Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 26 settembre 2023

Ragione e tradizione, quel che Fernandez ignora sulla Rivelazione

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Ragione e tradizione, quel che Fernandez ignora sulla Rivelazione

Tra i molti argomenti affrontati dal nuovo prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede, Víctor Fernández, nell'intervista concessa al direttore uscente de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro di cui ci siamo occupati, c'è anche una domanda sul rapporto tra fede e ragione. 

Riportiamo quasi per intero la risposta di Mons. Fernández: «Attenzione, perché talvolta si colloca al centro della Chiesa “una” certa ragione, una serie di princìpi che reggono tutto, anche se si tratta in definitiva di una forma mentis, più filosofica che teologica, alla quale tutto il resto deve sottomettersi, e che alla fine prende il posto della Rivelazione! Pertanto, coloro che determinano la corretta interpretazione della Rivelazione e della verità sarebbero coloro che possiedono questa forma mentis, questo modo di ragionare, questa unica struttura possibile di princìpi razionali. Soltanto loro sarebbero “seri”, “intelligenti”, “fedeli”. Ciò spiega il potere che si arrogano alcuni ecclesiastici, arrivando a stabilire ciò che il Papa può o non può dire, e presentandosi come garanti della legittimità e dell’unità della fede. In fondo, la forma mentis di cui essi si considerano guardiani assoluti è una fonte di potere che si vuole salvaguardare contro tutto. Non è la ragione, è il potere».

In breve il neo prefetto punta il dito contro gli indiedristi, quelli che sono tutto dottrina zero carità, i dogmatici rigidi. Tutte figure, chissà perché, escluse a priori dal dialogo, dal camminare insieme, dal confronto arricchente e scartate perché assetate da potere, uno dei tanti mali del clericalismo che colpisce pure i laici.

Ma al netto di queste pennellate di carattere sociologico, la critica di fondo di Fernandéz è quella di un soggettivismo di alcune censure che colpiscono l’attuale magistero, censure che quindi sarebbero di parte. Esiste invece la possibilità di verificare oggettivamente se una certa affermazione o decisione, anche di alti prelati, sia corretta o meno? Sì. Infatti esistono in definitiva due paradigmi veritativi per distinguere, in una certa disputa dentro la Chiesa, chi è in errore da chi ha ragione (e con tale giudizio confermiamo la nostra appartenenza tra gli indietristi). Il primo paradigma è la ragione, facoltà che entra in gioco, in primis, nel campo della morale naturale. La ragione è uno strumento che, per sua natura, funziona in tutti allo stesso modo. Sta qui la verificabilità universale di qualsiasi affermazione. Questo è il metro che chiunque può usare per misurare ogni giudizio.

Sospettiamo che dietro la critica del neo Prefetto riguardo ad una certa forma mentis presente nei dibattiti intra Ecclesiam si celi il rifiuto di usare la ragione in quanto tale, dal momento che questa potenza dell’anima agisce in modo rigoroso perché logico. Tale approccio molto razionale apparirebbe freddo, distaccato, troppo preciso e dunque selettivo per evitare di escludere condotte morali che invece oggi si vogliono far entrare dal portone principale della Chiesa, modificando così non tanto la dottrina scritta, ma la dottrina vissuta. La critica ad una certa forma mentis appare quindi una critica alla ragione di per sé, perché riottosa nell’adottare criteri di giudizi evanescenti ed ambigui come “discernimento”, “prossimità”, “spirito del Vangelo”, “avviare processi”, “camminare insieme”, parole o espressioni talismano che sono un passepartout per aprire anche quelle porte che la Chiesa ha sempre voluto tenere ben chiuse, proprio perché al di là di quelle porte avremmo trovato mostri nemici della ragione.

Il secondo paradigma deve essere usato nel campo della fede ed è rappresentato dalla Scrittura e dalla Tradizione. Vi sono materie che la ragione può comprendere, seppur non perfettamente, solo grazie alla Rivelazione illuminata dalla luce della fede, quindi solo se le viene in aiuto la Parola di Dio e la grazia di Dio che comunica l’autentico significato di quella Parola, grazia che quindi le permette di conoscere verità che non potrebbe mai conoscere solo ricorrendo alle sue forze naturali.

Va da sé che la ragione può errare e che l’interpretazione della Scrittura e della Tradizione può essere anch’essa ingannevole. Ecco perché Cristo ha promesso l’infallibilità, a certe condizioni e su certe materie, al Papa. Ecco perché c’è il Magistero infallibile che guida noi credenti con certezza. Dunque il vero paradigma, perché oggettivo e non soggettivo, con cui Mons. Fernandez e i suoi interlocutori si devono confrontare sono i responsi di ragione e di fede contenuti nel Magistero infallibile. Ed è proprio facendo appello al tale Magistero – e dunque alla recta ratio e alla vera fede cattolica – che molti criticano affermazioni e decisioni di uomini di Chiesa.

In breve, si confrontano queste affermazioni e decisioni con il paradigma ufficiale della Chiesa, ossia con pronunciamenti dogmatici, e si determina chi ha ragione e chi ha torto. Ma per il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ne siamo persuasi, questo è sicuramente un sistema troppo rigido ed arrogante da usarsi.
Tommaso Scandroglio - Fonte

12 commenti:

Gederson Falcometa ha detto...

"In breve il neo prefetto punta il dito contro gli indiedristi, quelli che sono tutto dottrina zero carità, i dogmatici rigidi".

L'accusa di indietrismo solleva un serio interrogativo sul deposito della fede: La rivelazione è un evento sublime, ma è già avvenuto? Succede o succederà ancora? Ora, se è gia accadutto, la Tradizione e le Sacre Scritture ne sono le fonti, ma se ancora accade o accadrà, e il semplice utilizzo delle fonti è indietrismo, quale sarebbe l'attuale criterio della rivelazione? Quale sarebbe la sua fonte o le sue fonti? Sembra che l'aggiornamento, cosa altamente discutibile, abbia subito una mutazione, dove cominciò ad essere inteso come l'accoglienza di nuove rivelazioni da parte di Dio, per sostituire l'antico deposito della fede. Laddove la rivelazione di oggi contraddice quella di ieri e quella di domani contraddirà quella di oggi. Potrebbe essere questa la ragione dell’indietrismo? Ma che Dio rivela oggi che qualcosa è peccato, e domani rivela che qualcosa non è più peccato?

Gederson Falcometa ha detto...

Tornare indietro è il presupposto di una riforma. Questo me ricorda il dibattito tra Jean Madiran e Yves Congar. L'ultimo ammette che la riforma conciliare ha tornato alla Chiesa primitiva e ai testi della prima patristica, come se può leggere:

"Madiran parte da una cosa fondamentale, e cioè dal modo in cui Congar e gli altri impegnati hanno sfruttato il grande lavoro di ressourcement di Daniélou, Henri de Lubac e altri che hanno salvato dall’oblio e pubblicato una moltitudine di testi della Chiesa primitiva e della prima patristica. A cavallo di questo movimento, Congar approva, come dice Madiran,
... la riesumazione di una tradizione più antica di quella del Medioevo e dell’epoca moderna.

L’idea, ovviamente, è un po’ uno scherzo, ma Madiran non si lascia ingannare:
Una tradizione più antica? Si può affermare che una tradizione è più antica di un’altra quando entrambe sono tradizioni vive. Al contrario, non si invoca una tradizione più antica, ma una tradizione morta: una tradizione che non si tramanda più, una tradizione che non è più tradizione. Lei scivola dolcemente nei confini del sofisma in cui abbiamo visto cadere con tanto fragore tanti vescovi: il sofisma secondo cui il più antico sarebbe il più tradizionale (p. 15)". Jean Madiran contro Yves Congar O.P. (uno scambio epistolare quindici anni dopo il Concilio) - http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV5174_Tollers_Jean-Madiran_vs_Yves-Congar.html

Ratzinger, ad esempio, quando spiega i problemi di interpretazione del Concilio Vaticano II, torna indietro 1600 anni, e usa i problemi di comprensione delle definizioni del Concilio di Nicea per giustificare i problemi del Vaticano II. Ma negli oltre 1600 anni che ci separano dal Concilio di Nicea, non ci sono stati reali progressi nella risoluzione dei problemi che alcuni Concili hannp presentato? Inoltre, il Concilio di Nicea ha usato il linguaggio dei canoni e degli anatemi, perché non lo ha fatto il Vaticano II? Quindi quello che abbiamo è la condanna selettiva del indietrismo. Soprattutto quando questo rendimento si basa su periodi in cui le cose sono già ben definite. Ragione per la quale Congar ammette a Madiran l'utilizzo dei testi della Chiesa primitiva e della prima patristica. Questo me ricorda ancora l'attaco di Don Morselli alla FSSPX, dove lui parla di religione del libro. Ora, tutte le riforme conciliare sono stati basati in libri, una "riforma" di tale genero potrebbe essere l'espressione della religione del Verbo che se è fatto carne?

Il trucco dei progressisti è abbastanza chiaro: essi accusano la tradizione preconciliare di essere morta, ma la “tradizione” di cui si sono serviti per le loro riforme proviene da momenti precedenti (in cui le questione sono aperti) al ​​loro autentico progresso teologico. Come nel caso del Concilio di Nicea: possiamo paragonare le risorse linguistiche della Chiesa, nel IV secolo, con le risorse linguistiche di cui disponeva la Chiesa quando tenne il Concilio Vaticano I, nel XIX secolo? Quando si tratta di problemi, la “tradizione” conciliare vivente è fissa e rigida nell'affermare che i problemi linguistici di Nicea non sono stati e non saranno superati. Lo stesso per l'indietrismo: quando è utile per il partito, l'indietrismo è pienamente valido. Però, quando conttradice l'orientamento dominante... Nessuno è più indietrista che il proprio Concilio Vaticano II, e l'ammette Yves Congar, uno dei principale neomodernista a partecipare del proprio Concilio!

Apparentemente ciò che si voleva, e ciò che si vuole realmente, è trasformare piuttosto che riformare il deposito della fede. Almeno in Bergoglio si vede chiaramente la continuazione della tesi di Marx 11 ad Feuerbach: i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; la questione, tuttavia, è trasformarla.

Anonimo ha detto...

Forse bisogna intendersi su cosa sia la Chiesa. A prescindere da Bergoglio o dai papi in generale. Comunque una cosa è certa, Bergoglio è l'immagine plastica di quello che sta succedendo a tutti i livelli della società

Occasione per chi vuol ripassare il Catechismo. ha detto...

LUX MUNDI
Appuntamento con il Catechismo della Chiesa Cattolica

La celebrazione del Mistero cristiano
La Liturgia e i Sacramenti - 8

Martedì 26 settembre 2023
ore 20.45: S. Rosario
ore 21.15: Catechesi

Vi aspetto! don Luca Paitoni

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Anonimo ha detto...

La Chiesa Cattolica è, a mio avviso, in una condizione peggiore della società, e questo perché, anziché educarla, la insegue e ne respira i veleni, venendo meno alla sua missione.
Quindi la società è in uno stato pietoso anche perché la Chiesa ha abdicato al suo ruolo.
Se si fa un confronto tra il cattolicesimo ai tempi di San Pio X (ma ancora ai tempi di Pio XII) e quello attuale si rimane esterrefatti.

Gz

Anonimo ha detto...


La pochezza intellettuale rivelata dalla frase di Fernandez sopra riportata può stupire solo coloro che non si sono ancora resi conto della gravità abissale della crisi della Gerarchia attuale.

Angheran70 ha detto...

In fondo, la forma mentis di cui essi si considerano guardiani assoluti è una fonte di potere che si vuole salvaguardare contro tutto. Non è la ragione, è il potere

Parafrasando si potrebbe dire che questa è invece la forma mentis della 'teologia della pampa' che applica con disinvoltura il modello sudamericano esautorando 'manu militari' le aree non contigue al proprio pensiero. L'idea (luterana) che la Chiesa istituzione sia la sentina di tutti i mali trova svariate applicazioni nel continente, dalla Teologia della Liberazione al Pentecostalismo, che ha ormai sostituito la fede cattolica nei numeri.

Al centro vi è sempre il rifiuto di una fede 'pensata' a favore di una fede 'sentita'.
Questo modello - sempre contrastato dalla dottrina cattolica - ha trovato terreno fertile nella crisi del post concilio anche in Europa grazie ai movimenti.

Non si insegna forse lì che il tale gruppo rappresenta 'la fede di Giovanni' contro 'la fede di Pietro'? Non si insegna che sentire è più importante che comprendere? Non si insegna che la Chiesa delle origini arriva fino a Costantino e a Nicea e poi si inabissa per riemergere con il Vaticano II?

Ratzinger, ad esempio, quando spiega i problemi di interpretazione del Concilio Vaticano II, torna indietro 1600 anni, e usa i problemi di comprensione delle definizioni del Concilio di Nicea per giustificare i problemi del Vaticano II. Ma negli oltre 1600 anni che ci separano dal Concilio di Nicea, non ci sono stati reali progressi nella risoluzione dei problemi che alcuni Concili hanno presentato?

Certo che ci sono stati, ma evidentemente se Ratzinger è dovuto tornare indietro a Nicea e ai Padri della Chiesa (nel disinteresse della gerarchia) era perchè era ben consapevole che quella mentalità la faceva da padrone e trovava appoggi importanti.

Es. 'Vado a Medjugorje perchè mi sento bene', perchè lì 'provo' qualcosa.
(e Bergoglio corre a salvare Medjugorie esautorando Muller)

Di nuovo appare chiaro che le sponde che ha trovato Bergoglio sotto la regia di Hummes ,
nel primo disastroso tentativo e nel secondo andato poi a segno, sono da ricercare nei settori avversi alla CDF a trazione ratzingeriana, più che nelle fantomatiche deviazioni del Concilio.

Fernandez rappresenta la bandierina issata sull'odiato fortino, mentre ciò che resta della Congregazione non può far altro che ritirarsi in buon ordine per non essere complice dello spettacolo finale.

Catholicus ha detto...

Gz : inutile e autolesionistico fare quel confronto : ciò poiché non si tratta di due stili diversi di cattolicesimo ( come volevano farci credere Roncalli prima e Ratzinger poi...), bensì di due religioni antitetiche : il teocentrismo cattolico e l' antropocentrismo (=satanismo) conciliare e postconciliare, giunto al suo apice con Bergoglio ( motus in fine velocior, come noto). Chu non sta con Cristo sta conteo di Lui, quindi è meglio piantarla con le suppliche e le tichieste al cosiddetto santo padre....

Gederson Falcometa ha detto...

"Certo che ci sono stati, ma evidentemente se Ratzinger è dovuto tornare indietro a Nicea e ai Padri della Chiesa (nel disinteresse della gerarchia) era perchè era ben consapevole che quella mentalità la faceva da padrone e trovava appoggi importanti".

La Nouvelle Théologie in sè è un indietrismo, per questo è chiamata dai suoi membri di "teologie delle fonti". Ratzinger, come rappresentanti di questa teologia, non è diverso.

Il ritorno a Nicea è stato per una ragione molto specifica: utilizzare i problemi di comprensione derivanti dal Concilio di Nicea, per giustificare quelli del Vaticano II.

E' come ho detto nel secondo commento:
"Il trucco dei progressisti è abbastanza chiaro: essi accusano la tradizione preconciliare di essere morta, ma la “tradizione” di cui si sono serviti per le loro riforme proviene da momenti precedenti (in cui le questione sono aperti) al ​​loro autentico progresso teologico. Come nel caso del Concilio di Nicea: possiamo paragonare le risorse linguistiche della Chiesa, nel IV secolo, con le risorse linguistiche di cui disponeva la Chiesa quando tenne il Concilio Vaticano I, nel XIX secolo? Quando si tratta di problemi, la “tradizione” conciliare vivente è fissa e rigida nell'affermare che i problemi linguistici di Nicea non sono stati e non saranno superati".

Gederson Falcometa ha detto...

La questione della Nouvelle Théologie è interessante per la questione del magistero solum:

Come siamo passati dalla sola scriptura et traditio al solum magisterium?

Vale la pena notare che non si tratta nemmeno di solum magisterium, perché questa definizione implica trasformare il Magistero nella unica fonte di rivelazione. In questo senso si potrebbe usare decisioni magisteriali precedenti con le quali l'attuali dovrebbero essere coerente, ma non è questo il caso del Concilio Vaticano II, e nemmeno dello stesso Magistero attuale. Si tratta di un'identificazione assoluta (o quasi) del Magistero pontificio con una rivelazione che continua ad accadere e il Papa diventa come uni degli santi scrittore dei libri della S. Scrittura. Concretamente, non accettando la fine della Rivelazione con la morte dell'ultimo apostolo, è come se davanti a noi si scrivesse il sesto Vangelo. La quinta sarebbe stata scritta in occasione del Concilio e del post-Concilio. Poiché la tradizione precede la scrittura, si trattava di sacralizzare più di 200 anni di cultura liberale.

Anonimo ha detto...

C è Rivelazione e rivelazione. Costoro giocano intenzionalmente e maliziosamente con le parole, il che per un cattolico è bestemmiare il Verbo.

Anonimo ha detto...

La gravità orizzontalmente drammatica dell’ora presente