacra Bibbia. Introduzione e note”, CEI, 2008) su questo punto non ha informazioni, dando forse la cosa per scontata. Ma anche “misericordia”, anche “grazia” erano apparsi al loro tempo scontati.

    La scelta di rendere nel salmo 33, 18.22 “hesed” come “amore” avrà certo le sue ragioni. Oggi, però, calata nei nostri contesti pastorali e liturgici, non ha un suono forte ma piatto; sembra piuttosto l’eco di un’omelia standard ove di grazia non si parla quasi più (così avviene anche nella letteratura teologica) e troppo di amore di Dio, sperperando una nozione, mescolandone sensi umani e divini, infine oscurandone la realtà. Una scelta di vocabolario, dunque, che, assieme ad altre traduzioni nuove non corredate di buone spiegazioni teologiche, “cade male”, mi permetto di dire.

  3. La comune lingua ecclesiale è tentata, infatti, da un fideismo semiquietista, cui corrisponde uno spazio massimo e sregolato rivendicato alla libertà delle persone, anzi dei corpi. D’altronde, se l’azione non si incontra con la legge di Dio, se non coopera con la grazia nella legge, ma tutto riceve dal suo amore, ciò che cristianamente operiamo è solo supererogatorio. Un così copioso parlare di amore appare coerente, piuttosto, con la scomparsa del tema del peccato nelle spiritualità diffuse e nella catechesi, come nell’esile cultura di giovani teologi e teologhe (1). E la vita cristiana si assimila al cieco attaccamento del lattante al petto della madre; bello, ma falso.

    Mi rendo conto di inseguire delle derive in atto con preoccupazioni che possono apparire contraddittorie. Ma, per restare ai nostri esempi, si deve temere, da un lato, che la grazia scompaia di fronte all’amore, e, dall’altro, che la grazia sia accentuata in un uso inconsapevolmente predestinazionista (2). Sono due errori estremi, in direzioni opposte. Dove e come, invece, convergono?

    Il “come” è nella liquidificazione filosofica del dogma (Antonio Livi ha profondamente ragione in questo), per cui eresie opposte, svuotate della loro determinatezza teologica, semplicemente si sovrappongono, come l’enciclica “Pascendi” di san Pio X aveva colto nel modernismo classico, definito “sintesi di tutte le eresie”. E siamo, nella cultura cattolica, da oltre un quarto di secolo in clima tecnicamente neomodernistico; questo non detto genericamente, ma guardando a coordinate teoriche spesso esplicite, esibite: antidogmatismo, antirazionalismo, primato dell’esperienza e della filosofia religiosa o mistica ma anche esegesi scientifica elevata a risultato teologico; monismo spiritualistico, spinozismo, ma anche concezione della comunità di tipo gnostico; mito dell’uomo moderno ma anche filo-orientalismi nihilistici.

    Il “dove” è quel punto di convergenza per cui, se la grazia è l’amore (senza ulteriori determinazioni teologiche), l’atto amorevole di salvezza non solo non ha bisogno della nostra “bona voluntas” (questo è in sé, ontologicamente, vero) ma la nostra stessa “bona voluntas” perde ogni significato (e questo è falso, persino per le teologie calvinistiche classiche). Non vi è, di conseguenza, peccato; ma senza il peccato a che la grazia?

    A riprova, la dialettica peccato/grazia è quasi scomparsa dal linguaggio ordinario della pastorale. Con una premessa nell’apparentemente innocuo: il linguaggio della messa ha rinunciato alla profondità cattolica del tradizionale “ma di’ soltanto una parola e l’anima mia sarà risanata”, che alludeva alla dialettica quotidiana della caduta e della “sanatio”, per un “e io sarò salvato” assoluto, di risonanza protestante ma senza la corrispondente drammaticità, quindi astratto e automatico. Si aggiunga la liquidazione dell’anima.

    Si ha l’impressione di un che di maniacale, di distruttivamente illuministico, nella mente di chi ha poteri, nelle diverse sedi, sulla prassi pastorale e liturgica. Perciò anche ci si trova costretti a riaffermare ad un tempo la grazia di fronte all’amore (indeterminato, modernistico), e la libertà e peccabilità individuali, quindi la responsabilità, di fronte alla grazia indeterminata, modernistica, senza riprovazione né inferno. Nel magma una nuova e antica chiarezza, dunque, che si otterrà solo con il ritorno alla rigorosità dogmatica.
NOTE
(1) Non dovrebbe essere ammesso, per chi abbia o solo aspiri a gradi accademici in teologia, fregiarsi dell’appellativo di teologo, che implica una formale assunzione di responsabilità verso il “depositum fidei” e il magistero.
(2) Virtualmente predestinazionista, nonostante la virgola, è l’uso incauto della traduzione “agli uomini, che egli ama” o “agli uomini del suo amore” al posto del bimillenario “hominibus bonae voluntatis” proclamato in Luca 2, 14; specialmente se fatta assimilare con la recita del “Gloria” senza spiegare la scomparsa di una formula così forte e significativa come “uomini di buona volontà”. Si è avuta la saggezza di non eccedere, e il “Gloria” liturgico conserva la classica dizione “buona volontà”. Ma tutto messo in atto, e un po’ subíto, piuttosto che spiegato, anzi adeguatamente ragionato.
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[Fonte: Blog Settimo cielo]

venerdì 29 giugno 2012

Mons. Fellay oggi a Ecône: «siamo al punto di partenza»

Riprendiamo da Rorate Caeli. Il testo tradotto conserva tutta l'enfasi e la struttura del discorso parlato (ho migliorato il testo dall'ascolto diretto dell'originale in tandem con Luisa) :

Il Superiore Generale della Fraternità San Pio X , il Vescovo Bernard Fellay, questa mattina a Ecône, in Svizzera ha ordinato sacerdoti e diaconi. Nel suo sermone, ha incluso alcuni commenti sulla situazione attuale delle relazione tra Roma e la FSSPX :
«Nel celebrare la festa di san Pietro e san Paolo, non possiamo non pensare a Roma. E non possiamo dimenticare l'amore che aveva per Roma il nostro fondatore, e che avrebbe voluto e che voleva inculcare nei suoi figli. Siamo Romani! E questo non possiamo lasciarlo andare! Anche se viviamo in tempi difficili, anche se dobbiamo soffrire a causa della Roma di oggi, questo non può affatto offuscare questo amore vero, effettivo e affettivo per Roma, perché era il buon Dio colui che ha scelto questa città per essere capo della Chiesa. Questo non significa che noi amiamo gli errori, no davvero, ne soffriamo. Ma non dobbiamo lasciarci disgustare da quello che succede, fino al punto di rinunciare. No, è necessario resistere; che è quello che cerchiamo di fare.
Certamente, mi chiedete, 'Cosa sta succedendo a Roma'? Se fino ad ora non abbiamo detto quasi nulla, è perché non abbiamo molto da dirvi. Fino ad ora, le cose sono in una fase stagnante, si può dire, o addirittura ad un punto morto. Nel senso che ci sono stati va e vieni, scambi, corrispondenze, proposte, ma siamo al punto di partenza. Il punto di partenza in cui avevamo detto di non essere in grado di accettare, né di firmare. Siamo qui, questo è tutto. Si vede bene da una parte ciò che rende complicata questa situazione. È già da due o tre anni che lo dico che ci troviamo a Roma davanti alla contraddizione. È dal 2009, che lo lo ripeto, e si può dire che ciò si verifica ogni giorno. È la situazione della Chiesa, cosa volete? Ci sono coloro che tirano, che desiderano andare ancora più in là, possiamo dire, col progressismo e le sue conseguenze. Ci sono altri che vorrebbero fossero attuate correzioni. E noi, in mezzo, siamo diventati come una pallina da ping pong, che ognuno colpisce. Sappiamo che alla fine, alla fine, la Chiesa ritroverà di nuovo se stessa, e spetta a noi, a noi, mantenere nel nostro cuore la volontà di non soddisfarci di un certo comfort in una situazione che semplicemente non è normale. Non bisogna, in definitiva che, abituati ad avere più o meno tutto quello di cui abbiamo bisogno, si consideri la situazione nella quale ci troviamo come normale. Questo non è vero. Semplicemente non è vero. È normale che cerchiamo, con il rispetto per tutte le condizioni che sono necessarie, evidentemente, di recuperare questo titolo, che è il nostro, a cui abbiamo diritto, di cattolici. Questo non significa che dobbiamo prostrarci ai modernisti, non c'è niente a che vedere con questo.

Ma è una situazione difficile, difficile, tutto sembra elettrico, si vede chiaramente che il diavolo scatenato corre su tutti i lati. E quindi, questo è il momento della preghiera. È un momento difficile. Per noi, di noi, si dicono ogni sorta di cose. Caro Dio, l'unica cosa che desideriamo è fare la volontà di Dio, questo è tutto. La volontà di Dio si esprime in fatti. Per noi è chiaro che quest'opera che Monsignore ha fondato non si tratta comprometterla. È anche chiaro che non possiamo portare a tutta la Chiesa un bene se non rimanendo fedeli all'eredità di Monsignore. Da qui vengono queste famose, non so, "condizioni", "assicurazioni", che abbiamo presentato più volte, che devono garantire che la Fraternità resterà quello che è. Se, in un certo momento, una collaborazione è concepibile, quando, come, le circostanze lo dimostreranno». ( Audio: DICI )

Credo in Gesù Cristo di Mons. Brunero Gherardini

Il Cristo Pantocrator domina la copertina del libro Credo in Gesù Cristo. Meditazione teologica sul Cristo della Chiesa di Monsignor Brunero Gherardini (Edizioni VivereIn, Roma 2012, pp. 321, € 22,00). Il termine greco Pantocrator è la definizione della sostanza di Cristo e significa sovrano di tutte le cose. La sua mano destra è benedicente: il pollice e l’anulare si toccano, lasciando l’indice diritto, formando l’anagramma di Cristo XC IC; inoltre le due dita unite indicano la raggiunta unione in Cristo della natura umana e di quella divina.

Finalmente un libro nel quale si parla del Cristo della Chiesa e non del Cristo storico fortemente e forzatamente umanizzato da liberali e neomodernisti. Un libro che si inserisce molto bene in quello che sarà l’Anno della Fede, indetto dal Papa con il motu proprio Porta Fidei che inizierà l’11 ottobre 2012. Alla fine degli anni Settanta gli editori presero, sull’onda dello spirito del Concilio, a pubblicare opere protestanti e «teologastri, teologhesse, improvvisatori vari ed un buon numero di pastori» erano attentissimi a quei volumi alla moda che presero come modello la metodologia storico-scientifica, abbandonando quella della tradizione teologica-dogmatica: fu privilegiata la storia della salvezza e sotto l’angolatura di quest’ultima sorse la cristologia dal basso, sostituendola a quella dall’alto.

La figura del Salvatore, ma anche quella di Maria, venivano portate ad una dimensione antropologica e sociale. Il Cristo della storia si contrapponeva al Cristo della Fede. Gherardini, con questo capolavoro,  ristabilisce l’ordine e le lancette teologiche abbandonano il quadrante  critico-scientifico per riposizionarsi su quelle della vera scienza biblica e sull’atto di Fede. Anzi, l’autore parte proprio dall’atto del Simbolo Apostolico, analizzandone parola per parola, proprio per essere aderente al vero Cristo, senza griglie liberali. È il Signore Gesù letto con la lente della Tradizione e «non secondo l’ermeneutica di questa o quella corrente, di questo o quell’autore, ma secondo l’insegnamento della Chiesa».

Ecco che la Professione di Fede diventa la cartina di tornasole di chi realmente ha abbracciato la Chiesa: ogni asserto del Credo, che ogni domenica recitiamo nella Santa Messa, viene da Gherardini sondato senza pregiudizi e senza acrobazie creative: c’è l’approfondimento, c’è l’arricchimento di ciò che esiste. Nulla è inventato. Nulla è rivoluzionato. Dall’esame emerge il vero Cristo della Chiesa senza plessi protestantizzanti come, invece, sono incorsi tanti teologi affascinati più da quello che dicevano coloro che stavano fuori da Roma di ciò che si era sempre detto nella città dove erano approdati e dove erano stati martirizzati i santi Pietro e Paolo. Dopo la fiscale disamina del Credo, il teologo analizza il «Cristo del dogma» attraverso un’interessante osservazione dei diversi Concili che hanno sancito Chi è Cristo: Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (431), Calcedonia (451), Costantinopoli II (553) e III (680-681).

Dunque non un’ennesima opera cristologica, ma una straordinaria meditazione e contemplazione dell’immagine di Cristo che emerge dalla bimillenaria Chiesa fondata proprio dal Figlio di Dio. Siamo, allora, posti di fronte al vero Gesù della Fede, pensato e meditato dalla Teologia della Chiesa della Tradizione, il Gesù dei Cieli disceso in terra e non quello della terra elucubrato dai moderni saccenti. Ci ha rivelato Monsignor Gherardini: «L’ho scritto di getto ‒ tranne le parti riguardanti storia e pensiero altrui ‒ di getto e con l’impressione di scrivere sotto dettatura, tanto naturale e fonte di gioia mi è stato lo scriverlo. È un libro nato in brevissimo tempo» e in brevissimo tempo lo si legge, grazie alla sua fluidità e alla ricchezza, che rapisce, dei suoi contenuti.
(Cristina Siccardi)

Tranquillitas, Non Praevalebunt!

29 giugno, Santi Pietro e Paolo
... Umanamente parlando la situazione all’interno della Chiesa è “disperata”, ma quando si parla della Chiesa, che è il Corpo Mistico di Cristo, “l’umanamente parlando” è molto relativo rispetto all’onnipotenza assoluta di Dio che ha fondato la Chiesa. Questo non bisogna mai dimenticarlo, altrimenti rischieremmo di fare come coloro che di fronte allo scacco del Venerdì Santo si scandalizzarono di Gesù e persero ogni speranza. ..."



O Roma felix, quæ duórum Príncipum
Es consecráta glorióso sánguine!
Horum cruóre purpuráta céteras
Excéllis orbis una pulchritúdines.
V). Annuntiavérunt ópera Dei.
R). Et facta ejus intellexérunt.

Oratio
Deus, qui hodiérnam diem Apostolórum tuórum Petri et Pauli martýrio consecrásti : da Ecclésiæ tuæ, eórum in ómnibus sequi præcéptum; per quos religiónis sumpsit exórdium. Per Dóminum.

giovedì 28 giugno 2012

Segnalazione libro di Solideo Paolini sul «Segreto di Fatima»

Solideo Paolini, «Non esiste» perché distrutto? Il “Quarto Segreto”, l’antipapa massone e Fatima 2010. Pro manuscripto, primavera 2012, 132 pagine con 242 note, a offerta (orientativamente 13 euro).
L’opera fa il punto della discussione sul cosiddetto Quarto Segreto (ovvero, fuor di metafora, la parte inedita del Terzo Segreto di Fatima). Richiamando l’attenzione in particolare su tre questioni: che fine ha fatto quel testo (tranquilli, solo l’originale), che oggi non c’è ma ieri c’era; un suo «dettaglio» terribile, tra i vari motivi che hanno reso problematico il pubblicarlo; la revisione “ufficiale” iniziata dal Pontefice regnante tornando, umile pellegrino, dalla Madonna di Fatima nel maggio 2010 (dalla presentazione in anteprima a Gubbio, il 27 aprile, e poi a Chiaravalle, il 12 maggio).
[È desiderio dell'autore offrire il libro ai consacrati e chierici].

Il nuovo libro va richiesto direttamente all’autore, ad esempio tramite l’indirizzo di posta elettronica di riferimento: infoctm@cattolicitradizionalistimarche.org

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Estratti interessanti:

"...sull'ultimo conclave non è un mistero a Roma che è stato veloce e contrastato: non solo l'elezione non è stata moralmente unanime - a differenza di quel che all'inizio era stato detto - ma persino è stata accolta nella cappella Sistina da alcune vive (e condizionanti) reazioni di indocilità. Un alto prelato, e più fonti hanno detto cose convergenti, mi confidò che lì è accaduto (testualmente) l'indicibile" [p. 70]
[In effetti Benedetto XVI nella sua prima omelia ebbe a dire: "...pregate per me perché non fugga per paura davanti ai lupi..."]

"...va ricordata l'affermazione di un alto prelato della curia romana, che captai anni fa ...: la lettera in cui suor Lucia ha messo in guardia dal rischio di eleggere papa un massone. ... Un altro prelato mi ha confermato che l'elezione di un massone era una preoccupazione di suor Lucia nota, da tempo, in Segreteria di Stato. In una monaca di clausura dove può essere stata presa questa preoccupazione? Non penso proprio gliene parlasse il confessore o la madre superiora...

Un altro prelato ancora, ammettendo l'esistenza dell'inedito in questione [parte non pubblicata del segreto] e negandone l'autenticità soprannaturale, alla mia domanda se comunque tale testo parlava di un antipapa ha risposto con un cenno affermativo e le parole: 'Vedi che già lo sai?'

Sembra che anche un Pontefice abbia detto espressamente qualcosa in tal senso. La fonte è un ecclesiastico e anche altri mi hanno testimoniato frasi consonanti (se dobbiamo prendere automaticamente per buono quanto riferisce il card. Bertone - [versione ufficiale] - la stessa presunzione di affidabilità varrà per le testimonianze convergenti di questi altri ecclesiastici...). A un Papa sarebbe stato chiesto da un vecchio amico perché non facesse lui la consacrazione della Russia. La risposta sarebbe stata: 'Non me la fanno fare! Se la faccio mi ammazzano. E se mi ammazzano ora, viene il Papa massone'. [p. 73-74]

"Ha proprio ragione la Madonna a Fatima: i laici salveranno la Chiesa dai sacerdoti e dai vescovi" (così Padre Ignace de la Potterie s.j., noto esegeta e amico del card. Ratzinger in un'intervista ad Avvenire del 1996. Eppure l'asserita affermazione mariana non compare nelle carte di Fatima già pubblicate).

"...e che più tardi, in seguito a gravi sofferenze, la fede sarebbe tornata" (così il card. Oddi, che ebbe un colloquio con suor Lucia sul terzo segreto).
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[Fonte: Letturine 27 giugno 2010]

mercoledì 27 giugno 2012

CNS intervista Mons. Di Noia. Importanti risvolti per la Tradizione. Pozzo commissariato?

Mons. Di Noia nel 2010
a Roma, S. Trinità dei Pellegrini
È il punto della situazione ad oggi, dopo un altalenarsi di notizie, considerazioni e congetture su cui molti media si sono gettati con intenzioni più o meno obiettive e benevole nei confronti della Fraternità; ma è come dire dell'intera Tradizione. Ho voluto raccogliere in una sintesi tutti i dati ora a disposizione. Ci sono molte luci e anche qualche ombra (a voler approfondire alcuni possibili sviluppi in ambito liturgico). Avremo occasione di approfondire. Le conclusioni le lasciamo alla Provvidenza e alla buona volontà dei responsabili e restiamo, al solito, in orante attesa.


Dopo la doccia fredda delle sconfortanti notizie da Menzingen, sempre ieri, lo statunitense Catholic News Services pubblica un'intervista a Mons. Agostino Di Noia, l'Arcivescovo appena nominato Vice-Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, titolando esplicitamente : Il Papa chiama un Arcivescovo USA ad un posto nuovo col compito di aiutare le trattative con i Tradizionalisti.

Così esordisce l'articolo: «La nomina di un Presule di alto rango a tale incarico è segno della sollecitudine pastorale del Santo Padre per i cattolici tradizionalisti in comunione con la Santa Sede e del suo grande desiderio di riconciliazione con le comunità tradizionaliste non in unione con la Sede di Pietro»; riprendendo le parole del comunicato Vaticano del 26 giugno (Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede)

Riporto alcune delle dichiarazioni più significative dell'Arcivescovo:

«È possibile avere dissensi ed essere comunque in comunione col Papa» e i «dissensi non ci debbono tenere separati al Banchetto Eucaristico». «I testi conciliari non si devono leggere secondo il punto di vista dei liberali presenti al Concilio» ma vanno letti alla luce della Tradizione perché «se è lo Spirito Santo che guida la Chiesa i documenti non possono leggersi in disaccordo con quello che si è detto prima».

Nella nota Vaticana leggiamo che l'esperienza del Monsignore come Segretario alla Congregazione per il Culto Divino dal 2009 «faciliterà lo sviluppo di alcune condizioni liturgiche nella celebrazione del “Missale Romanum” del 1962». Del resto la Commissione Ecclesia Dei si cura della pastorale nei confronti dei Cattolici legati alla Liturgia tradizionale. Il Papa, nel 2009, l'aveva posta nell'ambito della Congregazione per la Dottrina della Fede proprio perché fossero meglio seguite e portate avanti le questioni dottrinali oggetto delle discussioni tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X.

Un'altra sottolineatura della Congregazione è che «il grande rispetto che l’Arcivescovo Di Noia gode nella Comunità ebraica sarà di aiuto nell’affrontare alcune questioni sorte nelle relazioni Cattolico-Ebraiche, mentre ha fatto progressi il cammino verso la riconciliazione delle comunità tradizionaliste».

Mentre il Cardinal Levada (del quale è imminente il pensionamento) rimane Presidente della Commissione e Mons Guido Pozzo continuerà a fungere da Segretario, questa nuova “figura” dotata di una inedita Vice-Presidenza e con obiettivi mirati, lascerebbe ben sperare in una conduzione più aderente ai desiderata del Santo Padre, ma soprattutto alle esigenze di una Tradizione per troppo tempo silenziata.

Dopo la lettera del 25 giugno, con la quale Don Christiano Thouvenot (Segretario Generale della Fraternità) si rivolgeva a tutti i Superiori della Fraternità per informare che Mons. Fellay riterrebbe “inaccettabile” l'ultima inattesa versione vaticana del preambolo consegnatagli il 13 giugno, in maniera del tutto inattesa, Mons. Di Noia nell'intervista a Catholic News Service dichiara che sarà suo compito far uscire tutti dal vicolo cieco. «Il dialogo teologico dura ormai da tre anni ma ora (il papa) sta sperando di trovare il linguaggio o la modalità per una riconciliazione. Siamo in una fase di trattative delicate e dobbiamo aiutarli a trovare una formula che rispetti la loro specifica integrità teologica. È vicina l'intesa finale, ma bisogna dare solo una piccola spinta».

Altra notazione interessante: come Sottosegretario della CDF, Mons. Di Noia si era personalmente occupato dei nuovi ordinariati, strutture speciali per i protestanti convertitisi al Cattolicesimo perché fossero in piena comunione col papa, pur mantenendo certi aspetti della loro tradizione liturgica e spirituale. E, in relazione al suo nuovo incarico, dichiara: «È possibile che (Papa Benedetto) avesse in mente quella soluzione ».

Novena allo Spirito Santo dal 30 giugno all'8 luglio. Per la Chiesa tutta.

Raccogliamo l'invito ad unirci alla Novena allo Spirito Santo dal 30 giugno all'8 luglio. Per la Fraternità da San Pio X e per la Chiesa tutta, per i responsabili delle trattative e per noi tutti.

La novena consisterà nel pregare il Veni Creator Spiritus con l'aggiunta di altre due invocazioni:

Cuore Immacolato di Maria, prega per noi. (3 volte)
San Pio X, prega per noi.


Veni, creátor Spíritus,
mentes tuórum vísita,
imple supérna grátia,
quæ tu creásti péctora.

Qui díceris Paráclitus,
altíssimi donum Dei,
fons vivus, ignis, cáritas,
et spiritális únctio.

Tu septifórmis múnere,
dígitus patérnæ déxteræ,
tu rite promíssum Patris,
sermóne ditans gúttura.

Accénde lumen sénsibus,
infúnde amórem córdibus,
infírma nostri córporis
virtúte firmans pérpeti.

Hostem repéllas lóngius
pacémque dones prótinus;
ductóre sic te prǽvio
vitémus omne nóxium.

Per Te sciámus da Patrem noscámus atque Fílium,
teque utriúsque Spíritum
credámus omni témpore.

Deo Patri sit glória,
et Fílio, qui a mórtuis
surréxit, ac Paráclito,
in sæculórum sǽcula.
Amen.
Vieni, o Spirito creatore,
visita le nostre menti,
riempi della tua grazia
i cuori che hai creato.

O dolce consolatore,
dono del Padre altissimo,
acqua viva, fuoco, amore,
santo crisma dell'anima.

Dito della mano di Dio,
promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni,
suscita in noi la parola.

Sii luce all'intelletto,
fiamma ardente nel cuore;
sana le nostre ferite
col balsamo del tuo amore.

Difendici dal nemico,
reca in dono la pace,
la tua guida invincibile
ci preservi dal male.

Luce d'eterna sapienza,
svelaci il grande mistero
di Dio Padre e del Figlio
uniti in un solo Amore.

Sia gloria a Dio Padre,
al Figlio, che è risorto dai morti
e allo Spirito Santo
per tutti i secoli.
Amen.

martedì 26 giugno 2012

Menzingen 25 giugno 2012. Don Thouvenot scrive una lettera circolare ai Superiori. Avrebbero forse già vinto i «lupi»?

Menzingen, 25 giugno 2012. Don Christian Thouvenot scrive una lettera circolare ai Superiori. Stralcio la parte informativa sullo status effettivo e tralascio il resto, per non suscitare commenti inopportuni, che non farebbero altro che intorbidare le acque già fin troppo agitate:
« [...] Come già sapete, il nostro Superiore generale aveva risposto alla lettera del 16 marzo del cardinal Levada che tentava d'imporre il Preambolo dottrinale del 14 settembre 2011. Con questo documento, in data 15 aprile, egli intendeva uscire dal vicolo cieco creato dal preambolo. Secondo parecchie fonti concordanti, il nuovo testo sembrava soddisfare il Sovrano Pontefice.
Il 13 giugno 2012 il card. Levada ha consegnato al nostro superiore generale il suo testo di aprile ultimo, ma emendato in maniera tale che esso ormai riprende, in sostanza, le proposte di settembre 2011. Mons. Fellay gli ha fatto subito sapere che non potrebbe sottoscrivere questo nuovo documento, chiaramente inaccettabile. Il prossimo Capitolo permetterà di fare il punto sull'insieme del dossier. [...] »

Nero su bianco quello che già appariva chiaro dall'ultimo comunicato della Santa Sede. Se è vero che a questo punto la palla è nelle mani di mons. Fellay, resta da spiegare la difformità di visuale da parte del Papa.

Sarebbe veramente triste ma anche sommamente drammatico se si verificasse che Benedetto XVI cedesse alle esigenze di coloro che non sono che l'espressione dell'odio progressista per la FSSPX e del conseguente rifiuto di vederla portare alla Chiesa il suo contributo nella salvaguardia della Tradizione, del sacerdozio e della sacra Liturgia.

A conclusione, faccio mio e integro questo commento di Luisa su MiL.
A parte condannare una nuova fuoriuscita di una corrispondenza privata, se quella lettera è autentica - e sembra esserlo - ciò significa che i membri progressisti e iperconciliaristi della commissione, acerrimi nemici della FSSPX (Levada in testa) rifiutando, modificando, aggiungendo nuove o altre pretese al testo di Mons. Fellay, che più fonti autorevoli avevano confermato già accettato dal Papa, sarebbero riusciti a far fallire 12 anni di trattative, sarebbero riusciti a convincere il Santo Padre a rinunciare a quella che per lui era un priorità del suo Pontificato.

Posso immaginare che in questo momento in cui gli scandali interni alla Curia hanno offerto al mondo un'immagine deleteria e detestabile della Chiesa, fatta di divisioni, tradimenti, ribellioni, lotte di potere e cordate nemiche, corvi e lupi, il Papa non abbia voluto aggiungere olio sul fuoco, che nel suo desiderio di ricompattare non abbia voluto correre il rischio di scontentare chi la FSSPX non la vuole ed è pronto a tutto pur di evitare il suo "rientro".

L'accordo con la FSSPX sarebbe dunque sacrificato sull'altare di un'unione-armonia-ricompattamento menzogneri e di facciata, fra persone che si detestano ma che hanno un punto in comune, l'odio della FSSPX e il terrore del suo "rientro", che accetterebbero quel "rientro" solo se certi di poter neutralizzare e asfissiare la FSSPX.

Se tutto ciò dovesse avverarsi sarebbe infinitamente triste, anche perché si tratta degli stessi pronti a sostenere ogni fantasia liturgica e dottrinale, anche ai limiti dell'eresia, se non eretica tout court, ma allergici alla FSSPX e alla sola idea che possa "rientrare" per dar man forte a chi già sta combattendo la buona battaglia per la salvaguardia della Tradizione, del Sacerdozio e della Liturgia, in una Chiesa nella quale è già penetrato l'errore; una Chiesa-patchwork, nella quale - se si dovesse malauguratamente arrivare ad un mancato accordo - c'è posto per tutto tranne che per la Tradizione autentica... E resterebbe da chiedersi se è più la nostra Chiesa, perché la "Roma eterna", così sfigurata, ha assunto sembianze non più riconoscibili. Ci siamo dentro, soffrendo; ma quella che dovrebbe essere la nostra casa non è più ospitale e ci respinge. È dura custodire la fedeltà in questa situazione paradossale e nefasta.

Ma non è ancora detta l'ultima parola. E speriamo che ogni nuova parola o azione sia guidata e ispirata dalla Provvidenza.
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[Fonte dello stralcio della lettera: Tradinews 26 giugno 2012] - Traduzione mia

lunedì 25 giugno 2012

L'Apologetica, questa sconosciuta...

« Non scrivo un'apologia, ma una chiarificazione perché la Chiesa, per difendersi, ha bisogno soltanto di esser conosciuta e presentata al mondo e alla storia quale Gesù l'ha realmente pensata e istituita. Tutto il resto che in qualsiasi modo la riguarda è irradiazione della sua vitalità e potenza redentrice, oppure difetto e tradimento di figli indegni, nei quali il mondo deve riconoscere e condannare soltanto se stesso ».
Queste parole sono l'incipit di un'opera di Padre Enrico Zoffoli Chiesa e uomini di Chiesa. Apologetica a rovescio, Ed Segno, 1994.

Mettiamo il testo, in formato pdf, [ vedi qui ] prezioso per chi fosse interessato sia a consultarlo che a scaricarselo. Esso è ormai introvabile nelle librerie, ma ora è qui, a disposizione di tutti, per donarci il respiro e gli insegnamenti della Chiesa di sempre, molto in tema con le nostre attuali discussioni.

A seguire pubblico una riflessione di un nostro carissimo lettore.


È vero: l'apologetica sembra qualcosa di « antico », di superato... Purtroppo, lo so per esperienza, anche nelle università il nucleo dogmatico (forse la parte più difficile della teologia) viene memorizzato a fatica, quasi fosse una sorta di matematica celeste da apprendere, dare l'esame e via...

C'è sforzo di memoria, dunque, ma non di “ragione”: eppure, proprio la ragione dovrebbe veicolare quei dati antichi ed eterni nella novità perenne del Vangelo.

Lo sforzo dell'apologetica è esecizio dimenticato da molti e forse è questa la parziale causa di un proliferare di movimenti non educati alla retta fede da una retta ragione.

Direi, anzi, che la mancanza di una sana apologetica sia concausa di innumerevoli relativismi: il punto è che solo in chiave cattolica l'apologetica è vista come un relitto d'una fede debole e scarsamente capace di con-vincere.

Però, quando si tratta di altri momenti "culturali" del nostro tempo, allora diviene lecita.
Mi spiego (senza per questo introdurmi in questioni moralmente delicate): l'orgoglio gay ha una sua apologetica; C. Augias quando irride la Chiesa fa apologetica del suo strambo ateismo; i nichilisti fanno apologetica in nome del loro nulla; il terrorismo si esprime nell'apologetica delle sue idee...

Solo noi, piccolo gregge, quando difendiamo il nostro Dio, la nostra tradizione, la preziosa liturgia dal profumo di viole diveniamo pericolosamente apologetici... Bestemmiamo, forse, contro la modernità per la quale la Verità è sbocconcellabile in mille porzioni a seconda del palato di ciascuno?

Ci illudiamo, forse, di trovare ancora cose nuove dallo scrigno antico che le conserva e le genera?

Non credo: credo che la nostra fede sia vana senza le opere ma che possa essere ancora più impoverita dalla mancanza di una vera, piena, coerente apologetica.
Chisolm

sabato 23 giugno 2012

Andrea Tornielli, il portavoce dei curiali più modernisti, esce con un titolo e un testo che apparirebbero drammatici e definitivi.

Ecco il titolo preceduto da: Lefebvriani, la storia (in)finita. «Il vescovo Fellay deve rispondere sul testo ricevuto. Il Vaticano non ipotizza nuove discussioni. E la Fraternità appare sempre più spaccata»
Andrea Tornielli, Città del Vaticano - [...] La dichiarazione dottrinale che il cardinale Levada ha messo nelle mani di Fellay il 13 giugno non lascia spazio a nuovi margini di manovra. E appare piuttosto difficile anche ipotizzare una nuova fase di discussioni, dopo che per due anni la Fraternità ha potuto discutere con i teologi della Santa Sede proprio dell’interpretazione autentica del Concilio. Benedetto XVI ha voluto esaminare attentamente il testo finale, e ha tenuto conto delle considerazioni dei cardinali e vescovi della Feria Quarta della Congregazione per la dottrina della fede: durante quella riunione, avvenuta lo scorso 15 maggio, i cardinali hanno sollevato dubbi su diverse modifiche proposte da Fellay al preambolo dottrinale e hanno ritenuto di correggere l’interpretazione di citazioni (in particolare del Concilio Vaticano I), che consideravano inaccettabili.
Il Papa ha accolto e condiviso diverse preoccupazioni dei suoi collaboratori. Il testo sul quale è ora chiesto l’assenso in «tempi ragionevoli» al superiore della Fraternità San Pio X rappresenta dunque una proposta sulla quale non sono più possibili emendamenti di sostanza. Che fosse invece possibile una nuova fase di discussione emergeva invece dal comunicato della Fraternità pubblicato dopo l’incontro del 13 giugno, indizio del fatto che il preambolo dottrinale sottoposto a Fellay dalle autorità vaticane presentava ancora delle difficoltà per il superiore lefebvriano il quale, in un’intervista rilasciata al bollettino ufficiale della Fraternità lo scorso 7 giugno aveva affermato: «Roma non fa più di una piena accettazione del Concilio Vaticano II una condizione per la soluzione canonica».

Questa la secca, inesorabile campana suonata da Tornielli, che non è la prima volta che si fa portavoce dell'ala oltranzista della Curia, successivamente ridimensionata dal Papa (ricordiamo tutti il famoso ultimatum in 5 punti redatto Darío Castrillón Hoyos, l'allora presidente della commissione «Ecclesia Dei», che il Vaticanista presentava con la stessa sinistra perentoria definitività, ma che fu successivamente vanificato.

È una notizia da prendere colle molle, certamente; ma non può non contribuire ad arroventare il clima, già teso in questo momento di difficile equilibrio, in cui all'interno della Fraternità molte anime sacerdotali stanno moltiplicando sforzi e preghiere per ridurre le divisioni e le spinte più diffidenti rispetto alla visuale equilibrata e piena di amore per la Chiesa e per le anime di Mons. Fellay.

La registro con molto rammarico, chiedendomi quanto corrisponda a verità la posizione ultimativa attribuita al Papa, che cozza con la sua dichiarata volontà di composizione del doloroso dissenso.

In ogni caso, a fronte della Dichiarazione dottrinale del 15 aprile  resa nota giorni fa e in presenza dei molti elementi scismatici ed eretici presenti nella Chiesa, vien da chiedersi che cosa si voglia ancora da vescovi sacerdoti e fedeli davvero cattolici, i quali hanno forse solo bisogno di recuperare fiducia nel poter continuare la loro pastorale in pieno riconoscimento. E tuttavia abbiamo anche questa testimonianza dal lato della Fraternità: [fonte Fecit Forum]
Padre Alain-Marc Nély, secondo assistente generale della FSSPX, ha indirizzato alcune parole a sacerdoti e fedeli riuniti ieri sera nella sede del Distretto di Francia a Suresn­es. Egli ha tracciato un breve 'storico' delle relazioni tra la Sede apostolica e la Fraternità dopo la pubblicazione del decreto che ha tolto le scomuniche il 25 gennaio 2009. Ha sottolineato i progressi e i regressi di queste relazioni, intorno ad un preambolo parecchio modificato che ha fatto molte volte la spola tra il Palazzo del Sant'Uffizio a Roma e la Casa Generalizia a Menzingen. Diverse volte, il rimaneggiamento effettuato dalla FSSPX non conveniva alle autorità romane. Questa volta, sembra che le ultime modifiche non soddisfano la Fraternità su punti essenziali della sua battaglia : il concilio Vaticano II e il Novus Ordo Missae. È quel che lascia in ogni modo pensare l'ultimo comunicato della Casa Generalizia che parla delle difficoltà su questi due punti così come di nuove future discussioni. Il Padre ha indicato che Mons.Fellay darà presto una risposta, senza dubbio dopo la riunione del capitolo generale a Écône, capitolo che doveva normalmente già riunirsi, come ogni sei anni. Il secondo assistente ha del resto paragonato il clima di quest'anno 2011-2012 a quello del 1987-1988 ed ha mostrato il ruolo nefasto di internet che rendeva note al mondo intero in pochi minuti le osservazioni del minimo predicatore. Ecco, questo mi sembra il sunto del suo discorso. Coloro che desiderano l'interruzione di questo processo diranno che è il punto estremo delle relazioni. Ma al momento delle precedenti tappe, in cui il testo rinviato dalla FSSPX non piaceva a Roma, ricordiamoci che i progressisti dal canto loro titolavano sulla fine delle relazioni, sperando che essa avvenisse. Realisticamente, mi sembra che il Papa, che ha puntato alto in questa questione (un pontificato, non è nulla, ma anche le opposizioni di interi episcopati) non si accontenterà, sulla soglia di dodici anni di trattative, di un esito che tutti predicevano imminente. A questo proposito, si rilegga la conclusione del comunicato della FSSPX che così termina : « A conclusione della riunione, si è auspicato il proseguimento del dialogo che permetterà l'esito positivo di una soluzione per il bene della Chiesa e delle anime. »
Questo discorso di Padre Nély non era soltanto una voce di corridoio né una conversazione segreta. Esso è stato scritto, preparato e pronunciato davanti ad un piccolo aeropago di sacerdoti e di fedeli. Dal momento che è stato qui evocato, e nella misura in cui io l'ho compreso, mi è sembrato preferibile renderne conto, sperando che sia fedele al pensiero del suo autore, piuttosto che vedere, come alcune volte, diffondersi conclusioni affrettate.
Non possiamo non dedurne che il momento è serio e delicato più che mai. Ma non per questo dobbiamo deporre le speranze e le preghiere.

Il Cardinal Koch sul V Centenario della Riforma: «non possiamo celebrare un peccato»

Noi ne avevamo già parlato qui. Ora, da Infocatolica, apprendiamo recenti sviluppi, peraltro sorprendenti nel clima attuale; ma certamente in senso positivo!

Si avvicina il 2017, le confessioni sorte dalla autodichiarata Riforma vogliono celebrare il Quinto Centenario. È caduto già da tempo il mito secondo il quale Lutero ha affisso le tesi alla porta della Chiesa del castello di Wittenberg, ed è indubbio che i primi di novembre del 1517 lasciarono il segno nella storia dell'umanità. La segnarono con ferite. 

La Chiesa è stata invitata agli eventi. In questo contesto sono rimasto gradevolmente sorpreso dalle dichiarazioni del Presidente del Pontificio Consiglio per la Unità dei Cristiani sul sito della diocesi di Münster. Il Cardinal Koch è stato estremamente chiaro: «non possiamo celebrare un peccato». Così, senza anestesia. 

«Gli eventi che dividono la Chiesa non possono esser chiamati un giorno di festa», l'unica cosa a cui è stato disposto ad accedere il cardinale è classificare l'anniversario come un giorno da ricordare ma non da festeggiare. Non si è trattato di dichiarazioni imprudenti, ha riconosciuto che sarà considerato «anti-ecumenico», il che per essere il responsabile della cosa non è niente male, no? Preferirebbe assistere piuttosto a una riunione nella quale le confessioni riformate, seguendo l'esempio di Giovanni Paolo II nel 2000, chiedessero scusa e riconoscessero i loro errori, e allo stesso tempo condannassero come ha fatto il Papa beato lo scisma nella Cristianità.

Ringrazio il Cardinale per la sua chiarezza. Finiti gli anni della ‘lutero-mania‘ si avvicinano quelli della ‘reforma-mania’. I primi passi sono fermi. Riconoscere le differenze e dir sempre la verità è un'ottimo punto di partenza. Nemmeno sul piano ‘pseudoecumenico‘, Koch ha avuto ragione anche per quella che altri chiamano diplomazia. Alcuni pensano che l'ecumenismo significhi prendersi per mano, fare un sorriso idiota, e dire sempre di sì all'altro anche quando gli si mente. La Commissaria (ambasciatrice, comissaria, delegata o quel che è) del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania (EKD) per il giubileo del 2017, Margot Kässmann, due giorni fa ha avuto una reazione viscerale alle parole di Mons. Koch:
La Riforma Protestante non è il nostro peccato, ma una riforma della Chiesa urgente e necessaria dal punto di vista biblico, nella quale difendiamo la libertà evangelica; non dobbiamo confessarci colpevoli di nulla.
E allora perché vogliono che partecipi la Chiesa? Forse la cosa più strana in tutta questa vicenda è proprio il fatto che le dichiarazioni del Caridinal Koch siano considerate straordinarie.
Juanio Romero
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[Fonte: Infocatolica.com]

venerdì 22 giugno 2012

Santa Sede - FSSPX. Dichiarazione dottrinale sottoscritta da Mons. Fellay il 15 aprile

Sono per me giorni di altri problemi in prima linea e non avevo avuto il tempo di ascoltare tutta la conferenza di don Pfluger del 5 giugno. Oggi trovo questo articolo su Riposte Catholique, che tira di nuovo in ballo la questione. Ne riprendo il testo, ma ritengo molto interessante sia preceduto dall'intera dichiarazione - di cui il blog francese cita solo una parte - tradotta in tandem con Luisa, che ringrazio di vero cuore anche per la sua bella condivisione. Diffonderne la conoscenza dimostra quanto già sottolineato in precedenza, e cioè che, se qualche intoppo c'è stato, in base all'accaduto che emerge dai comunicati del 13 e 14 giugno, non è dipeso dalla chiara e decisa buona volontà della Fraternità, che non dice niente di più né di meno di quanto possa pensare e dichiarare ogni cattolico che ama la Chiesa e la Tradizione. Le dichiarazioni di don Pfluger ci dicono due cose significative:
  1. la comunicazione interna nell'ambito della Fraternità per mettere tutti al corrente dello status quaestionis, c'è stata ed era tale da poter fugare ogni diffidenza che non fosse incaponimento su posizioni estreme del tipo di esser tra coloro che hanno trasformato il concilio in super-eresia da mettere sullo stesso piano di coloro che l'hanno trasformato in super-dogma.
  2. che su questo testo il Papa è d'accordo; il che sembrerebbe tuttavia smentito dal comunicato della Curia del 13 successivo...
Si consiglia a chi voglia approfondire, l'ascolto dell'intera conferenza su Gloria.tv.

Dichiarazione dottrinale del 15 aprile 2012
(secondo le dichiarazioni del p. Pfluger nella Conferenza del 5 giugno scorso)

« Noi promettiamo di essere sempre fedeli alla Chiesa Cattolica ed al Romano Pontefice. Noi dichiariamo di accettare gi insegnamenti del Magistero della Chiesa in materia di fede e di morale.
L'intera tradizione della fede cattolica deve essere il criterio e la guida di comprensione degli insegnamenti del concilio Vaticano II, il quale a sua volta illumina certi aspetti della vita e della dottrina della chiesa, implicitamente presenti in essa, non ancora formulati. Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del Magistero Pontificio posteriore in ordine alla relazione tra la chiesa cattolica e le confessioni cristiane non-cattoliche devono essere comprese alla luce della Tradizione intera e ininterrotta in modo coerente con la verità precedentemente insegnata dal Magistero della Chiesa.
E dunque per questo motivo è lecito promuovere, attraverso una legittima discussione, lo studio e la spiegazione di formulazioni del concilio Vaticano II e del Magistero che è seguito, nel caso in cui non sembrino conciliabili col Magistero anteriore della Chiesa ».


Testo di Riposte Catholique:
Malgrado il segreto molto ben custodito sulle negoziazioni tra Roma e la FSSPX, e qualunque siano i loro nuovi sviluppi episodi classici « dell'ultimo minuto » in questo genere di questioni e che logorano (che sono destinati a logorare? ) i nervi, si conosce ormai l'essenziale della Dichiarazione dottrinale firmata da Mgr Fellay il 15 aprile 2012 che deve formare la base del riconoscimento canonico dell'opera di Mons. Lefebvre sotto la forma di una Prelatura personale.

Infatti, nella sua conferenza di martedì 5 giugno 2012, presso la scuola St-Joseph-des-Carmes, padre Pfluger, primo assistente del Superiore generale della Fraternità San Pio X, ha in sostanza dato i principali elementi di questa Dichiarazione che - non è più un segreto per nessuno - la Commissione Ecclesia Dei ha stimato completamente soddisfacente immediatamente. I termini agili di Mgr Fellay essendo destinati ad essere ricevuti dai suoi interlocutori, pur conservando la linea ferma di Mons. Lefebvre. Una ripresa molto intelligente, tutto sommato, della Formula di adesione del 1988.

Sull'essenziale, secondo la testimonianza del primo assistente, Mons. Fellay ha dunque dichiarato e sottoscritto a proposito dei punti che creano difficoltà sul Concilio e la nuova liturgia che :

 « l'intera tradizione della fede cattolica deve essere il criterio e la guida di comprensione degli insegnamenti del concilio Vaticano II, il quale a sua volta illumina certi aspetti della vita e della dottrina della chiesa, implicitamente presenti in essa, non ancora formulati. Le affermazioni del Concilio Vaticano II e del Magistero Pontificio posteriore in ordine alla relazione tra la chiesa cattolica e le confessioni cristiane non-cattoliche devono essere compresi alla luce della Tradizione intera ».

Di che soddisfare sia la Commissione Ecclesia Dei che coloro che avevano timori all'interno della FSSPX.

giovedì 21 giugno 2012

A Rennes, ebrei e cristiani si preparano a vivere secondo la legge ebraica.

Riprendiamo questa notizia, che rende sempre più consistenti gli inquietanti segnali di giudaizzazione del cristianesimo, che chi è interessato può approfondire dal documento presente in  questa pagina.

Dal 17 al 22 luglio nella diocesi di Mons. d’Ornellas, ebrei e cristiani celebreranno insieme lo shabbat.[1] Mons. Nicolas Souchu, vescovo ausiliare di Rennes, spiega che l'obiettivo di queste giornate d'incontro è di
«permettere ai cristiani di scoprire il giudaismo vivendone concretamente i momenti forti».
I nostri nuovi simboli?
Non si tratta, come si potrebbe credere, d’un dialogo tra membri di due religioni, ma di una sessione a senso unico. 250 partecipanti vivranno una settimana al ritmo della vita ebraica, religiosa e culturale. Avranno il diritto di andare alla messa o di dire il rosario ? Parlare della loro fede cristiana, della Vergine e dei Santi ? Certamente no…

La celebrazione dello shabbat, dal venerdì sera al sabato sera, segnerà il culmine di questo incontro. I cristiani che preparano l'evento lo fanno coscienziosamente, senza chiedersi se non si tratti di un inizio di apostasia : concezioni del pasto conformi alle leggi della cacherout, formazione del personale alle esigenze e alle regole di servizio, come ad esempio stappare una bottiglia di vino (casher, proveniente dai vigneti d'Israele), che può esser fatta solo da un ebreo che ha già compiuto il suo bar-mitzah [2]...

Resta da sapere se questi cristiani conoscono altrettanto bene la fede cattolica. L’anno della fede indetto dal nostro Santo Padre non è una fantasia.
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[Fonte: Riposte Catholique by Perepiscospus]

Note di Chiesa e Post concilio:
1. Per approfondire sullo shabbat, a questo link
2. I maschi che hanno raggiunto la maggiore età religiosa (13 anni) con il bar mitzvàh fanno per tradizione parte del minyàn, quorum di dieci adulti necessario perché sia possibile la celebrazione di alcune parti della liturgia (può venire accolto come decimo membro anche un ragazzo prossimo al suo bar mitzvàh che tenga in mano un rotolo della Toràh).
Dal testo di Artur Green: "Queste sono le parole". Giuntina, Firenze 2002, apprendiamo che durante l'ultimo trentennio quasi tutte le comunità ebraiche non ortodosse hanno iniziato a includere le donne nel quorum necessario per un minyàn. Quest'innovazione ha comportato controversie con il movimento conservatore, ma le forze del cambiamento sembrano aver vinto la battaglia.

mercoledì 20 giugno 2012

Cecina: Conferenza sul Concilio con P. Serafino Lanzetta F.I.

Su segnalazione del Blog del Coordinamento Toscano Benedetto XVI per l'applicazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum":

Tornando sulla "concelebrazione"

Della "concelebrazione", abbiamo già parlato qui. Nei giorni scorsi l'argomento è stato riproposto da padre John Zuhlsdorf sul suo blog, ripreso da Riposte Catholique. Ci sembra quindi interessante segnalarlo, rimandando anche al nostro articolo precedente. Un'altra delle innovazioni conciliari da mettere in discussione...

Sembra un'immagine d'altri tempi. Ma è attuale
Il Canone 902 afferma : « A meno che l'utilità dei fedeli non richieda o non consigli diversamente, i sacerdoti possono concelebrare l'Eucaristia, rimanendo tuttavia intatta per i singoli la libertà di celebrarla in modo individuale, non però nello stesso tempo nel quale nella medesima chiesa o oratorio si tiene la concelebrazione ».

Così come può questo applicarsi per le Messe tradizionali celebrate simultaneamente ?

Le Messe simultanee (nella forma extraordinaria o in quella ordinaria) a norma del can. 902, sembrano lecite purché una delle Messe simultanee non venga concelebrata.

Poiché la concelebrazione è piuttosto improbabile nella forma extraordinaria, lasciate che ci siano cento fiori della Messa Latina Tradizionale in simultanea! [...]

A Norcia nel 2011
Io non sono sicuro di come questo "no Messa simultanea dove c'è una concelebrazione" sia in sintonia con la pratica comune, in particolare nella Basilica di San Pietro, a Roma. In San Pietro e in altri luoghi di pellegrinaggio, singoli sacerdoti celebrano contemporaneamente la Messa ad un altare, mentre un'altra Messa viene concelebrata all'altare seguente. Ci può essere una sorta di dispensa o una legge che disciplina in particolare San Pietro, Santa Maria Maggiore, ecc. In caso contrario, i responsabili semplicemente si adeguano a ciò che è ovvio ignorando un canone sciocco.

Io sono fermamente contrario a qualsiasi pressione su i sacerdoti a concelebrare o a prenderli di mira se scelgono di non farlo. Talvolta i sacerdoti dovrebbero saper meglio ciò che è disdicevole su questo punto.

La Concelebrazione dovrebbe essere sicura, legale e rara.

Lasciate che ci siano le messe! Messe, dico, molte e simultanee!
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martedì 19 giugno 2012

CL: dopo il danno la beffa

Dopo il danno, la beffa: i cattocomunisti e gli eretici godono e sguazzano dopo che il cardinale di Milano ha preso le distanze dal leader di Comunione e Liberazione in seguito ad una lettera firmata da nientemeno che 550 cattoprogressisti ambrosiani, accortisi (con qualche settimana di deplorevole ritardo) di una lettera di don Carròn inesorabilmente veritiera e perciò offensiva per loro. 

La solenne calata di braghe di Scola è avvenuta l'8 giugno scorso davanti al Consiglio Presbiterale (wow), creando così il clamoroso precedente su cui faranno leva tutte le "proteste" future che la stampa orchestrerà (specialmente quando verranno tirate fuori le ridicole "rivelazioni" che gli faranno concludere la carriera da cardinale anziché da Pontefice): 


A suo tempo l'allora seminarista Angelo Scola fu fatto fuori dal seminario di Milano proprio in quanto ciellino. Don Giussani, faticosamente, riuscì a farlo inserire nella diocesi di Teramo (una vera vincita alla lotteria, vista la fine che generalmente fanno i seminaristi cacciati via perché rei di avere uno spirito anche solo vagamente tradizionale).
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[Fonte: Letturine, 19 giugno 2012]

Lettera Aperta di don de Tanoüarn a Mons. Tissier de Mallerais

Caro monsignore,

È lei che mi ha ordinato sacerdote. Sono tra i primi ai quali, attraverso la grazia della sua ordinazione del 1988, ha conferito il sacerdozio ministeriale, uno dei primi che ha mandato nella Vigna del Signore per preparare la Messe. So ciò che le devo nel Signore.

Sono fiero della sua paternità, perché so che, da parte sua, lei si è impegnato valorosamente con grande generosità di cuore e con grande dirittura di spirito per far conoscere le posizioni della Fraternità San Pio X di fronte all'attuale crisi. La sua biografia di Mons. Lefebvre reca l'impronta di questo lavoro e di quanto lo precede. Ricordo di averla invitata, al momento della pubblicazione, per un intervento sulla libertà religiosa, a Parigi ; successivamente, nella Nuova rivista Certitudes, ho recentemente avuto l'onore di pubblicare suoi lavori.

So bene che lei non è favorevole all'accordo ormai imminente. Ma il suo dissenso è nobile. Esso si esprime senza aggressività. Nell'intervista rilasciata il 13 giugno scorso al giornale Rivarol, lei ci ha tenuto a riconoscere le innegabili qualità del nostro Papa Benedetto XVI. Lei non è tra coloro la cui aggressività prende il posto della ragione.

Lei non è neanche di quelli che si sentono persi, smarriti, perché si chiede loro brutalmente una svolta a 180 gradi e non hanno l'abitudine di virare di bordo: mancanza di agilità, mancanza di esercizio. Penso al sermone di don Pfeiffer, che ho conosciuto ad Ecône. Esprime bene questo smarrimento, ma senza essere purtroppo capace di articolare la minima ragione di fondo al suo rifiuto degli accordi. Cito :

« Stiamo per concludere un accordo. Tuttavia, dopo le discussioni dottrinali, ci si era detto: Roma non ha cambiato posizione, Roma crede ancora al modernismo, Roma rigetta sempre la Fede, mentre la Fraternità difende sempre la Fede. Dunque, niente è cambiato. È ciò che aveva detto Mons. Fellay. Ed ecco che dopo le cose sono cambiate: dobbiamo concludere un accordo adesso, dobbiamo essere riconosciuti e regolarizzati adesso, dobbiamo ricevere una prelatura personale adesso. Ma tutti i documenti sono segreti, tutte le comunicazioni sono segrete, tutto accade nel segreto. Non si osserva il segreto sulla verità. Non si tiene segreta una cosa buona, si custodisce segreta una menzogna, si mantiene il segreto su qualcosa di male, si custodisce segreto un inganno. Ciò che spiega il segreto di questi ultimi anni, è che se Mons. Fellay, don Pfluger e Nély e gli altri superiori del Fraternità San Pio X ci avessero detto la verità con audacia da uno o due anni, tutti si sarebbero rivoltati. In luogo di ciò, ci si c'è detto: Abbiate fiducia, non conoscete tutti i dettagli. Non siete che delle pecore idiote, stupide, imbecilli ».

Bisogna intendersi esattamente su questo smarrimento « ci s'è detto... Ed adesso ci si dice mentre niente è cambiato ». Ma non costituisce, in sé, una ragione per rifiutare l'accordo con Roma. Non è affatto la sua prospettiva, Monsignore. Il suo rifiuto non è all'insegna di nessuna paura, di nessuna ferita... Porta al fondo, alla verità che unica ci attira, unica ci motiva, unica ci rende fecondi per il Regno... ed unica può assolverci, se per disgrazia deviamo della via stretta.

Caro Monsignore, non è in questi termini eccessivamente personali che lei pone solennemente la questione dell'accordo con Roma. Per lei, c'è un'opposizione teologica tra Roma ed i Fraternità San Pio X e bisogna formularla. La cito :
« Vorrei che producessimo un testo che, rinunciando alle finezze diplomatiche, affermi chiaramente la nostra fede e di conseguenza il nostro rifiuto degli errori conciliari. Questa proclamazione avrebbe primariamente il vantaggio di dire apertamente la verità al papa Benedetto XVI che è il primo ad avere diritto alla verità e secondariamente di restaurare l'unità dei cattolici di tradizione intorno ad una professione di fede combattiva ed inequivoca ».
Le confesso che vedo male la portata della sua prima motivazione, perché non ne afferro il fondamento Sono invece molto sensibile al suo secondo argomento : un testo chiaro sul Concilio, in occasione dei 50 anni dalla sua apertura, permetterebbe ai tradizionalisti di sapere perché essi esprimono il loro disaccordo, al di là del Sensus fidei di cui danno prova. Un testo chiaro, è l'unione di tutti i cristiani di buona volontà. L'assenza di testo chiaro, è la disunione, col rischio di rincarare la dose della critica che le circostanze attuali ci mostrano non bisogna prendere alla leggera. Personalmente, milito per la chiarezza dal 2002, il Symposio di Parigi, durante il quale 60 sacerdoti sono convenuti dai quattro angoli del mondo (lei c'era caro Monsignore), per celebrare apertamente, chiaramente, e con rispettosa critica, i 40 anni del Concilio. Già in questa occasione abbiamo prodotto un testo in otto punti, che successivamente ha costituito l'Appendice 3 del mio libro Vaticano II e Vangelo. Almeno a questo titolo lo trovo ancora su Internet. Ritengo che la moderazione di toni e la precisione dei riferimenti di questo lavoro collettivo possono permetterne una ulteriore utilizzazione... e che sicuramente questo documento possa essere rivisto ed ampliato.

Son tornato a questo testo molte volte, in occasione di conferenze al Centro Saint Paul (l'ultima in gennaio per celebrare l'entrata nel mezzo-secolo, ce ne sono stati degli echi su Metablog). La vera Tradizione è critica ! Niente a che vedere con l'accordo o l'assenza di accordo con Roma. Si tratta di suonare il nostro spartito, di assumere la nostra responsabilità nella Chiesa. "Agere ut pars", agire come una parte nella grande Chiesa, come disse Cajetano definendo il costitutivo formale della nostra appartenenza al Corpo mistico. Agitando il drappo rosso dell'ermeneutica, Benedetto XVI ha indicato fin dal primo anno del suo Pontificato, che il Concilio deve essere interpretato con una nuova ricezione, contro un certo "spirito del Concilio" di cui il Papa ha mostrato il carattere deleterio. Bisogna che noi partecipiamo tutti a questa ricezione nuova e correttiva di un testo intorno al quale si sono cristallizzati - a favore e contro - cinquant'anni di vita della Chiesa. 

Caro Monsignore, lei contesta, ho visto, il principio stesso dell'ermeneutica. Ma contestandolo, lei stesso alimenta questa interpretazione multiforme del concilio. In quanto vescovo, lei non può contestare un tale argomento, non può lei stesso scrivere a questo argomento degli Anatemi. Bisogna che si rassegni ad essere ciò che è:  un interprete critico. Ed anch'io, anche se sono solamente un semplice prete. Perché non lavorare insieme - e con molti altri, Istituti ED ogni cappella unita - non solo per la FSSPX, ma per tutta la chiesa?

Temo il suo rifiuto e vorrei, invece, produrre qui una ragione possibile. Essa è tratta dalla sua intervista a Rivarol.
« Con questa religione [conciliare] non vogliamo alcun compromesso, alcun rischio di corruzione, neppure alcuna parvenza di riconciliazione, ed è questa parvenza che ci darebbe la nostra se-dicente "regolarizzazione" ».
Ciò che mi turba qui non è che lei parli di "religione" conciliare. Credo che il termine sia giusto. Il Concilio non ha toccato la fede cattolica, ma ambisce ad accompagnare la creazione di una vera e propria nuova religione, ottimista e umanista come erano le 30 Glorieuses [detto del forte periodo di crescita dei paesi sviluppati -ndT]. Questa nuova religione, gli ultimi 20 anni lo dimostrano con i fatti, non funziona. Essa ha contribuito ad accelerare il movimento di secolarizzazione che vuota le chiese, invece di presentarsi come una risposta a questo movimento.

Ciò che mi lascia a disagio è che lei - sì: lei - tenga talmente all'atteggiamento, è ciò che scriveva, che bisognerebbe fuggire non solo una conciliazione forzosamente imbecille, (nel senso etimologico del termine), ma dapprima, ma soprattutto "l'apparenza di questa conciliazione." Parlando di "apparenza", sa molto bene che l'accordo con Roma non la farebbe deviare di uno iota sui giusti rimproveri che rivolge al Concilio e che oggi, volens nolens, tutta la chiesa è pronta a sentire dalla sua bocca di vescovo cattolico. Chi teme di scandalizzare? Gli isterici di Virgo Maria? Il loro scandalo è farisaico e non reale.

Caro Monsignore, sottoscrivendo l'accordo con Roma, forse darà un'apparenza di scandalo a certi spiriti male orientati. Ma non sottoscrivendo, mentre glielo chiede il Vescovo di Roma, non è l'apparenza che lei rischia, ma la realtà dello scandalo. Prego per lei e la ringrazio per la nobiltà con cui al momento mostra a tutti che "la vera tradizione è critica".

Permetta che prenda in prestito dal recente libro di Philippe Le Guillou, Il Ponte degli angeli (Gallimard) una piccola parola che giustifica questa lettera : « Bisogna far di tutto per evitare i conservatori ad oltranza. Lei è un uomo di Dio, tutti lo sanno, qui... e lassù. Non ci deluda ! » _________________________
[Fonte : don de Tanoüarn - MetaBlog - 17 giugno 2012] -Traduzione mia

lunedì 18 giugno 2012

Usus Antiquior in Cina


Questa è una notizia che ci riempie di gioia. L'ha data sul suo blog JP Sonnen, un giovane americano che ci ha offerto sempre delle foto di grande bellezza ed interesse, prima da Roma ed ora dal Canada. E' la dimostrazione, come sottolinea Sonnen, che il Messale Romano è devvero universale.



E' la riproduzione della prima pagina di un ordinario latino/cinese della messa traditionale.
E la copertina

Al maiora!

Il dialogo ad ogni costo. Chiesa dialogante e non più docente.

Il vero dialogo e la sua  Sorgente
Parlare di dialogo significa occuparsi di quella che Romano Amerio in Iota unum definisce “la più grande variazione della mentalità della Chiesa post conciliare paragonabile a quella seguita al vocabolo libertà nel 1800”[1] , assurgendo a nuova categoria universale della mentalità progressista e diventando una delle realtà centrali del cattolicesimo contemporaneo. 

Quando si parla di dialogo ci si riferisce al dialogo ecumenico, al dialogo tra Chiesa e mondo, al dialogo ecclesiale assegnando inopinatamente struttura dialogica alla teologia, alla pedagogia, alla catechesi, alla SS. Trinità, alla storia della salvezza, alla scuola, alla famiglia, al sacerdozio, ai sacramenti, alla redenzione, e a quant’altro nel corso dei secoli appartenesse agli ambiti di interesse ed azione ecclesiali.

In ogni campo « Il passaggio dal discorso tetico, che fu proprio della religione, al discorso ipotetico e problematico è palese sin nella mutazione del titolo dei libri, che un tempo insegnavano e oggi ricercano. Ai libri che andavano come Institutiones o Manuali o Trattati di filosofia o di teologia o di qualunque altra scienza subentrano oggi i Problemi di filosofia, Problemi di teologia, e la manualistica, proprio per il suo pregio tetico[2]  e apodittico, viene aborrita e disprezzata ».[3] 

Già nell'enciclica Ecclesiam suam del 1964, la cui intera parte III è dedicata al dialogo - Paolo VI riduceva ad equazione il dovere che appartiene alla Chiesa di evangelizzare il mondo rispetto al suo dovere di dialogare col mondo. (67. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio).

Afferma proprio in riferimento a ciò Romano Amerio:
« Ma non si può non avvertire che l’equazione non trova appoggio né nella Scrittura né nel lessico. Nella Scrittura il vocabolo dialogus non si trova mai e l’equivalente latino colloquium è usato solo nel senso di incontro di capi e in quello di conversazione e mai in quello moderno di incontro di persone. Tre volte si trova colloquio nel Nuovo Testamento nel senso di disputa. L’evangelizzazione d’altronde è un annuncio e non una disputa. Nei Vangeli l’evangelizzare comandato agli Apostoli è immediatamente identificato con l’insegnare. Alla dottrina infatti e non alla disputa si riferisce il mandato apostolico e d’altronde il vocabolo stesso eu-angelion=buon annuncio dice qualche cosa che è data da comunicare e non di qualcosa che è gettata alla disputa. Certo negli Atti Pietro e Paolo disputano nelle sinagoghe, ma non è il dialogo nel senso moderno, cioè il dialogo di ricerca movente da uno stato di ignoranza confessa, ma il dialogo di confutazione e di impugnazione dell’errore ».[4]
Cristo Signore parlava con autorità: « Erat docens eos sicut potestatem habens » (Matth., 7, 29), e così le parole di evangelizzazione degli Apostoli devono avere autorità intrinseca che non può esser data dal dialogo. Anzi il parlare tetico di Cristo è contrapposto al parlare dialogico degli Scribi e dei Farisei. Altrimenti si dimentica che « la parola della Chiesa non è parola d’uomo, la quale è sempre controvertibile, ma è parola rivelata, destinata all’accettazione e non alla controversia ».[5]  Poiché nella Scrittura il metodo dell’evangelizzazione è l’insegnamento e non il dialogo, la missione di Cristo e dei suoi Apostoli è sigillata dal verbo nell’imperativo μαθητεύσατε -matheteusate: fate discepoli tutti i popoli, identificando l’opera degli Apostoli nel portare i popoli alla condizione di ascoltatori e discepoli e considerando μαθητεύσατε (con la connotazione di “insegnare”) il grado previo di διδάσκειν -didáskein (nel senso di imparare).

E tuttavia l’Ecclesiam suam, dopo aver posto l’equazione tra evangelizzare e dialogare, pone invece disequazione tra evangelizzare la verità e il condannare l’errore e identifica condanna e costrizione. Ritorna il motivo dell’orazione inaugurale del concilio: « Anche la nostra missione » dice l’enciclica « è annuncio di verità indiscutibili e di salute necessaria; non si presenterà armata di esteriore coercizione, ma solo per le vie legittime dell’umana educazione ».

Oltre che il fondamento biblico, manca al dialogo il fondamento gnoseologico, perché la natura del dialogo contraddice alle condizioni del discorso di fede.

Il dialogo attuale si caratterizza, rispetto a quello tradizionale, che aveva per fine la confutazione dell’errore e la conversione dell’interlocutore, dal rifuggire dalla polemica ritenuta non caritatevole, dimenticando che il concetto stesso di polemica è indissolubile dalla contrapposizione tra il vero e il falso. Da qui nasce l’esclusione dell’apologetica, della pretesa di conversione dell’interlocutore e l’asserto che il dialogo «è sempre uno scambio positivo».

Tuttavia così si elimina la possibilità – reale, non ipotetica – del dialogo pervertitore o di quello improduttivo, cadendo in un superficiale ottimismo. Un elemento da non sottovalutare, invece, è che la possibilità di dialogare è correlata alla scienza e alla competenza che si ha dell'oggetto del dialogo. Ne consegue che, in tema di fede, esso non è possibile per tutti. Viceversa oggi sembra che il dialogo dipenda dalla libertà o dalla dignità dell’anima.
« Il titolo a disputare dipende dalla cognizione e non dalla generale destinazione dell’uomo alla verità. Sulle cose ginniche, insegnava Socrate, si ha da ascoltare il perito di ginnastica, e su cavalli il perito di cose cavalline, e su ferite e morbi il perito di medicina, e sulle cose della città il perito di politica. La perizia poi è effetto della fatica e dello studio, della riflessione non corsiva ed estemporanea, ma metodica e assidua. Nel dialogo contemporaneo invece si suppone che ogni uomo, perché razionale, sia atto a dialogare con tutti e sopra tutte le cose. Si richiede perciò che il vivere della comunità civile e il vivere della comunità ecclesiale siano ordinati per tal modo che tutti partecipino non, come vuole il sistema cattolico, recando ciascuno la propria scienza, bensì la propria opinione, e non adempiendo la parte che gli spetta, ma pronunciando su tutto. Ed è singolare che questo titolo a disputare sia esteso all’universale proprio nel momento in cui il titolo autentico, che è la scienza, si indebolisce e scarseggia nello stesso ceto docente della Chiesa ».[6]
Inoltre del dialogo si tende a sottolineare la caratteristica comune della ricerca. La ricerca, per il cristiano che è già nella Terra Promessa costituita dal Suo Signore, che è anche l’approdo di chi ha trovato la “perla preziosa” e il “tesoro nel campo”, assume piuttosto l’aspetto del dialogo con Dio, che diventa cammino, approfondimento, sempre ulteriore radicamento e conoscenza e intimità con Colui che è sì infinitamente Altro, ma è anche più intimo a me di me stesso. (Sant’Agostino, Confessioni, 3, 6, 11).

Non ci si può quindi sottrarre alla conclusione che il dialogo postconciliare non è propriamente il dialogo cattolico, perché la Chiesa dialogante non più docente:
  • si pone come se non possedesse, ma cercasse la verità o come se, dialogando, potesse prescindere dal possesso (non strumentale ma ontologico) e quindi dall’affermazione della verità, attraverso l’insegnamento oltre che con la testimonianza. Chiesa “strumento di salvezza” non soltanto “segno”. 
  • non riconosce il primato della verità rivelata, non distinguendo più la diversa scala di valori tra natura e Rivelazione 
  • mette sullo stesso piano i dialoganti; il che diventa un peccato contro la fede perché prescinde dal primato che ha la fede divina su qualunque artificio o strumento dialettico. 
  • non considera che non tutte le posizioni filosofiche sono indefinitamente disputabili, ignorando i punti di contraddizione che toccano i principi, che troncano il dialogo e lasciano solo la possibilità della confutazione. 
  • dà per presupposto che il dialogo sia sempre fruttuoso come se non esistesse « un dialogo corruttore che spianta la verità e impianta l’errore, e come se non si dovesse, nel caso, rigettare l’errore prima professato ».[7]
Il dialogo di convergenza dei soggetti dialoganti verso una verità più alta e più universale non appartiene alla Chiesa cattolica, perché non la riguarda un processo che conosca l’estemporaneità di nuovi percorsi sulle tracce della Verità, che essa già ha ricevuto, “è venuta …”[8], che custodisce, che la anima e di cui è portatrice fino alla fine dei tempi. Ciò che le appartiene e le compete è l’operazione della carità che intenzionalmente comunica una verità posseduta per grazia, con lo scopo di trarre non a sé ma alla verità.

Esiste una evidente asimmetria tra la missione Apostolica e il “dialogo reciproco”: « Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra loro ». Si arriva perfino ad affermare : « Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità. [...] Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace ».[10]

Se è comprensibile il richiamo alla responsabilità per il bene comune nell'ambito delle prassi, purtroppo la storia millenaria ci insegna come ogni prassi, senza Redenzione, sia destinata a degenerare...

È terribile come viene passato sotto silenzio e alle fine livellato il discrimine tra cristiani e non-credenti o diversamente-credenti, che è la filiazione divina, appartenente all'ordine soprannaturale: una Chiesa che non è più strumento di salvezza, ma solo “segno” o “testimone”. Ma queste non erano categorie appartenenti non all'universalismo cattolico, ma all'universalismo del Popolo ebraico? E non sono forse superate e inserite in un orizzonte escatologico in Cristo Signore?

Altrettanto inquietante alla luce degli attuali sviluppi politico-economico-finanziari su scala globale l’asserto: « Per instaurare un vero ordine economico mondiale, bisognerà rinunciare ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica e alle manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi economici e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se ciascuno, rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre un sincero dialogo ».[11]

Se l'economia e la finanza sono i nuovi cardini su cui si dipana la storia attuale, questo non meglio identificato  “sincero dialogo”  appare il nuovo idolo...

Ecco il germe dei riferimenti (vedi ripetuti Incontri di Assisi - e anche) ad una “pace” genericamente scaturente dalle buone volontà umane e non a quella accolta vissuta e diffusa dalla Persona dell'Unico Principe della Pace, nostro Signore Gesù Cristo. Discorsi generici come questo non servono a nessuno e, alla fine, traggono in inganno perché arrivano ad accogliere anche illusorie e aleatorie nonché ambigue speranze di pace, che senza il Signore nessuno è in grado di raggiungere, perché qualunque cosa possa scaturire unicamente da una iniziale “buona volontà” umana, se non fecondata da Cristo, prima o poi è destinata a degenerare. Si tratta della grande fiducia nell'uomo di Paolo VI: la religione dell'uomo. Discorso ampiamente sviluppato nel capitolo dedicato all' “antropocentrismo”. [in parte sviluppato qui] - [vedi anche]

Non possiamo continuare a confondere con la nostra Fede che è in una Persona, il Signore Gesù, l'umanesimo ateo, o quello diversamente credente. Esso, pur se pieno di buone intenzioni, resta ancorato nell'orizzonte materiale, a differenza di quello cristiano, teandrico, che porta in sé la Vita del Redentore!
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1. Romano Amerio, Iota Unum, Lindau 2009, p.323-333
2. “tetico-ponente” è la struttura di posizione attribuita ai principi, dotati di un fondamento già posto, predefinito, di evidenza originaria, che guidano, indirizzano, orientano, mostrano, nell'alveo di un agire finalistico.
3. ibidem
4. ibidem
5. ibidem
6. ibidem
7. ibidem
8. Gv, Prologo, 1-17
9. Gaudium et Spes, 40
10.Gaudium et Spes, 92
11.Gaudium et Spes, 85