Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 4 ottobre 2025

Imparare il latino liturgico, lezione 12

Nella nostra traduzione da Via Mediaevalis proseguono le lezioni settimanali sul latino liturgico. Una breve nota logistica : d'ora in poi, non pubblico l'elenco delle lezioni precedenti. Un link all'archivio completo è disponibile qui e potete accedervi fin da ora.

Imparare il latino liturgico, lezione 12
introibo ad altare Dei

Oggi facciamo qualcosa di un po' diverso. Invece della solita combinazione di vocabolario, grammatica ed esercizi di lettura, dedicheremo l'intera lezione a un Salmo che occupa un posto di rilievo nella liturgia tradizionale. Il Salmo 42 viene recitato durante le preghiere all'inizio della Messa: è davvero sorprendente pensare a quante volte questo poema sacro sia stato recitato dai sacerdoti dell'Altissimo, tra cui molti santi, mentre si preparavano a salire all'altare e a offrire l'antico Sacrificio.

I nostri obiettivi qui sono triplici:
  1. Per rafforzare la comprensione di un testo che possiamo ascoltare o leggere quasi ogni volta che partecipiamo alla liturgia eucaristica romano-franca della cristianità occidentale (nota anche come messa latina).
  2. Osservare con soddisfazione quanto di questo Salmo sia costituito da parole o caratteristiche grammaticali che abbiamo visto nelle lezioni precedenti e parole il cui significato possiamo dedurre perché assomigliano a parole inglesi.
  3. Per iniziare ad affinare la nostra consapevolezza dei nomi della terza declinazione, che sono molto comuni e possono essere un po' complicati perché le loro forme nel dizionario (ad esempio, il nominativo singolare) sono molto variabili.
-- Judica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta: ab homine iniquo et doloso erue me.

Judica me, Deus : “Giudicami, o Dio”. Judica (da judicare , con la -re rimossa) è una forma imperativa.

et discerne causam meam : “e discernere/separare la mia causa”. Discerne (da discernere ) è un altro imperativo.

de gente non sancta : "dalla nazione non santa". Gente è l'ablativo singolare del sostantivo di terza declinazione gens ("nazione, famiglia, popolo"). Dalla desinenza di sancta, aggettivo che modifica gente, si capisce che è un sostantivo femminile.

ab homine iniquo et doloso : “dall’uomo iniquo e ingannatore”. Homine è l'ablativo singolare del sostantivo homo della terza declinazione (“uomo, essere umano”).

erue me : "liberami". Erue è un imperativo del verbo eruere ("strappare, strappare via; liberare, salvare").

-- Quia tu es, Deus, fortitudo mea: quare me repulisti? et quare tristis incedo, dum affligit me inimicus?

Quia tu es, Deus, fortitudo mea : "Perché tu sei, o Dio, la mia forza". Il significato fondamentale di quia è "perché"; usiamo "per" perché suona più poetico. Fortitudo è il nominativo singolare di un nome di terza declinazione; la base, che viene usata per formare le altre forme, è fortitudin‑ (quindi l'accusativo singolare, ad esempio, sarebbe fortitudinem ). La desinenza di me a indica che fortitudo è femminile.

quare me repulisti? : "perché mi hai respinto/respinto?" Se vedi -isti alla fine di un verbo, pensa al passato prossimo della seconda persona singolare: "tu [hai fatto qualcosa]" o "tu [hai fatto qualcosa]". Ricorda che il passato prossimo latino include due tempi diversi (il passato remoto e il presente prossimo ) in inglese.

et quare tristis incedo : “e perché io, triste/addolorato, vado/cammino”. Tristis è l’antenato di triste, la parola base per “triste” in spagnolo e francese.

dum affligit me inimicus? : “mentre mi affligge il nemico?”

-- Emitte lucem tuam et veritatem tuam: ipsa me deduxerunt, et adduxerunt in montem sanctum tuum, et in tabernacula tua.

Emitte lucem tuam et veritatem tuam : "Emetti la tua luce e la tua verità". "Emettere" assomiglia alla parola latina ma suona strano; "mandare" suona meglio. Lucem e veritatem sono forme accusative singolari dei sostantivi della terza declinazione lux e veritas. Entrambi, come sappiamo da tuam, sono femminili.

ipsa me deduxerunt : "mi hanno condotto fuori". Il pronome ipsa in questa frase è un modo enfatico di dire "loro". Una traduzione più precisa sarebbe "loro stessi mi hanno condotto fuori" o " mi hanno condotto fuori" (con il corsivo per dare enfasi).

et adduxerunt in montem sanctum tuum : “e mi condussero sul tuo monte santo”. Montem è l'accusativo singolare del sostantivo mons della terza declinazione (“montagna, collina”).

et in tabernacula tua : “e nelle tue tende/padiglioni”. Non lasciarti ingannare dalla desinenza di tabernacula : non è la forma ablativa di un sostantivo di prima declinazione; è l'accusativo plurale del sostantivo neutro di seconda declinazione tabernaculum.

-- Et introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam.

Et introibo ad altare Dei : "E io entrerò all'altare di Dio". Se vedete una lettera b (come in introibo ) che sembra essere aggiunta alla fine di un verbo, pensate al futuro (i verbi di prima e seconda coniugazione usano le desinenze ‑bo, ‑bis, ‑bit, ‑bimus, ‑bitis, ‑bunt per esprimere un'azione futura). Altare (questa forma è usata per il nominativo singolare e l'accusativo singolare) è un sostantivo di terza declinazione.

ad Deum qui laetificat juventutem meam : «a Dio che allieta la mia giovinezza». Laetificat deriva da laetificare ("deliziare, rallegrare, dare gioia"), e juventutem è l'accusativo singolare del sostantivo juventus della terza declinazione.

-- Confitebor tibi in cithara, Deus, Deus meus.

Confitebor tibi : “Ti loderò”. Nota la b verso la fine del verbo al futuro confitebor .

in cithara, Deus, Deus meus : “sull'arpa, o Dio, Dio mio”.

-- Quare tristis es, anima mea, et quare conturbas me?

Quare tristis es, anima mea : “Perché sei triste, anima mia?” Si noti che anima qui è al caso vocativo e non al caso nominativo.

et quare conturbas me? : “e perché mi dai fastidio?” Conturbas, da conturbare, significa “disturbare, turbare, inquietare, irritare, gettare nella confusione”.

-- Spera in Deo, quoniam adhuc confitebor illi, salutare vultus mei, et Deus meus.

Spera in Deo : “Spera in Dio”. Spera è un imperativo derivato da sperare (“sperare, confidare, attendere”).

quoniam adhuc confitebor illi : “poiché lo loderò ancora”. Quoniam, come quia, ha il significato basilare di “perché”.

salutare vultus mei, et Deus meus : “la salvezza del mio volto e del mio Dio”. Salutare sembra un verbo all'infinito, ma in realtà è un sostantivo della terza declinazione.
Robert Keim, 3 ottobre

6 commenti:

Anonimo ha detto...

“ ...Io ho sempre trovato che ci fosse qualcosa di assurdo e di ridicolo, oltre che di totalitario dal punto di vista della Chiesa, nel proibire che la Messa fosse celebrata in latino, in opposizione a un rituale utilizzato per un numero straordinario di anni. [...]
Da un punto di vista personale, preferisco decisamente la Messa in latino. É una questione d’abitudine, e d’altra parte sia per i fedeli francesi, sia a maggior ragione per quelli italiani, il latino non ha mai posto il minimo problema di traduzione. Inoltre ho sempre rimpianto che alcune parti della Messa, come l’inizio, “Introibo ad altare Dei”, cioè “Io salirò alla casa del Signore”, in America siano state completa mente soppresse. C’è qualcosa di profondamente bello ed evocativo nella lingua delle origini del rito, e in Francia scrittori cattolici come Françoise Mauriac e Jacques Maritain hanno sempre espresso molta nostalgia per le formule di rito pronunciate in latino. In qualche modo facevano una loro propaganda a favore delle modalità originarie del rituale.
Il cambiamento, negli anni Sessanta, avvenne ovviamente nell’illusione di stimolare la comunicazione: si pensava di promuovere la Messa, di diffonderla, di renderla più accessibile a tutti.

Anonimo ha detto...

Segue
Ora la questione non è cercare di capire se quel mutamento abbia funzionato o meno nel raccogliere altri fedeli, ma di comprendere che è necessario lasciare la libertà di agire come si crede, in un ambito del genere. L’idea che bisogna proibire la Messa fatta o detta in un certo modo non solo non ha alcun senso, ma secondo me è addirittura controproducente per la Chiesa. Io credo che questo sia stato capito bene da Benedetto XVI, il quale cerca giustamente di smorzare al massimo certi conflitti insensati. Se si fanno delle regole assolute si può star certi che si verificherà un conflitto. Se invece non s’impone una normativa rigida non ci saranno scontri perché non ci saranno discussioni: semplicemente non ne parlerà nessuno. La Messa è una di quella materie che non dovrebbe essere resa oggetto di regolamenti amministrativi. Il Papa, oggi, agisce in modo molto calmo, dimostrando sapienza e consapevolezza nel placare le passioni che nascono da querelles insignificanti e che fanno il gioco dei non credenti, ai quali piace vedere i cattolici agitarsi su soggetti minuscoli, che distraggono da problematiche tanto più importanti. Insomma, bisogna lasciare libertà alle persone. E se ci sarà libertà riguardo a certi temi, diminuiranno i problemi. Penso che questa sia un atteggiamento generale del Papa: evitare al massimo le controversie favorendo la libertà delle scelte. Lui sa che meno se ne parla e meglio funzioneranno le cose. In questo modo d’agire vedo una forte e chiara volontà politica, nel senso migliore del termine. Un problema non molto significativo lo diventa se la Chiesa cerca di controllare tutto con regolamentazioni fanaticamente minuziose, e adottando, anche sui minimi particolari, atteggiamenti totalitari. É un po’ la stessa cosa che succede nelle amministrazioni o in certe università. Ci si polarizza su dettagli insignificanti facendoli diventare montagne enormi, e sviando l’attenzione dal cuore delle cose. Per fortuna il Papa attuale mostra di capire che è importante rinunciare a tutto questo. Faccio un esempio: c’è molta agitazione, negli Stati Uniti, sulla posizione che deve avere il prete da una parte o dall’altra dell’altare. Basta dire: fate quello che volete per svuotare il problema, che nell’assenza del dibattito perde qualsiasi rilevanza. Non bisogna affatto considerare il ripristino della Messa in latino come una prova del tradizionalismo del Papa. Il suo conservatorismo è una forzatura, un grottesco luogo comune. Che cosa ha fatto di conservatore Ratzinger da quando è divenuto Papa? Nulla. Finora ha dato solo prova di lucidità, saggezza ed elasticità mentale, alleggerendo molte delle problematiche che affliggono la Chiesa.

Vorrei infine segnalare un’altra prospettiva a conforto della mia predilezione per la Messa in latino. Sappiamo che la nozione di rituale implica l’assenza di cambiamento. Bisogna pensare al lato buono e creativo delle abitudini. Se per esempio si fa un lavoro molto intellettuale, ci piace, o ci è addirittura necessario, avere una routine che non cambia, perché ciò favorisce la concentrazione e l’approfondimento. Il rituale, che si compie come un automatismo, può essere preziosamente liberatorio, affrancandoci dalle preoccupazioni dominanti. La nozione di rituale è insomma inscindibile dalla continuità, perché se si cambia di continuo si finirà per distruggere il rituale stesso. ”
René Girard

da ex studente di Giurisprudenza ha detto...

In realtà nulla vieta di celebrare in latino il N.O. e qualcuno propose (prendedosi uno sdegnoso rifiuto) di fare così per la visita di Giovanni Paolo II a Trieste nel 1992, per evitare una messa mezza in sloveno e mezza in italiano. La messa, a dispetto di chi la trasmise e a detta invece di chi c'era, fu un mezzo flop, il quotidiano Il Giornale (allora diretto ancora da Montanelli, credo) scrisse senza mezzi termini Trieste gelida con il Papa che plaude agli sloveni. Attribuendo l'idea della messa bilingue al Vescovo di allora, mons. Lorenzo Bellomi, attribuendogli la fama di "filoslavo".
Se avesse accettato di celebrare in latino, distribuendo magari i messalini con testo a fronte, sarebbe stato tutto semplice.
Un po' per protesta, molti iniziarono a frequentare la messa tridentina celebrata il primo venerdì del mese in quella città, al punto che per un po' fu sospesa (non so le date esatte, ho sentito da novembre 1992 a dopo Pasqua 1993, ormai andavo a Trieste solo per frequentare l'Università).

Sulla frase Introibo ad altare Dei, su una traduzione (ad una messa V.O. c'ero stato nel settembre 1992) che veniva messa a disposizione dell'assemblea era tradotto "mi avvicinerò all'altare di Dio". Forse il senso vero sarebbe questo, vista la preposizione ad e non in, piuttosto che "entrerò". Quale sarebbe il significato corretto?

Anonimo ha detto...

Mi ricordo di aver letto quest'episodio della vita di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, da lui vissuto in prima persona, in gioventù.
Al suo paese c'era un parroco di temperamento sanguigno che dava scandalo perché aveva una relazione con una donna, per di più sposata. Anche i fedeli lo esortavano ripetutamente ad interrompere la relazione adulterina, a far penitenza, a ravvedersi. Ma lui, niente.
Una domenica, iniziò come al solito a celebrare la Messa, muovendo dallo Introibo. Come ebbe pronunciate le parole del salmo "IUDICA ME, DEUS..", CADDE STECCHITO A TERRA, MORTO, FULMINATO da un colpo apoplettico.
Sic transit. Così la divina giustizia lo inchiodò nel suo peccato, gli fece pagare e per sempre l'indurimento consapevole e voluto, il tradimento della fede.

mic ha detto...

Il Messale italiano dice: "salirò all'altare di Dio" riprendendo il senso del Salmo (che è uno dei Salmi dell'ascensione!) ben rappresentato dagli scalini che caratterizzano l'altare tradizionale che, com'è noto, ci riporta al Calvario, posto che, prima del banchetto escatologico, si consuma il Sacrificio...
Io ho mantenuto l'originale che, come ho spiegato sopra, non mi pare cambi il senso...

mic ha detto...

Ad e l'accusativo (altare è neutro) dà il senso del movimento e anche se dice "nell'altare" il movimento è indicato dal verbo. È presente comunque il moto a luogo e non lo stato in luogo. Il "go in" in inglese tuttsvia è "entrare" e non mi impediva di tradurre "a" piuttosto che "in"...
Mi pare, tuttavia, sottolineata la collocazione definitiva... "sull'altare"