Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 4 ottobre 2025

Francesco d'Assisi, tra essere e tradizione : oltre l'ideologia moderna

Precedenti qui - qui - qui (con ulteriori riferimenti). Pio XII, il 18 Giugno 1939, proclamò San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena Patroni d’Italia. Nel suo memorabile discorso, egli definì san Francesco «il più italiano dei Santi, il più santo degli Italiani».

Francesco d'Assisi, tra essere e tradizione :
oltre l'ideologia moderna

L'immagine riportata è tratta da un affresco di quando Francesco era ancora in vita
Ogni epoca produce le proprie narrazioni e le proietta retroattivamente sulle figure del passato, trasformandole in simboli funzionali a ideologie contingenti. La modernità e la postmodernità, incapaci di concepire la verità come ordine oggettivo dell’essere, hanno inevitabilmente ridotto Francesco d’Assisi (1186-1226) a icona di un pacifismo sentimentalista, di un ecologismo panteistico, di un ribellismo anarchico contro l’istituzione.
Tanto la sinistra, quanto una certa destra, hanno condiviso questa deformazione, perché entrambe immerse nella stessa orizzontalità politica che confonde la radice metafisica con l’apparenza fenomenica.
Ora, il Francesco reale, il santo della Chiesa, non è interpretabile con le categorie della modernità: egli è comprensibile solo se colto entro la dimensione dell’essere, secondo l’ordine della Tradizione. Non un rivoluzionario che frantuma, bensì un uomo che riconosce l’originaria armonia tra natura e grazia, tra creazione e Redenzione, tra Cristo e la Chiesa. Non un ingenuo "amico della natura”, ma un contemplatore della struttura metafisica del creato, capace di vedere nelle creature non il "divino diffuso", ma l’"analogia entis" che rimanda al Principio.
Il gesto di spogliarsi davanti al Vescovo di Assisi non fu un atto di "liberazione" individualistica, ma la restaurazione simbolica della dipendenza radicale dell’uomo da Dio attraverso la mediazione sacramentale della Chiesa.
L’obbedienza di Francesco al Romano Pontefice, prima Innocenzo III e poi Onorio III, che la retorica moderna descrive come debolezza istituzionale, è invece l’espressione più pura del suo realismo metafisico: egli sapeva che la grazia non opera nel vuoto, ma nell’ordine visibile voluto da Cristo.
In questo senso, il suo atto non è ribellione ma fedeltà: fedeltà alla struttura oggettiva dell’essere e del Vangelo, che non tollera l’arbitrio soggettivo né l’orgoglio prometeico.
Lo stesso amore per il creato, spesso travisato in chiave ecologista, non è riducibile a culto naturalistico o a panenteismo. Nel "Cantico delle creature" non si celebra la natura come assoluto, ma si riconosce l’essere partecipato: il sole, la luna, l’acqua e la terra sono creature, cioè enti contingenti che traggono la loro bontà dall’Essere primo. Francesco canta la gerarchia ontologica, non l’autonomia della materia; egli riconosce il limite e, nel limite, la trasparenza dell’Infinito. Qui si colloca la radicale fedeltà alla Tradizione: il creato non è adorato, ma è ordinato al Creatore.
La sua povertà, poi, non ha nulla della lotta di classe o dell’egualitarismo livellante che certa retorica contemporanea gli attribuisce. Non si tratta di rivendicazione politica, ma di purificazione ontologica: liberarsi del superfluo per aderire all’Essere stesso, che è Dio. La povertà francescana non è "miseria sociale", bensí segno sacramentale ed escatologico che rimanda al destino ultimo dell’uomo, chiamato a possedere non le cose ma Dio stesso.
In questo senso, Francesco non "protesta" contro l’ordine costituito, ma lo ricolloca nella sua verità: i beni temporali hanno senso solo se orientati al Bene sommo. Il fraintendimento moderno di Francesco, dunque, è un caso esemplare della dissoluzione della verità nell’ideologia.
La cultura secolarizzata, non sapendo più leggere il linguaggio dell’essere e della Tradizione, ha ridotto il santo a figura utile per giustificare le proprie agende politiche e culturali.
Eppure Francesco, nella sua autenticità, resta radicalmente altro: è testimone della trascendenza in un mondo che vuole restare immanente, è cantore dell’ordine ontologico in un’epoca che celebra il disordine, è uomo di obbedienza in un tempo che idolatra l’autonomia.
Restituire Francesco alla sua verità non è solo operazione storica, ma compito teoretico: significa rifiutare le riduzioni ideologiche e accogliere la sua vita come testimonianza della struttura metafisica dell’essere. Significa comprendere che la Tradizione non è peso del passato, ma radice dell’eterno, e che solo restando fedeli a questa radice si può essere realmente liberi.
Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, non è il profeta di un mondo nuovo fabbricato dall’uomo, ma il segno di un ordine già dato, eterno, che l’uomo può solo riconoscere e venerare.
Daniele Trabucco

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Sebastiano Mallia
'POCO MENO' DEGLI ANGELI? LUI DI PIU'...

Se c'è una cosa che va fatta con il ricordo di San Francesco d'Assisi, che Vittorio Messori ha fatto e che, infinitamente in modo più modesto cerco di fare, è quella di sganciarlo dalla retorica di certo pauperismo protocomunista e protoambientalista per restituirlo alla sua straordinaria cattolicità medioevale che include, ovviamente, lo sconvolgente tratto soprannaturale, misconosciuto e sepolto, appunto, sotto l'immagine di un Che Guevara del feudalesimo, sebbene disarmato.

Noto da qualche giorno che il movimento delle memorie liturgiche d'inizio ottobre, che si apre con l'insistenza del ricordo verso le creature angeliche (i tre Arcangeli, i Custodi), appare -ma, appunto, solo appare- 'degradare' con la memoria secondaria di Dionigi L'Aeropagita per poi 'saltare', insomma, a questo 4 ottobre.

Quel Dionigi, il primo dei padri della Chiesa, l'unico a mia memoria di cui parlino le Scritture, convertito sull'Aeropago di Atene da San Paolo stesso, 'riappare' secoli dopo in uno scritto del VI° secolo, il Corpus areopagiticum, contenente il De coelesti hierarchia: il testo che per San Tommaso d'Aquino, per Dante stesso e per la Chiesa costituisce l' "organigramma" delle Gerarchie Celesti.

'Riappare' perchè, lo so bene, si contesta che il testo sia stato scritto da Dionigi, il quale diventa più correttamente lo Pseudo-Dionigi: ma come si fa ad escludere che quel discepolo di Paolo non abbia lui stesso tramandato una simile visione dei Cori Angelici?

Dunque, il nostro Dionigi/Dioniso fa da ponte fra i giorni liturgici degli Angeli e Francesco, anch'egli profondamente devoto per queste creature di puro spirito.

Non si contano, nelle fonti francescane, i discorsi del Santo in merito.

Ma le fonti francescane concordano soprattutto sulla leggenda di Fra Pacifico e del suo sogno in cui a Francesco è assegnato, in quegli stessi cori riservati agli angeli, un trono «più splendido e glorioso», a lui riservato per la sua umiltà, mentre era destinato a... Lucifero che lo perse per superbia.

Per questo San Francesco è chiamato anche il «Serafico Padre»?

Certo, ma nel senso dei segni che 'ci parlano' e dicono spesso più di ciò che si legge, quel 'seraphicus' sembra legarsi sopratutto all'investitura del Poverello di Assisi con le stimmate.

'Proiettate' sul corpo di Francesco non da un Angelo qualsiasi ma, appunto, da un Serafino, dall'Angelo con sei ali che -nelle Gerarchie Celesti- sta più in alto e più vicino a Dio.

Se l'uomo è stato fatto, dice la Bibbia, 'poco meno degli Angeli', San Francesco 'troneggia' nella prima sfera angelica, la di sopra di altre due...

Al posto di quello che oggi, magari, ispira da decenni la degradazione del suo ricordo a paradigma dei terroristi di Sendero Luminoso o a un sandinista ante litteram...

Anonimo ha detto...

Da Assisi possa in questo giorno dedicato
a San Francesco giungere ai leader mondiali
un appello alla fratellanza e alla pace vera.

Anonimo ha detto...

Politici e magistrati italiani.

Viandante ha detto...

Lontana da Francesco ogni sorta di “pauperismo liturgico”:

“San Francesco non era “pauperista” nemmeno in campo liturgico. Anzi, egli raccomandava che la povertà della sua Regola non impedisse all’Ordine di assicurare nelle chiese un culto decoroso e possibilmente anche fastoso, in omaggio alla regalità del Redentore che vi viene celebrato: «Tutti coloro che amministrano così santi misteri, (…) considerino ch’essi vengono da molti collocati e abbandonati in luoghi indecorosi, trasportati in forma miserevole, ricevuti indegnamente e amministrati senza discrezione. (…) Orsù: di tutte queste cose e delle altre, emendiamoci subito e con fermezza! Dovunque il santissimo Corpo del Signore nostro Gesù Cristo sarà stato collocato e abbandonato in modo illecito, che sia rimosso da quel luogo per porlo e custodirlo in un luogo prezioso». «Voglio che questi santissimi misteri, sopra tutte le altre cose, siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi». «I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al Sacrificio, bisogna averli fatti di materia preziosa»”.