Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 30 settembre 2012

La Tradizione unico fondamento di Autorità

Come ogni mese riporto l' Editoriale di Radicati nella fede. Riporto anche i'immagine da loro scelta: quella dell'arme pontificia con la Tiara.

Oh se tutti i preti che hanno scoperto la profondità e la bellezza e la verità della grande Tradizione della Chiesa, avessero con decisione abbracciato la celebrazione della Messa di sempre, ora le cose non starebbero così! Certo, perché se è vero che tutti i fedeli hanno il dovere di vigilare sulla propria vita cristiana, questa vigilanza è gravissimo dovere di ogni sacerdote. Un dovere non solo per sé, ma anche per il popolo santo di Dio.

 Invece assistiamo ancora a notizie date come sensazionali, che sensazionali non sono: una Messa tradizionale qua, una là... qui una al mese... di là il Vescovo ha benevolmente concesso... qui un Cardinale ha celebrato, l'altro ha assistito...

  ...tutto questo ci piace poco, lo diciamo in tutta sincerità.

 Chi scrive così sui bollettini o sui siti internet, manifestando gioiosa meraviglia per queste celebrazioni sporadiche, senza volerlo dà sostegno a chi ritiene “straordinario” il rito tradizionale della Messa.

 Ma può essere definito “straordinario” ciò che è stato vincolante e obbligatorio per quattordici secoli se non di più? Straordinario può esserlo per ragioni politiche e sociologiche: visto che l'assoluta maggioranza delle Messe è secondo il rito di Paolo VI, straordinaria è la Messa tradizionale, in quanto minoritaria, per ora.

 Ci sembra però illogico, infondato, definirlo “straordinario” il rito tradizionale, se con questo termine si vuol dire che è concesso straordinariamente.

 Purtroppo i preti l'hanno inteso così, e così l'hanno inteso i fedeli da loro consigliati.

 La Messa tradizionale non è “concessa”, è di diritto nella Chiesa, perché porta in sé l'Autorità dei secoli della Cristianità. La Messa cattolica, come è stata celebrata per secoli, è lei che giudica le novità dei nuovi riti, ma lei non può essere giudicata da nessuno. Questo i preti lo dovrebbero avere chiaro, per il concetto stesso di Tradizione e di deposito della fede.

 È la novità che va messa sotto giudizio dalla Tradizione, anche liturgica, plurisecolare della Chiesa.

 Se invece è la novità che mette sotto accusa e giudizio la Tradizione, come avviene oggi quando si chiede timidamente una Messa antica qua e là, assicurando di non essere contro la nuova Messa, e quando con magnanimità si concede qua e là il rito antico, allora siamo di fronte ad una svolta ideologica nella Chiesa cattolica, che fonda l'Autorità su se stessa e non sulla Tradizione.

 Non vogliamo mettere confusione in nessuno, vogliamo semplicemente dire che l'Autorità nella Chiesa è di natura diversa da quella del mondo moderno. L'autorità per i cristiani si fonda sulla Verità, quella data da Dio nella Rivelazione e trasmessa dalla Tradizione, per questo l'Autorità diventa custode della Tradizione, e il custode supremo della Tradizione, del Depositum Fidei, è il Papa.

 Nel mondo moderno invece è l'autorità che fa la verità, basandosi su maggioranze e convenienze, o oscuri disegni di potere... è così perché non crede alla verità, per cui non riconosce la verità, ma decide di farla e di... cambiarla se occorre.

 Se si introducesse nella Chiesa un modo simile di esercitare l'autorità sarebbe la fine... ma la fine dell'autorità in tantissimi campi l'abbiamo già vista.

 Per questo avremmo desiderato vedere tanti sacerdoti celebrare ordinariamente la Messa di sempre, per amore della Chiesa e della sua Autorità. Sì, perché l'unico aiuto e amore possibile all'Autorità nella Chiesa è tornare alla Tradizione con sincerità.

Disastri vari: Müller, la teologia del dubbio 2.0...

Riprendo dal blog Letturine, che ammiro per il dono della sintesi:

Disastro Müller: «...Questo è l’uomo che è stato scelto per sovrintendere al processo di “regolarizzazione” della Fraternità San Pio X. In realtà sembra che cercherà di distruggerla!»

Disastro Ravasi: «...Ma, purtroppo, non è questo l’aspetto più inquietante della vicenda. Il problema è un altro, ed è che ad Assisi ci si appresta a mettere in scena una nuova versione riveduta e aggiornata di quella teologia del dubbio che tanto aveva avuto fortuna grazie al cardinale Martini con la Cattedra dei non credenti. E non è un caso che, alla regia, ora vi sia un cardinale cresciuto alla scuola del martinismo come Gianfranco Ravasi. La matrice è evidentissima sin dalla pagina del sito del Cortile dei Gentili in cui si presenta l’iniziativa: “In occasione dell’Anno della Fede, indetto da Papa Benedetto XVI, il Cortile dei Gentili vuole raccogliere e dare forma al grido spesso silenzioso e spezzato dell’uomo contemporaneo verso un Dio che per un numero crescente di persone rimane un ‘Dio sconosciuto’...".
Una sublime versione 2.0 dell’invenzione martiniana che, una volta innescata, porta il cattolicesimo all’autodissoluzione». 

Aggiungo questa segnalazione di un lettore di uno stralcio del messaggio del Papa per una circostanza analoga:
«... Spetta a voi, cari giovani, far sì che, nel vostro Paese e in Europa, credenti e non credenti ritrovino la via del dialogo. Le religioni non possono aver paura di una laicità giusta, di una laicità aperta che permette a ciascuno di vivere ciò che crede, secondo la propria coscienza. Se si tratta di costruire un mondo di libertà, di uguaglianza e di fraternità, credenti e non credenti devono sentirsi liberi di essere tali, eguali nei loro diritti a vivere la propria vita personale e comunitaria restando fedeli alla proprie convinzioni, e devono essere fratelli tra loro. Una delle ragion d’essere di questo Cortile dei Gentili è quella di operare a favore di questa fraternità al di là delle convinzioni, ma senza negarne le differenze. E, ancor più profondamente, riconoscendo che solo Dio, in Cristo, ci libera interiormente e ci dona la possibilità di incontrarci davvero come fratelli (VIDEO-MESSAGGIO del Santo Padre nella serata conclusiva del "Cortile dei Gentili" a Parigi (24-25 MARZO 2011), 25.03.2011)».
Mi son trovata a commentare che la citazione non creerebbe alcun problema guardando alla conclusione che si richiama al Signore, se non la trovassi in patente contraddizione con l'affermazione che precede e se, nello stesso tempo, non mi risuonasse un campanello d'allarme alle parole libertà, uguaglianza, fraternità: lo spirito dei lumi.... la "fratellanza universale"... Non è per questo che è venuto il Signore!

venerdì 28 settembre 2012

Intervista a Don Schmidberger

Importante, da DICI[Ne avevamo già riportato un sunto; ma questo è il testo integrale]
Il 18 settembre 2012, don Franz Schmidberger, Superiore del Distretto tedesco della Fraternità San Pio X e già Superiore generale, ha rilasciato un’intervista al sito pius.info 

Domanda: Non si sente più parlare tanto degli scambi tra la Fraternità San Pio X e Roma. Il Capitolo Generale di Ecône è l’ultimo avvenimento per importanza di data. Lei vi ha partecipato come Superiore del Distretto. Come giudica l’impatto che esso ha avuto sia all’interno sia all’esterno della Fraternità?

Don Schmidberger: Innanzi tutto, questo Capitolo Generale ha rafforzato l’unità nelle nostre fila, unità che in questi ultimi mesi aveva un po’ sofferto. Il fatto che abbiamo potuto trovare un terreno d’intesa, io lo considero una grande grazia. Questo ci aiuterà a continuare la nostra opera per la Chiesa, con una forza e una determinazione rinnovate. A mio avviso, è questo l’effetto interno. All’esterno, penso che potremmo concentrarci su quegli elementi importanti che noi dobbiamo assolutamente richiedere a Roma nel caso di una normalizzazione. Questi elementi possono essere formulati in tre punti: prima di tutto, che ci sia permesso di continuare a denunciare certi errori del concilio Vaticano II, cioè di parlarne apertamente; secondo, che ci sia accordato di utilizzare solo i libri liturgici del 1962, in particolare il Messale; terzo, che nei ranghi della Fraternità si abbia sempre un vescovo scelto al suo interno.

Domanda: Intorno alla Pentecoste, sembrava che un riconoscimento canonico fosse imminente. Oggi sembra che ci si trovi ben lontati da tale soluzione. Cos’è accaduto nelle ultime settimane? Quando e come è sopraggiunto questo cambiamento?

Don Schmidberger: Questo cambiamento è sopraggiunto il 13 giugno a Roma, in occasione dell’incontro tra il nostro Superiore generale, Mons. Fellay, e il cardinale Levada, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Quel giorno, il cardinale Levada ha presentato a Mons. Fellay un nuovo documento dottrinale che, da un lato accettava il testo proposto da Mons. Fellay, ma dall’altro conteneva dei cambiamenti significativi che ci pongono un vero problema, e questo ha creato una siruazione interamente nuova.

Domanda: Corre voce di una lettera che il Papa avrebbe scritto personalmente al Superiore generale.

Don Schmidberger: Questa lettera è molto probabilmente la risposta ad una domanda che noi abbiamo fatto al Papa, ove volevamo sapere se le nuove richieste erano state realmente aggiunte con la sua approvazione, se venivano veramente da lui o da alcuni dei suoi collaboratori. Egli ci ha assicurato che era suo desiderio che noi accettassimo tali nuove richieste.

Domanda: E quali sono tali nuove richieste del 13 giugno?

Don Schmidberger: In particolare, ci è stato chiesto che noi riconoscessimo la liceità della nuova liturgia. Io credo che con questo si intenda la leggittimità della nuova liturgia. Del pari, che fosse possibile proseguire i colloqui su certe sfumature del concilio Vaticano II, ma che insieme noi fossimo pronti ad accettare molto semplicemente la sua continuità, cioè a considerare il concilio Vaticano II nella linea ininterrotta degli altri concilii ed insegnamenti della Chiesa. E questo costituisce un problema. Nel concilio Vaticano II vi sono delle incoerenze che non possono essere negate. Non possiamo riconoscere una simile ermeneutica della continuità.

Domanda: Quale sarà la reazione della Fraternità di fronte a queste nuove richieste inaccettabili?

Don Schmidberger: Io penso che diremo alle autorità romane che difficilmente noi potremo accettarle e che bisognerà abbandonarle se si desidera veramente una normalizzazione. Nel corso dei colloqui che si sono svolti da ottobre 2009 ad aprile 2011, è apparso evidente che vi sono dei punti di vista molto diversi sul concilio Vaticano II, su certi testi del Concilio e sul magistero post-conciliare. Tutti hanno riconosciuto che non sarà facile trovare un accordo tra le vedute del magistero post-conciliare e quelle che noi sosteniamo, con i papi del XIX secolo e gli insegnamenti costanti della Chiesa. Io penso che fino a quando queste ferite non saranno curate con il rimedio adeguato, che consiste nel parlare apertamente di quei punti che sono in contraddizione, non si avrà alcuna reale soluzione alla crisi nella Chiesa.

Domanda: Mons. Müller è stato nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si conosce la sua antipatia nei confronti della Fraternità. Hanno un peso anche le sue opinioni molto discutibili su certe questioni dogmatiche. Qual è la posizione che egli assume nel quadro dei negoziati tra la Fraternità e Roma?

Don Schmidberger: In effetti, Mons. Müller è stato nominato recentemente Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questo fa di lui, dopo il Papa, l’uomo che ha la responsabilità finale di questi negoziati. Certo, noi siamo direttamente in contatto con Mons. Di Noia, designato personalmente dal Papa, forse per controbilanciare la posizione costantemente ostile che Mons. Müller ha manifestato nei nostri confronti. Ma quello che trovo molto più problematico, sono i suoi insegnamenti eterodossi su certe questioni importanti come la transustanziazione, il cambiamento della sostanza che si effettua durante la Messa, che fa che il pane e il vino divengano il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. A questo egli sostituisce più o meno ciò che si chiama «transfinalizzazione», che significa che il pane e il vino ricevono una nuova finalità. E questo lo si può leggere nei suoi lavori dogmatici.
Un altro esempio: egli non afferma chiaramente che la consacrazione si produce esattamente attraverso le parole pronunciate dal sacerdote. Per ciò che riguarda la mariologia, non sembra avere un’idea molto chiara della verginità ininterrotta della Madonna o, in ogni caso, è questo che risulta quando si leggono i suoi scritti. Si può affermare, invece, che talvolta egli si separa dalla dottrina che la Chiesa ha sempre creduta o, al meglio, che egli permette una certa ambiguità. E in effetti, questo è molto grave e molto deplorevole, perché il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dev’essere il supremo guardiano della fede, il guardiano della purezza della fede, della sua integrità, della sua verginità. Egli deve anche trasmettere questa fede ai fedeli, in tutta la sua bellezza, la sua profondità, la sua grandezza. Non si dovrebbe mai avere il minimo dubbio, né la minima ambiguità, su ciò che la Chiesa ha sempre creduto e predicato.

Domanda: Da un lato si esige continuamente che la Fraternità riconosca il papato, cosa che non è mai stata un problema, insieme alla continuità dell’insegnamento dottrinale. Dall’altro, in nome dell’ecumenismo, si invitano i protestanti nelle chiese, senza la minima condizione, quando invece il protestantesimo rigetta in blocco il papato. Quale commento può fare su questa situazione?

Don Schmidberger: Certamente, qui vi è una contraddizione. Si pratica l’ecumenismo con delle persone che negano il dogma cattolico, negano il papato e già in partenza hanno una posizione totalmente diversa.
Noi accettiamo la totalità della dottrina cattolica, la totalità della fede cattolica. Noi saremmo felici di firmare col nostro sangue il Credo, la fede della nostra Chiesa. E ci si accusa di non eccettare questo o quello… I protestanti accettano il Vaticano II? Ecco la domanda che si dovrebbe porre. Se oggi ciascuno può fare ciò che vuole in materia di liturgia, perché non permettere in maniera generale la liturgia antica?
Certo, col papato attuale si è avuta una nuova apertura, e noi ringraziamo Dio perché col Motu Proprio del 2007 questo si è realizzato. Ma adesso, per esempio, è stato nominato un nuovo Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Mons. Roch, venuto dall’Inghilterra, di cui si sa tuttavia che è un avversario del Motu Proprio e che ha tentato di tutto per ostacolare la Messa antica nella sua diocesi, invece di incoraggiarla. Fatti di questo genere sono molto strani.

Domanda: Come pensa che Roma reagirà se la Fraternità risponderà negativamente su questi due punti (liceità della nuova Messa e continuità della dottrina), affermando che col Vaticano II vi è stato un cambiamento? Condiderando la peggiore delle possibilità: pensa che possa essere possibile una nuova scomunica?

Don Schmidberger: Personalmente, non lo penso. Dal momento che è stato il Papa stesso, nel 2009, a rimettere la scomunica che gravava sui quattro vescovi della Fraternità, la cosa passerebbe come una mancanza di coerenza nel suo pensiero e nei suoi atti. Questo veramente non giuocherebbe a favore della Chiesa. Bisogna anche ricordarsi che la Fraternità non è semplicemente una comunità di 560 o 570 sacerdoti, di un po’ di suore e frati ed anche di alcune scuole. Essa ha anche un’influenza molto estesa e – questo è forse un po’ sfacciato dirlo, ma io lo penso - ed è in un certo modo la spina dorsale, il punto di riferimento di tutti coloro che sostengono la Tradizione nella Chiesa. Se questo punto di riferimento fosse screditato in tal modo, si avrebbe per effetto uno scoraggiamento di un’ampiezza senza pari di tutte le forze restauratrici e conservatrici nella Chiesa. Sarebbe una catastrofe. Non tanto per la Fraternità, quanto per la Chiesa. Io vedo la cosa come un danno enorme.

Domanda: Vi sono anche alcune critiche da parte di certuni che dicono che i negoziati si sono arenati a causa della testardaggine e della rigidità della Fraternità. Altri mettono in questione i colloqui in se, dicendo «Non servono a niente in ogni caso. Perché darsi la pena di discutere con Roma?». Ecco allora la nostra ultima domanda: Questi colloqui hanno condotto a qualcosa?

Don Schmidberger: Essi sono stati di una grande utilità. A mio avviso, hanno dimostrato che noi abbiamo interesse ad una normalizzazione della siuazione, che consideriamo la nostra situazione come il risultato della crisi nella Chiesa e che si tratta di una situazione anormale. Noi abbiamo dimostrato che questo ci porta ad aspirare ad una regolarizzazione, ma anche che questa situazione non è colpa nostra. E vogliamo veramente insistere su questo punto.
A causa dello stato attuale, questo è necessario, se si vuole conservare l’antica dottrina, l’antica liturgia, l’antica disciplina della Chiesa nella loro integralità e se si vuole vivere una vita da cattolici nutrendosi di questa ricchezza. Questo è un primo punto.
Per altro verso, i colloqui hanno dimostrato che aderiamo a Roma, che anche noi riconosciamo il Papa, cosa che è scontata ai nostri occhi. Per altro ancora, i colloqui hanno messo in evidenza l’esistenza di differenze dottrinali e che queste differenze non risalgono a noi, ma – si è costretti sfortunatamente a dirlo – le si ritrova dalla parte degli attuali rappresentanti ufficiali della Chiesa, che organizzano le riunioni di Assisi e praticano ciò che è stato condannato dalla Chiesa, dai papi e dai concilii passati. E tutto questo viene fatto in maniera esplicita! E questo e il secondo punto.
I colloqui hanno avuto una terza utilità. Essi hanno evidenziato una certa debolezza nei nostri ranghi. Dobbiamo avere l’umiltà di ammetterlo. Abbiamo quindi sperimentato un processo di chiarificazione anche all’interno. Noi non siamo d’accordo con quelli che rifiutano ogni discussione con Roma. Io presenterei le cose così: la Fraternità non ha mai lavorato per se stessa, essa non è mai stata fine a se stessa, al contrario essa ha sempre voluto servire la Chiesa, servire i papi.
È quello che Mons. Lefebvre ci ha sempre detto. Noi vogliamo essere a disposizione dei vescovi, del Papa, noi vogliamo servirli e vogliamo aiutarli a far uscire la Chiesa dalla sua crisi, affinché essa si rinnovi in tutta la sua bellezza, in tutta la sua santità. Ma chiaramente, questo può prodursi solo a condizione che non vi sia alcun compromesso, alcun falso compromesso. Questo è della massima importanza ai nostri occhi. In effetti, noi abbiamo cercato di ristabilire ufficialmente – ed è tutto quello che vogliamo – questo tesoro nella Chiesa, di rendergli i suoi diritti e forse in qualche misura ci siamo riusciti.
Grazie a questi colloqui dottrinali, la Fraternità ha contribuito a dare impulso ad un nuovo moto di riflessione sul Vaticano II e certe sue dichiarazioni.

Il Papa ha scritto a Fellay: «Per rientrare accettate il Concilio»

Su Vatican Insider Andrea Tornielli riprende la notizia, commentata oggi anche da Rorate Caeli, della lettera scritta dal Papa lo scorso 30 giugno a Mons Fellay, su richiesta di quest'ultimo nel tentativo di fugare i dubbi insorti dopo la svolta-Levada del 13 dello stesso mese. L’esistenza dello scritto, già citato da Don Schmidberger, è stata rivelata da monsignor Bernard Tissier de Mallerais, nel corso di una conferenza tenuta il 16 settembre in Francia, presso il Priorato St. Louis-Marie Grignon de Monfort.
«Il 30 giugno 2012 – è un segreto che vi rivelo, ma che sarà reso pubblico – il Papa ha scritto di suo pugno una lettera al nostro superiore generale, monsignor Fellay: “Le confermo effettivamente che per essere veramente reintegrati nella Chiesa occorre veramente accettare il concilio Vaticano II e il magistero post-conciliare”»... «Si tratta propriamente di un punto d’arresto, poiché per noi non è accettabile, e non possiamo firmare una cosa così. Si possono fare delle precisazioni, perché il Concilio è così ampio che vi si possono trovare delle cose buone, ma non è questo l’essenziale del Concilio».
Ci sono voluti tre anni e svariati decenni, per arrivare a questo? Sono proprio decenni che il Papa conosce la posizione della FSSPX, che non rifiuta tutto il concilio e che riconosce l'autorità e il primato petrino.

Una condizione così tranchant, non sembra spiegabile, a meno che non intervengano sviluppi al momento imprevedibili, se non con la volontà di 'piegare' gli interlocutori, nello stesso modo in cui è allineata e completamente ingessata dal punto di vista pastorale la Fraternità San Pietro e come evidentemente sarà il cosiddetto popolo Summorum (davvero subdolamente alternativo alla FSPX?) che qualcuno ha avuto la bella idea di costituire.

Il problema è che il dialogo si svolge tra interlocutori che parlano delle stesse cose usando parametri diversi perché effettivamente, checché se ne dica, il Concilio ha cambiato non solo il linguaggio, ma anche la dottrina. E, non si intendono perché hanno un diverso concetto di tradizione e anche una diversa ecclesiologia. Strano che l'ecclesiologia 'inclusivista' ammetta gli eretici riformati e non i cattolici fedeli alla tradizione perenne. L'equazione che ne vien fuori è inesorabile e inquietante!

Che poi nella FSSPX si vadano polarizzando posizioni estreme è un fenomeno doloroso e non sarebbe reso ancor più inevitabile, se la Santa Sede fosse stata o fosse con la Fraternità morbida com'è con tutti i protestanti di turno, Anglicani compresi... Irrigidimento da un lato, non può che provocare irrigidimento dall'altro: il tanto temuto muro contro muro che di certo non fa altro che enfatizzare soprattutto le posizioni estreme. Questo sembrava scongiurato dalla possibilità di continuare ad approfondire le critiche motivate su alcuni documenti conciliari, che interessano non solo la FSSPX ma tutti coloro che amano la Tradizione e che richiedono una pronuncia autoritativa del Santo Padre, come sottolineato da più studiosi e Pastori (Gherardini, Schneider, in primis). Invece, a questo punto, sembra che a parlare siano gli opposti estremismi, non più le buone volontà...

Ciò che speriamo ardentemente è che i prudenti silenzi di chi è impegnato in prima linea, siano fecondi di soluzioni e non forieri di rotture.

giovedì 27 settembre 2012

In memoria di Cristo, Pietro De Marco

Riprendo il testo pubblicato di seguito dal blog Settimo Cielo di Sandro Magister. È stato pubblicato anche da Messa in Latino, sul quale è stata l'occasione per dare la stura a vergognose esternazioni da parte del solito dichiarato viscerale nemico della FSSPX, che può vomitare indisturbato su quelle pagine, nei confronti della Fraternità, le più sordide accuse e anche false affermazioni dal punto di vita teologico ed ecclesiale. Ebbene, esprimo tutto il mio raccapriccio e la mia indignazione, pensando che se il popolo Summorum - che SdC promuove con grande enfasi proprio in alternativa alla Fraternità - ha sponsor come costui, occorre davvero non abbassare la guardia!

In ogni caso richiamo l'attenzione su questo testo, perché viene da un autore non tradizionalista; il che sta a dimostrare come davvero il disordine e la crisi siano arrivati a livelli non più tollerabili.

“IN MEMORIA DI CRISTO”
Pietro De Marco

Mi raccontano, non senza preoccupata ironia, che un parroco di una diocesi toscana, noto per varie eccentricità, amministra l’eucaristia o, come dicono i messali, “presenta l’ostia” ai comunicandi, con le parole “In memoria di Cristo”, invece che con la vincolante ed essenziale formula: “Il corpo di Cristo”.

Poiché tale parroco ama dichiararsi un “professionista” ecclesiale, è certo che, da professionista, usa quella formula consapevolmente. Per esibire e trasmettere, senza timore, la sua negazione della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche.

Ora, sull’evento “reale” della consacrazione non vi è alcuna incertezza nella “lex orandi”, cioè negli enunciati del canone liturgico. Non per nulla, dopo le parole della consacrazione, il sacerdote “adora subito l’ostia”. E altrettanto dovrebbero fare i fedeli, invece del disordine dei comportamenti attuali e specialmente dello stare in piedi suggerito da qualche liturgista.

La dottrina della fede è altrettanto ferma e costante. Rileggiamo “pro memoria” il mai abrogato “Decretum de SS. Eucharistia” del Concilio di Trento, fino ai canoni conclusivi (Denzinger-Hünermann, nn. 1651-1656), e il recente e obbligante Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato esattamente venti anni fa, ai nn. 1373 e seguenti. Il Catechismo della Chiesa Cattolica va considerato la trascrizione di ciò che è dogmaticamente rilevante nel “corpus” dei documenti del Vaticano II.

La cultura teologica diffusa, invece, su questo punto ha oscillato e oscilla dannosamente, così da essere responsabile di questi effetti, anzitutto nel clero. L’arrischiato parroco di cui sopra è sicuramente il frutto degli insegnamenti ricevuti in seminario o in qualche facoltà teologica, o dei maestri della letteratura teologica internazionale, letta od orecchiata successivamente.

Leggevamo non ieri, ma anni fa, che la maggior parte del clero olandese delle ultime generazioni non crede nella presenza reale di Gesù nell’eucaristia. In ragione di cosa, se non di un insegnamento dogmatico e liturgico ammiccante e aberrante?

Quale che sia l’estensione delle responsabilità, l’uso della formula “In memoria di Cristo” in luogo di “Il corpo di Cristo” non è solo imprudente o inopportuno. È molto di più: suppone una convinzione che ad essere massimamente prudenti si direbbe che “ha sapore di eresia”.

Al caso particolare saprà far fronte il vescovo competente, dopo opportuna indagine. Interessa qui sottolineare, ancora una volta, lo scandalo continuato, anche su materie meno gravi, indotto da una spigliata confidenza, accoppiata ad ignoranza o a corruttela teologica, con la dottrina della fede. Preti come questi hanno deliberatamente distrutto in sé stessi e probabilmente nei collaboratori laici e in parte del loro popolo la verità sacramentaria, colpendo l’essenziale dell’esistenza e del fondamento della Chiesa: la retta fede del popolo cristiano.

E nel valutare questo peccato e “crimen” la Chiesa è sola. Non ha né il supporto né lo stimolo concorrenziale delle magistrature civili, come negli episodi di pedofilia. L’esercizio ispettivo e correttivo le spetta ed è tenuta ad esercitarlo. Azione doverosa e coraggiosa perché, appunto, il contesto generatore di questi fatti particolari è esteso. Non sarebbe difficile cogliere, in una quantità di libri teologici tradotti da editori cattolici, pagine (mai sottoposte a critica da chi dovrebbe) che istigano, di fatto, ad atti di svalutazione, metaforizzazione, vaga spiritualizzazione della transustanziazione, mascherati con parole equivoche.

L’eventualità che quanto nel piccolo caso toscano è esplicitato con sicumera sia in altri preti tenuto nascosto, nicodemiticamente, fa tremare. Il compito dell’imminente Sinodo dei vescovi, col suo esercito di periti sapientemente dosati, sarebbe a mio avviso non quello di confermare un cinquantennio di moderne esortazioni all’annuncio cristiano, ma di ricostruire energicamente nel clero e nel laicato quella comune dottrina della fede senza cui ogni enunciato che venga dalla Chiesa sarà indistinguibile da quelli del nichilismo ordinatore della postmodernità.

Se i vescovi di tutto il mondo, frenati da prudenze pastorali e di governo e talora da incertezza dottrinale, non avessero la forza di provvedere, toccherebbe ai semplici fedeli – quelli che in virtù di una buona formazione cristiana ancora possono farlo – discernere opinioni e condotte diffuse palesemente erronee, catechismo alla mano, e dire “no”.

mercoledì 26 settembre 2012

La teologia dell'Arcivescovo Di Noia O.P.

Riprendo da The Catholic world Report by Le Forum Catholique. Oltre a qualche piccola chiosa che ho inserito, di interessante e da approfondire, insieme alla esatta valenza del discorso sul Tomismo, è l'accento sul concilio come ressourcement piuttosto che come aggiornamento. Chissà se gli scritti proposti dalla rivista tradizionalista possono inquadrarsi in un tentativo di ristabilire il dialogo con la FSSPX, calpestato in Curia lo scorso 13 giugno?

Mons. Joseph Augustine Di Noia, OP, è un fine teologo che ha insegnato teologia per decenni e ha scritto molto. Probabilmente i cattolici tradizionalisti si stanno facendo molte domande circa i suoi insegnamenti dal momento della sua recente nomina a vice-presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. Poche ore nella biblioteca di un seminario sono state sufficienti a rispondere ad alcune di esse.

1) Che cosa significa per il nuovo vice-presidente della Commissione Ecclesia Dei insegnare sull'Eucaristia?

Padre Di Noia ha contribuito ad un capitolo su un libro di letture sull'Eucaristia pubblicato nel 2006 dalla Commissione Episcopale per la Liturgia della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti. Anche se il saggio, dal titolo “Eucaristia e Trinità”, è focalizzato sulla « teologia di comunione », l'autore si riferisce alla Messa come ad un « banchetto sacrificale ».

A seguire alcuni stralci:
La Chiesa è una creazione del Dio uno e trino: dal Padre, che manda il suo Figlio e il suo Spirito per trasformare persone creaturali in modo che giungano a condividere, con le Persone increate della Trinità e l'uno con l'altro, una comunione di vita divina. (pag. 41)

Siamo stati invitati dalle strade principali e secondarie ad essere ospiti di un banchetto di nozze che non era stato previsto e in cui la nostra partecipazione è confermata solo dal nostro essere opportunamente rivestiti di Cristo, in abiti « lavati ... nel sangue dell'Agnello »(Ap 7,14; cfr. Mt 22,1-14). (pag. 41)

La preghiera di consacrazione comporta una solenne invocazione dello Spirito Santo, per la cui opera la morte e risurrezione di Cristo si fanno presenti, e il pane e il vino si trasformano nel suo Corpo e Sangue. Poi, consumando degnamente il Corpo e il Sangue di Cristo, i fedeli sono divinizzati e introdotti nell'unione con il Padre e tra di noi, per mezzo di Cristo e nella potenza dello Spirito Santo. (pag. 44)

[Non vi pare che in questo affascinante discorso - che mette l'accento sull'epiclesi, piuttosto che sulle parole della Consacrazione pronunciate dal Verbo di Dio - manchi la restaurazione della giustizia lesa, la giustificazione dell’uomo colpevole mediante la misericordia creatrice e il ritorno alla vita della creatura morta a causa del peccato? Non basta dire che siamo « lavati ... nel sangue dell'Agnello ». La Grazia, infatti, è giustizia attiva, resa possibile dal cuore trafitto di Cristo Signore, che restaura l'uomo e lo giustifica. È questa la svolta portata dal cristianesimo nella storia ed è questo che la Liturgia celebra, altrimenti viene messa l'enfasi sulla conseguenza piuttosto che sulla causa del «banchetto sacrificale»; il che non mostra altro che la Redenzione monca e falsata tutta post-conciliare. Il Nuovo Testamento ci dice infatti che « Dio in Cristo ha riconciliato con sé il mondo » (2 Cor. 5, 19). È questa l'assoluta novità, che fonda l’esistenza cristiana e ha il suo centro focale nella teologia della Croce (Stat Crux dum volvitur orbis). È Dio che si fa incontro all'uomo riabilitandolo ed è in quest'azione-evento inaudita il vero indirizzo orientativo dell’Incarnazione, della Croce, che poi introduce nella Creazione Nuova...]
2) Che cosa pensa l' Arcivescovo Di Noia sull'ecumenismo e il dialogo interreligioso?

Da giovane Padre di Noia conseguì il dottorato nell'Università di Yale nel 1980 con una dissertazione su “La Teologia Cattolica delle Religioni e il Dialogo Interreligioso”; uno dei relatori era il Prof. George Lindbeck, che era stato un osservatore Luterano al Concilio Vaticano Secondo. Il Padre Domenicano ha successivamente rivisto le sue opinioni su questo soggetto e ha scritto un libro “La diversità delle religioni: una prospettiva cristiana” pubblicato dalla Catholic University of America Press nel 1992.

Come lascia intendere il titolo della dissertazione, Di Noia distingue attentamente le considerazioni pragmatiche sul dialogo tra i rappresentanti delle diverse religioni mondiali (es buddisti, musulmani) dalle considerazioni dogmatiche sul modo in cui la Chiesa cattolica deve considerare e trattare le religioni non cristiane. Con grande rispetto e considerevole sottigliezza egli sviluppa ciò che è stata definita una filosofia del dialogo interreligioso che non riduce tutte le religioni a un certo qual comune denominatore antropologico né le definisce percorsi di salvezza ugualmente validi verso il cielo. L'approccio di Di Noia al dialogo interreligioso rispetta le differenze reali ed essenziali tra le maggiori religioni. Egli sottolinea anche il fatto che molte religioni mondiali non si preoccupano particolarmente della salvezza così come la intendono i cristiani, per cui raccomanda che questi ultimi cerchino altri soggetti sui quali iniziare il loro dialogo. Bisogna puntualizzare che Di Noia non sta dicendo che la salvezza è irrilevante o “negoziabile”, ma fa solamente un'osservazione pragmatica sulle realtà culturali.

Discutendo la “Teologia cattolica delle religioni”, di Noia riafferma tutti gli insegnamenti cattolici tradizionali su Gesù Cristo Salvatore del mondo e unico mediatore tra Dio e l'uomo. Su queste basi egli esamina successivamente i modi in cui la Chiesa può identificare e affermare verità parziali che possono essere trovate in altre religioni. [Ma possono esistere verità parziali? Semmai dal Concilio Vaticano II in poi (Lumen gentium, n.17; Redemptoris missio, n.56; Il cristianesimo e le religioni, Commissione Teologica Internazionale, 1996 n.43) si parla di semina Verbi; ma, secondo i Padri dei primi secoli compreso S. Agostino, i semina Verbi non fecondano le religioni pagane, alle quali essi riservano giudizi molto severi, quanto piuttosto la filosofia greca e la sapienza dei poeti e delle Sibille.]

Questo duplice approccio potrebbe essere riassunto nel motto: « radicati nella fede desiderosi di convertire ».

3) Cosa pensa l'Arcivescovo Di Noia del Vaticano II?

In un saggio spesso citato apparso nella rivista accademica The Thomist nel 1990, l'allora Padre Di Noia aveva analizzato “La teologia cattolica americana alla fine del secolo: post-conciliare post-moderna post-tomistica”. « Assimilando l'opera di diverse generazioni di vescovi e teologi il concilio [Vaticano II] ha fuso una riaffermazione dell'identità cattolica cristiana della Chiesa con un approccio positivo anche se critico alla modernità », vale a dire con l'eredità intellettuale post-illuminista del mondo occidentale. Alla fine del XX secolo tuttavia è arrivato « l'avvento della post-modernità ». « Le sorti dello studio di S. Tommaso d'Aquino si sono alternate in parallelo a queste fluttuazioni ».

Di Noia passa in rassegna due concetti importanti che hanno fornito un programma al concilio. Il primo è il Ressourcement, un termine francese che significa “ritorno a” e “riappropriazione creativa delle principali fonti formative” del cattolicesimo: “Scritture, liturgia e Padri della Chiesa”. Il secondo è il termine italiano aggiornamento [in italiano nel testo]. Se da un lato il Concilio ha cercato di bilanciare ressourcement e aggiornamento, Tradizione e rinnovamento, d'altro canto e presso il pubblico « la riforma e il rinnovamento sono stati visti generalmente come sinonimi di modernizzazione. [...] Il programma di aggiornamento è prevalso nella comprensione e nella ricezione del Concilio da parte dei cattolici americani sin dall'inizio ». Il linguaggio dell'autore è corretto ma chiaramente è palese che egli non approva questa “lettura" unilaterale del concilio.

Il neotomismo - la teologia tomistica arida sistematizzata dai manuali latini utilizzati per generazioni nei seminari - « forniva i mezzi per confutare gli errori della modernità piuttosto che affrontare le sue sfide ». [L'errore si confuta e si rifiuta, la sfida si raccoglie sostituendo all'errore la verità. Ma oggi sono raccolte le sfide o le suggestioni della modernità?] Questo sistema accademico sotto vuoto spinto non poteva accettare nemmeno il pluralismo del ressourcement del XX secolo: la ploriferazione di nuovi approcci teologici (es. il movimento liturgico, la teologia biblica, e altri studi approfonditi della patristica). « Molti teologi americani ne hanno tratto la conclusione che il neotomismo fosse incorregibilmente anti-moderno e oscurantista e che pertanto aveva mutilato la Chiesa nel suo incontro con [il mondo moderno] ».

Avendo insegnato teologia ai suoi confratelli come Padre domenicano per decenni, di Noia è consapevole del fatto che « c'è un Tommaso d'Aquino post-tomistico, un Tommaso liberato dal peso enorme dei commenti, del dibattito, della sistematizzazione che ha fatto sì che il suo pensiero sembrasse inaccessibile ai teologi moderni ed inutilizzabile per le loro opere teologiche, un Tommaso d'Aquino che parla con limpida chiarezza a una congerie di questioni teologiche urgentemente post-moderne ».

Elementi significativi della critica di Di Noia sulla fine del secolo: la teologia di S. Tommaso d'Aquino è un grande tesoro per la Chiesa. Non necessariamente lo erano anche gli aridi manuali di teologia latina nei seminari. I documenti del concilio Vaticano II hanno un valore duraturo perché sono stati emessi e approvati da un concilio ecumenico sotto la guida dello Spirito Santo. Non altrettanto si può dire delle interpretazioni di tali documenti da parte di entusiasti che hanno enfatizzato il “rinnovamento" e ignorato la “Tradizione".
Michael J. Miller 
[Traduzione a cura di Chiesa e postconcilio]

Lo spartiacque

Leggo oggi su Fecit Forum:
L'anno scorso, Don de Cacqueray, nel corso di una conferenza a S.-Malo, aveva dichiarato che la FSSPX era esposta da due lati a due mortali pericoli. Da un lato, esiste un rischio di logoramento e di estenuazione. Dall'altro, esiste un danno da irrigidimento che si concretizza specialmente attraverso la costituzione di un magistero proprio e l'istituzionalizzazione di misure d'eccezione. Bisogna essere consapevoli di questi danni, senza eccezione, altrimenti c'è il rischio di cadere nell'uno o nell'altro.
È un rischio reale. Del resto la polarizzazione delle posizioni e quindi di radicalizzazione è riconoscibile non solo all'interno della Fraternità, ma anche sul fronte dei modernisti... È un fatto fisiologico e dipende dagli steccati che impediscono le relazioni vive e feconde. La soluzione? Chissà se potremo vederla a breve termine? Il rischio che vedo per noi è quello che si sia costretti a vagare in una sorta di terra-di-mezzo, almeno così potrebbe apparire. Ma chi può dirci che non sia l'unico atteggiamento possibile in questo momento di grande dissoluzione e confusione? Il nostro cuore aderisce alla Chiesa UNA SANTA CATTOLICA E APOSTOLICA, che per fede sappiamo viva. Il problema sta nella mancanza di visibilità certa e inequivocabile. O no?

martedì 25 settembre 2012

Vescovi « rassicurati » o « esortati » all'unità della Chiesa universale?

Avevamo raccolto fonti di agenzia che sottolineano come i vescovi francesi, in visita ad limina a Roma, giovedì 20 settembre, fossero usciti dalla riunione col Prefetto della CDF « rassicurati » sulla fermezza delle posizioni romane di fronte alle ultime condizioni poste da parte della Fraternità Sacerdotale San Pio X circa il suo eventuale ritorno nella Chiesa; fermezza vertente  sulla ritenuta indispensabile adesione al magistero pontificio chiesta a tutti i vescovi nella continuità del Concilio Vaticano II.

Qualcosa di diverso sembra di poter cogliere nelle seguenti parole, pronunciate dal Santo Padre venerdì 21 settembre, nel discorso loro rivolto:
... al Vescovo diocesano spetta il dovere di « difendere l’unità della Chiesa universale » (CIC, can. 392 § 1), nella porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata, anche se al suo interno si esprimono legittimamente sensibilità diverse che meritano di essere oggetto di un’eguale sollecitudine pastorale.
Ormai siamo abituati allo stile che esorta e non dispone; ma le indicazioni del Papa dovrebbero esser norma di comportamento per i vescovi che si dicono in comunione con lui e che senza questa comunione perderebbero, perfino in un regime di collegialità, la ragion d'essere della loro funzione. Non è difficile intuire che per «sensibilità diverse legittimamente espresse» il Papa intenda le istanze Tradizionali completamente disattese e addirittura avversate, di certo non limitate al cosiddetto - e molto impropriamente - popolo del Summorum di conio recente... A cos'altro potrebbe riferirsi, altrimenti, il Santo Padre? E, dunque, vedremo come questa flebile speranza si tradurrà nella realtà che si sta evolvendo sui due fronti che non vorremmo vedere più contrapposti. 

Non suona un po' strano, comunque, che la fedeltà alla Tradizione perenne e al Santo Sacrificio possa ridursi ad una "sensibilità diversa"?  

lunedì 24 settembre 2012

Pensieri in libertà sul Pellegrinaggio Summorum


Desidero condividere con voi alcuni pensieri erranti sul Pellegrinaggio del 3 novembre prossimo e sue implicazioni.

Ci siamo chiesti se il motivo per cui non si conosce il nome del celebrante non dipenda dal fatto che probabilmente un vescovo o un cardinale di Santa Romana Chiesa non ha il coraggio di celebrare nell'usus antiquior A ROMA? Come se la Chiesa non fosse universale e, anche se celebrare in S Pietro può acquistare una valenza simbolica più forte, non cambia una virgola del valore e dell'importanza del Rito. O forse c'è chi teme di 'esporsi' troppo a favore della Tradizione?

Ebbene, se così fosse, saremmo orgogliosi e felici di partecipare ad una S. Messa celebrata da Areki o da don Camillo, o da qualunque altro sacerdote, che rappresenterebbe tutti noi, che siamo pastoralmente SOLI, a quanto sembra cum Papa ma senza vescovi, anzi senza neppure un vescovo che ci rappresenti... Siamo pastoralmente soli non solamente in quanto "popolo Summorum Pontificum" ma come popolo di Dio ancorato alle autentiche Radici, non spurie, della nostra Tradizione - di fronte allo strapotere dei curiali che dalla loro torre d'avorio parlano un ecclesialese divenuto il linguaggio-unico post-conciliare e purtroppo impongono la 'pastorale', divenuta prassi unica e irreformabile, dei tirannici proclamatori del superdogma conciliarista. E uso questo termine con la consapevolezza che nella storia: il “conciliarismo” è conosciuto come l’eresia che sottomette il Papa al Concilio ecumenico...

E sarebbe davvero unico che in San Pietro si radunassero, per questa celebrazione, proprio tutti i gruppi pre-summorum, le comunità ED e qualunque altra realtà tradizionista - compresi anche i membri della FSSPX - pur se non hanno aderito all'organizzazione che ha promosso il pellegrinaggio, che a quanto mi risulta nasce dal basso. Il fatto che ci siano implicate realtà come la Federazione Internazionale Una Voce e Paix Liturgique dovrebbe essere indice di rispetto ma non di necessario "allineamento" con perdita di identità e di diritto di parola. Penso che sarebbe ora che ognuno esca dal proprio orticello, per spogliarsi di ogni velleità di supposta "primogenitura" di qualunque tipo, che alla fine rientra sempre nell'ordine del potere (che rimproveriamo ai curiali) o dell'orgoglio e non del servizio!

E se, davvero, si profilasse successivamente il rischio di dover mettere il silenziatore alle nostre sacrosante critiche basate sulle evidenti non-continuità conciliari, chi potrebbe impedirci di proseguire nel nostro impegno e nella nostra denuncia? È una esperienza tutta in itinere, nella quale val la pena inserirsi come un "noi" cercando di uscire dai propri steccati, per chi li ha; esperienza della quale saggiare la validità, che è tutta anche da costruire insieme, non solo coi timori e con le critiche, ma anche con la buona volontà. Mi pare che con questo evento e con la sua organizzazione si sia riprodotta, in piccolo, la situazione tra FSSPX e Santa Sede: timori e diffidenze, alcune peraltro motivate, se alla fine si determinano condizioni che diventano insormontabili!... Ma per ora non siamo, forse, arrivati a questo punto... Se poi avrò motivo di ricredermi, avrete tutto il diritto di lanciarmi i vostri strali.

E tuttavia quello che non si comprende è l'assordante silenzio - se qualcuno ha elementi diversi me lo faccia sapere - dell'Ecclesia Dei, insieme al deplorevole e poco rispettoso spostamento dell'orario, su cui è bene passar sopra perché ciò che importa è l'evento in sé e quanto rappresenta.

sabato 22 settembre 2012

I vescovi francesi « RASSICURATI »

Vescovi, insolitamente in talare!
Leggo e traduco un passo da La Croix di oggi. Si sa che la fonte non è filo-tradizionalista. Ma non lo sono neppure i vescovi francesi... Nulla di nuovo; ma c'è sempre chi cerca di inceppare un ingranaggio già di per sé abbastanza complicato.



I vescovi « RASSICURATI » [Com'è noto i vescovi francesi sono in visita ad limina]
[...] Giovedì, dalle 9 alle 10:30, i vescovi sono stati ricevuti presso la Congregazione per la dottrina della fede  dal nuovo prefetto, Mons. Gehrard Ludwig Müller, e dal suo segretario, gesuita, Mons. Luis Ladaria Ferrer. L'incontro si è soffermato sulle conseguenze della secolarizzazione sulle relazioni tra Chiesa e Stato, sulla crisi dei fondamenti della democrazia, sull'Anno della Fede. 

La questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso non è stata evocata che incidentalmente. Per contro, i vescovi francesi sono usciti da questa riunione, « rassicurati »  secondo uno di loro, sulla fermezza delle posizioni romane di fronte alle ultime condizioni poste da parte della Fraternità Sacerdotale San Pio X  circa il suo eventuale ritorno nella Chiesa. Questa riaffermata fermezza verte sull'indispensabile adesione al magistero pontificio chiesta a tutti i vescovi nella continuità del Concilio Vaticano II. [...]

Un frammento di Papiro del V secolo e l'Apocalisse

È di questi giorni la notizia, ripresa dai media e dalla Rete, del ritrovamento di un papiro copto del V secolo, riportata in questi termini dall'ANSA:
NEW YORK - "Gesù disse loro: 'Mia moglie....'' Nel corso di un convegno in corso a Roma una storica della Cristianità antica alla Harvard Divinity School ha presentato un frammento di papiro in copto del quarto secolo che contiene una frase mai esistito nelle Sacre Scritture. Il frammento è più piccolo di un biglietto da visita e contiene otto righe di scrittura in inchiostro nero leggibili solo con la lente di ingrandimento. "Lei sarà in grado di essere mia discepola", sarebbe un'altra frase contenuta nel testo. A dare l'annuncio della scoperta, che ricorda le trame del Codice da Vinci di Dan Brown, è stata Karen King, la prima donna a occupare la cattedra più antica degli Stati Uniti. La provenienza del papiro resta un mistero e il suo proprietario ha chiesto di restare anonimo, scrive il New York Times. Fino a oggi, quando lo ha presentato al Convegno Internazionale di Studi Copti, la King aveva mostrato il frammento a un ristrettissimo circolo di papirologi e linguisti secondo i quali è "probabilmente" autentico. La studiosa e i suoi collaboratori attendono con mente aperta il parere di altri studiosi, pronti a vedere ribaltate le loro conclusioni preliminari. La King ha sottolineato che la scoperta è interessante perché "conferma antiche tradizioni secondo cui Gesù era sposato. Ce n'era una già nel secondo secolo - ha detto la studiosa di Harvard - legata al dibattito se i cristiani dovessero sposarsi e avere rapporti sessuali.
Per tutta risposta, e senz'alcun commento, Rorate Caeli - e noi con loro - riportiamo Apocalisse XXI:

E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender dal cielo da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suo popolo, ed egli sarà il Dio-con-loro; e asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saran più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate. E Colui che siede sul trono disse: Ecco, io fo ogni cosa nuova, ed aggiunse: Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci. Poi mi disse: Ecco sono compiute! Io son l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; e io sarò il suo Dio, ed egli sarà mio figlio; ma quanto ai codardi, agl’increduli, agli abominevoli, agli omicidi, ai fornicatori, agli stregoni, agli idolatri e a tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda. E venne uno dei sette angeli che aveano le sette coppe piene delle sette ultime piaghe; e parlò con me, dicendo: Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello

Dal 21 al 29 settembre Novena a San Michele Arcangelo

O Dio vieni a salvarmi
O Signore vieni presto in mio aiuto.

GLORIA AL PADRE

CREDO

SEQUENZA ALLO SPIRITO SANTO

Vieni, Spirito Santo,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto;
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.

O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla è senza colpa.

Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli,
che solo in te confidano,
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.
Amen.

INVOCAZIONE A SAN MICHELE ARCANGELO
San Michele Arcangelo difendici nella battaglia: sii tu il nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo. Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli! E tu, o Principe della Milizia Celeste, con la potenza divina, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime. Amen. (Leone XIII)

Pater - Ave - Gloria

venerdì 21 settembre 2012

FSSPX-Roma: Importante - Padre Schmidberger parla delle condizioni e dello stato attuale dei negoziati con Roma

Mi decido, ora, a pubblicare perché, se lo fa una fonte seria come Rorate Caeli, è arrivato il tempo di parlarne senza rischiare di sollevare polveroni dannosi. La situazione è già grave di per sé: a comprometterla definitivamente ci ha pensato il cardinal Levada, confermato - pare - dal Santo Padre... Le notizie provengono da un'intervista di don Andreas Steiner, portavoce del Distretto tedesco della Fraternità San Pio X in Germania, all'attuale Superiore generale del Distretto ed ex Superiore della Fraternità, Schmidberger. I principali argomenti sono: il recente Capitolo Generale, la situazione attuale della questione tra Roma e la FSSPX e i rapporti con l'Arcivescovo Müller (prefetto della CDF).
Riporto, con gratitudine, la fatica dei nostri amici di Rorate nella mia traduzione.

Ciò che segue è una adattata, ma ragionevolmente accurata, sintesi di 17:21 minuti video.

Sulla prima questione, che discende dal Capitolo Generale, don Schmidberger sottolinea il lato positivo per la stessa FSSPX: «il Capitolo Generale ci ha fornito una nuova unità all'interno delle nostre stesse fila, [una unità] che ha sofferto un po 'negli ultimi tempi, e che è una grande grazia di Dio, direi». Per quanto riguarda l'aspetto esterno del Capitolo Generale, il Padre osserva che ci sono tre punti che devono essere richiesti dalle autorità in caso di realizzazione della unione visibile con Roma. Questi sono: in primo luogo, che alla Fraternità San Pio X sia data la libertà di esporre gli errori del Vaticano II, in secondo luogo, che le sia consentito di utilizzare solo i libri liturgici del 1962 e, in terzo luogo, che debba esserci sempre un vescovo nella Fraternità al proprio interno.

La seconda domanda riguarda la situazione tra Roma e la FSSPX. Intorno alla Pentecoste (di quest'anno) la gente pensava che l'unione visibile era vicina, ma, come osserva il Padre, l'incontro tra il cardinal Levada e Mons. Fellay ha cambiato tutto questo. La richiesta che è stata presentata dal cardinale riguardava non solo la proposta [nota del traduttore: rispetto al preambolo dottrinale] che il vescovo Fellay aveva inviato a Roma in precedenza, ma aggiungeva a quella proposta nuove esigenze che devono essere soddisfatte dalla Fraternità San Pio X, ed il vescovo lo ha ritenuto inaccettabile per la Fraternità.

Questi requisiti aggiuntivi sono costituiti, secondo il Padre:
  • dal riconoscimento della "liceità" [in tedesco: Lizeität - nota del traduttore: si veda anche la prefazione alla FSSPX tedesca di Distretto Mitteilungsblatt nr. 404 del settembre 2012, in cui viene utilizzata la stessa parola, rafforzando la convinzione che essa deriva direttamente dalla proposta del cardinale Levada] della nuova liturgia [Nota del redattore: il Padre presenta in primo luogo il termine Lizeität come "permissivismo", ma poi interpreta immediatamente nel senso di "legittimità"],
  • e anche dal riconoscimento della continuità ininterrotta tra le dichiarazioni dottrinali della Chiesa e il Vaticano II e tutti i concili precedenti. E questo è impossibile, secondo il Padre, poiché ci sono innegabilmente rotture con il Vaticano II e "quindi non possiamo accettare la ermeneutica di continuità in quanto tale" [enfasi aggiunta dal traduttore].
In seguito a questa riunione, Mons. Fellay ha inviato una lettera al Papa, chiedendogli se tali requisiti supplementari fossero voluti da Sua Santità, o se rappresentassero richieste dei suoi collaboratori. Il Papa ha confermato a Mons. Fellay che egli desidera veramente che tali requisiti siano soddisfatti.

La Fraternità San Pio X invia le sue preoccupazioni circa tali requisiti a Roma con la speranza che ci possa essere soluzione. Già con le discussioni dottrinali è apparso chiaro che ci sono grandi differenze tra l'insegnamento della Chiesa nel corso degli ultimi secoli (rappresentato dalla Fraternità San Pio X), e i concetti dottrinali dei rappresentanti delle attuali autorità nella chiesa. Fino a quando questi non saranno risolti, il Padre dice di credere che non ci sarà un vero esodo della Chiesa dagli attuali problemi.

La terza questione, poi, si occupa della relazione tra l'arcivescovo Müller, l'attuale prefetto della CDF, e la FSSPX. L'Arcivescovo non è stato molto favorevole alla Fraternità San Pio X, quando era l'Ordinario del luogo della diocesi in cui essa ha il suo seminario tedesco; tuttavia, ciò che preoccupa molto di più Schmidberger è l'eterodossia dell'arcivescovo in alcuni punti della fede, mentre il capo della CDF dovrebbe vigilare sulla fede e proteggerla.

Padre Steiner ha dunque chiesto se Padre Schmidberger prevede nuove scomuniche nel caso che la Fraternità San Pio X non soddisfi i due requisiti di cui sopra. Padre Schmidberger, tuttavia, pensa che che ciò sia molto improbabile. Egli vede la Fraternità non solo come una comunità di circa 570 sacerdoti, alcune suore e alcune scuole cattoliche, ma - senza voler sembrare presuntuoso - egli ritiene che la FSSPX è anche in un certo modo la spina dorsale di tutti coloro che vogliono mantener viva la Tradizione della Chiesa. Per tutti costoro, la FSSPX è comunque un punto di riferimento. Se questo punto di riferimento venisse in qualche modo screditato, ciò rappresenterebbe una enorme "demoralizzazione" delle forze tradizionali e conservatrici della Chiesa. Sarebbe quindi una catastrofe enorme, non tanto per la Fraternità, ma per la Chiesa stessa.

Infine, l'ultima domanda chiede a padre Schmidberger se a suo parere i colloqui con Roma hanno prodotto qualche beneficio. Il Padre ritiene che i colloqui hanno avuto enormi benefici. In primo luogo, essi hanno dimostrato che la FSSPX deve davvero cercare una normalizzazione; che la Fraternità San Pio X guarda la sua situazione alla luce della crisi attuale come non normale, e ogni anomalia richiede una normalizzazione. La situazione attuale è anomala; tuttavia non è colpa della Fraternità: è una necessità nell'attuale situazione di crisi, se si vuole mantenere integre l'antica liturgia, l'antica dottrina, l'antica disciplina e se si vuole vivere su questa pienezza in modo coerente come cattolici.

D'altra parte, le discussioni hanno dimostrato che esistono differenze dottrinali e le deviazioni non esistono dal lato della Fraternità, ma dalla parte dei - lo si deve, purtroppo, ammettere - rappresentanti della Chiesa che organizzano gli incontri di Assisi, che praticano ciò che è stato esplicitamente condannato in passato dalla Chiesa, dai Papi, dai concili. E in terzo luogo, i negoziati hanno portato ad un processo di chiarificazione all'interno della Fraternità. Essa non è d'accordo con coloro che, per ragioni di principio, rifiutano i colloqui con Roma. Il Padre conclude l'intervista dicendo:
« La Fraternità non ha mai lavorato per se stessa; non si è mai considerata come fine a se stessa, ma ha sempre cercato di servire la Chiesa, per servire i Papi. L'arcivescovo Lefebvre ha sempre detto questo: Vogliamo essere a disposizione dei Vescovi, dei Papi, vogliamo servire loro, vogliamo aiutarli a guidare la Chiesa fuori da questa crisi, per ripristinare la Chiesa in tutta la sua bellezza, in tutta la sua santità; ma questo può certamente avvenire solo al di fuori di ogni compromesso, di qualsiasi falso compromesso. È di grande importanza per noi e abbiamo in realtà cercato di recuperare questo tesoro nella Chiesa, per dargli nuovamente diritto di cittadinanza. E forse qualcuno ha deviato da ciò. Anche attraverso queste discussioni dottrinali la Fraternità ha fatto sicuramente pensare la gente sul Concilio Vaticano II e su certe dichiarazioni di esso ».

Aleteia: lanciato un network internazionale di media cattolici

Pubblico senza commenti (volevo farlo, ma poi mi sono scappati!) questa notizia, di per sé interessante perché è da tempo che la Chiesa pone giustamente la sua attenzione sui mezzi di comunicazione e dunque anche su quelli consentiti dalle nuove tecnologie.

Proprio in questi giorni il responsabile del Dicastero delle Comunicazioni sociali ha posto l'accento sul tema "Dio nella comunicazione digitale"; il che si riallaccia alla notizia del nuovo network di media cattolici. La cartina di tornasole del tutto - e che non si tratti di un ulteriore fronte di "normalizzazione"- l'avremo se e quando questo blog e siti similari chiederanno di entrarvi... Richiamo la vostra attenzione sul linguaggio e sul termine "torta pubblicitaria" e su quanto vi sottende.

E dunque sorge spontanea una domanda: nuova evangelizzazione, che poi è talmente "nuova" da essere "altra" (vedi anche qui l'enfasi sui movimenti che caratterizzano la chiesa più come un federazione che come unità, dove tutti hanno posto tranne che la Tradizione autentica), oppure marketing con annessa "normalizzazione" dei partecipanti?

(Radio Vaticana) - Oltre mille associati tra media, istituzioni cattoliche e movimenti da tutto il mondo. Aleteia.org: il nome del “Network internazionale cattolico di condivisione e dialogo su questioni di fede, vita e società per i cercatori di verità”, promosso dalla Fondazione per l’Evangelizzazione attraverso i media. Un anno fa l’idea, oggi il lancio ufficiale del sito di Aleteia, in una conferenza stampa a Roma. Il servizio di Roberta Gisotti:

Parla in sei lingue il nuovo network cattolico: italiano, inglese, francese, portoghese, arabo e in futuro parlerà anche cinese. Jesus Colina, giornalista spagnolo, presidente di Aleteia, già direttore dell’agenzia Zenit:

R. - Oggi ci sono ogni mese 55 milioni di ricerche su Dio in inglese, God. Ma cosa trova la gente? La rappresentatività dei siti cattolici e delle loro produzioni non è ancora molto elevata. Su Google e sugli altri motori di ricerca noi vogliamo far apparire nelle prime schermate le belle produzioni, le perle che i siti cattolici generano ogni giorno.

D. – Un traguardo da qui ad un anno?

R. – Prima di tutto che i siti cattolici ci considerino come la loro rete, che si sentano a casa, perché vedono in noi quel megafono che crea loro nuovi canali di visibilità nei motori di ricerca e nelle reti sociali.

Il network sarà supportato da un servizio di raccolta pubblicitaria, Ad Ethic. Andrea Salvati, direttore generale di Aleteia, già dirigente di Google-Italia:

R. Così come Aleteia rappresenta il network di tutti i siti cattolici mondiali per la valorizzazione dei loro contenuti, Ad Ethic sarà il network che li aiuterà a valorizzare le loro audience in termini pubblicitari.

D. – Questa è una novità nel mondo cattolico?

R. – E’ un’assoluta novità, perché in questo momento direi che il mondo cattolico è quasi completamente escluso dalla "torta pubblicitaria" online, che è una torta in crescita, che sta andando molto bene, in controtendenza rispetto alle dinamiche di contrazione del mercato pubblicitario, e nella quale appunto i siti cattolici oggi non hanno ancora una voce importante, anzi direi piuttosto marginale.

D. – Nel passato c’è stata qualche remora a rivolgersi al mondo della pubblicità. Oggi invece si intuiscono le opportunità per un servizio di promozione...

R. – C’è un fatto assolutamente nuovo che ci rende fiduciosi in questo nuovo corso: la misurabilità del web consente oggi di poter avere con facilità possibilità di accesso ad una pubblicità mirata, qualificata e selezionata, soprattutto se si è organizzati, quindi se si riesce a rappresentare una massa critica importante. Questa è una garanzia per gli editori cattolici, perché naturalmente potranno ospitare sulle loro pagine sia pubblicità referenti al mondo cattolico, ma anche pubblicità referenti al mondo laico, per le quali però possono comunque avere un filtro dal punto di vista della categoria merceologica o dal punto di vista della creatività. E’ proprio il caso di dire, in questo caso, l’unione fa la forza: dove c’è unione vuol dire che c’è massa critica, ci sono audience da valorizzare e c’è peso contrattuale che possiamo portare su tutti i network che distribuiscono la pubblicità online.

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giovedì 20 settembre 2012

Spostamento di orario per la Messa del Pellegrinaggio Summorum Pontificum

Lo avrete forse già letto su altri blog. Ma pubblico questo annuncio per dovere di cronaca, con una piccola postilla: la messa mattutina del Papa in San Pietro, immagino fosse in calendario da mesi.  Dunque, con quale criterio era stato fissato l'orario?
Aggiornamento: Ci viene comunicato che l'orario era stato fissato per iscritto dal Cardinale Arciprete, quindi da lui revocato e di nuovo stabilito alle ore 15. Ne prendo doverosamente atto. Pensavo, tuttavia, che la Messa da Requiem fosse ricorrente e quasi di routine... 

Facendo seguito alla conferenza stampa del 10 settembre, il Coetus Internationalis Summorum Pontificum desidera annunciare la variazione di orario della Santa Messa nella forma straordinaria del rito romano. La Messa avrà luogo nella Basilica di San Pietro alle ore 3.00 del pomeriggio di Sabato 3 Novembre 2012. Questo cambiamento è stato fatto per facilitare la celebrazione della Messa annuale del Santo Padre per i membri defunti del Sacro Collegio dei Cardinali in quella mattina.

Siamo una cosa sola con il Santo Padre e accettiamo senza questioni questo cambiamento d’orario.

Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum invita tutti i fedeli legati alla forma straordinaria del Rito Romano a raddoppiare i loro sforzi per mostrare il loro sostegno al Santo Padre e al suo documento Summorum Pontificum.

Il Coetus Internationalis Summorum Pontificum invita tutti i fedeli che vengono Roma, e anche quelli che non potranno venire, ad unirsi al Santo Padre nella preghiera di suffragio per le anime dei Cardinali defunti.

Contatti:
Segreteria Generale del CISP: orga.cisp@mail.com
Portavoce ufficiale del Pellegrinaggio: secretary@fiuv.org

mercoledì 19 settembre 2012

Arcivescovo Müller, settembre. L'unità della Chiesa priorità della Dottrina della Fede.

News.va pubblica ieri, solo nell'edizione inglese, questa recentissima intervista del nuovo prefetto della Dottrina della Fede Arcivescovo Müller. La riporto perché colpisce, nell'ultima parte, il suo approccio al problema della riconosciuta polarizzazione tra progressismo e tradizionalismo. Discorso condivisibilissimo in linea di principio; ma tutto da decriptare, soprattutto nelle conseguenze, quando parla di promuovere un'unità non secondo un programma e poi invocata da portavoce partigiani, perché il punto è nell'individuare cosa egli intende per "programma" e chi sarebbero i "portavoce partigiani", che un tradizionista non farebbe fatica a individuare tra i fautori-interpreti-applicatori-acritici del concilio in maniera unidirezionale e innovatrice...

(Radio Vaticana) - Una crescente polarizzazione tra tradizionalisti e progressisti sta minacciando l'unità della Chiesa e generando forti tensioni tra i suoi membri. Mentre prende il timone della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), l' Arcivescovo Gerhard Ludwig Müller dice che vede questa come una delle sfide più importanti che la Chiesa deve superare. In un'intervista il presentatore p. Bernd Hagenkord di Radio Vaticana, l'Arcivescovo Müller parla di questo e dell'anno che ci attende. Emer McCarthy chiede:

D: Arcivescovo, lei non è del tutto nuovo alla CDF, avendo già servito come funzionario e collaboratore, ma sono ormai un po' più di 80 giorni da quando è stato nominato Prefetto [2 luglio scorso -ndr]. Si è già installato nel suo nuovo ufficio e a Roma?
R: « Mentalmente, sì, ma devo ancora aspettare per alcuni libri e arredi. In sostanza si tratta di un lavoro che devo compiere e di un impegno più profondo per la Chiesa. Sappiamo che ci sono molti pregiudizi nei confronti di questa Congregazione. Ma spesso hanno poco a che vedere con la realtà».
D. - La Congregazione ha anche situazioni difficili da affrontare, più di recente con le religiose negli Stati Uniti ed altre questioni, le già conosce bene o ci vorrà ancora un po' di tempo perché questi problemi arrivino sulla scrivania?
R: « Nel caso dell'incarico a cui sono stato assegnato, non posso permettermi il lusso di prender tempo per essere al corrente di questi problemi. Bisogna saper nuotare, prima di essere gettato in acqua. In realtà, non è un inizio completamente nuovo per me, già come vescovo ci si trova a dover affrontare questi problemi, prima ancora che come teologo. Inoltre sono stato anche un membro del CDF per cinque anni, per cui non sono del tutto all'oscuro circa i problemi che arrivano qui ».
D. Ci sono anche questioni orribili che arrivano sulla scrivania: come ad esempio il trattamento dei casi di abuso che sono sotto la competenza della CDF. Secondo lei, a che punto è il Vaticano con questo problema?
R: « Come sempre, il problema è una priorità, perché sempre e in ogni caso, la nostra prima priorità devono essere coloro che hanno subito questi terribili attacchi. Tuttavia è anche importante per affrontare i perpetratori del male per essere proattivi nella prevenzione. Allo stesso tempo anche la dignità del reo deve essere rispettata ... In questo settore, sia la Congregazione per la Dottrina della Fede e le singole diocesi stanno procedendo ad agire su questo tema in modo molto coerente ».
D: Il suo primo anno di lavoro inizia in maniera forte, con il Sinodo dei vescovi, ma a livello personale quali sono le sue speranze per il primo anno?
R: « Naturalmente, ho pensato molto  a come svolgerò questo ruolo io non credo di essere stato chiamato dal Santo Padre svolgere una funzione burocratica e portare avanti - per così dire - un compito burocratico, ma in quanto teologo. Quindi prima di tutto mi sono chiesto: cos'è che affligge la vita della Chiesa? In molti paesi, vi è una forte polarizzazione: tradizionalisti contro progressisti o comunque li si voglia chiamare. Ciò deve essere superato, abbiamo bisogno di trovare una nuova e fondamentale unità nella Chiesa e nei singoli paesi. Unità in Cristo, non una unità prodotta secondo un programma e poi invocata da portavoce partigiani. Non siamo una comunità di persone allineate ad un programma di partito, o una comunità di ricerca scientifica, la nostra unità è dono che ci viene fatto. Noi crediamo nell'Una Chiesa unita in Cristo e se si crede in Cristo, se ci si crede davvero - non manipolando gli insegnamenti della Chiesa, o individuando singoli punti a supporto della propria ideologia personale, ma piuttosto affidandosi incondizionatamente a Cristo - allora l'unità della Chiesa è davvero importante. In questo modo allora la Chiesa non sarà - come a volte viene descritta nella Scrittura - dilaniata dalla gelosia e dall'ambizione. Questo è il mio obiettivo di fondo: quello di ridurre le tensioni all'interno della Chiesa ».
[Traduzione mia da quella inglese tratta dall'originale tedesco]

martedì 18 settembre 2012

P.Tomas Tyn, un aiuto nell'anno della Fede

Il convegno di Rieti del 19 ottobre 2012 dal titolo: La forza della Verità - P.Tomas Tyn, un aiuto nell'anno della Fede, rappresenta un occasione davvero ghiotta per chiunque voglia approfondire i temi della nostra Fede. I relatori infatti, tutti di altissimo livello, relazioneranno circa lo Status Questionis nell’anno, appunto, della Fede concentrando l’attenzione in particolare su due testi appena usciti che gettano un fascio di luce e di sana dottrina cattolica in questi oscuri tempi segnati da relativismo, indifferentismo religioso, dal dialogo ad ogni costo che dimentica il mandato perentorio del Signore circa l’evangelizzazione a tutti i popoli, da una melassa buonista che, malintendendo il concetto di misericordia verso il prossimo, si esplicita in un atteggiamento colpevolmente dimentico appunto del fatto che, come afferma il Card. Giacomo Biffi, « la prima misericordia di cui abbiamo bisogno è la luce impietosa della Verità ». 

Ebbene i due nuovi testi apparsi per i tipi delle Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae di Rieti e cioè La Forza della Verità del grande teologo domenicano il Servo di Dio P.Tomas Tyn OP morto in concetto di Santità a 39 anni dopo aver offerto la propria vita in olocausto al Signore per la liberazione dell'allora Cecoslovacchia dal regime oppressore (da qui uno dei motivi della Causa di Beatificazione) e La Chiesa e la Sua Continuità della teologa romana Maria Guarini che compie un'articolata analisi teologica delle scottanti problematiche del post-Concilio, gettano, come detto, una luce di sana dottrina cristiana e cattolica. I lettori che volessero partecipare all'importante convegno reatino, che tratterà anche degli ultimi sviluppi delle ricerche sulla Sacra Sindone, saranno i benvenuti. 
Gianni Battisti
Presidente del Centro Culturale P.Tomas Tyn OP di Rieti 
giannibattisti@libero.it 

SE L’ATTO D’ESSERE È PIÙ PERFETTO E NOBILE DI QUELLO DEL CONOSCERE, PERCHÉ LA CHIESA, DOPO IL VATICANO II, SI È FATTA (DECADENDO) IDEALISTA?

Brani tratti dal Libro: Enrico Maria Radaelli, Il domani - terribile o radioso? - del dogma, Edizione Aurea Domus, 2012 (pp. 79-83), che trattano proprio dell'argomento sollevato da un nostro interlocutore, che ritiene di aver concluso la sua "missione" dopo aver totalmente ignorato i nostri argomenti e accusato di idealismo e immanentismo Romano Amerio. Può leggere di seguito la migliore smentita alle sue apodittiche affermazioni.

19. SE L’ATTO D’ESSERE È PIÙ PERFETTO E NOBILE DI QUELLO DEL CONOSCERE, PERCHÉ LA CHIESA, DOPO IL VATICANO II, SI È FATTA (DECADENDO) IDEALISTA? 

Domanda cruciale, se pur di tangente (la cui risposta infatti distinguerebbe nientemeno che il realismo tomista dall’irrealismo idealistico): la nobiltà o perfezione dell’essere è forse maggiore anche della nobiltà o perfezione della conoscenza?
« L’essere è più nobile anche del conoscere – san Tommaso risponde per la penna del Mondin –, supposto che si possa pensare il conoscere facendo astrazione dall’essere. E quindi ciò che è più perfetto nell’essere in sede assoluta, è più nobile di qualsiasi altra cosa che [come la conoscenza] sia perfetta solo in rapporto a qualche altro aspetto che accompagna l’essere » (I Sent., d. 17, q. 1, a. 2, ad 3).
L’ho chiamata « domanda cruciale », questa, perché aiuta a capire quanto sia importante restituire alla filosofia tomista il posto che nella Chiesa aveva prima del concilio, e che poi perse perché il suo rigore, giustamente assimilato dai novatori al rigore asseverativo del linguaggio dogmatico, cui infatti è strettamente legata, l’ha portata a essere identicamente e disprezzata e deprezzata da quei novatori con i medesimi disprezzo e deprezzo usati su quel linguaggio.
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Molti, dall’una e dall’altra parte del Vaticano II, a riguardo suo parlano di « cambiamento di mentalità », per esempio ancora il Gherardini nel suo Il discorso mancato (p. 37), ma anche l’O’Malley nel suo Che cosa è successo, allorché riconosce che « erano in gioco due visioni diverse del cattolicesimo – dell’ordine e dell’invito, delle leggi e degli ideali, del dogma e del mistero, della minaccia e della persuasione, del comando e del servizio […] – » (pp. 313-4), polarizzando in ben sedici opposizioni tanto ben individuate quanto artificiali, concetti la stragrande maggioranza dei quali, fino al Vaticano II, appartenevano tranquillamente alla cattolicità in toto, e vi appartenevano in un bilanciamento armonico e in una tassonomia di valori opposti, ma appunto per ciò sentiti egualmente necessari a quell’unico insieme eufonico che è il cattolicesimo, governati però allora non dall’odierna indistinzione liberale, ma, come richiesto, dal principio autoritativo e distintivo divino.
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Ma non basta pensare a un semplice per quanto universale e catastrofico cambiamento di mentalità per definire quello che abbiamo sotto gli occhi: la trasformazione di mentalità (che è a dire di prospettiva e di atmosfera religiosa vissute dalla cattolicità universale), individuata per primo da Amerio come antropocentrismo in luogo del corretto e ben più seriamente umanistico teocentrismo, è a sua volta, come tutte le grandi trasformazioni di mentalità, figlio di una filosofia, figlio di una metafisica, in questo caso figlio della filosofia e della metafisica imperanti nel ceto borghese negli ultimi due-tre secoli in Europa, specie in Germania e Italia.
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Qual è il passaggio dal realismo all’idealismo? quale dal teocentrismo all’antropocentrismo? e cosa lega, infine, i due passaggi tra loro?
Il fulcro del primo passaggio va ricercato nel sacro Nome di Dio affermato in Es 3, 14: se infatti il soggetto « Io » del-l’affermazione « Io sono Colui che sono! » è riconosciuto – come deve essere riconosciuto – nella realtà della Mente che pensa quel Pensiero e che in quanto soggetto lo enuncia, restiamo ben ancorati all’interno del realismo intensivo tommasiano in cui l’essere, il reale, è principio e fondamento dell’ideale, del pensiero, del cogito.

Ma se il soggetto, l’« Io » che enuncia l’affermazione, viene spostato dalla Mente al Pensiero stesso, come se un pensiero da se stesso possa pensare se stesso (e ogni altro pensiero) in tutta autonomia dalla mente che lo congettura e formula, quasi possa pretendere una sua indipendenza da quell’essere che gli è pur a fondamento, ecco l’idealismo, ecco cioè che l’idea diviene soggetto pensante se stesso; ma ciò è irreale, perché senza una mente che lo pensa, senza un « Io » che lo formula, non può darsi alcun pensiero.
Non più: « Io sono! », ma: « Cogito, ergo sum », ossia “Penso, dunque sono”: “Penso, sono il pensiero, sono il pensiero dell’essere, e per questo io, in quanto pensiero, sono qualcosa, per questo io stesso sono la realtà; anzi, la realtà nemmeno sarebbe, se io non la pensassi”. Il soggetto autarchico, nell’idealismo, diviene uguale, in potenza, nobiltà e perfezione, all’Essere, alla realtà divina della Mente; e ne prende il posto.

In ciò abbiamo il secondo passaggio, per il quale il pensiero si fa da se stesso realtà, il conoscere si fa essere, l’idea del reale si fa essere ideale. Ciò sarebbe anche corretto, per certi versi, perché è proprio il Logos che, in quanto enunciativo della Mente del Padre, afferma: « Io sono! »; ma ciò egli afferma riferendosi al reale costituito appunto dalla Mente del Padre, non mai alienandosi da essa, perché se si riferisse solo a se stesso, tagliando fuori la Mente del Padre, avremmo due Io, due realtà, due Dei, il che è inaccettabile cattolicamente e inconcepibile razionalmente: il discrimine tra realismo (cattolico) e idealismo (ateo) è qui, nel limitare il soggetto dell’« Io sono! » al Verbo che lo pronuncia e non includervi la Mente del Padre che, vero soggetto, genera il Verbo pronunciante.

Il terzo passaggio consiste nella salita dell’uomo alla trascendenza dell’Idea: il « cogito » si fa universale, in altre parole l’uomo si accorge di essere lui stesso il soggetto che pensa Dio, lui il formulatore della più vasta e omnicomprensiva sintesi che si possa concepire della realtà, in cui materia e spirito, ontologia e gnoseologia, oggettivismo e soggettivismo, possono venire raccolti nell’unica ampissima coppa dell’Assoluto e nell’unico possibile sistema davvero senza soluzione di continuità tra pensante e pensato, costituito dall’Idea come essere universale, senza rotture o diaframmi di sorta tra tesi e antitesi, l’una e l’altra fondando, della rispettiva “altra”, unicamente il necessario e oppositivo alterego dialettico.

Il sistema teocentrico (cattolico) si fonda sull’essere ontologico del Padre come Prima realtà, o Principio, della stessa ss. Trinità (v. il Prologo giovanneo e – oltre S. Th., I, 33, 1, Se il Padre possa dirsi Principio – il commento che ne fa san Tommaso); il sistema antropocentrico idealista si fonda sull’essere gnoseologico del Figlio come Verbo che in sé e nella propria “Conoscenza universale” riassume anche l’essere del Padre. Sistema antropocentrico, questo, perché « l’assorbimento completo dell’essere nel pensiero e del finito nell’infinito è la caratteristica dell’i. moderno che s’è detto antropologico perché quel pensiero e quell’infinito qualificano alla fine l’essere della ragione umana e affermano quindi l’assoluta immanenza » (Cornelio Fabro, in Enciclopedia Cattolica, voce Idealismo, col. 1565).

Il discrimine apparentemente è sottile, ma decisivo. Il sistema realistico si appoggia sul Padre, l’idealistico sul Figlio. Nel primo c’è la Trinità, nel secondo, convergendo sia il Padre che la creazione nell’immanenza del Figlio, la Trinità si dissolve e resta un Dio assoluto, troppo immanente al Figlio per ammettere da un verso un Principio ab æterno “prima” del Figlio generato; dall’altro una creazione finita e materiale successiva al volere di un Pensiero che la trascenda.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con la primalità che Amerio, nel più rigoroso tomismo, dà al Logos nella denuncia dell’usurpazione del trono della verità da parte della volontà, perché lo scambio sistemico perpetrato dai novatori e denunciato dal Luganese non tocca il principio assoluto dell’essere detenuto saldamente dalla Mente del Padre, cioè dalla Realtà, ma unicamente il posto che ha la verità nei confronti dell’amore, ben chiaro a sant’Agostino: « Non si ama [o vuole] ciò che non si conosce » e d’altronde fissato nell’ordine con cui tutti i De trinitate presentano le tre Persone, o col ‘segno della croce’ che facciamo tutti i giorni.