Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 30 gennaio 2013

Pietro De Marco su Catholica. Sviluppo e declino dello spirito del Concilio in Italia

Sono lieta di poter pubblicare nell'originale italiano, per gentile concessione dell'Autore, questo articolo del Prof. Pietro De Marco, sociologo della religione che si distingue per la sua onestà intellettuale [vedi qui - qui - e qui], apparso in francese sul n.116/Settembre 2012 della Rivista di riflessione politica e religiosa Catholica. Ovviamente il taglio è storico-sociologico, ma rende ragione di molte implicazioni riverberatesi sulla teologia sull'ecclesiologia e dunque sulla corrispondente pastorale, sviluppatesi nel post-concilio, che più specificamente appartengono alle nostre riflessioni e analisi. Esse non possono che arricchirsi e acquistare maggior spessore  dall'approfondimento degli scenari, dei soggetti e dei metodi che hanno impresso alla Chiesa del nostro tempo le mutazioni che viviamo con sofferente attenzione e consapevolezza.
Il lavoro prende in esame e sviluppa un dato rimarchevole, a più riprese sottolineato da Bernard Dumont, lo studioso Direttore della Rivista: « la singolarità di un'Assemblea conciliare svoltasi nel momento in cui i mezzi di comunicazione di massa e della manipolazione dell'opinione pubblica hanno oltrepassato una soglia completamente nuova, punto di convergenza tra una propaganda montata ad arte e la comparsa di nuovi strumenti tecnologici. Lungi dal diffidarne, gli attori del concilio (curia romana, vescovi, assistenti teologi, e, primo fra tutti, Giovanni XXIII), per incomprensione o com­piacenza, sono entrati in questo ingranaggio, trasformando solo per questo le condizioni di una riflessione ecclesiale realmente autonoma ». Senza dimenticare che « senza dubbio in ragione dei legami mantenuti tra i diversi focolai ideologici e i centri di diffusione ex­tra-​ec­clesiali, l’im­pres­sione dominante è quella di una sorta di imprigionamento della vita ecclesiale in strutture complesse delle quali appare ancora difficilissimo liberarsi. Tutto ciò ha funzionato in simbiosi con il mondo profano, in un permanente intreccio tra l'espressione delle sue esigenze e gli inviti interni ad allinearsi su di esse ».
La mia osservazione di massima è che il cosiddetto spirito del concilio, visto come paradigma esterno - che pure esiste, ha operato e opera tuttora - ha le proprie sorgenti, in nuce o già evidenti, in alcuni punti già quasi tutti individuati dei documenti conciliari: e dunque all'interno del Concilio stesso, sia pure non nella sua totalità. Basta consultare i testi inseriti nella colonna in alto a destra del Blog, i documenti evidenziati e le relazioni del Convegno di Roma del 2010, anch'essi linkabili dalla colonna di destra del blog. Per non parlare degli studi e dei libri di Mons. Gherardini, alcuni stralci dei quali già presenti nel blog -che saranno presto incrementati-, rintracciabili digitando la parola-chiave Gherardini nella stringa della "ricerca".

Lo spirito del concilio è un « pa­ra­digma esterno » che si è costruito nei media e in certi ripetitori d’opi­nione come l’Istituto delle scienze religiose di Bo­logna. Esso si perpetua ma s'insabbia mentre nel popolo italiano sussiste un fondo religioso su cui esso non ha mai avuto presa reale.[Su quest'ultimo punto mi pare possano esprimersi perplessità]
[L'Autore si rivolge alle osservazioni del Prof. Dumont] Comincerei dalle premesse. Quello che Lei sottolinea, ovvero la presa dei media e dell’opinione pubblica sul Concilio nell’intero arco del suo svolgimento (e già prima), è anche a mio parere non solo un dato che nessuna ricostruzione storica (e socio-storica) può sottovalutare, ma anche una componente, una dimensione, della sua ermeneutica. In certo modo lo è già: il Concilio oltre il Concilio, fuori dell’aula e dei palazzi vaticani e romani dove hanno vissuto e operato i Padri conciliari, viene invocato dalla storiografia antiromana o ‘modernistica’ come la prova della sua immediata appartenenza/consentaneità positiva al mondo. Anche prodotti della ‘scuola bolognese’, come L’altra Roma.Politica e S. Sede durante il Concilio Vaticano II 1959-1965 di Alberto Melloni, Il Mulino, Bologna, 2000, nel ricostruire l’attenzione delle ambasciate e delle cancellerie agli eventi romani, sottolineano l’appartenenza del Concilio ‘alla storia’. Nulla di nuovo in questo se non vi fosse implicito un paradosso: il rilievo del rapporto concilio-storia risiederebbe nell’influenza in sé positiva della storia, del mondo, sul Concilio (un Concilio ‘aperto’), non viceversa. Non va dimenticato che, per una serie di equivoci teoretici (nella stessa dottrina della consecratio mundi) e di fortunate formule (l’autonomia delle realtà terrene, anzitutto), il mondo come mondo storico anzitutto (ma il significato di ‘mondo’ nella pubblicistica teologica è altamente equivoco), negli anni Sessanta è diffusamente considerato portatore, in sé e per sé, di valore e di verità. Così il mondo penetra e co-opera in un Concilio aperto, nonostante le resistenze di ‘settori’ della Chiesa e partiti di Curia.
Ma, indipendentemente dalla interpretazione teologico-fondamentale ed ecclesiologica data dalla pubblicistica ‘modernista’, il fatto della osmosi tra Concilio e spazi pubblici europei e mondiali è decisivo per l’ermeneutica del Concilio perché costruisce e divulga all’esterno, spesso con anticipo e indipendentemente dalle risoluzioni conciliari, l’immagine del suo significato. Ho in mente quello che amo chiamare lo scalino che si definisce stabilmente dal 1962 al 1965 tra intentio e contenuto dei diversi documenti, da un lato, e recezione pubblica. Nella recezione interpretativa operano congiuntamente (si ‘compongono’ come due forze) la ordinaria selezione giornalistica della notizia, di ciò che negli accadimenti è ‘notizia’ per un giornalista, e il lavoro capillare di ciò che Lei chiama i ‘foyers ideologici e i centri di diffusione’ anzitutto intraecclesali (la costellazione dei ‘vaticanisti’ e giornalisti religiosi cattolici, speso prestigiosi) e, di concerto, extra-ecclesiali. Ciò che è giornalisticamente notizia dal Concilio si colora e si qualifica attraverso l’opera del giornalismo religioso, specializzato.  (Una ricerca ancora da condurre, con buon metodo sociologico, per campioni, data l’estensione del materiale.)

Ma ciò che conta, per noi, è che il paradigma esterno che si costruisce, si diffonde e si affina nella mediasfera, e si consolida e guadagna nuovamente livelli superiori di riflessione (dall’articolo e la conferenza al saggio di rivista specialistica al libro), già  nei lunghi intervalli tra i ‘periodi’. Il paradigma esterno, prodotto per il ‘mondo’ (per dire così) e per effetto del ‘mondo’, diviene un vero e proprio canone interpretativo del corpus conciliare, e ognuno dei foyers internazionali, spesso in concorrenza tra loro, tenderà a darne la propria versione. Dico in concorrenza, perché ad esempio tra il lavoro di I-doc Internazionale e l’allora ‘Centro di Documentazione’, o l’ambiente fiorentino della rivista ‘Testimonianze’, non vi sono rapporti se non superficiali o strumentali (occasionali alleanze). Ma l’ambiente di ‘Testimonianze’ è in sintonia col giornalismo e la pubblicistica conciliare (da Gozzini a La Valle a Citterich). Mentre il CdD vede Bologna in rapporto con molti centri di studio, istituzioni ecclesiastiche, con l’intelligencija di prestigiosi monasteri europei. I-doc ha prevalentemente cultura sociologica e una proiezione latinoamericana, sull’America di Medellin. Sottolineo en passant quanto potrà offrirci per la comprensione del post-concilio la ricostruzione storica della sociologia cattolica  prodotta ed insegnata da ecclesiastici – coerente sostituto o parametro ‘modernista’ della teologia, dato il primato del mondo -  entro e fuori le facoltà teologiche;  cosa sia stata e come abbia operato.

Ma, anche quando i foyers si saranno estinti o trasformati e arroccati in posizione difensiva,  il paradigma esterno, resosi autonomo, prosegue (o si afferma lentamente, magari moderandosi) nella letteratura teologica come nei periodici popolari, nella predicazione come nelle thèses di dottorato della Facoltà. Coincide sostanzialmente con ciò che viene invocato come “spirito del Concilio”; la coincidenza è rivelatrice poiché, come la nozione (o il lessico) dello ‘spirito’ evoca una distinzione-opposizione con la ‘lettera’ (lo ‘spirito’ precede la lettera, la ‘anima’, le sopravvive: così vogliono i luoghi comuni), così in effetti il paradigma esterno sceglie, subito, entro la ‘lettera’ del corpus conciliare ciò che serve alla propria formulazione e affermazione, è canone a se stesso, si perpetua (e si estenua) come una traditio chiusa. È nota la terminologia, tipicamente italiana, che giustificherà il consolidamento (in saggi, convegni, grandi opere) del paradigma generato sui bordi mediatici del Concilio: si trattava di discernere, separare dal resto, elaborare nelle loro conseguenze, le ‘parti traenti’ o ‘portanti’ del Concilio, sia depositate in enunciati (comunque da vagliare e purificare dal peso del compromessi prodotti nelle commissioni) sia postulate come intentio patrum.

Non voglio insistere su questo punto (che è un mio tema di studio e che richiede studio); ma una conseguenza mi pare evidente, e stringente per la Chiesa, oggi. Il paradigma esterno,
  1. costituito nel dettato conciliare a partire da una selezione pregiudiziale di testi e di significati (quest’ultima selezione – ‘ciò che il Concilio sarà e dovrà essere’ - precede gli stessi lavori del Concilio), e
  2. sviluppato in ambienti peri-conciliari, e forme mediatiche (quelle di allora), determina dopo cinquant’anni, indebolito e spesso banalizzato o, per dirla à la Bauman, allo stato liquido, la recezione diffusa, ‘modale’, del Vaticano II.
Nella sua geometria variabile assume la forma polemica dei gruppi di base, quella velata, nicodemitica, della maggior parte dei libri dotti, la cantilena, il cant, dei linguaggi ‘ecclesiali’. Il Centro, cioè Roma, alcuni episcopati, alcuni ambienti teologici ed ecclesiastici, ne sono sempre stati o se ne rendono, se ne vogliono, liberi. Non senza difficoltà e contraddizioni. Ma il lavoro, immane, di risalire lo scalino che separò il paradigma esterno e la sua ufficializzazione mondana,  dall’aula conciliare, per rientrare nella mens dei Padri e nel significato autentico dei testi, è in gran parte da compiere.

Nell’azzardare le cose dette ho di fatto risposto già alla prima domanda. Può interessare un lettore francese, ma anche un italiano ormai (in virtù dell’oblio che cala sugli eventi), qualche ricordo e valutazione sull’Istituto per le Scienze religiose di Bologna, il suo lancement, il lavoro intellettuale e di studio che vi si svolgeva, tra il 1964 e i primi anni Settanta. Non sono un buon conoscitore della vicenda della diocesi di Bologna nell’età di Lercaro; non sembri un paradosso, dato che ho frequentato la città e la chiesa bolognese negli anni del prestigio e della fine dell’episcopato. Ma il Centro di Documentazione era un ambiente di studio molto assorbente e relativamente autosufficiente. La maggioranza dei borsisti non era bolognese; io tornavo a Firenze il sabato. Ma molto di più contava il genere di studio; allora prevalentemente storiografico (con asse sul Concilio di Trento, l’età tridentina, s.Carlo Borromeo e questioni contestuali, preriforma, riforma protestante, riforma cattolica). Il nume tutelare era Hubert Jedin, ma anche Delio. L’ambiente monastico di Monteveglio, attorno a Giuseppe Dossetti, contribuiva, e vi era osmosi col nostro lavoro, agli studi patristici e storico-liturgici). La costellazione italiana ed europea di amici e colleghi era costituita prevalentemente da storici (della teologia, della chiesa), dai patrologi ai contemporaneisti. In sé, e salvo eccezioni (l’impegno di singoli), il lavoro sistematico del Centro non era destinato alla chiesa bolognese, né commissionato da questa. Gli stretti rapporti erano personali e riservati ai bolognesi (Alberigo, Prodi). Inoltre, Giuseppe Alberigo aveva dell’Istituto una visione moderna e ambiziosa; non una supplenza alle ‘carenze’ (reali o presunte) italiane ma una ricerca di livello immediatamente internazionale, secondo le richieste che alle scienze religiose venivano (o si riteneva che venissero) dalla chiesa universale. Vi era come il disegno di opporre la formula del Centro a quella delle Facoltà ecclesiastiche, anzitutto delle teologiche romane ma non solo; una competizione in programmi di formazione, in dotazione di libri, in temi e metodi di ricerca, e la convinzione di non essere inferiori a nessuno dei centri europei (francesi, belgi, tedeschi) ove si faceva teologia. Per parafrasare il titolo di un libro famoso di Eugenio Garin (La filosofia come sapere storico) allora concepivamo la teologia come ‘sapere storico’ e, praticando il sapere storico, ci sentivamo più avanti delle Facoltà teologiche, con i loro insegnamenti manualistici e dottrinali. la formazione dei giovani studiosi si completava, comunque, presso un  maestro europeo.  Il cemento, per dire così, del gruppo era certamente quello della riforma della chiesa, ma con distacco rispetto alle forme del ‘dissenso’ cattolico degli anni postconciliari, in genere con le forme militanti. La ‘chiesa dei poveri’ (Lercaro) doveva edificarsi dalla sua riforma in capite et membris, non dalla effervescenza sociale e ideologica, allora accentuatamente a sinistra. Non va dimenticata la distanza che separava l’ideologia del Centro dalla tradizione del cattolicesimo politico, ‘popolare’ e, in genere, dalla cultura del cosiddetto ‘movimento cattolico’ e del laicato di azione cattolica (che allora erano, anche storiograficamente, ignorati). La frattura nella vita di Dossetti operava da paradigma storiografico.

Queste caratteristiche (che, ripeto, riguardano – quelle storiografiche in particolare – i secondi anni Sessanta, poco più) mi permettono di aggiungere qualcosa alla tipologia dei centri promotori del paradigma ‘dinamico’ del Concilio e del suo ‘spirito’. L’istituto, come altri in Europa, si presentava come portatore di una rinnovata ma rigorosa ortodossia. Se volessi individuare delle componenti ‘modernistiche’, ovvero delle espressioni di quella latenza modernistica cattolica che circola nel Novecento e si avvale dello ‘spirito’ del Concilio (in sé, il Concilio, estraneo al Modernismo storico) per riaffermarsi – penserei ad alcuni intellettuali e studiosi miei coetanei, che abbandonarono presto il Centro e nei quali la componente antiromana, antidogmatica, ‘critica’ e spiritualistica ha poi prevalso. E, azzardo, i componenti attuali dell’ISR sono  probabilmente più vicini al paradigma ‘critico’ e antiromano, antidogmatico e spiritualistico, di quanto non fosse la generazione dei maestri. Il lancement e il successo (si è parlato di ‘egemonia’) del Centro/Istituto dipesero, nella logica delle cose dette, nell’aver dato forma dotta a quello che chiamo il paradigma esterno, tentando di mostrare, con piena convinzione e conforto di altre intelligenze (è il senso della vasta e documentata Storia del Concilio Vaticano II), che esso era in realtà fondato nella storia interna e nei testi del Concilio stesso. Insomma il prestigio del Centro/Istituto è derivato da un lavoro da intellettuale ‘organico’ e ‘ortodosso’ rivolto ad un esteso ‘movimento’ (e sentimento, presente anche nelle gerarchie) ‘conciliare’ militante. Espressione dotta, tra le più agguerrite, del paradigma esterno l’Istituto è oggi eccentrico alla profonda discussione e revisione del paradigma ‘conciliare’ (e delle sue applicazioni) che si è aperta nella Chiesa di Benedetto XVI. Il paradigma ‘conciliare’ è in piena involuzione; palese il suo degrado polemico, la sua banalizzazione e impoverimento, e la incapacità dei suoi ‘custodi’ di opporsi a questo processo. Il lavoro (storiografico) del Centro è utile come - e nei limiti - di ogni lavoro accademico, ma nonostante la sua ‘politicità’  è più organico a niente. L’assenza di formazione teologica (non quella, pretesa, post-teologica), la persistenza di un ‘uso politico’ (ecclesiastico) della storia e la vis antiromana, non danno alle sue intelligenze la possibilità, né scientifica né pratica, di ritornare al centro della riflessione cattolica. Rebus sic stantibus.

Con la Sua terza domanda cambiamo scenario. Ovvero guardiamo a quel ‘contesto’ odierno di cui i foyers intellettuali protagonisti della stagione postconciliare non hanno più il polso. Il quadro ecclesiastico-ecclesiale, l’ecclesiosfera italiana, ha conosciuto un mutamento di rotta significativo con il papato di Giovanni Paolo II (considero molto appropriata la metafora di papa Wojtyla come timoniere). Il papa ha dato forza, con l’energia di combattente ma ancor più con la forza del suo carisma, alla opposizione romana e curiale contro l’affermarsi ideologico e prendere corpo istituzionale dello ‘spirito del Concilio’. Chi depreca (e consento sull’essenziale) l’involuzione della riforma liturgica nelle sue forme ordinarie dimentica, o non ha avuto esperienza, di ciò che la ‘realizzazione del Concilio nella vita della fede delle comunità cristiane’ stava preparando almeno nei progetti ‘riformatori’. Dal soggettivismo liturgico alla teologia in situazione alla democratizzazione di diocesi e parrocchie al sacerdozio indifferenziato, tutto mascherato e solo alluso sotto i paludamenti del verbiage post-conciliare. La fine degli anni Settanta (come clima diffuso, effervescenza, coinè ideologica) ha favorito l’opera di riparazione e ricostruzione di Roma. I cattolici italiani hanno appreso nuovamente a) la legittimità (anzi doverosità) della loro presenza pubblica ‘come cattolici’, non come imitatori altrui, e della forma positiva, istituita, della fede e della chiesa; b) il diretto ruolo di guida della gerarchia in materia di fede e di morale. Nell’arco degli anni Ottanta la mediazione (tra cattolici e gerarchia) esercitata dal cattolicesimo politico (la DC) e il ruolo guida dell’intelligencija conciliare sulle ‘comunità’ e sulle culture cattoliche si sono indebolite, per ragioni diverse ma con effetti complementari. Con la cd. fine della Prima repubblica (1993-94) il governo della CEI prende in mano il possibile disorientamento cattolico (i cattolici, dai variamente praticanti ai non praticanti, sono la maggioranza del paese), non si affianca alle minoranze ‘popolari’ (resti della classe politica DC) nell’opposizione radicale e moralistica alla nuova formazione guidata da Silvio Berlusconi. Gli spostamenti dell’elettorato già democristiano (e già socialista ‘riformista’) verso una nuova formazione di centrodestra chiede alla chiesa di seguire con attenzione la conversione politica del suo ‘popolo’. La costellazione conflittuale delle forme cattoliche pubbliche di esistenza e azione, religiosa e politica, dopo il 1993-94 non poteva che essere guidata dalla lucidità di sguardo di un uomo di chiesa. Non supplenza contingente, ma ritorno esplicito ad una funzione della gerarchia, necessaria e sempre praticata a partire dal consolidamento dello stato liberale (comunque ‘laico’ continentale). La maggioranza cattolica, che vive spesso ai margini delle parrocchie (anche per le responsabilità di una pastorale pensata per ristrette comunità ‘conciliari’), esige oggi una alimentazione cattolica di principi e valori dal centro della ecclesiosfera. 

Se questo è vero (la concomitanza di due timonieri, uno per la chiesa universale, l’altro per quella italiana) perché l’immagine statica che Lei, da conoscitore delle cose italiane, può farsi della nostra situazione? Cerco una approssimazione alla risposta. 
L’episcopato italiano è diviso, anche se non in termini conflittuali.  L’azione ‘politica’ del Cardinale (con scherzosa ammirazione Ruini venne chiamato qualche volta, ad esempio dopo la vittoria nel referendum sulla procreazione assistita, Mazarin) è stata più subìta che capita o approvata. Inoltre, se la condizione minoritaria della Chiesa attrae, quella maggioritaria, più realistica, pesa ma si impone. Un vescovo in Italia è ancora la guida religiosa di una popolazione, purché lo voglia. Operare e decidere pastoralmente rivolgendosi contemporaneamente a tipi di credenti diversissimi (per ceto, cultura, religiosità e intensità di pratica, posizione politica) è complicato, e anche il clero ha risposte, condotte e opinioni molto diverse; spesso lavora per proprio conto, con le proprie convinzioni, nell’isolamento della parrocchia, al massimo di un vicariato. 
Poco giunge, all’osservatore esterno, di questo lavoro dei cleri diocesani, lavoro non esibito e contradditorio: tra istanze di evangelizzazione, rispetto della laicità e del pluralismo, bioetica pubblica e emergenze sociali, elevata fiducia nella chiesa da parte della ‘gente’ e crescita degli indici di socializzazione, persistenze ‘progressiste’ e novità ‘tradizionalistiche’. In più, i vescovi si sanno sotto gli occhi di Roma. L’immobilité très majoritaire che Lei osserva è forse solo apparenza; i bisogni di una ‘chiesa di popolo’ divisa, le molte ‘emergenze’ collettive, i numerosi avversari pubblici (la sfida anticlericale è costante contro Roma e contro la CEI) inducono molta Chiesa italiana ad operare ‘coperta’ e nell’incertezza. Non escludo, naturalmente, anche delle sorde resistenze: la lezione dei due ultimi pontificati, in controtendenza rispetto al paradigma ‘conciliare’ divulgato dall’intelligencija, è difficile da assimilarsi e per qualche vescovo, e parte del clero e del laicato ‘qualificato’, indigeribile.

Da questa considerazione mi è comodo anticipare la risposta alla Sua quinta domanda. Lei troverebbe comunque una conferma, da quanto ho appena detto, alla Sua diagnosi di una chiesa come ‘società bloccata’, di una pesanteur che ostacola la ‘libertà interiore’ entro la chiesa. Un ‘modernista’ ma anche uno ‘spiritualista’ lévinasiano potrebbe consentire, salvo rendersi conto dopo un attimo di divergere su tutto (chi generi il blocco e di cosa; cosa e di chi sia libertà interiore di cui si parla ecc.). Credo di capire, e su questo consento fortemente, che la libertà interiore impedita sia oggi, anzitutto, quella dei simpliciores che allo ‘spirito del Concilio’ hanno preferito la secolare, seppur aggiornata, formazione cattolica, catechistica e spirituale, devozionale e morale; ma anche, e più esplicitamente, la libertà degli oppositori dòtti, sacerdoti e laici, teologi e spirituali, al dominio di quello ‘spirito’ e del suo paradigma.

Il caso italiano, con la sua chiesa di popolo, è un buon luogo di verifica. Persiste un ‘popolo cattolico’ valutabile, a seconda della estensività dei criteri socio-religiosi di cattolicità, tra il 60% e l’80% e oltre, della popolazione, dunque molto più esteso rispetto al mondo dei praticanti regolari, e differenziato per modelli di religiosità, per grado di appartenenza e di conformità etica all’insegnamento della Chiesa. Questo popolo non ‘virtuoso’ sembra sovente più respinto che attratto dalle remote come dalle recenti ‘applicazioni’ del Concilio (dall’architettura sacra alle liturgie allo stile religioso dei parroci); in più non è aiutato, non nel tessuto delle parrocchie, a seguire con libertà le sue propensioni rituali, devozionali, intellettuali. Ma per lui la possibilità di trovare ambienti ospitali è altrettanto ampia, specialmente negli ordini religiosi. Il mondo francescano non è solo Assisi, ma è anche Medjugorie. Si tratta della nota ‘offerta’ differenziata del cattolicesimo, della sua complexio oppositorum, che lo ‘spirito del concilio’ rigorista non è riuscito ad estinguere, fermato (delegittimato) in questo anzitutto dal pontificato di Giovanni Paolo II, dalla sua passione mariana, dai suoi nuovi santi, la cui numerosità e varietà costituisce il paradigma di tutto ciò che è cattolicamente possibile venerare e imitare.

Questo può non bastare alla Sua (e mia) preoccupazione: vi è qualcosa come un ius sanctorum che possa proteggere il semplice credente dagli oltranzismi ‘conciliari’ di un parroco, di un giornalista, di un predicatore? No; per lo ‘spirito del Concilio’ i santi, espulsi dalle nuove chiese, non sono un paradigma, non vincolano più la chiesa.  La mia prognosi (fausta) guarda, però, al clima intellettuale e spirituale di una ‘nuova serietà’ cattolica in formazione, in grado di contrastare sul suo terreno quello che Lei vede come “une sorte d’establishment assurant la paralysie de l’institution ecclésiale italienne”. Recentemente le critiche di Antonio Livi a  Enzo Bianchi (priore della comunità di Bose) hanno prodotto o ospitato una violenta censura  a Antonio Livi, poi a Sandro Magister, da parte di Avvenire e di Iesus, rispettivamente. Reazioni nervose e offensive che, però, non dichiarano la forza di un establishment ma il suo declino.

39 commenti:

Anonimo ha detto...

Se guardiamo alla vulgata del regime modernista, il problema sono i grandi proclami di "giubilei" e di invito allo studio dei documenti del concilio: cosa buona e giusta; ma se nessuno ne spezza il pane, limitandosi ad esaltarli come pilastri della NUOVA Chiesa, che rischia di sostituire LA Catholica, non se ne verrà mai fuori.

Piuttosto, occorre promuovere un discorso capace di oltrepassare il fronte maggioritario 'conciliare' molto variegato e di fatto pluralista, coeso solo perché tenuto assieme dell'emozionalità che caratterizza gruppi che hanno espressioni ecclesiali molto diverse.

E ciò può avvenire solo favorendo nei moderati, su tutti i fronti, un distacco critico e autocritico razionale dal post-Concilio, su ambiti determinati, uscendo dalla logica e anche dal pathos dell' o tutto o niente< indotto finora dagli interventi 'tradizionali' e dalle conseguenti reazioni progressiste.

E sensibilizzando i vescovi disposti ad ascoltare, su quanto di contrario alla retta fede fermenta nei loro seminari e nelle Facoltà teologiche, spesso in forme mascherate, che essi tollerano o alle quali forse danno assenso inconsapevole....

bernardino ha detto...

Se guardiamo alla vulgata..... non se verra' mai fuori......
Davanti alla chiesa della parrocchia dove vivo, (chiesa medioevale), sventola un grande manifesto di stoffa ed uno e' attaccato addosso ad una colonna della prima navata, dove e' scritto: RICOMINCIO DA TE, PER COSTRUIRE LA NUOVA CHIESA DEL CONCILIO VATICANO II. - Mi domando: quando potremo mai oltrepassare il fronte maggioritario conciliare cosi' variegato, pluralista, coeso ecc. vedendo come siamo divisi in gruppi e groppuscoli noi della Traditio.
Molto importante cio' che dice P.De Marco in Sviluppo e declino....

Anonimo ha detto...

Se guardiamo alla vulgata del regime modernista, il problema sono i grandi proclami di "giubilei" e di invito allo studio dei documenti del concilio: cosa buona e giusta; ma se nessuno ne spezza il pane, limitandosi ad esaltarli come pilastri della NUOVA Chiesa, che rischia di sostituire LA Catholica, non se ne verrà mai fuori.

Piuttosto, occorre promuovere un discorso capace di oltrepassare il fronte maggioritario 'conciliare' molto variegato e di fatto pluralista, coeso solo perché tenuto assieme dell'emozionalità che caratterizza gruppi che hanno espressioni ecclesiali molto diverse.

E ciò può avvenire solo favorendo nei moderati, su tutti i fronti, un distacco critico e autocritico razionale dal post-Concilio, su ambiti determinati, uscendo dalla logica e anche dal pathos dell' o tutto o niente< indotto finora dagli interventi 'tradizionali' e dalle conseguenti reazioni progressiste.

E sensibilizzando i vescovi disposti ad ascoltare, su quanto di contrario alla retta fede fermenta nei loro seminari e nelle Facoltà teologiche, spesso in forme mascherate, che essi tollerano o alle quali forse danno assenso inconsapevole....



Ma in tutte queste tattiche, Gesù Cristo cosa c'entra?

Anonimo ha detto...

Ma in tutte queste tattiche, Gesù Cristo cosa c'entra?

Dove sono le "tattiche"?

Forse il Signore non si serve anche dei nostri comportamenti e di quello che riusciamo a imprimere nella realtà che ci circonda attraverso il nostro impegno, che deve pur trovare delle forme e anche esser mirato al coinvolgimento delle persone più giuste?

Forse in questa situazione di crisi, non potranno esserci, Deo adiuvante, dei percorsi propositivi anziché accusatori?

Volete convertire Roma, continuando a lanciare anatemi o entrando in relazione con chi mostra moderazione e buona volontà, se si riesce a trovarlo?

E' indice di scarso realismo, cercare possibili punti di partenza per un'inversione della rotta rovinosa verso la quale sembriamo inesorabilmente lanciati?

Sono solo barlumi, quelli che ho lanciato e di certo non sono alla mia unica personale portata. Ho solo cercato di lanciare delle idee, delle possibilità, che certo seguono e non sostituiscono la preghiera e la fedeltà vissute in tanti altri modi concreti.

Marco Marchesini ha detto...

Interessante questo intervento di De Marco.

A Pistoia è stato fatto un incontro sul Concilio e De Marco era presente:

http://www.diocesipistoia.it/pagina_template.asp?id=55&pag_A=199&lingua=ITA

Purtroppo me lo sono perso, ci sono degli atti su Internet?

Anonimo ha detto...

Purtroppo me lo sono perso, ci sono degli atti su Internet?

Non so. Comunque ho chiesto al Prof. De Marco una copia del suo intervento e spero ci possa accontentare.

Jacobus ha detto...

Proprio l'utilizzo ambiguo e reiterato della mediaticità, come dimostrano anche recenti discutibili interventi curiali, sta perpetuando l'insidia di una "dogmatizzazione" del concilio in via extra-dottrinale e extra-canonica, in perfetto stile conciliare...

Anonimo ha detto...

Caro Marco,
non so se hai visto. Al link da te segnalato, c'è questo resoconto che copio-incollo qui (con tutte le sgrammaticature), chiedendomi a cosa si riferisca l'estensore di queste righe quando conclude citando il "ministero della presidenza". Non vorrei si riferisse al prete in quanto "presidente" della celebrazione eucaristica, perché sarebbe un'evidente diminutio del ministero sacerdotale!

""
Nonostante i cinquant’anni trascorsi dal suo inizio, il Concilio Vaticano II continua ancora a essere oggetto di discussione e di polemica, qualche volta decisamente dure e sopra i righi.

La serata è destinata a ricostruire
almeno alcuni punti fondamentali
che sono in questione, cominciando dalla interpretazione generale
che rimane naturalmente alla base dell’intera polemica.

Prospettiamo la discussione
dei due relatori della serata.

Per il primo relatore i difetti di una certa valutazione del Concilio “prima che nei libri, è sotto i nostri occhi.
La manierata evocazione del Vangelo,
in scrittori e scrittrici di cose ecclesiali e spirituali, che sulla stampa e nell’editoria cattolica passano per ‘teologi’, non fa mai menzione significativa della Tradizione.
Per l’Eucaristia circola quasi ovunque il superficiale verbiage
della mensa e del mangiare insieme,
contro la dimensione sacrificale
e contro (più o meno onsapevolmente) la Presenza reale.
L’Ordine sacro è declassato quanto a sacralità e a peculiarità ontologica, ed è schiacciato sulle sue funzioni ‘umane’.
Il Magistero è ignorato nella sostanza, tollerato ‘per obbedienza’.
La Vergine Maria è presente dove la personale devozione lo chiede al singolo sacerdote, o a qualche teologo, ma non appartiene all’impalcatura della fede (se qualche ‘impalcatura’ vi è ancora) che essi trasmettono.
Aggiungo: in tale movimento (anzi: smottamento) indotto dalla intelligencija ecclesiale che si richiama allo ‘spirito’ del Concilio, non sorprende che l’ecumenismo sia oggi infine poco praticato, poiché nell’ordine della dottrina della fede siamo molto al di là, in termini di dissoluzione dogmatica, di ciò con il Patrocinio
di che la tradizione protestante non secolaristica, per non dire l’Ortodossia, credono ancora.
In termini storici siamo nella somma o confusione di terreni ereticali secolari.
Modernismo, in senso tecnico.”

Parole gravi a cui fanno riscontro le osservazioni della seconda relatrice, la quale, rifacendosi a un discorso del cardinal Carlo Maria Martini,afferma la necessità di una rigorosa recezione delle grandi idee conciliari:
“Inculturazione del vangelo, sinodalità delle Chiese locali e nelle chiese locali,
ridefinizione della propria identità
in un cammino ecumenico coinvolgente tutti, che non separi la spiritualità per tutti e la ricerca teologica di pochi, che riconosca con maggiore forza il rinnovamento prospettico segnato dal conciliare ‘subsistit in’ (LG 8), riconoscimento di essere pellegrini nel mondo con il resto dell’umanità,
laicità, essere popolo sacerdotale profetico mi sembrano gli snodi qualificanti della prossima fase di recezione.
Con particolare rilievo va infine segnalato il passaggio in cui si richiama con forza la Chiesa a essere povera a immagine del Cristo;
occorre valutare su questo elemento d’identità il rapporto con il potere, la scelta dei beni materiali, dei mezzi necessari alla missione.
La scommessa di una nuova Chiesa, segno significativo nel mondo di oggi, di un nuovo volto capace di interpellare profondamente le coscienze dentro e fuori il contesto ecclesiale, si gioca su questo punto in modo radicale.
Qui ci siamo allontanati dal concilio, l’abbiamo ‘tradito’ e addomesticato con compromessi indebiti.”

Anche se i punti segnalati sono in parte diversi, si capisce che un accordo fra le due opinioni risulta ancora molto difficile.

La questione è tutt’altro che secondaria e non può non interessare tutti, in particolare coloro che nella comunità assolvono il ministero della presidenza. (!?)
R. ""

Marco Marchesini ha detto...

Purtroppo cara mic, penso che sia quello il senso.

Ormai davvero è ora di dire basta alla nuova teologia dei vari Daniélou, de Lubac, Rahner, Chenu, Congar, Schillebeeckx, ecc... Quelle espressioni derivano proprio dallo sviluppo di quelle teologie.

Ma esiste una facoltà di teologia interamente tomista aliena dalla nuova teologia?

Anonimo ha detto...

Caro Marco,
mi scrive il Professore:
"... non ho un testo dell'incontro; è stato un rispettoso confronto tra posizioni molto distanti (conosco Serena da molti anni; intelligente e molto decisa, ma pericolosamente oltre il tollerabile in sede dogmatica, lei come molti altri... Ho, in parte, proposto a quel pubblico (adulti, frequentanti dell'Istituto di Sc. Rel. di Pistoia) la mia tesi del paradigma (conciliare) 'esterno' e altre considerazioni. Partendo dalla mia memoria degli anni Sessanta: la diversa recezione/costruzione dello 'spirito del Concilio' nello stile fiorentino e in quello bolognese (a questo proposito Le allego una versione non rifinita - ma con più cose di quella che pubblicò Magister - di un vecchio intervento sull'Istituto di Bologna, 2005."

Dovremo dunque contentarci del resoconto che comunque identifica la posizione di De Marco come equilibrata e di grande onestà intellettuale.

L'allegato è un testo denso e impegnativo, di notevole interesse. Appena posso, lo pubblicherò (andrà riconvertito perché è in pdf)

Andrea ha detto...

Dove sono le "tattiche"?

Se dico quanto so su Fellay ci scriviamo un libro. Perchè non parliamo del GREC?

Anonimo ha detto...

Non c'è niente da stigmatizzare nell'attività del GREC - Groupe de Réflexion Entre Catholiques, che ha fatto da cerniera tra la Fraternità e il Vaticano (e mi pare una cosa normale) attraverso dialoghi definiti "discreti, ma non segreti" con alcuni membri della dirigenza della FSSPX in vista di un accordo pieno tra la stessa e il Vaticano, tendenti alla accettazione dell'interpretazione del Concilio alla luce della Tradizione e dunque secondo l’ermeneutica della continuità, alla liberalizzazione della Messa tradizionale, alla remissione della scomunica e alla piena regolarizzazione canonica.

La liberalizzazione della messa e la remissione della scomunica ci sono state, manca la regolarizzazione canonica successiva all'accettazione del concilio. Se questa avviene nei termini precisi della "lettura in continuità", non vedo cosa ci sia di scandaloso (anche se la continuità è di sicuro operata dalla Fraternità e non del tutto da Roma; ma il principio è accettabile e anche praticabile come lo pratica chi ama la Tradizione non appartenendo alla FSSPX)

Infatti, il concilio appartiene alla storia e quel che c'è di storto si può e si deve correggere, non si può annullare.

Il tutto, ora, è nelle mani del Signore e di responsabili buone volontà, circondate da tendenze opposte e contrarie, da una parte e dall'altra...

Anonimo ha detto...

In ogni caso le mie riflessioni iniziali - che se sono "tattiche", non lo sono nel senso di strategie umane, ma di tentativi di trovare concrete soluzioni sul campo - non avevano nulla a che vedere con la FSSPX. Esse riguardano una necessaria azione propositiva nei confronti della Chiesa universale, non limitata alla propria conventicola (personalmente rifuggo dalle conventicole e dagli "orticelli").
E questo è tanto più necessario e urgente quanto più si va divaricando lo iato generazionale rispetto alla Tradizione.

L'azione concreta da intraprendere riguarda dunque la Chiesa universale e, per essere efficace e non limitata a denunce che continuano a cadere nel vuoto spinto (grida nel deserto), deve arrivare a sensibilizzare e propositivamente coinvolgere quei pastori, dai cuori e dalle menti aperte, che ancora sono in grado di ascoltare e non si scandalizzano se devono mettere in discussione un aspetto del concilio non vissuto come idolo intangibile...

Non so se la mia visuale è realistica. Per ora è solo un'ipotesi. C'è da verificare sul campo che concrete possibilità può avere, partendo da un 'canale' disponibile... Prima di arrendersi e affidarsi alla Provvidenza, che rischia di assumere il volto del castigo, almeno provare bisogna!

E forse è proprio questa l'ottica che ha guidato il pensiero e l'azione di mons. Fellay nel suo contesto, in mezzo a incomprensioni e irrigidimenti tra i suoi, cui corrispondono specularmente tensioni di segno contrario ma di impatto analogo dall'altra parte!

Andrea ha detto...

Se questa avviene nei termini precisi della "lettura in continuità", non vedo cosa ci sia di scandaloso

Ma a che gioco giochiamo? Ma se tu, giustamente, hai scritto e detto che la continuità non c'è! Se l'accordo è la panacea di tutti i mali, che lo faccia, benedetto Fellay. Ma vedo che anche lui non l'ha fatto, e ci sarà pure un motivo o anche lui è un antisemita negazionista?

giuseppe ha detto...

Concordo pienamente col commemto di mic 09:44.

Gli elementi per una lettura del Concilio in perfetta continuità con l'intera e costante Tradizione ci sono, a partire dalle affermazioni di principio negli stessi testi. Questo vincola ogni interpretazione e ogni comprensione degli stessi testi, e assicura del fatto che non solo quella lettura è possibile, ma è necessaria pena la sua falsificazione.

Tutto questo si va chiarendo sempre meglio, e implica la correzione tanto dei paradigmi esterni che ne soffocano il significato autentico come degli elementi pseudo-magisteriali e pseudo-pastorali le cui tracce possono trovarsi all'interno degli stessi testi, alla stregua di "piste percorribili a passo veloce dal delirio teologico e dalla trasgressione a tutto giro" segnate da chi fu capace di abbassare in qualche modo le difese immunitarie della Chiesa, come efficacemente illustrato da Piero Vassallo in un recente scritto che mi sembra molto riuscito.

http://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2156:la-religione-capovolta-e-lilluminismo-aggiornato-di-piero-vassallo&catid=52:-a-cura-di-piero-vassallo&Itemid=123

Andrea ha detto...

Prima di arrendersi e affidarsi alla Provvidenza, che rischia di assumere il volto del castigo, almeno provare bisogna!

Sono passati quasi 50 anni dalla fine del concilio, e sono circa 40 che si dialoga tra SPX e Vaticano. Non basta? Se continuiamo così, daranno una palma del dialogo pure alla Fraternità!

E forse è proprio questa l'ottica che ha guidato il pensiero e l'azione di mons. Fellay nel suo contesto, in mezzo a incomprensioni e irrigidimenti tra i suoi, cui corrispondono specularmente tensioni di segno contrario ma di impatto analogo dall'altra parte!

Fellay è guidato dalla prudenza e dalla Provvidenza --a quando una rivelazione privata sulla necessità degli accordi?--, gli altri non comprendono e si irrigidiscono. Mi pare un modo un poco riduttivo di intendere gli eventi. Ti ricordo pure che Fellay, il benedetto accordo, non lo ha fatto.

Anonimo ha detto...

Ma a che gioco giochiamo? Ma se tu, giustamente, hai scritto e detto che la continuità non c'è! Se l'accordo è la panacea di tutti i mali, che lo faccia, benedetto Fellay. Ma vedo che anche lui non l'ha fatto, e ci sarà pure un motivo o anche lui è un antisemita negazionista?

Io non ho detto che la continuità non c'è. Ho detto e sono consapevole che i germi della rottura non sono né nel "paradigma esterno" né nelle "errate applicazioni", ma nelle ambiguità e spesso anche elementi di rottura di alcuni punti ben individuati dei documenti conciliari. E' questo che richiede la soluzione già prefigurata da Mons. Gherardini e da Mons. Schneider e. de fide credo che prima o poi avverrà!

Se Mons. Fellay, che era pronto a sottoscrivere l'accordo secondo canoni accettabili, ha fatto marcia indietro, significa che in quel momento nella Santa Sede è prevalsa l'ala intransigente di segno opposto. Il discorso antisemita negazionista lascialo fare ai sionisti e ai loro epigoni! Sì, purtroppo, anche queste influenze hanno avuto la loro parte e ciò è davvero abominevole!

Di ciò che è accaduto siamo in molti a dolerci. Purtroppo anche nelle vostre fila c'è chi invece ne gioisce...

Andrea ha detto...

Io non ho detto che la continuità non c'è. Ho detto e sono consapevole che i germi della rottura non sono né nel "paradigma esterno" né nelle "errate applicazioni", ma nelle ambiguità e spesso anche elementi di rottura di alcuni punti ben individuati dei documenti conciliari. E' questo che richiede la soluzione già prefigurata da Mons. Gherardini e da Mons. Schneider e. de fide credo che prima o poi avverrà!

Scusa la franchezza, ma mi pare vi siate bevuti il cervello. In tre righe dici che non hai mai detto che la continuità non c'è (permettimi di dubitarne, sia della continuità che della tua affermazione), e subito dopo affermi "Ho detto e sono consapevole che i germi della rottura non sono né nel "paradigma esterno" né nelle "errate applicazioni", ma nelle ambiguità e spesso anche ELEMENTI DI ROTTURA di alcuni punti ben individuati dei documenti conciliari".
Bisogna aver fede non in Gherardini, con tutto il rispetto, ma in Cristo e nella Chiesa, che non è un organo burocratico. Bisognerebbe anche parlar chiaro, senza tutte queste fumisterie mutuate pure da apprezzabili commentatori, altrimenti critichiamo il linguaggi conciliare e poi lo utilizziamo senza neanche rendercene conto.

Andrea ha detto...

Purtroppo anche nelle vostre fila c'è chi invece ne gioisce...

Piccinerie di chi non ha argomenti

Anonimo ha detto...

Scusa la franchezza, ma mi pare vi siate bevuti il cervello. In tre righe dici che non hai mai detto che la continuità non c'è (permettimi di dubitarne, sia della continuità che della tua affermazione), e subito dopo affermi "Ho detto e sono consapevole che i germi della rottura non sono né nel "paradigma esterno" né nelle "errate applicazioni", ma nelle ambiguità e spesso anche ELEMENTI DI ROTTURA di alcuni punti ben individuati dei documenti conciliari".

Era semplicemente da intendere che l'affermazione sulla inesistenza della continuità non andava assolutizzata nel senso che mi hai attribuito tu. Si può andare oltre queste sterili diatribe a arrivare al sodo?

Bisogna aver fede non in Gherardini, con tutto il rispetto, ma in Cristo e nella Chiesa, che non è un organo burocratico.

Io non ho espresso fede in Gherardini, do' credito alle sue affermazioni che sono di tutto rispetto. Ti ricordo che insieme alla Causa Prima, ci sono le cause seconde ordinate al fine della stessa...

Bisognerebbe anche parlar chiaro, senza tutte queste fumisterie mutuate pure da apprezzabili commentatori, altrimenti critichiamo il linguaggi conciliare e poi lo utilizziamo senza neanche rendercene conto.

Io credo di aver parlato chiaro, forse c'è chi non vuol comprendere

Anonimo ha detto...

Piccinerie di chi non ha argomenti

Non c'è bisogno di argomenti per affermare una dolorosa evidenza. Basta leggere i blog francesi...

Anonimo ha detto...

Per Andrea

Sono passati quasi 50 anni dalla fine del concilio, e sono circa 40 che si dialoga tra SPX e Vaticano. Non basta? Se continuiamo così, daranno una palma del dialogo pure alla Fraternità!

La complessità degli elementi in gioco e la mala fede di molti purtroppo sono entrai in campo. Questo non significa che bisogna arrendersi!

Fellay è guidato dalla prudenza e dalla Provvidenza --a quando una rivelazione privata sulla necessità degli accordi?--, gli altri non comprendono e si irrigidiscono. Mi pare un modo un poco riduttivo di intendere gli eventi. Ti ricordo pure che Fellay, il benedetto accordo, non lo ha fatto.

Io ho espresso il mio punto di vista , del quale sono convinta, ma che non è vangelo. Mi pare di aver spiegato perché Mons. Fellay l'accordo non lo ha fatto. Che fosse disposto a farlo e che ce ne fossero i presupposti è altrettanto certo del perché non lo ha fatto.

Ma stiamo divagando e ci stiamo avvitando in sterili polemiche e non serve a nulla.

Marco P. ha detto...

Quindi le affermazioni di principo dei testi del CVII ne vincolano ogni comprensione e sono per sè stesse e con ciò che da loro ne deriva, la garanzia di continuità con la Tradizione;
questo se ho ben capito il senso di quanto scritto da Giuseppe nella prima parte del suo intervento.

Poi però si dice che negli stessi testi del CVII ci sono tracce di elementi pseudo-magisteriali e pseudo-pastorali che se seguiti portano a deliri teologici e a trasgressioni tout-court.

Quindi i testi del CVII contengono da un lato la garanzia dell'ortodossia e dall'altro il rischio fondato dell'eterodossia ?

Quando in un testo non definitorio si riesce a discernere tra "affermazione di principio" e altro ?
E se l'affermazione di principio è tale deve reggere tutto il resto, altrimenti non lo è più, ma se nel resto c'è qualche cosa che la contraddice allora sorge un problema.

Anonimo ha detto...

Era semplicemente da intendere che l'affermazione sulla inesistenza della continuità non andava assolutizzata nel senso che mi hai attribuito tu.

Per precisare ancor meglio, anche se penso non dovrebbe essercene bisogno, intendo dire che gli elementi di 'rottura' sono nelle ambiguità e in alcuni punti dei documenti conciliari. Conseguentemente è evidente che 'rottura' c'è. Ma questo non significa che essa sia individuabile in termini assoluti in tutti i documenti conciliari (il concilio non è un evento monolitico, ma è i suoi documenti), che vanno epurati di quegli elementi; per cui occorre definirli e restaurare le conseguenze delle applicazioni spesso andate anche oltre le 'fessure' e le eccezioni diventate regola...

Andrea ha detto...

Conseguentemente è evidente che 'rottura' c'è.

Finalmente, ci sei arrivata.

Ma questo non significa che essa sia individuabile in termini assoluti in tutti i documenti conciliari.

Ma va? Credi che io sia un imbecille?

Anonimo ha detto...

Ma va? Credi che io sia un imbecille?

Evidentemente no, ma mi sembrava che avessi equivocato il mio pensiero e sostenessi, come sono in molti a farlo, la demonizzazione dell'intero concilio.

giuseppe ha detto...

Esempio di una "pista" come forse intende P. Vassallo (leggetelo quell'articolo, che è molto istruttivo!): DH, 3/b

-------------------
La verità, però, va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente [...], per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; inoltre, una volta conosciuta la verità, occorre aderirvi fermamente con assenso personale.
---------------------

Sembrerebbe quasi legittimato il "secondo me" come metodo di ricerca della verità circa la religione.
E invece (correzione): DH, 1/b

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Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: « Andate dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato » (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli.
-----------------------

Quindi anche il "dialogo" non si realizza come se si trattasse di cose opinabili e soggettive.
Però quella "pista" è stata molto ben sfruttata.

So di aver fatto un esercizio inutile; le spiegazioni le danno i teologi ortodossi e, infine, il Magistero. Volevo solo mostrare che il perfezionamento dei testi, e del modo di intenderli, è possibile. Ed è necessario.

Marco Marchesini ha detto...

Personalmente sono convinto che i testi del Concilio Vaticano Secondo siano pieni di pensanti ambiguità nel linguaggio e nel contenuto. Un chiarimento della Santa Sede è il minimo che il fedele possa chiedere.

Però il chiarimento deve avvenire secondo la sana teologia tomista, non secondo il tentativo maldestro di adattamento della teologia cattolica alle filosofie moderne. Quindi niente nuova teologia dei "maestri" prima condannati e poi riabilitati da Papa Giovanni Paolo II!

Sinceramente non sono convinto che i testi siano sostanzialmente eretici, errati dottrinalmente o blasfemi. Lo sono accidentalmente per via del linguaggio ambiguo
mutuato dalla nuova teologia.

Molte dottrine che creano problemi a mio avviso si possono incasellare nella "sentenza probabile" dove non è escluso l'errore.

Marco P. ha detto...

Come consigliato da Giuseppe ho letto l'articolo di Deotto e mi ha colpito questo passo che riporto:
"E' pertanto lecito chiedere quale infido consigliere comunicò a Giovanni XXIII l'illusoria notizia che gli erranti contemporanei stavano correggendo i loro errori. L'abbaglio, riverberato sul papa buono, infatti, fu causa del gaudio dichiarato nella locuzione inaugurale del Concilio Vaticano II e delle successive, incaute aperture al mondo moderno e ai suoi oscuri momenti."

Se, come dicono studiosi qualificati, la Gaudet Mater Ecclesia, contiene già in nuce tutto quanto poi sarà sviluppato nel CVII, e se questa contiente una abbaglio causato da una fiducia mal riposta in un qualche consigliere non meglio identificato, il quale abbaglio riguarda una questione certo di non secondaria importanza (l'auto emendarsi dall'errore da parte dell'uomo moderno), allora ripetendo quanto ho scritto sopra, c'è un problema, un problema che laddove seriamente affrontato non può che procurare le vertigini e far mancare il fiato, dando l'impressione di trovarsi come sul ciglio di un abisso.

giuseppe ha detto...

Caro Marco P., l'articolo che hai letto è di P. Vassallo, autore dalla prosa spumeggiante e immaginifica (che come tale va trattata per indenderne i concetti, non per fare l'analisi logica delle immagini), del quale certamente conosci la fedeltà più che salda alla Chiesa e al Papa, e che pertanto, certamente, non ti vuole portare "sul ciglio di un abisso" attraverso strane allusioni o associazioni.

Lo stesso Papa Benedetto XVI ha più volte apertamente predicato che nella maniera di vivere il Concilio da parte di molti suoi protagonisti vi fu UMANAMENTE un eccesso di "ottimismo" circa le condizioni della modernità e di taluni suoi aspetti. Non ti sarà difficile riscontrarlo.

Ma con questo non si spalancano gli abissi; se il Concilio Ecumenico - la cui natura essenziale ci è resa nota per Fede - fu fatto è perché andava fatto.

Si tratta - anche per chi, come me, non appartiene alla scuola di Vassallo - di intenderlo non negli accidenti umani che fatalmente portano con sé imperfezioni (come ha bene notato l'altro Marco), e dei quali anzi va liberato se ve ne sono, ma nei suoi contenuti autentici e veri, attraverso di esso trasmessi dal Risorto: "Chi ascolta voi ascolta me".

Il fatto che questi contenuti autentici e veri siano stati paurosamente oscurati nel "post-concilio", anche giocando su certe "piste" apparentemente ambigue, non ci deve impedire - al contrario! - di rettificare e migliorare la nostra percezione e conoscenza.
Da credenti, senza spaventarci o fantasticare.

Gli studi di Pietro De Marco mi sembrano utilissimi al riguardo.

Marco Marchesini ha detto...

Un giorno il Magistero dovrà risolvere la questione in maniera infallibile e definitiva.
E' legittima anche la posizione di pensa che i problemi del Concilio siano di natura solamente interpretativa.
Più ci rifletto però e meno sono convinto di ciò. Non so quanto l'ermeneutica della continuità possa essere applicata a tutte le affermazioni del Concilio senza stravolgerne il senso.

Visto che si tratta di un Concilio pastorale che è infallibile solo dopo ripete esattamente la dottrina precedente, allora non è vincolante né irreformabile nelle novità.

Rispolverando la dottrina delle note teologiche con il relativo grado di assenso, si può evitare i due estremi: l'infallibilismo totale con le relative interpretazioni forzate ed il sedevacantismo che dichiara impossibile l'Atto di Fede nella Chiesa attuale.

lapis ha detto...

l'Atto di Fede nella Chiesa attuale.
in questa semplice frase si evidenzia purtroppo un grave errore indotto nelle menti cattoliche dalla cultura dominante.
In realtà, nel Credo che recitiamo alla Messa domenicale noi cattolici diciamo:
"Credo in Dio Padre Onnipotente....in un solo Signore Gesù Cristo....nello Spirito Santo...ecc...
....(poi):
Credo LA CHIESA, una, santa ecc..."
Ed è giusto così, (finora) l'Atto di Fede.
Dunque: credo LA Chiesa,=compl. oggetto di un credere, (->credo CHE la Chiesa è una, santa ecc.) ; NON : "credo nella Chiesa".
La differenza non è di poco conto, basta riflettere in profondità per capire la gravità di ciò che significherebbe un eventuale "credo nella Chiesa".
Il giorno in cui dovesse accadere - Dio non voglia! - che vorranno dall'alto costringere i poveri fedeli ignari (cioè noi milioni di parrocchiani partecipanti alla Messa NO nel mondo intero) a
recitare la frase
"credo NELLA Chiesa",
allora, davvero, sarà compiuta definitivamente la mostruosa mutazione genetica della Chiesa fondata da Nostro Signore. Preghiamo che non avvenga.
Ma tanti brutti segnali concomitanti mostrano che ci avviamo a quel cambiamento, e la frase sopra riportata ne è una spia inquietante, poichè espressione spontanea di una convinzione già radicata (in un "tradizionalista"...).
Ci vorrà un nulla (un piccolo "ordine" diramato a tutte le diocesi, per tutti i foglietti domenicali) perchè i fedeli di tutto l'orbe
accettino SUPINAMENTE di proclamare un tale "credo riformato": ciò accadrà senza colpo ferire, senza che
nessuno avverta il pondus della differenza.
Purtroppo.

lapis ha detto...

gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta
..............
secondo questo bel principio enunciato dal blogger giuseppe, di "reciproca e didattica rivelazione", pari con pari, possiamo capire come siamo giunti a vedere che
un Pontefice della Chiesa Santa Cattolica e Apostolica, fondata da Cristo Signore per rendere cristiani tutti i popoli annunciando il Vangelo e battezzandoli nel NOME del Padre, Figlio e Spirito Santo,
nel 27 ottobre 2012 si sia posto placidamente ad ascoltare l'ISTRUZIONE a lui offerta da un'atea e anche da tanti pagani idolatri circa la LORO verità: quella multiforme verità, che il supremo pastore della Chiesa, rappresentante del Gregge di Cristo, dovrebbe accettare come "alternativa verità" di cui tenere fraternamente conto.
E farne tesoro, of course, nel suo essere Pastore Vicario di Cristo.
Trionfo del relativismo, nella Chiesa Cattolica (ex annunciatrice della Verità eterna UNICA), trionfo pluralista grazie al cv2, enunciato da un convinto cattolico, (probabilmente un equilibrista delle mediane/moderate interpretazioni di mille insanabili ambiguità).

giuseppe ha detto...

lapis, sembra che tu sappia scrivere. Ma è sicuro che non sai leggere.

Anonimo ha detto...

Tu invece Giuseppe, non sapendo confutare, insulti...

Marco Marchesini ha detto...

Ho scritto male, me ne rendo conto.

Non volevo scrivere Fede nella Chiesa, ma l'atto di Fede all'interno della Chiesa attuale-+.

Marco P. ha detto...

Non riesco a vedere nulla di immaginifico nel linguaggio di Vassallo, egli ha semplicemente chiesto chi fosse che ha malconsigliato il Santo Padre relativamente alla capacità autoemendante dell'uomo rispetto all'errore.
Comunque, il linguaggio di un contenuto supposto infallibile deve rifletterne le caratteristiche, non può essere approssimativo o imperfetto, infatti poichè il conoscere deriva dall'essere, (veritas est adaequatio intellectus ad rem; ego sum, ergo cogito, non il contrario) e quindi il contenuto fonda il linguaggio, se quest'ultimo dà luogo a molteplici interpretazioni e si presta anche a quelle eterodosse o addirittura consente di percorrere piste ambigue, allora è lecita la domanda se la base su cui si fonda è infallibile.
Tutto qua (per modo di dire).

Anonimo ha detto...

Non riesco a vedere nulla di immaginifico nel linguaggio di Vassallo, egli ha semplicemente chiesto chi fosse che ha malconsigliato il Santo Padre relativamente alla capacità autoemendante dell'uomo rispetto all'errore.

Sono molti gli studiosi, compreso il prof. Dumont, che vedono in Giovanni XXIII ma anche in Paolo VI una "decisione di ottimismo", più che un'autentica valutazione della realtà.

Sta di fatto che non si riesce a comprendere come questa "decisione" continui a dominare l'orizzonte ecclesiale con immutata ostinazione, a dispetto della sua inefficacia, ma prima ancora del suo disorientamento dalla Sorgente perenne...

Marco Marchesini ha detto...

Infatti visto che il Concilio Vaticano Secondo è stato un concilio puramente pastorale, se la pastorale non ha dato buoni frutti semplicemente, si cambia.
Basta guardare la realtà e prendere gli opportuni provvedimenti.