Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 17 novembre 2018

S. Tommaso, Commento al Padre nostro. La sesta domanda

Abbiamo una vena aurea, inestinguibile, dalla quale possiamo attingere copiosamente. Quello che segue è uno dei testi che in giorni come questi ci tengono ancorati alle sorgenti dell'insegnamento costante della Chiesa. Sul Pater, vedi nel blog: Non abbandonarli alla tentazione di cambiare il Padre nostro [qui]; Il “Padre nostro” in versione sacrilega [qui]

Dedicato a tutti coloro che ritengono "necessario" modificare il Padre nostro...

Sesta domanda: e non ci indurre in tentazione
Alcuni peccano e poi, desiderando di ottenere il perdono dei loro peccati, li confessano e se ne pentono, senza però impegnarsi a fondo, come dovrebbero, per non ricadervi.
Ma non è davvero bello che uno, da una parte, pianga i propri peccati quando si pente, e dall’altra accumuli motivi di pianto tornando a peccare. Infatti sta scritto: “Lavatevi, purificatevi, togliete il male dalle vostre azioni, dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene” (Is 1,16).
Per questo motivo Cristo, mentre nella precedente domanda ci insegnava a chiedere perdono dei peccati, in questa ci insegna a chiedere di poterli evitare, ossia di non essere indotti nella tentazione per la quale scivoliamo nel peccato, e ci fa dire: “Non ci indurre in tentazione”.
A proposito di questa domanda, ci poniamo tre interrogativi:
  1. che cos’è la tentazione,
  2. come e da chi l’uomo viene tentato,
  3. come viene liberato dalla tentazione.
Quanto al primo interrogativo, diciamo che tentare non è altro che saggiare o mettere alla prova, sicché tentare l’uomo vuol dire provare la sua virtù. Il che può compiersi in due maniere, secondo le due esigenze della virtù dell’uomo, che sono: operare nel bene, ossia comportarsi bene, ed evitare il male, secondo il monito del salmo: “Stà lontano dal male e fa’ il bene” (Sal 33,15).
La virtù dell’uomo viene pertanto provata alle volte quanto al bene da fare, e altre volte circa il male da evitare.
Nel primo caso, l’uomo è messo alla prova affinché si veda se egli è pronto al bene; e se sarai trovato pronto al bene vuol dire che la tua virtù è grande. Ebbene, qualche volta Dio saggia l’uomo in questo modo, non perché egli non conosca la sua virtù, ma per far sì che tutti la conoscano e sia a tutti di buon esempio. Fu a questo scopo che egli tentò Abramo e Giobbe; ed è con questa intenzione che egli manda spesso le tribolazioni ai giusti, affinché cioè, sopportandole con pazienza, appaia la loro virtù e facciano maggiore progresso. Dice infatti il Deuteronomio: “Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima” (Dt 13,4). Risulta perciò chiaro che Dio tenta incitando al bene.

Nell’altro caso, la virtù dell’uomo viene messa a prova dall’istigazione al male. Se egli resiste e non acconsente alla tentazione, la sua virtù è grande. Se invece soccombe, la sua virtù è nulla. Ma in questa maniera nessuno è tentato da Dio, perché egli, come dice Giacomo, “non tenta nessuno al male” (Gc 1,13).
In risposta al secondo interrogativo (come e da chi l’uomo viene tentato), si noti che l’uomo viene tentato al male in tre modi:
  • -dalla propria carne,
  • -dal diavolo
  • -e dal mondo.
Dalla carne viene tentato in due maniere.
La carne infatti istiga al male, perché ricerca sempre i propri piaceri nei quali, trattandosi di piaceri carnali, spesso c’è il peccato per il fatto che chi si lascia assorbire da essi trascura quelli dello spirito. Dice al riguardo S. Giacomo: “Ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, che lo attrae e lo seduce, poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato” (Gc 1,14).

La carne poi tenta distogliendo l’uomo dal bene. Mentre infatti lo spirito, per quanto dipende da lui, si diletta sempre dei beni spirituali, la carne col suo peso gli è di impaccio, perché “un corpo corruttibile appesantisce l’anima” (Sap 9,15). S. Paolo scrive in proposito: “Acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra” (Rm 7,22 23).
E questa tentazione della carne è molto grave perché questo nostro nemico, cioè la carne, è congiunto a noi; e, come dice Boezio, “non c’è per noi peste più nociva di un nemico che sia della nostra famiglia” (De consolatione philosophiae III,5). Contro la carne perciò si deve vigilare: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione” (Mt 26,41).

A sua volta, il diavolo tenta con estrema violenza.
Una volta infatti che si abbia vinta la carne, si scatena questo altro nostro nemico, il diavolo, contro il quale dobbiamo sostenere una grande battaglia: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Ef 6,12).
Per questo satana è detto espressamente il tentatore (Mt 4,3; I Ts 3,5). Il diavolo nel tentare usa molta astuzia. Come un abile capitano che assedia una fortezza, prima studia il punto debole della persona che vuol far cadere e poi la tenta là dove la scorge più vulnerabile.
Perciò una volta che gli uomini hanno resa inoffensiva la propria carne, Satana li tenta in quei vizi verso i quali sono più inclinati, quali l’ira, la superbia ed altri vizi spirituali. Dice S. Pietro: “Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1 Pt 5,8).

Quando poi egli tenta, mette in atto due espedienti.
Da principio non propone subito alla persona tentata un oggetto palesemente cattivo, ma qualcosa che abbia l’apparenza di bene, per stornarla inizialmente in tal modo dal suo proposito fondamentale e poterla poi in seguito indurre più facilmente al peccato, una volta che è riuscito a distoglierla sia pure di poco dal bene: in altre parole, “Satana si maschera da angelo di luce” (2 Cor 11,14).
In seguito poi, quando l’ha indotta al peccato, la lega talmente alla colpa da impedirle di distaccarsene, perché, al dire di Giobbe, “i nervi delle sue cosce si intrecciano saldi” (Gb 40,17). Cosicché due cose fa il diavolo: prima inganna e poi trattiene nel peccato chi ha ingannato.

Il terzo tentatore è il mondo, il quale tenta anch’esso in due maniere.
Prima di tutto con un eccessivo e smoderato desiderio dei beni temporali, perché come dice l’Apostolo: “L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali” (1 Tm 6,10).
Servendosi dei persecutori e dei tiranni, tenta poi anche incutendo terrore, per cui dice il Libro di Giobbe: “Anche noi siamo avvolti nelle tenebre” (Gb 37,19) e S. Paolo aggiunge: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Tm 3,12). Ma il Signore ci rassicura: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima” (Mt 10,28).

Dalle cose dette risulta perciò chiaro che cos’è la tentazione e come e da chi l’uomo viene tentato.

Rimane da vedere in qual modo l’uomo venga liberato dalla tentazione.
Su quest’ultimo punto va notato che Cristo ci insegna a chiedere non di non essere tentati, ma di non essere indotti nella tentazione.
Se infatti l’uomo vince la tentazione merita la corona; ed è per questo che Giacomo ci ammonisce: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove” (Gc 1,2), e il Siracide aggiunge: “Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1).
Ecco perché ci viene insegnato a chiedere di non essere indotti nella tentazione prestandole consenso; e S. Paolo commenta: “Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla” (1 Cor 10,12).
Essere tentati è infatti cosa umana, ma consentirvi è cosa diabolica.

Forse Dio induce al male dal momento che ci fa dire: “non ci indurre in tentazione”?
Rispondo che si dice che Dio induce al male nel senso che lo permette, in quanto, cioè, a causa dei suoi molti peccati precedenti, sottrae all’uomo la sua grazia, tolta la quale, egli scivola nel peccato. Per questo noi diciamo col salmista “Non abbandonarmi quando declinano le mie forze” (Sal 70,9).
Dio però sostiene l’uomo, perché non cada in tentazione, mediante il fervore della carità che, per quanto sia poca, è sufficiente a preservarci da qualsiasi peccato. Infatti che “le grandi acque non possono spegnere l’amore” (Ct 8,7).

Lo sostiene inoltre col lume dell’intelletto, col quale ci istruisce sulle cose da fare; poiché, come dice il Filosofo: “Ogni peccatore è un ignorante”.
E, siccome Dio per bocca sua aveva promesso: “Ti farò saggio, t’indicherò la via da seguire” (Sal 31,8), questo dono Davide lo chiedeva invocandolo: “Signore mio Dio, conserva la luce ai miei occhi, perché non mi sorprenda il sonno della morte, perché il mio nemico non dica: l’ho vinto” (Sal 12,4 5).
Noi otteniamo tutto questo col Dono dell’Intelletto, mediante il quale, se non consentiamo alla tentazione, conserviamo un cuore puro, del quale viene detto “Beati i puri di cuore” (Mt 5,8).
In questa maniera perverremo alla visione beatifica, alla quale ci faccia giungere il Signore.

Sintesi conclusiva
Volendo riassumere in breve quanto è stato detto sul Pater noster, bisogna rilevare che nella Preghiera del Signore sono contenute tutte le cose da desiderare e tutte quelle da fuggire.

Tra le cose da desiderare, si desidera di più quella che più si ama, cioè Dio. Ecco perché chiediamo per prima cosa la gloria di Dio dicendo “sia santificato il tuo nome”.

A Dio vengono poi richiesti tre beni che riguardano te.
  • Il primo è quello di poter pervenire alla vita eterna, e tu glielo chiedi quando dici: “venga il tuo regno”.
  • Il secondo è che tu faccia la volontà e adempia la giustizia di Dio, e glielo chiedi quando dici: “sia fatta la tua volontà”.
  • Il terzo è che tu abbia le cose necessarie alla vita, e gliele chiedi quando dici: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
A questi tre beni allude il Signore quando dice:
-circa il primo “Cercate prima il regno di Dio”;
-circa il secondo: “la sua giustizia”,
-e circa il terzo: “e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).

Le cose invece da evitare e da fuggire sono quelle contrarie al bene.

E il bene che noi dobbiamo desiderare è quadruplice.
  • Il primo è la gloria di Dio. E ad essa nessun male è contrario perché risulta sia dal bene che dal male: dal male in quanto Dio lo punisce, dal bene perché lo premia. Perciò è detto: “Se pecchi, che gli fai?... Se tu sei giusto, che cosa gli dai?” (Gb 35,67).
  • Il secondo è la vita eterna, e ad essa è contrario il peccato, perché col peccato si perde.
    Per rimuoverlo diciamo perciò: “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
  • Il terzo bene è costituito dalla giustizia e dalle opere buone, e a questo bene sono contrarie le tentazioni, perché esse ci impediscono di fare il bene. Per rimuovere questo male chiediamo: “non ci indurre in tentazione”.
  • Il quarto bene sono le cose necessarie alla vita, alle quali si oppongono le avversità e le tribolazioni. Per rimuoverle chiediamo: “liberaci dal male. Amen”.

26 commenti:

irina ha detto...

"... “Ogni peccatore è un ignorante”..."

Con una chiesa né madre, né maestra, i fedeli sono assediati da ignoranza e peccati gravissimi.

by Tripudio ha detto...

Il problema del Pater Noster se lo pongono solo coloro che almeno in qualche occasione lo recitano in italiano...

Anonimo ha detto...

Vedo e sento tanti entusiasti della nuova versione del Padre nostro. No, non è bellissima questa versione. Infatti, non è bello supporre che Dio ci possa abbandonare nella prova! E “non indurci in tentazione” non significa che Dio ci spinga nella “tentazione” come molti pensano, ma semplicemente è da associare a “passi da me questo calice”, ossia la prova. E come Gesù, anche noi abbiamo chiesto poco prima, nella stessa preghiera, che sia fatta la volontà di Dio...
Quindi mi sembra che questo cambiamento porti le persone a pensare che Dio possa abbandonarci, quando tutta la Bibbia è la dimostrazione della fedeltà di Dio e del fatto che Lui NON abbandona.
Sandra Fei su Fb

mic ha detto...

Leggo tanti messaggi di persone che dicono: "Non sono le parole che contano ma il cuore"...

Il fatto è che è Gesù che ci ha insegnato cosa chiedere. E cambiare una parola significa allontanarsi dalla realtà che essa rappresenta; il che alla fine comporta che interiorizziamo, e chiediamo qualcosa di diverso.
Dice bene Sandra Fei.

Giovanni Evangelista ha detto...

ANALISI TEOLOGICA

Sarò breve ponendo all'attenzione un semplice esempio:

- Papà mi porta nell'acqua alta.
Motivo? Insegnarmi a nuotare.
Intenzione? Il mio bene.

- Il Demonio mi porta nell'acqua alta.
Motivo? Farmi annegare.
Intenzione? Il mio male.

È vero che papà sarà sempre al mio fianco, e se vorrò (libero arbitrio) potrò tendergli la mano perché mi aiuti, ma egli non solo non mi abbandona (motivo strumentale), ma mi ci mette lui nella prova (motivo santificatore), perché io diventi Santo, (motivo finale).

Ergo, Dio può indurre in tentazione.
E dirò di più, se non lo facesse, neppure ci amerebbe!

La CEI, obbedendo al suo Capo Mondano, come fece il Serpente nella Genesi, dà al gregge di Cristo un volto distorto di Dio, di un Dio solo consolatore e non santificatore, di un Dio che in ultima istanza non ci ama.

Un Sacerdote ha detto...

Il testo di San Tommaso dimostra quanto sia in profonda malafede la gerarchia della Chiesa quando continua a giustificare il cambiamento con il mantra: “non è Dio che induce al male ma il diavolo”. Mai e poi mai in passato la Chiesa ha letto questo passo del Padre Nostro nel senso che oggi la gerarchia ecclesiastica lo intende e il brano del Dottore Angelico ne è una chiara, chiarissima evidenza. Vorrei, però, soffermarmi su un aspetto che mi pare nessuno abbia messo in evidenza. La Chiesa cambiando, per me in modo sacrilego, queste parole del Padre Nostro già nel 2008 nelle Sacre Scritture ha usato gli stessi e identici sistemi dei Testimoni di Geova. Faccio un esempio molto chiaro per capirci. Sappiamo tutti molto bene che i protestanti a qualsiasi comunità appartengano non credono alla transustanziazione vale a dire alla reale presenza di Cristo nell’ostia e nel vino dopo la consacrazione, ostia e vino che diventano realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Bene, nonostante questo, la stragrande maggioranza dei protestanti non ha mai osato cambiare nei Vangeli tradotti in lingua volgare le parole della consacrazione: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue. Il verbo greco èstin infatti non lascia spazio ad alcuna interpretazione: è la terza persona singolare del verbo essere e non può essere tradotto in un altro modo. Non potendo cambiare l’evidenza i protestanti la interpretano. Così “questo è il mio corpo” per loro ha solo un valore simbolico. I Testimoni di Geova, al contrario piegano il Vangelo alla loro ideologia. Nella loro “bibbia” Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture le parole “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue” vengono tradotte “questo significa il mio corpo” e “questo significa il mio sangue”. Il ridicolo poi lo raggiungono nell’interlineare greco-inglese dove sotto la parola greca èstin sono costretti a tradurre letteralmente: è, e di fianco, nella traduzione inglese èstin viene tradotto “means” cioè “significa”. La Chiesa con il Padre Nostro ha adottato lo stesso e identico criterio dei Testimoni di Geova. La parola “indurre” è sempre stata tradotta fedelmente in tutte le lingue dal greco eisenekes, “portare dentro”, “portare verso” e ha un chiaro significato di movimento verso qualcosa e non ha per niente un significato passivo di abbandono. E oggi questa neo chiesa che fa? Esattamente come la setta dei Testimoni di Geova parte da un presupposto ideologico che con il Padre nostro centra come i Cavoli a merenda (Dio non può tentare al male) e, proprio come i Testimoni di Geova, violenta le Sacre Scritture. Se le Sacre Scritture non vanno d’accordo con l’ideologia della neo chiesa non è quest’ultima a cambiare ma le sacre scritture tanto diranno sempre, arrampicandosi sui vetri, che determinati vocaboli possono essere tradotti in tanti modi e che in fin dei conti gli Evangelisti non volevano proprio scrivere ciò che hanno scritto anche perché, così prevengo il superiore dei Gesuiti P. Sosa Abascal, ai quei tempi, oltre ai registratori, non avevano ancora inventato la stampa. Siamo arrivati a questo punto. La Chiesa si è ridotta a una setta, come i Testimoni di Geova, e non si vergogna neppure. Trovo tutto questo non solo sacrilego, ma anche aberrante e ciò che mi rende più triste è il silenzio assordante di tutti i cardinali e vescovi su questa evidente violenza. Probabilmente per loro ci sono cose più importanti a cui rivolgere la loro attenzione. Le Sacre Scritture, in fin dei conti, è roba di duemila anni fa!

Anonimo ha detto...

https://gloria.tv/video/6qmk2AVVD99f2EYFu1myHgWA4

interessante spiegazione di più di un anno fa

Anonimo ha detto...

Et in terra pax hominibus bonae voluntatis ...

tralcio ha detto...

Ieri il brano di vangelo della Santa Messa era "abbastanza duretto" e si concludeva con un'espressione che ho sempre fatto fatica a capire: "dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi".
Un conoscente mi ha fatto ascoltare una spiegazione che non conoscevo e che rilancio per far capire che le traduzioni pedestri sono sempre un problema per il vangelo.
Infatti il vangelo (l'ho verificato su un'edizione in italiano del 1938 che ho in casa) precedentemente traduceva aquile e non avvoltoi e corpo e non cadavere.
L'aquila nel vangelo è un animale "positivo", mentre l'avvoltoio non lo è.
Inoltre l'aquila non si ciba di cadaveri.
Il soma quindi non è da intendersi come cadavere, ma come il corpo vivo presso il quale stanno e si radunano le aquile.
Ne scaturiscono spunti bellissimi, sull'essere aquile presso il Corpo (di Cristo) che salva in una circostanza così drammatica come quella descritta da Gesù in quel passo di vangelo.
L'avevamo già citata tante volte: ricordiamoci la moglie di Lot.
Sì, non volgiamoci ai cadaveri e agli avvoltoi, mentre possiamo essere aquile.
Possiamo essere Corpo di Cristo e fare la differenza mentre le cose non vanno come il mondo bramerebbe. E pensiamo alle traduzioni strampalate e al danno che provocano alla Verità.

Bello ! ha detto...

Riprendo : "ma mi ci mette lui nella prova"
Perche' impari a non aver paura dell'acqua , perche' impari a buttarmi nell'agone , perche' impari a combattere , perche' vinca me stesso , perche' imiti il suo carattere forte . Come una mamma che insegna al proprio bambino a stare in piedi a muovere i primi passi a camminare spedito da solo .

Anonimo ha detto...

Eh sì bisognerebbe mandare Padre Barzaghi a far loro lezione .

Sacerdos quidam ha detto...

Su questo punto comunque hanno ragione quelli di Uccronline.it, nonostante siano assurdi sostenitori di Papa Bergoglio anche contro ogni evidenza: la nuova traduzione del Pater noster ora passata nel messale era già stata introdotta nella versione del 2008 della Bibbia CEI, dunque sotto il Papato di Ratzinger: http://www.gliscritti.it/dchiesa/bibbia_cei08/nt47-vangelo_secondo_matteo.htm#cap_vangelo_secondo_matteo_6
Era ovvio, a questo punto, che la stessa nuova versione passasse anche nella liturgia, anche se ci hanno impiegato 10 anni...
Come vedete, è sempre la stessa Rivoluzione che continua, prima con gli altri Papi 'conciliari' ed ora con Papa Bergoglio. Poi, ovviamente, vi sono differenze sia di stile che di 'velocità' nelle sue esplicitazioni pratiche, ma la Rivoluzione è la medesima.

Anonimo ha detto...

Il cambiamento della parte sul "Padre nostro" che riguarda l'induzione alle tentazioni o alle prove, indica in modo palese, dovesse essercene ancora bisogno, che la Chiesa conciliare è totalmente priva di esperienza spirituale. Al suo posto troneggia un razionalismo teologico di bassissima lega.
Una Chiesa totalmente priva di esperienza spirituale che fa leva unicamente sul razionalismo ha cessato di essere tale poiché se non è nella Chiesa che si accede all'anticipo del Regno dei Cieli, dove mai lo si potrebbe fare?
In verità è una Chiesa morta che se non fosse sostenuta da soldi e aderenze politiche sarebbe finita da un pezzo...

Anonimo ha detto...

Anche se persone molto più titolate di me hanno già espresso il loro parere, vorrei dire anch'io la mia sulla questione del "non indurci in tentazione".
1. Non sono un teologo, ma ho amici teologi, e tutti unanimemente hanno espresso più di una perplessità sulla nuova "traduzione".
2. Di lingue e traduzioni invece penso di intendermene un po' di più. Quindi mi permetto di esprimere alcune considerazioni.
a. I. Le traduzioni possono cambiare nel tempo, perché seguono il mutare delle lingue. Pertanto un cambiamento della traduzione in sé non sarebbe scandaloso. Da piccolo nell'Ave Maria dicevo "il Signore è teco", oggi tutti diciamo "il Signore è con te": eliminazione di una forma ormai uscita dall'uso e sostituzione col suo equivalente. Nessun problema.
a. II. Le traduzioni possono cambiare, ma devono rimanere traduzioni, non possono essere sostituite da parafrasi. Se un testo ha bisogno di chiarimenti, si scrivono note a piè di pagina o in appositi scritti, ma il testo non è soggetto a cambiamenti, altrimenti abbiamo quella che tecnicamente si chiama una interpolazione. Il testo del Nuovo Testamento in particolare, proprio per il valore che esso riveste per la comunità cristiana, richiede al traduttore un grande equilibrio. Si ricordi come Gerolamo, santo patrono dei traduttori, nella Lettera a Pammachio inviti i traduttori del NT alla massima cautela e rispetto del testo, perché nel testo biblico anche la disposizione delle parole "mysterium est". Un conto è tradurre Omero o Virgilio o qualunque altro testo di letteratura o meno, un altro conto è tradurre la Bibbia (e anche su molte versioni correnti ci sarebbe moltissimo da dire).
b. Per il Padre Nostro, il testo a cui fare riferimento è il greco del Nuovo Testamento. Gesù parlava in aramaico, e anche apostoli, discepoli, evangelisti avevano l'aramaico come lingua materna (ma forse Luca no) e usavano (con qualche fatica e approssimazione) il greco in quanto lingua veicolare di tutto il Medio Oriente. Tuttavia l'unica fonte certa che possediamo (l'unica fonte autorizzata, per usare un'espressione moderna!) è il greco del Vangelo. Ipotizzare possibili errori e fraintendimenti dei due evangelisti (Mt. 6, 13 = Lc. 11,4) che hanno riportato in greco le parole in aramaico di Gesù è fatica inutile, perché non vi sono elementi sui quali impostare una discussione seria.
c. Il verbo (εἰσενέγκηῃς) è chiaro e non ammette discussioni: εἰσφέρω è 'portare dentro' o 'portare verso' ('bring on or upon, introduce' secondo il Liddell-Scott; 'llevar, conducir' secondo il DGE, che cita fra gli altri proprio questo passo). Anche i testi non letterari dell'epoca (papiri) mettono in luce nettamente questo valore. Corretta quindi la traduzione della Vulgata 'inducas', sulla quale è basata la traduzione italiana corrente.
d. Sul sostantivo (πειρασμόν) si sarebbe potuto lavorare con più frutto: πειρασμός vale 'prova'; la traduzione della Vulgata (temptatio) è corretta, ma nella tradizione italiana sulla parola 'tentazione' si sono sovrapposte delle incrostazioni moralistiche che hanno allontanato la parola dal suo valore primitivo, abbastanza chiaro e circostanziato: temptatio è 'prova, esperimento', anche in senso fisico ('attacco di una malattia'). In sostanza 'inducas in temptationem' è 'introdurci alla prova, metterci alla prova', che, se proprio si voleva cambiare, sarebbe stato cambiamento molto più agevole.
Moreno Morani su Fb

mic ha detto...

Però è anche vero che la Parola non coincide né col suo valore letterale né con quello letterario. Per questo una attenzione squisitamente linguistica è, dal punto di vista ermeneutico, discutibile in ogni caso. Questo penso intendesse Gerolamo richiamando il ‘mysterium’ davanti ai testi sacri, più che la capacità del saper tradurre.

La Chiesa, invece di cambiare rito e testi (col pretesto dell'accessibilità), nel suo munus docendi, dovrebbe dare la giusta interpretazione, la chiave ermeneutica con autorevolezza e argomenti teologici resi accessibili ai fedeli comuni. Cosa che non è mancata nel corso dei secoli e ne conserviamo i frutti saporosi.
Ora, invece, lo storicismo che tutto travolge, mette mano alla stessa Scrittura, che invece va preservata e custodita e trasmessa integra anche alle generazioni future...

tralcio ha detto...

Sapiente spiegazione di Padre Barzaghi.

La parola temptamen significa prova. Dire: "provo" è anche dire "tento". Ci provo. Vediamo.
La prova può avere più esiti: essenzialmente (vedi esami del sangue) positivo o negativo.
L'espressione "indurre in" è un mettere in, portare in o collocare.
Chi mi colloca o mette in una prova non necessariamente mi vuole male.
Se però mi mette alla prova con cattive intenzioni è differente dal saggiarmi. C'è malizia.
Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù ci invita a chiedere di NON essere messi alla prova.
Lo dico al Padre, non al diavolo. Dunque a mettermi alla prova è il Padre, non il diavolo.
Un Padre che mi ama, mi educa, mi muove a santità, ma può cogliermi impreparato.
Come direi al professore avendo studiato poco: dai prof, oggi non mi interroghi...
Una richiesta fatta con dolcezza, sapendosi amati.
Una richiesta umile, di chi è impreparato e mendica comprensione.
Come chiedendo il pane per l'oggi, avendone bisogno.
Come chiedendo perdono, promettendo di fare altrettanto, avendone bisogno.
Qui chiede di non esagerare nelle interrogazioni, anche se sa che sono necessarie.
Infine chiede al Padre di essere liberato dal Maligno.
Chiediamo a Dio come si chiede al papà, anche dopo aver fatto una marachella.
Chi è quello stordito biblista che si è inventato il Dio cattivo?
Chi è quell'uomo di poca fede che ritiene di dover chiedere a Dio di non abbandonarmi?
Chi è che sa che cosa significa davvero l'espressione "abbandono alla tentazione"?
Posto che il verbo abbandonare proprio non c'è, ma "alla tentazione" chi abbandona chi?
Abbandoniamo noi il Padre? O il Padre abbandona noi? Ci abbandoniamo a farci fare l'esame?
Chi l'ha detto che l'esame è una cosa sempre negativa? La prova sarebbe allora un peccato?
Ma il peccato è contro Dio. E qui è Dio a metterci alla prova. Dio è contraddittorio?
E' un guaio avere a che fare con certe traduzioni e ancor più con la poca fede in Dio.
Sarebbe così semplice: "Babbo caro, non metterci alla prova".

Invece della saccenza di certi superbi gerarchi, servirebbe tanta umiltà.
L'umiltà della serva che con cuore puro guarda al Signore, lo vede ed esulta in cuor suo.
La misericordia di Dio si stende su quelli che lo temono. Gli si rivolgono con delicatezza.
Tieni conto che sono un po' una capra. Tieni conto che non ho ancora capito bene.
Comunque, non come voglio io, ma come vuoi tu. Gliel'avevamo detto quattro righe prima.
L'ha detto Gesù.

Comunque, liberaci dal male. Dal Maligno.
Da quello che mi vuole male, non come te, Babbo mio.

tralcio ha detto...

Sacerdos quidam

Benedetto XVI ha spiegato benissimo:

https://www.cantualeantonianum.com/2017/12/non-ci-indurre-in-tentazione-papa.html?m=1

Estrapolo:

"Così possiamo ora interpretare la sesta domanda del Padre nostro già in maniera un po' più concreta. Con essa diciamo a Dio: «So che ho bisogno di prove affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste prove, se - come nel caso di Giobbe - dai un po' di mano libera al Maligno, allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo capace. Non tracciare troppo ampi i confini entro i quali posso essere tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua per me». In questo senso san Cipriano ha interpretato la domanda. Dice: quando chiediamo «e non c'indurre in tentazione», esprimiamo la consapevolezza «che il nemico non può fare niente contro di noi se prima non gli è stato permesso da Dio; così che ogni nostro timore e devozione e culto si rivolgano a Dio, dal momento che nelle nostre tentazioni niente è lecito al Maligno, se non gliene vien data di là la facoltà» (De dom. or. 25).

Anonimo ha detto...

Ma... È un impressione solo mia che si 'parte da lontano per arrivare poi alla bomba vera e propria' (cioè cambiare la consacrazione Eucaristica) oppure anche qualcun altro lo ha capito? Ed è sempre un impressione solo mia che togliendo la 'volontà ' dal Gloria altro non si miri che a ridurre il Cattolicesimo all'errore dell'eresia anglicana e quindi luterana? Voglio dire: il programma è già avviato, da un pezzo. Per quanto ancora staremo addormentati senza protestare in massa?
Basta ignoranza.

Sacerdos quidam ha detto...

@ Tralcio:
va bene, ma il fatto è che il medesimo Benedetto XVI ha permesso l'edizione della Bibbia CEI 2008 con la versione 'taroccata' del Pater noster che oggi, di conseguenza logica, è passata anche nel messale.

tralcio ha detto...

I lupi, le dimissioni restando papa, il pro multis, il summorum pontificum...
Vado avanti? Gli hanno lasciato fare quel che avrebbe voluto?
Più realismo non guasterebbe. Altrimenti per tirare avanti resta solo il tiro al piccione.

irina ha detto...

Sì, tralcio più realismo. Solo il realismo rende autentico ogni nostro sentimento, se così non accade ci muoviamo nella fantasia, in quello che solo vogliamo vedere trascurando l'insieme, facciamo così di un essere umano un idolo. E J.Ratzinger ha sempre suscitato grandi contrapposizioni e ancora ne suscita. Sono certa che nella sua forma di massimo equilibrio il vero sentimento positivo di amore, di rispetto, di stima deve poggiare sulla conoscenza spassionata, appunto, della persona osando guardare anche i suoi errori occasionali o costanti, abituali.

Forse e' una illazione ha detto...

La diocesi di Ferrara annuncia che, visto il numero decrescente dei sacerdoti, alla Messa domenicale si potranno sostituire altri tipi di celebrazioni. Così, al criterio, da sempre usato dalla Chiesa, dell'impossibilità di partecipare alla Messa, si sta sotituendo quello della comodità, comunicando ai fedeli che la celebrazione dell’Eucaristia è fondamentale ma non tanto da richiedere un viaggio di una decina di minuti. Una mossa che anticipa l'esito del prossimo sinodo sull'Amazzonia?
http://www.lanuovabq.it/it/a-messa-senza-il-prete-ferrara-provincia-damazzonia

Forse ho capito in che consiste la sinodalita' : sinodalita' in senso moderno vuol dire restare compatti nel perseguire il programma gia' studiato e messo apunto . Puo' essere ?

Anonimo ha detto...

Per Sacerdos quidam
La revisione del 2008, BXVI l’aveva rispedita al mittente tramite la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Adesso, cambiato il papa, ci riprovano anche perché il Cardinal Sarah non potrà più opporsi, visto che è stato esautorato di fatto se non de iure.

Anonimo ha detto...

Il suo programma di vita diviene il desiderio di vivere «senza sosta, attraverso ogni cosa, con Colui che abita in noi e che è Carità» (L 179).
Scrive alla sorella Guite: «Sii il Suo paradiso in quel paese in cui Egli è così poco conosciuto, così poco amato, apri il tuo cuore quanto più ti è possibile per ospitarLo, e poi lì, nella tua celletta, ama, mia Guite!… Egli ha sete d’amore…» (L 210).

« Credi sempre all’Amore, malgrado tutto ciò che passa. / Se talvolta Dio sonnecchia al centro del tuo cuore, / Non risvegliarLo, perché è un’altra grazia / Che la Sua bontà prepara al Suo piccolo fiore » (P93).

A poche settimane dalla morte: « …è ciò che ha fatto della mia vita (…) un Cielo anticipato: credere che un Essere che si chiama l’Amore abita in noi ad ogni istante del giorno e della notte e che ci chiede di vivere in società con Lui, ricevere allo stesso modo come procedenti direttamente dal Suo amore ogni gioia, come ogni dolore; questo innalza l’anima al di sopra di ciò che passa, di ciò che stritola, e la fa riposare nella pace » (L 330).

« … Le lascio la mia fede nella presenza di Dio, del Dio tutto Amore che abita nelle nostre anime. Glielo confido: è questa intimità con Lui “ al di dentro ” che è stata il bel sole che ha irradiato la mia vita, facendone già come un Cielo anticipato; è ciò che mi sostiene oggi nella sofferenza » (L 333).

S.Elisabetta della Trinità

Anonimo ha detto...

A poche settimane dalla morte: « …è ciò che ha fatto della mia vita (…) un Cielo anticipato: credere che un Essere che si chiama l’Amore abita in noi ad ogni istante del giorno e della notte e che ci chiede di vivere in società con Lui, ricevere allo stesso modo come procedenti direttamente dal Suo amore ogni gioia, come ogni dolore; questo innalza l’anima al di sopra di ciò che passa, di ciò che stritola, e la fa riposare nella pace » (L 330).
S.Elisabetta della Trinità

Sacerdos quidam ha detto...

@ anonimo delle 8.38:
la terza edizione del messale novus ordo è stata ristampata nel 2008 con correzioni, e penso che Lei si riferisca a questo avvenimento. Ma io facevo riferimento all'edizione della Bibbia CEI dello stesso anno.

@ Tralcio:
il preciso dovere di un Papa è di salvaguardare la Fede. Dire che Papa Ratzinger non ha corretto il taroccamento del Pater noster nella Bibbia CEI del 2008 perché minacciato-ricattato o altro, non giustifica il suo comportamento.
Sarebbe come se un padre non intervenisse per impedire che i suoi figli mangino del cibo avariato e pericoloso, perché la moglie altrimenti scatenerebbe una scenata o peggio.